mercoledì 11 luglio 2018

UTOPIA21 - LUGLIO 2018: L’UTOPIA (ITALIANA) DEL DIRITTO A UNA CASA, PER TUTTI


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Una riflessione storica e di prospettiva sulla centralità della casa, tra i bisogni che connotano il vivere civile, e sulla marginalità che invece contraddistingue, negli ultimi decenni, le politiche pubbliche italiane in materia di edilizia sociale, sullo sfondo di una Europa disomogenea e polarizzata dai flussi migratori

Riassunto:
-       le iniziative pubbliche e private per il bisogno di casa dal Regno d’Italia alla ‘Prima Repubblica’
-       la “casa come servizio sociale”
-       l’inversione di tendenza privatistica
-       l’esclusione dal diritto alla casa: problema di minoranze (e di immigrati)
-       l’insufficienza dell’ “housing sociale” in questo inizio di secolo
-       invece in Nord-Europa…
-       le condizioni per rendere possibile anche in Italia l’utopia di una casa per tutti:
o   battaglia culturale per l’inclusione sociale
o   risorse adeguate da un fisco più giusto
o   una diversa concezione dello sviluppo
o   una offerta articolata a fronte di bisogni segmentati e della necessità di ricucire società e territori

Nel dibattito pubblico italiano, mentre si danno per scontati alcuni diritti sociali (un tempo universali, oggi sempre più caratterizzati da forme di esclusione a danno degli immigrati) quali quello alla salute (dove lo Stato definisce addirittura, almeno in teoria, “Livelli Essenziali di Assistenza”) ed all’istruzione (anche qui esiste un “obbligo”, anche qui resta talora teorico), e si confrontano strategie per estendere il diritto al lavoro e/o al reddito, manca invece il riconoscimento di un “diritto alla casa”.

Non è stato così in passato: i primi passi dell’edilizia popolare sotto il Regno d’Italia erano caratterizzati per lo più da ristrette politiche di inclusione sociale in favore di minoranze privilegiate (impiegati dello Stato; dipendenti di imprenditori illuminati e/o paternalistici), cui il Fascismo aggiunse soprattutto le case coloniche nelle zone di bonifica; i primi decenni della Repubblica videro invece lo sviluppo di iniziative edilizie, pubbliche o sovvenzionate, di grande respiro (riforma agraria, INA Casa e Gescal, cooperative), finanziate anche con trattenute sui salari di tutti i lavoratori dipendenti e potenzialmente indirizzate ai fabbisogni abitativi degli stessi lavoratori, raggiungendo una significativa incidenza sia sulla produzione annua di nuove case, sia sulle dimensioni complessive del patrimonio abitativo (pur senza raggiungere le quote più elevate, tipiche dei grandi paesi dell’Europa settentrionale e centro-occidentale).1,2,3,4

Figura 1 – inaugurazione di case popolari

Contestualmente, al livello culturale, gli sforzi per la ricostruzione post-bellica - prima - e poi la ricerca di una attenuazione degli squilibri migratori connessi al ‘boom’ economico, erano affiancati da una attenzione al raggiungimento degli standard di “un alloggio per ogni famiglia” e di “una stanza per abitante” (anche se nella media statistica restava un po’ nascoste le fasce di sovraffollamento, per la nota legge del ‘pollo di Trilussa’), dalla consapevolezza del necessario intervento pubblico e da un diffuso impegno di teorici e progettisti sui temi della casa per tutti e dei quartieri popolari (il tutto facilitato da una concezione univoca della famiglia mono-nucleare, allora in ascesa, rispetto al precedente assetto patriarcale).

Anche se non iscritta nella Costituzione NOTA A, dagli anni 50 agli anni 80 l’aspirazione ad una casa decorosa per tutte le famiglie divenne in effetti un carattere ‘costituente’ del confronto politico e civile. Cui contribuì anche l’iniziativa privata, producendo alloggi in affitto ed in proprietà, nonché un graduale molecolare processo di adeguamento igienico delle case più vecchie, che erano sorte nei precedenti secoli e decenni senza bagni, senza gabinetti (e addirittura senza acqua corrente) all’interno delle abitazioni.
Il culmine di questo processo, di certo non lineare né univoco (stante le fiere contrapposizioni ideologiche e politiche, lungo tutta la cosiddetta ‘Prima Repubblica’, tra democristiani e comunisti - con i socialisti nel mezzo – i primi puntando sulle case in proprietà ed a riscatto, i secondi sugli affitti a canone sociale) può essere simbolicamente indicato nello sciopero generale del 19 novembre 1969, in pieno ‘autunno caldo’, indetto da CGIL-CISL-UIL per “la casa come diritto sociale”; si affermava una concezione dinamica della casa come servizio e si diffondevano le cooperative “a proprietà indivisa”, su terreni assegnati dai Comuni in solo “diritto di superficie”, in contrapposizione alla tradizionale ideologia privatistica della casa come patrimonio della famiglia: una modernizzazione di carattere solidaristico, ma al tempo stesso funzionale ad una ragionevole flessibilità nella distribuzione della forza-lavoro sul territorio. 5


Figura 2 – una manifestazione davanti alla FIAT di Torino

Nei decenni successivi, però, il pendolo prese ad oscillare nella direzione opposta: la diffusione del benessere rese possibile l’accesso alla proprietà della casa anche per buona parte dei ceti subalterni e tale opzione venne facilitata da apposite politiche creditizie e fiscali; l’intervento pubblico per l’edilizia popolare si affievolì, fino ad arrivare, dagli anni ’90 alla soppressione definitiva dei ‘contributi Gescal’ ed a diversi tentativi di privatizzare il patrimonio residenziale pubblico (nonché allo smantellamento, spesso volontario, delle cooperative indivise ed alla conversione dei terreni edificati da diritto di superficie in piena e frazionata proprietà).

Alla vigilia della ‘grande crisi’ degli ultimi 10 anni, diversi cicli di sviluppo edilizio e di speculazione immobiliare (compresi abusivismo e condoni) avevano portato ad estendere la proprietà della propria residenza ad oltre il 70% delle famiglie italiane, rendendo minoritarie le situazioni di disagio abitativo, vissute da frange marginali della popolazione autoctona (giovani, precari, disoccupati, single e divorziati) e sempre di più anche da quota parte della popolazione immigrata, regolare ed irregolare (un insieme di soggetti che nelle grandi città è coinvolto spesso in occupazioni abusive di edilizia abitativa – e non solo – per lo più pubblica ed in stato di degrado, e per lo più gestita da organizzazioni criminali, talora invece da centri sociali antagonistici): il che può spiegare la scarsa attrazione elettorale che negli ultimi decenni riveste il tema del ‘diritto alla casa’.NOTA B



Figura 3 – nuovi grattacieli a Milano

La crisi (che non ha esaurito le spinte speculative verso gli immobili di prestigio, vedi i nuovi grattacieli milanesi) ha invece fermato la corsa ai mutui e ridotto la possibilità di ripetere per figli e nipoti l’accesso alla casa in proprietà che era riuscito a nonni e genitori, ed ha acuito le condizioni di disagio anche in relazione ai procedimenti di sfratto di numerosi inquilini nonché di una parte dei mutuatari, moltiplicando la quantità dei senza-casa ridotti a vivere in immobili degradati oppure direttamente in strada, concentrati soprattutto nelle grandi città; spesso la perdita della casa, conseguente alla perdita del lavoro e connessa a crisi famigliari, comporta e acuisce lo smarrimento dell’equilibrio psichico delle persone colpite, rendendo più difficile il recupero ed il re-inserimento sociale, quando perseguito dagli organismi di volontariato e dalle amministrazioni sociali più sensibili ed attrezzate.

Associazioni ed Enti che – con il supporto delle Fondazioni Bancarie e l’impegno di una frazione del mondo accademico (la maggioranza degli architetti insegue purtroppo i miti modaioli del lusso, delle ville e dei grattacieli) – negli ultimi anni sono riusciti anche ad affinare ed a sperimentare nuove modalità di intervento in favore del bisogno di casa, il cosiddetto “housing sociale”,6 articolato in relazione alle diverse qualità dell’assistenza necessaria (per i vari segmenti del fabbisogno, dagli studenti alle giovani coppie, dagli anziani ai diversamente abili), ma purtroppo quantitativamente impari rispetto alla domanda inevasa.
Tale domanda pertanto – quando gli interessati ne possiedono i requisiti – rimane compressa nelle liste di attesa per l’assegnazione dei pochi alloggi di edilizia popolare che si liberano per i decessi dei precedenti assegnatari (rari sono i casi di effettivo rilascio per il sopravvenuto superamento dei limiti di reddito), spesso in competizione con gli occupanti abusivi.

Proprio per questi pesanti risvolti sociali e personali, anche se riguardano minoranze (e spesso persone escluse dalla cittadinanza perché migranti), ritengo che oggi vada ri-affermato il diritto alla casa come elemento essenziale della dignità umana (delle singole persone innanzitutto, a partire dai minori, dagli anziani e dai portatori di handicap; e quindi anche delle tanto sbandierate ‘famiglie’).NOTE C - D
Credo che si possa considerare ‘civile’ una società che non lascia nessuno a dormire per strada (un principio da aggiungere alla nostra Costituzione?): per lo meno in Europa, dove ci sono le risorse, dove potrebbe sopravvivere una tradizione giuridica solidale; e dove in parte già così è (Scandinavia, Germania), anche di fronte alla difficile prova dell’integrazione di centinaia di migliaia di profughi, asiatici e africani.

Per l’Italia purtroppo mi pare che un tale obiettivo in questo secolo sconfini nell’utopia.
Anche se la gestione dei profughi e richiedenti asilo ha mobilitato (in locazione temporanea, alimentando in parte anche il famigerato “business dell’immigrazione”) ingenti risorse immobiliari che erano di fatto disponibili, ma inutilizzate: ma per lo più nel segno abborracciato di una permanente ‘emergenza’, senza orizzonti di stabile programmazione, ed escludendo chi rimane fuori da un programma ufficiale di protezione: da un lato gli immigrati a cui si nega il diritto di asilo e divengono ‘irregolari in attesa di espulsione’, dall’altro lato i ‘normali’ senza casa, con o senza cittadinanza italiana oppure permesso di soggiorno.

Si tratterebbe però di un obiettivo raggiungibile, ad alcune condizioni (che qui tratteggio brevemente, riservandomi di tornare sull’argomento con un testo analitico e propositivo più dettagliato):
-       innanzitutto, di sviluppare una vigorosa battaglia culturale in favore dell’inclusione sociale e per il riconoscimento della dignità umana, nel concreto dei bisogni basilari;NOTA E
-       in secondo luogo, di reperire le risorse economiche necessarie, a mio avviso capovolgendo le logiche ‘egualitarie alla rovescia’ che hanno portato ad abolire la tassazione progressiva sulle prime case (mentre le spese per gli affitti non sono deducibili!) e bloccando sul nascere la ‘flat tax’ sui redditi minacciata dal “Governo del Cambiamento”;
-       in terzo luogo, di  trovare gli alloggi nel campo del patrimonio sfitto e sottoutilizzato pubblico (da risanare) e privato NOTA F (da acquisire e forse anche espropriare, quando venga meno la “funzione sociale della proprietà” NOTA G) e nell’ambito della vaste operazioni di riqualificazione edilizia e di rigenerazione urbana che urgono in tante parti del territorio edificato (centri storici e periferie, quartieri popolari degradati, paesi remoti e cascine in abbandono), coniugando il diritto alla casa con il ‘diritto alla città’  NOTA H e con l’adeguamento energetico, ecologico, idrogeologico ed antisismico del patrimonio edilizio esistente (cioè senza ulteriore consumo di suolo libero);
-       in quarto luogo, che è in realtà la chiave del discorso, di rendersi conto che l’uscita dalla crisi non può passare dal rilancio all’infinito del vecchio modello di sviluppo consumistico e dissipatore di risorse, ma da una parziale e progressiva sostituzione della ‘domanda e offerta di merci’ con la produzione sociale (il che non esclude che sia anche ‘aziendale’) dei servizi necessari per il riconoscimento dei ‘diritti di cittadinanza’, tra cui la casa dovrebbe primeggiare, nel suo contesto ambientale  e territoriale (città, paesaggio, tutela anti-sismica ed idrogeologica, autosufficienza alimentare ed energetica), assieme alla salute e all’istruzione: credo stia qui anche la sostanza del passaggio dell’indice “PIL” all’indice “BES” NOTA I, sviluppando oltre tutto domanda interna per lavori qualificati (se poi i giovani italiani, istruiti preferiscono giustamente non fare più – ad esempio – i muratori o i giardinieri, sarà il caso di programmare l’apertura delle frontiere per l’afflusso di validi immigrati);
-       da ultimo facendo tesoro delle esperienze avanzate di ‘housing sociale’ (vedi sopra), perché l’impresa da affrontare, diversamente che nel dopoguerra, non è quella di una massiccia offerta di abitazioni ‘standard’, bensì un articolato sostegno ad una pluralità di bisogni frammentari, da ricercare in un capillare lavoro di ‘ricucitura’ fisica e sociale delle ‘periferie umane’ della società contemporanea, che implichi anche la responsabilizzazione e partecipazione dei soggetti interessati (ad esempio anche con esperienze di auto-costruzione e di manutenzioni collettive e solidali, sia per le abitazioni che per gli spazi pubblici e comuni).





NOTE:

A – traggo dal recente testo del professor Giancarlo Consonni “Carta dell’Habitat. Introduzione” sul sito OFFICINA DEI SAPERI (testo il cui inizio non a caso è: “Perché una Carta dell’habitat. Diritto alla casa, diritto alla città. Utopie? Libro dei sogni? Il bilancio planetario delle concrete conquiste sui due fronti è spietato: non lascia spazio per risposte affermative a queste domande. Ciò detto, non si può in ogni caso sottovalutare l’importanza che assume il riconoscimento di questi diritti in dichiarazioni e in linee programmatiche di organismi sovranazionali e, ancor più, il loro accoglimento negli ordinamenti giuridici di singoli paesi”) il seguente quadro informativo sulle affermazioni ‘costituzionali’ del diritto alla casa a livello internazionale:
“La necessità di garantire a tutti un’abitazione adeguata è affermata nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’Onu del 1948 e, riconfermata sempre dall’Onu nel Patto  
internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali del 1966. L’Unione Europea arriva più tardi, quando nel 1996, aggiornando la versione originaria della Carta sociale europea del 1961, all’art. 31 afferma: «Tutte le persone hanno diritto all’abitazione». Un passo avanti notevole è, infine, il riconoscimento del diritto all’alloggio «nelle carte costituzionali di Francia, Spagna, Finlandia, Portogallo, Grecia, Svizzera».
Mentre “la pur splendida Costituzione repubblicana all’art. 47 (II comma) si limita a dire che la Repubblica «la Repubblica «Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”.

B – rimando al mio articolo sui programmi elettorali su Utopia 21 dello scorso marzo https://drive.google.com/file/d/1-pOGmRevCBAEFoVD79kPcjPurVoAPYMM/view?usp=sharing
- aggiornando la ricognizione, segnalo che il tema ‘casa’ nel “Contratto di Governo” tra Lega e 5Stelle è presente solo come questione di ordine pubblico per il necessario sgombero delle case occupate, da graduare però tenendo conto delle condizioni di bisogno degli occupanti; mentre la rigenerazione urbana (ed idrogeologica: manca la prevenzione sismica) è stemperata- pur partendo da un lodevole stop al consumo di suolo – in un corretto capitolo ambientale, improntato all’economia circolare (su cui mi riservo di tornare, per i suoi risvolti comunque ‘sviluppisti’), senza indicazione sulle (enormi) risorse che andrebbero mobilitate (e sui modi per mobilitarle).

C – la centralità della casa per la dignità della persona è stata più volte ribadita da Papa Francesco; mi permetterei però di cogliere questa occasione per dissentire dalla recente riproposizione papale della dottrina cristiana sulla famiglia, in quanto aggravata dalla affermazione di “famiglia ad immagine di Dio” (francamente non ne capisco le ascendenze nelle Sacre Scritture), una famiglia dove inoltre alla donna si consiglia di subire e perdonare le possibili infedeltà coniugali del marito.

D - Il nesso tra perdita della casa e perdita della dignità sociale è ampiamente indagato, con riferimento agli U.S.A., anzi alla città di Milwaukee,  nel libro “Sfrattati” di Matthew Desmond, grande successo in America (almeno questa è una buona notizia?), e recentemente tradotto in italiano per l’editore ”La nave di Teseo”, che ancora non ho letto, ma che segnalo per la recensione/intervista di Anna Lombardi su “La Repubblica” del 25 giugno 2018

E – in tal senso la sola proposizione del “reddito di cittadinanza”, come da Contratto di Governo, nell’ambito di una riproposizione del rilancio consumistico dell’economia (aumento del PIL per colmare deficit e debito, per giunta a forza di flat tax e condoni fiscali), mi sembra alquanto monetaristica e riduttiva rispetto ad una concezione più complessiva dei diritti di cittadinanza

F – nel variegato insieme del patrimoni privato inutilizzato pesano anche le iniziative immobiliari incaute, alimentate dalle bolle speculative finanziarie degli anni precedenti e poi travolte dalla stessa crisi finanziaria a partire dal 2007, con ulteriori effetti sul cosiddetto ‘deterioramento del credito’ e sulla stabilità delle stesse banche che si erano eccessivamente esposte; pertanto una seria prospettiva di rigenerazione urbana deve farsi carico anche di opportune forme di risanamento finanziario, anche attraverso la locazione degli alloggi inutilizzati con affitti ragionevoli, ma garantiti dalla mano pubblica

G – rimando alla mia recensione sul libro di Paolo Maddalena 7 su Utopia21 di maggio 2018https://drive.google.com/file/d/1IdU2z-sZ45rorMzv2wmM7E8co_cYN8BT/view?usp=sharing
ed anche alle mie note sul disegno di legge di Salviamo-il-Paesaggio, nello stesso numero  https://drive.google.com/file/d/1RELgpGvIrv4xV5JUvAX3_m4fTTNlpkkS/view?usp=sharing

H – il nesso inscindibile tra diritto alla casa e diritto alla città è ben spiegato da Giancarlo Consonni nel citato “Carta dell’Habitat. Introduzione” e nella conseguente “Carta dell’Habitat”

I – il BES è un indicatore statistico complesso, elaborato dall’ISTAT (in particolare da Enrico Giovannini) e da altri istituti di ricerca e statistica, che intende misurare il livello di benessere della popolazione, affiancando il più noto PIL (Prodotto Interno Lordo, che è una più rozza sommatoria della ricchezza monetaria prodotta) nel dibattito politico ufficiale dal 2017 (finora con scarsi esiti pratici).


Fonti:
1.    Lando Bortolotti “STORIA DELLA POLITICA EDILIZIA IN ITALIA: PROPRIETÀ, IMPRESE EDILI E LAVORI PUBBLICI DAL PRIMO DOPOGUERRA AD OGGI (1919-1970) - Editori Riuniti,  Roma 1978
2.    Marco Romano “L’URBANISTICA ITALIANA NEL PERIODO DELLO SVILUPPO – 1942-1980” – Marsilio, Padova 1980
3.    Marcello Fabbri “L’URBANISTICA ITALIANA DAL DOPOGUERRA AD OGGI – STORIA, IDEOLOGIA, IMMAGINI” – De Donato, Bari 1983
4.    AA.VV. , a cura di Paola Di Biagi “LA GRANDE RICOSTRUZIONE: IL PIANO INA-CASA E L'ITALIA DEGLI ANNI C”INQUANTA” – Donzelli, Roma 2001
5.    Ferdinando Terranova “EDILIZIA & POTERE POLITICO: NARRAZIONE STORICA E SCENARI ETICI PER IL FUTURO” – Alinea, Firenze 2011
6.    Walter Williams “HOUSING SOCIALE: IL RUOLO E LE PROPOSTE DEL NON PROFIT” – Homeless Book, Faenza 2012
7.    Paolo Maddalena “IL TERRITORIO BENE COMUNE DEGLI ITALIANI” - Donzelli Editore, Roma 2014
8.    Enrico Giovannini “L'UTOPIA SOSTENIBILE” – Laterza, Bari 2018


1 commento:

  1. PERVENUTO VIA E.MAIL
    Ho letto con molto interesse il tuo articolo sulla “casa per tutti”
    G.D.B.

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