di Aldo Vecchi
Il “Festival
dell’Utopia” di Varese, giunto nell’autunno 2018 alla 3^ edizione, si è
sviluppato in parallelo con la vita di “UTOPIA21”, nella reciproca autonomia,
pur avendo in comune la guida di Fulvio Fagiani, la promanazione da
Auser/Universauser ed il medesimo sito informatico. Pur essendo già radicata
una sostanziale transumanza di temi e proposte tra Festival e “rivista”, con
questa rubrica intendiamo rendere maggiormente presenti ai lettori di
“Utopia21” alcuni dibattiti svolti nei mesi precedenti nell’ambito del
Festival, che nel 2018 si è articolato sui seguenti filoni:
-
Utopia tra ecologia ed economia
-
Utopia del ’68, utopia del XXI secolo
-
Dialoghi sull’Utopia, tra Varese e Ticino.
Sommario:
-
La tavola rotonda con
Antonio Pizzinato “Dal ’68 al futuro: le trasformazioni e le utopie del lavoro”
(13 novembre)
-
La conferenza di Enrico
Giovannini su “Utopia sostenibile” (3 ottobre) (cenni)
-
L’intervento di Aldo
Bonomi su “La società circolare” (28 novembre)
Il presente rendiconto
costituisce una ricostruzione personale e parziale sui contributi dei
protagonisti delle serate, omettendo gli interventi degli altri partecipanti,
per i quali si rimanda alla documentazione vocale disponibile sul sito di
Universauser (vedi Fonti 1,2,3,6).
In corsivo le sintesi ed i commenti più personali.
Antonio
Pizzinato, da operaio della Borletti nel 1947, ha percorso nei successivi
decenni una intera vita nel sindacato, ricoprendo anche la carica di Segretario
Generale della CGIL dal 1986 al 1988 (è stato successivamente parlamentare ed
anche Sottosegretario al Lavoro nel primo governo Prodi, 1996-1998).
Il
racconto di Pizzinato 1, ricco
di concretezza e ad un tempo molto chiaro nella sua visione complessiva, è partito
dalle condizioni oggettive e soggettive dei lavoratori nelle fabbriche degli
anni ’50 e sulle numerose e complesse linee di frattura di carattere sociale e
professionale, normativo e contrattuale, che dividevano uomini/donne, impiegati/operai,
anziani/giovani (e si potrebbe proseguire
con le differenze di professionalità, provenienza regionale, “credo” politico).
E quindi da una visione non lineare della
composizione di classe nelle fase dello sviluppo fordista dell’economia
italiana (anzi, del Nord Italia).
Pizzinato
ha proseguito rievocando il lungo cammino verso lotte sindacali di respiro
unitario, fino alle grandi conquiste degli anni ’70 (sia nella contrattazione,
dall’inquadramento unico al mese di ferie, sia a livello istituzionale,
dall’unificazione delle mutue nell’INPS e nel Servizio Sanitario Nazionale allo
Statuto dei Lavoratori), anche come prodotto di una progressiva trasformazione
delle organizzazioni sindacali (e della loro influenza su partiti e Parlamento)
e quindi di una progettualità soggettiva
che ha saputo adeguarsi al mutare delle situazioni e costruire unità di
interessi, anche dove non c’erano.
In particolare
occupandosi della vita dei lavoratori (ma anche degli altri soggetti sociali)
nei suoi vari aspetti, oltre i recinti delle fabbriche (diritti, salute, casa,
assistenza).
(Come dire: niente ci fu
regalato, nemmeno una mitica “condizione operaia” bella e pronta da organizzare;
anche se la dimensione delle grandi fabbriche di certo aiutava).
Di
fronte ai poderosi regressi registrati nei successivi decenni, non solo sul
terreno della riorganizzazione produttiva e finanziaria delle aziende, ma anche
degli interventi legislativi sfavorevoli ai lavoratori (dal precariato all’art.
18), Pizzinato ha analizzato attentamente gli aspetti normativi, contrattuali e
organizzativi che caratterizzano la divisione e la subalternità attuale dei
lavoratori, dalla frammentazione dei contratti nazionali (saliti da 150 negli
anni ’60 ad oltre 800 oggi, di cui molti fittizi e strumentali a logiche
padronali) alla dispersione degli occupati in piccole unità produttive (oggi a
Sesto S.Giovanni l’80% dei posti di lavoro è in aziende inferiori a 5 addetti),
fino alle modalità di comando e controllo rese possibili
dall’informatizzazione.
Ma
Pizzinato ha mostrato di non disperare, appellandosi ancora alla volontà e
capacità dell’azione sindacale, che sia possibile una paziente ricucitura
sociale, sia localmente, andando a cercare i lavoratori dispersi sul territorio
e nella “rete” e mirando a contratti territoriali di 2° livello, sia
centralmente, contrapponendosi alla moltiplicazione dei contratti nazionali, attuando
l’accordo interconfederale sulle regole della contrattazione, tornando ad
influire positivamente sulla legislazione e sulle scelte di politica economica,
contro le crescenti ed inaccettabili disuguaglianze.
Con questo appello,
forse troppo ottimistico, ma certo non privo di concretezza e realismo,
Pizzinato è apparso più energico di gran parte degli astanti, in gran parte
esponenti del mondo sindacale e politico varesino, dal PD a sinistra, meno
anziani ma forse più rassegnati.
E colpiti forse dalle
osservazioni specifiche di Pizzinato anche sull’andamento piuttosto burocratico
degli ultimi congressi sindacali a cui ha partecipato.
Benché la CGIL ed il
suo ramo pensionati, lo SPI, non solo abbiano collaborato a questo e ad un altro
incontro del Festival 2018 (la progettazione degli spazi verdi), ma siano anche
sponsor complessivi dello stesso Festival, mi sentirei di rilevare che la
partecipazione dei quadri politici e sindacali limitata ad eventi come il
dibattito con Pizzinato, rischino di confinarlo in una dimensione celebrativa,
se questo stesso pubblico risulta assente in altre occasioni di pari rilevanza
mediatica, ma orientate ad altre tematiche, od anzi meglio ad altri aspetti
delle stesse tematiche (seppur collocate in sezioni diverse del Festival), come
gli incontri con l’ex-ministro del Lavoro ed ex-presidente dell’ISTAT Enrico Giovannini
oppure il sociologo Aldo Bonomi.
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Tralascio
di riassumere e commentare la conferenza di Giovannini (apertura del festival,
3 ottobre 2018), sul tema “Rischi,
prospettive e proiezioni dell'attuale modello insostenibile e l'Agenda 2030
come Utopia sostenibile”, sia perché il materiale disponibile sul sito di
Universauser include le “slides” di presentazione2 anziché la sola
registrazione vocale3 (ed è quindi di più rapida e snella
consultazione), sia perché del suo connesso testo “L’utopia sostenibile” ha già
riferito ampiamente Fulvio Fagiani su “UTOPIA21” di maggio 20184.
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Aldo
Bonomi, sociologo, è noto soprattutto per le sue interpretazioni dei fenomeni
sociali sul territorio (in particolare lombardo e padano), dai distretti
produttivi alla “città infinita”, dal capitalismo molecolare alla “società del
rancore”5.
Del suo intervento6,
di cui ho riorganizzato i contenuti seguendo un mio schema, non mi riesce
ovviamente di riprodurre il carattere affabulatorio ed il sapiente uso di
elementi aneddotici, per i quali rimando alla registrazione vocale.
Bonomi
ha evidenziato lo scollamento tra le utopie (o meglio “eterotopie”) della
salvezza ecologica del pianeta, e connesso riequilibrio sociale (una sorta di
nuovo “sol dell’avvenire”), ben rappresentate anche nel Festival varesino dalla
visione di Giovannini, e la realtà della crisi sociale e soprattutto culturale
ed antropologica vissuta da larghi strati della popolazione (simbolicamente i
“gilet gialli”), di cui Bonomi si è occupato nel suo ultimo libro “Il labirinto
della paura”, esplorando le radici del rancore e dell’intolleranza, fino
all’emergente razzismo.
Bonomi
ha ricostruito i passaggi – molto accelerati in Italia - dalla società agricola
alla società industriale, fino al suo culmine nella concentrazione fordista
delle grandi imprese (società verticale), e poi, nel tardo Novecento, il
capitalismo molecolare del decentramento nei “distretti produttivi”, dentro e
fuori dalle imprese (società orizzontale, con “capannoni, villette, partite IVA
e BMW”): passaggi che hanno trovato i loro interpreti e rappresentanti, in
conflitti sociali tra organizzazioni delle imprese e dei lavoratori, nella
cornice di uno Stato mediatore; tali strutture sociali in parte persistono, ma
risultano inadeguate e deformate nella fase di trasformazione in atto verso la
“società circolare”, in cui prevalgono i flussi, costituiti dalle stesse “internet
company”, o “piattaforme informatiche”, dalla finanza e dalle informazioni, dalle
reti delle comunicazioni e dei trasporti veloci, dal fenomeno epocale delle
migrazioni.
Una
metamorfosi irreversibile, di cui Bonomi ha sottolineato gli aspetti drammatici,
ben oltre la transizione tecnologica che la supporta; rammentando:
-
che
dentro alla circolarità “tecnica” delle incessanti innovazioni si annida una
verticalità effettiva, quella dei “padroni dell’algoritmo” (con un richiamo a
Lelio Demichelis7,8);
-
che
il cambio di paradigma impatta in modo differenziato sul territorio, cambiando
le antropologie, con i luoghi nodali dei flussi che si configurano come “smart
city”, differenziandosi dai margini, le valli e le campagne, dove spesso si
radicano le chiusure sociali: perché i flussi impattano diversamente sui
luoghi. (Esempio di Milano come nuovo laboratorio di relazione tra molteplici
soggetti: l'artigiano digitale, la cooperativa sociale, le molte espressioni
culturali);
-
che
occorre superare una concezione tecnica del territorio come suolo (da
organizzare/coltivare/tutelare) e comprenderlo invece come “costrutto sociale,
politico e culturale”, in cui è possibile che – nell’iper-modernità – si
verifichi un “rinserramento dell’abitare” (secondo Heidegger il territorio
prima lo si abita e poi lo si pensa), rancoroso verso l’esterno ed il diverso.
In
tale contesto Bonomi ha invitato a pensare allo stesso Festival (ed ai suoi
futuri sviluppi) come un tassello di quell’immane compito di decodificare i cambiamenti
verso la società circolare, costruendo un “intelletto collettivo sociale”, che
unisca gli intellettuali di oggi, le Università, e se possibile gli stessi
“millennials”, cioè i soggetti che stanno dentro allo stesso processo di
trasformazione, per esplicitarne i conflitti e contrapporsi alla “apocalissi
culturale”; esortando a continuare ad essere 'comunità di cura'.
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Sia
in Pizzinato che in Bonomi si è pertanto ravvisata, pur in due letture del
presente assai differenti, ma ugualmente preoccupate e problematiche, un
invito a costruire, a collegare, a leggere più acutamente la realtà con la
volontà del cambiamento. E l’orizzonte complessivo di questo cambiamento è ben
focalizzato dal contributo di Giovannini…
Fonti:
1. Antonio
Pizzinato REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE,
13-11-2018 https://drive.google.com/file/d/1FXhhIKtTChQ1FTmzciX1xVr-UiBXP4tN/view?usp=sharing
2.
Enrico
Giovannini SLIDES DI PRESENTAZIONE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA,
VARESE, 01-10-2018
3.
Enrico
Giovannini REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA,
VARESE, 01-10-2018 E DEL SEGUENTE DIBATTITO
4.
Fulvio
Fagiani “PROGRAMMI
PER LA SOSTENIBILITA’ “ su UTOPIA21, maggio 2018 https://drive.google.com/file/d/1SCkVUbP8f9MImeKMD9FZEZTy3r3dAsS8/view
5.
Aldo
Bonomi “IL RANCORE. ALLE RADICI DEL MALESSERE DEL NORD” – Feltrinelli, Milano
2008
6.
Aldo
Bonomi REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE,
28-11-2018
7.
Lelio
Demichelis “LA GRANDE ALIENAZIONE” - Jaca Book, Milano 2018
8.
Fulvio
Fagiani “CONVERSAZIONE/INTERVISTA
A LELIO DEMICHELIS SULL’ALIENAZIONE” su UTOPIA21, gennaio 2019 https://drive.google.com/file/d/1YDHb0asJXGgCNsWV2p5EmwASOmYTvFfg/view
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