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Una riflessione storica
e di prospettiva sulla centralità della casa, tra i bisogni che connotano il
vivere civile, e sulla marginalità che invece contraddistingue, negli ultimi
decenni, le politiche pubbliche italiane in materia di edilizia sociale, sullo sfondo
di una Europa disomogenea e polarizzata dai flussi migratori
Riassunto:
-
le
iniziative pubbliche e private per il bisogno di casa dal Regno d’Italia alla
‘Prima Repubblica’
-
la
“casa come servizio sociale”
-
l’inversione
di tendenza privatistica
-
l’esclusione
dal diritto alla casa: problema di minoranze (e di immigrati)
-
l’insufficienza
dell’ “housing sociale” in questo inizio di secolo
-
invece
in Nord-Europa…
-
le
condizioni per rendere possibile anche in Italia l’utopia di una casa per
tutti:
o
battaglia
culturale per l’inclusione sociale
o
risorse
adeguate da un fisco più giusto
o
una
diversa concezione dello sviluppo
o
una
offerta articolata a fronte di bisogni segmentati e della necessità di ricucire
società e territori
Nel
dibattito pubblico italiano, mentre si danno per scontati alcuni diritti
sociali (un tempo universali, oggi sempre
più caratterizzati da forme di esclusione a danno degli immigrati) quali
quello alla salute (dove lo Stato
definisce addirittura, almeno in teoria, “Livelli Essenziali di Assistenza”)
ed all’istruzione (anche qui esiste un
“obbligo”, anche qui resta talora teorico), e si confrontano strategie per
estendere il diritto al lavoro e/o al reddito, manca invece il riconoscimento
di un “diritto alla casa”.
Non
è stato così in passato: i primi passi dell’edilizia popolare sotto il Regno
d’Italia erano caratterizzati per lo più da ristrette politiche di inclusione
sociale in favore di minoranze privilegiate (impiegati dello Stato; dipendenti
di imprenditori illuminati e/o paternalistici), cui il Fascismo aggiunse
soprattutto le case coloniche nelle zone di bonifica; i primi decenni della
Repubblica videro invece lo sviluppo di iniziative edilizie, pubbliche o
sovvenzionate, di grande respiro (riforma agraria, INA Casa e Gescal,
cooperative), finanziate anche con trattenute sui salari di tutti i lavoratori
dipendenti e potenzialmente indirizzate ai fabbisogni abitativi degli stessi
lavoratori, raggiungendo una significativa incidenza sia sulla produzione annua
di nuove case, sia sulle dimensioni complessive del patrimonio abitativo (pur
senza raggiungere le quote più elevate, tipiche dei grandi paesi dell’Europa
settentrionale e centro-occidentale).1,2,3,4
Figura 1 – inaugurazione di case popolari
Contestualmente,
al livello culturale, gli sforzi per la ricostruzione post-bellica - prima - e
poi la ricerca di una attenuazione degli squilibri migratori connessi al ‘boom’
economico, erano affiancati da una attenzione al raggiungimento degli standard
di “un alloggio per ogni famiglia” e di “una stanza per abitante” (anche se nella media statistica restava un
po’ nascoste le fasce di sovraffollamento, per la nota legge del ‘pollo di
Trilussa’), dalla consapevolezza del necessario intervento pubblico e da un
diffuso impegno di teorici e progettisti sui temi della casa per tutti e dei
quartieri popolari (il tutto facilitato
da una concezione univoca della famiglia mono-nucleare, allora in ascesa,
rispetto al precedente assetto patriarcale).
Anche
se non iscritta nella Costituzione NOTA A, dagli anni 50 agli anni
80 l’aspirazione ad una casa decorosa per tutte le famiglie divenne in effetti un
carattere ‘costituente’ del confronto politico e civile. Cui contribuì anche
l’iniziativa privata, producendo alloggi in affitto ed in proprietà, nonché un
graduale molecolare processo di adeguamento igienico delle case più vecchie,
che erano sorte nei precedenti secoli e decenni senza bagni, senza gabinetti (e
addirittura senza acqua corrente) all’interno delle abitazioni.
Il
culmine di questo processo, di certo non lineare né univoco (stante le fiere contrapposizioni ideologiche
e politiche, lungo tutta la cosiddetta ‘Prima Repubblica’, tra democristiani e
comunisti - con i socialisti nel mezzo – i primi puntando sulle case in
proprietà ed a riscatto, i secondi sugli affitti a canone sociale) può
essere simbolicamente indicato nello sciopero generale del 19 novembre 1969, in
pieno ‘autunno caldo’, indetto da CGIL-CISL-UIL per “la casa come diritto
sociale”; si affermava una concezione dinamica della casa come servizio e si
diffondevano le cooperative “a proprietà indivisa”, su terreni assegnati dai
Comuni in solo “diritto di superficie”, in contrapposizione alla tradizionale
ideologia privatistica della casa come patrimonio della famiglia: una
modernizzazione di carattere solidaristico, ma al tempo stesso funzionale ad
una ragionevole flessibilità nella distribuzione della forza-lavoro sul
territorio. 5
Figura 2 – una manifestazione davanti alla FIAT di Torino
Nei
decenni successivi, però, il pendolo prese ad oscillare nella direzione
opposta: la diffusione del benessere rese possibile l’accesso alla proprietà
della casa anche per buona parte dei ceti subalterni e tale opzione venne
facilitata da apposite politiche creditizie e fiscali; l’intervento pubblico
per l’edilizia popolare si affievolì, fino ad arrivare, dagli anni ’90 alla
soppressione definitiva dei ‘contributi Gescal’ ed a diversi tentativi di
privatizzare il patrimonio residenziale pubblico (nonché allo smantellamento,
spesso volontario, delle cooperative indivise ed alla conversione dei terreni
edificati da diritto di superficie in piena e frazionata proprietà).
Alla
vigilia della ‘grande crisi’ degli ultimi 10 anni, diversi cicli di sviluppo
edilizio e di speculazione immobiliare (compresi abusivismo e condoni) avevano
portato ad estendere la proprietà della propria residenza ad oltre il 70% delle
famiglie italiane, rendendo minoritarie le situazioni di disagio abitativo,
vissute da frange marginali della popolazione autoctona (giovani, precari, disoccupati,
single e divorziati) e sempre di più anche da quota parte della popolazione
immigrata, regolare ed irregolare (un insieme di soggetti che nelle grandi
città è coinvolto spesso in occupazioni abusive di edilizia abitativa – e non
solo – per lo più pubblica ed in stato di degrado, e per lo più gestita da
organizzazioni criminali, talora invece da centri sociali antagonistici): il
che può spiegare la scarsa attrazione elettorale che negli ultimi decenni
riveste il tema del ‘diritto alla casa’.NOTA B
Figura 3 – nuovi grattacieli a Milano
La
crisi (che non ha esaurito le spinte speculative verso gli immobili di
prestigio, vedi i nuovi grattacieli milanesi) ha invece fermato la corsa ai
mutui e ridotto la possibilità di ripetere per figli e nipoti l’accesso alla
casa in proprietà che era riuscito a nonni e genitori, ed ha acuito le
condizioni di disagio anche in relazione ai procedimenti di sfratto di numerosi
inquilini nonché di una parte dei mutuatari, moltiplicando la quantità dei
senza-casa ridotti a vivere in immobili degradati oppure direttamente in
strada, concentrati soprattutto nelle grandi città; spesso la perdita della
casa, conseguente alla perdita del lavoro e connessa a crisi famigliari,
comporta e acuisce lo smarrimento dell’equilibrio psichico delle persone
colpite, rendendo più difficile il recupero ed il re-inserimento sociale,
quando perseguito dagli organismi di volontariato e dalle amministrazioni sociali
più sensibili ed attrezzate.
Associazioni
ed Enti che – con il supporto delle Fondazioni Bancarie e l’impegno di una
frazione del mondo accademico (la
maggioranza degli architetti insegue purtroppo i miti modaioli del lusso, delle
ville e dei grattacieli) – negli ultimi anni sono riusciti anche ad
affinare ed a sperimentare nuove modalità di intervento in favore del bisogno di
casa, il cosiddetto “housing sociale”,6 articolato in relazione alle
diverse qualità dell’assistenza necessaria (per i vari segmenti del fabbisogno,
dagli studenti alle giovani coppie, dagli anziani ai diversamente abili), ma
purtroppo quantitativamente impari rispetto alla domanda inevasa.
Tale domanda pertanto – quando gli
interessati ne possiedono i requisiti – rimane compressa nelle liste di attesa
per l’assegnazione dei pochi alloggi di edilizia popolare che si liberano per i
decessi dei precedenti assegnatari (rari sono i casi di effettivo rilascio per
il sopravvenuto superamento dei limiti di reddito), spesso in competizione con
gli occupanti abusivi.
Proprio
per questi pesanti risvolti sociali e personali, anche se riguardano minoranze
(e spesso persone escluse dalla cittadinanza perché migranti), ritengo che oggi
vada ri-affermato il diritto alla casa come elemento essenziale della dignità
umana (delle singole persone innanzitutto, a partire dai minori, dagli anziani
e dai portatori di handicap; e quindi anche delle tanto sbandierate
‘famiglie’).NOTE C - D
Credo
che si possa considerare ‘civile’ una società che non lascia nessuno a dormire
per strada (un principio da aggiungere alla nostra Costituzione?): per lo meno
in Europa, dove ci sono le risorse, dove potrebbe sopravvivere una tradizione
giuridica solidale; e dove in parte già così è (Scandinavia, Germania), anche
di fronte alla difficile prova dell’integrazione di centinaia di migliaia di
profughi, asiatici e africani.
Per
l’Italia purtroppo mi pare che un tale obiettivo in questo secolo sconfini nell’utopia.
Anche
se la gestione dei profughi e richiedenti asilo ha mobilitato (in locazione
temporanea, alimentando in parte anche il famigerato “business
dell’immigrazione”) ingenti risorse immobiliari che erano di fatto disponibili,
ma inutilizzate: ma per lo più nel segno abborracciato di una permanente
‘emergenza’, senza orizzonti di stabile programmazione, ed escludendo chi
rimane fuori da un programma ufficiale di protezione: da un lato gli immigrati
a cui si nega il diritto di asilo e divengono ‘irregolari in attesa di
espulsione’, dall’altro lato i ‘normali’ senza casa, con o senza cittadinanza
italiana oppure permesso di soggiorno.
Si
tratterebbe però di un obiettivo raggiungibile, ad alcune condizioni (che qui tratteggio brevemente, riservandomi
di tornare sull’argomento con un testo analitico e propositivo più dettagliato):
-
innanzitutto,
di sviluppare una vigorosa battaglia culturale in favore dell’inclusione
sociale e per il riconoscimento della dignità umana, nel concreto dei bisogni
basilari;NOTA E
-
in
secondo luogo, di reperire le risorse economiche necessarie, a mio avviso
capovolgendo le logiche ‘egualitarie alla rovescia’ che hanno portato ad
abolire la tassazione progressiva sulle prime case (mentre le spese per gli
affitti non sono deducibili!) e bloccando sul nascere la ‘flat tax’ sui redditi
minacciata dal “Governo del Cambiamento”;
-
in
terzo luogo, di trovare gli alloggi nel
campo del patrimonio sfitto e sottoutilizzato pubblico (da risanare) e privato NOTA
F (da acquisire e forse anche espropriare, quando venga meno la “funzione
sociale della proprietà” NOTA G) e nell’ambito della vaste
operazioni di riqualificazione edilizia e di rigenerazione urbana che urgono in
tante parti del territorio edificato (centri storici e periferie, quartieri
popolari degradati, paesi remoti e cascine in abbandono), coniugando il diritto
alla casa con il ‘diritto alla città’ NOTA
H e con l’adeguamento energetico, ecologico, idrogeologico ed antisismico
del patrimonio edilizio esistente (cioè senza ulteriore consumo di suolo
libero);
-
in
quarto luogo, che è in realtà la chiave del discorso, di rendersi conto che
l’uscita dalla crisi non può passare dal rilancio all’infinito del vecchio
modello di sviluppo consumistico e dissipatore di risorse, ma da una parziale e
progressiva sostituzione della ‘domanda e offerta di merci’ con la produzione
sociale (il che non esclude che sia anche ‘aziendale’) dei servizi necessari per
il riconoscimento dei ‘diritti di cittadinanza’, tra cui la casa dovrebbe
primeggiare, nel suo contesto ambientale
e territoriale (città, paesaggio, tutela anti-sismica ed idrogeologica,
autosufficienza alimentare ed energetica), assieme alla salute e all’istruzione:
credo stia qui anche la sostanza del passaggio dell’indice “PIL” all’indice
“BES” NOTA I, sviluppando oltre tutto domanda interna per lavori
qualificati (se poi i giovani italiani, istruiti preferiscono giustamente non
fare più – ad esempio – i muratori o i giardinieri, sarà il caso di programmare
l’apertura delle frontiere per l’afflusso di validi immigrati);
-
da
ultimo facendo tesoro delle esperienze avanzate di ‘housing sociale’ (vedi
sopra), perché l’impresa da affrontare, diversamente che nel dopoguerra, non è
quella di una massiccia offerta di abitazioni ‘standard’, bensì un articolato
sostegno ad una pluralità di bisogni frammentari, da ricercare in un capillare
lavoro di ‘ricucitura’ fisica e sociale delle ‘periferie umane’ della società
contemporanea, che implichi anche la responsabilizzazione e partecipazione dei
soggetti interessati (ad esempio anche con esperienze di auto-costruzione e di
manutenzioni collettive e solidali, sia per le abitazioni che per gli spazi
pubblici e comuni).
NOTE:
A
– traggo dal recente testo del professor Giancarlo Consonni “Carta
dell’Habitat. Introduzione” sul sito OFFICINA DEI SAPERI (testo il cui inizio non a caso è: “Perché una Carta dell’habitat.
Diritto alla casa, diritto alla città. Utopie? Libro dei sogni? Il bilancio
planetario delle concrete conquiste sui due fronti è spietato: non lascia
spazio per risposte affermative a queste domande. Ciò detto, non si può in ogni
caso sottovalutare l’importanza che assume il riconoscimento di questi diritti
in dichiarazioni e in linee programmatiche di organismi sovranazionali e, ancor
più, il loro accoglimento negli ordinamenti giuridici di singoli paesi”) il
seguente quadro informativo sulle affermazioni ‘costituzionali’ del diritto
alla casa a livello internazionale:
“La
necessità di garantire a tutti un’abitazione adeguata è affermata nella
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu del 1948 e,
riconfermata sempre dall’Onu nel Patto
internazionale
relativo ai diritti economici, sociali e culturali del 1966. L’Unione Europea
arriva più tardi, quando nel 1996, aggiornando la versione originaria della
Carta sociale europea del 1961, all’art. 31 afferma: «Tutte le persone hanno
diritto all’abitazione». Un passo avanti notevole è, infine, il riconoscimento
del diritto all’alloggio «nelle carte costituzionali di Francia, Spagna,
Finlandia, Portogallo, Grecia, Svizzera».
Mentre
“la pur splendida Costituzione repubblicana all’art. 47 (II comma) si limita a
dire che la Repubblica «la Repubblica «Favorisce l’accesso del risparmio
popolare alla proprietà dell’abitazione”.
B
– rimando al mio articolo sui programmi elettorali su Utopia 21 dello scorso
marzo https://drive.google.com/file/d/1-pOGmRevCBAEFoVD79kPcjPurVoAPYMM/view?usp=sharing
-
aggiornando la ricognizione, segnalo che il tema ‘casa’ nel “Contratto di
Governo” tra Lega e 5Stelle è presente solo come questione di ordine pubblico
per il necessario sgombero delle case occupate, da graduare però tenendo conto
delle condizioni di bisogno degli occupanti; mentre la rigenerazione urbana (ed
idrogeologica: manca la prevenzione sismica) è stemperata- pur partendo da un
lodevole stop al consumo di suolo – in un corretto capitolo ambientale,
improntato all’economia circolare (su cui mi riservo di tornare, per i suoi
risvolti comunque ‘sviluppisti’), senza indicazione sulle (enormi) risorse che
andrebbero mobilitate (e sui modi per mobilitarle).
C
– la centralità della casa per la dignità della persona è stata più volte
ribadita da Papa Francesco; mi
permetterei però di cogliere questa occasione per dissentire dalla recente
riproposizione papale della dottrina cristiana sulla famiglia, in quanto
aggravata dalla affermazione di “famiglia ad immagine di Dio” (francamente non
ne capisco le ascendenze nelle Sacre Scritture), una famiglia dove inoltre alla
donna si consiglia di subire e perdonare le possibili infedeltà coniugali del
marito.
D
- Il nesso tra perdita della casa e perdita della dignità sociale è ampiamente
indagato, con riferimento agli U.S.A., anzi alla città di Milwaukee, nel libro “Sfrattati” di Matthew Desmond,
grande successo in America (almeno questa
è una buona notizia?), e recentemente tradotto in italiano per l’editore
”La nave di Teseo”, che ancora non ho letto, ma che segnalo per la
recensione/intervista di Anna Lombardi su “La Repubblica” del 25 giugno 2018
E
– in tal senso la sola proposizione del “reddito di cittadinanza”, come da
Contratto di Governo, nell’ambito di una riproposizione del rilancio
consumistico dell’economia (aumento del PIL per colmare deficit e debito, per
giunta a forza di flat tax e condoni fiscali), mi sembra alquanto monetaristica
e riduttiva rispetto ad una concezione più complessiva dei diritti di
cittadinanza
F – nel variegato insieme del patrimoni
privato inutilizzato pesano anche le iniziative immobiliari incaute, alimentate
dalle bolle speculative finanziarie degli anni precedenti e poi travolte dalla
stessa crisi finanziaria a partire dal 2007, con ulteriori effetti sul
cosiddetto ‘deterioramento del credito’ e sulla stabilità delle stesse banche
che si erano eccessivamente esposte; pertanto una seria prospettiva di rigenerazione
urbana deve farsi carico anche di opportune forme di risanamento finanziario,
anche attraverso la locazione degli alloggi inutilizzati con affitti
ragionevoli, ma garantiti dalla mano pubblica
G
– rimando alla mia recensione sul libro di Paolo Maddalena 7 su
Utopia21 di maggio 2018https://drive.google.com/file/d/1IdU2z-sZ45rorMzv2wmM7E8co_cYN8BT/view?usp=sharing
ed
anche alle mie note sul disegno di legge di Salviamo-il-Paesaggio, nello stesso
numero https://drive.google.com/file/d/1RELgpGvIrv4xV5JUvAX3_m4fTTNlpkkS/view?usp=sharing
H
– il nesso inscindibile tra diritto alla casa e diritto alla città è ben
spiegato da Giancarlo Consonni nel citato “Carta dell’Habitat. Introduzione” e nella
conseguente “Carta dell’Habitat”
I
– il BES è un indicatore statistico complesso, elaborato dall’ISTAT (in
particolare da Enrico Giovannini) e da altri istituti di ricerca e statistica,
che intende misurare il livello di benessere della popolazione, affiancando il
più noto PIL (Prodotto Interno Lordo, che è una più rozza sommatoria della
ricchezza monetaria prodotta) nel dibattito politico ufficiale dal 2017 (finora
con scarsi esiti pratici).
Fonti:
1.
Lando
Bortolotti “STORIA DELLA POLITICA EDILIZIA IN ITALIA: PROPRIETÀ, IMPRESE EDILI
E LAVORI PUBBLICI DAL PRIMO DOPOGUERRA AD OGGI (1919-1970) - Editori Riuniti, Roma 1978
2.
Marco
Romano “L’URBANISTICA ITALIANA NEL PERIODO DELLO SVILUPPO – 1942-1980” –
Marsilio, Padova 1980
3.
Marcello
Fabbri “L’URBANISTICA ITALIANA DAL DOPOGUERRA AD OGGI – STORIA, IDEOLOGIA,
IMMAGINI” – De Donato, Bari 1983
4.
AA.VV.
, a cura di Paola Di Biagi “LA GRANDE RICOSTRUZIONE: IL PIANO INA-CASA E
L'ITALIA DEGLI ANNI C”INQUANTA” – Donzelli, Roma 2001
5.
Ferdinando
Terranova “EDILIZIA & POTERE POLITICO: NARRAZIONE STORICA E SCENARI ETICI
PER IL FUTURO” – Alinea, Firenze 2011
6.
Walter
Williams “HOUSING SOCIALE: IL RUOLO E LE PROPOSTE DEL NON PROFIT” – Homeless
Book, Faenza 2012
7.
Paolo
Maddalena “IL TERRITORIO BENE COMUNE DEGLI ITALIANI” - Donzelli Editore, Roma
2014
8.
Enrico
Giovannini “L'UTOPIA SOSTENIBILE” – Laterza, Bari 2018
PERVENUTO VIA E.MAIL
RispondiEliminaHo letto con molto interesse il tuo articolo sulla “casa per tutti”
G.D.B.