giovedì 21 novembre 2019

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2019: IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS SU TECNICA E UMANITA’




IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS
SU TECNICA E UMANITA’
di Aldo Vecchi e Fulvio Fagiani

RIASSUNTO E COMMENTO
di Aldo Vecchi

Il tentativo di riassumere e commentare, in sole nove pagine, il lungo dialogo tra Maurizio Ferraris e Lelio Demichelis su “tecnica e umanità (ma anche su destra e sinistra)”, pubblicato in Agenda Digitale1.

Sommario:
antropologia e alienazione
evoluzione del capitalismo
automazione
digitalizzazione e disintermediazione
consumismo
biosfera
dialettica politica e sociale
che fare?
(in corsivo i commenti personali)



al termine: UNA MIA POSTILLA AL DIALOGO
di Fulvio Fagiani

Sommario:
la devastazione dell’ambiente e l’Antropocene
ll lavoro
l’entità della sfida


Il filosofo Maurizio Ferraris ed il sociologo Lelio Demichelis – le cui elaborazioni abbiamo in parte già affrontato su Utopia212,3,4 (presentando ivi anche brevi profili degli Autori) – si sono confrontati direttamente in un recente ‘carteggio’, pubblicato su agendadigitale.eu 1, al cui testo integrale rimando, limitandomi in questo articolo ad un breve riassunto e ad alcuni commenti personali.

Avverto però i lettori che tale ‘carteggio’ contiene alcune involontarie ripetizioni, per errore editoriale (tra pagg. 42-56 e pagg. 56-70, nonché tra pag.21 e pag. 80), nonché fin troppi voluti “ribadimenti” dei propri concetti da parte di ambedue i dialoganti, che sono entrati in relazione con gli argomenti dell’interlocutore, spesso confinando la dialettica a polemica sui termini, oppure sull’autorevolezza delle citazioni; risultandone però stimolati ad ampliare ed approfondire ognuno la propria impostazione: che pertanto in questo articolo esaminerò, in parallelo, ma separatamente (e solo su alcuni punti).


ANTROPOLOGIA E ALIENAZIONE

Ferraris traccia, tra le righe del suo manifesto sul capitalismo documediale, una visione di fondo, immanente e permanente, della specie umana, individualmente più debole di altre specie, e quindi connotata dalla cooperazione e dalla tecnica per sopravvivere e prevalere (oltretutto estendendosi, come specie, anche in ambienti fisici non favorevoli).
Ma con alcune costanti, che includono ad esempio – ed almeno da alcuni millenni – il gusto per l’affabulazione, il gioco, il lusso (ed anche la droga), talché la propensione al consumismo non può essere imputata al recente sviluppo capitalistico.
Più in generale, l’umano “non nasce buono, può diventarlo se ci sono le politiche giuste”.
L’umano, diversamente dalle macchine, pur sempre strumenti funzionali a finalità esterne, ha la finalità intrinseca di sopravvivere: “Diversamente dalle macchine, noi consumiamo introducendo energia in un organismo che, diversamente dai meccanismi, conosce solo due posizioni, acceso (vivo) e spento (morto), mentre un computer o un asciugacapelli puoi spegnerlo e riaccenderlo un bel po’ di volte. È l’unicità del consumo negli organismi, quello che ci assimila agli animali non umani e definisce la nostra superiorità rispetto alle macchine che, loro, non hanno scopi o bisogni, noia o ideali, semplicemente perché non dispongono di un tempo limitato di vita, e di una alternativa secca e irreversibile tra acceso e spento. Contemporaneamente, però, è proprio il disporre di protesi tecniche a far sì che noi siamo diversi dagli animali non umani. La nostra differenza non sta tanto in quello che abbiamo in noi, quanto piuttosto in ciò che è fuori di noi: biblioteche, case, supermercati, università, e ovviamente anche galere, lager e (una volta) fabbriche.”
Alienazione: “A questa parola-feticcio, se ce ne è una, a questo rifugio dei peccatori e degli imbecilli, che offende l’alienazione vera di chi si spacca la schiena sotto il sole, converrebbe sostituire una diversa antropologia, che proprio oggi è visibile, nel momento in cui in molte parti del mondo il bisogno cede il posto al consumo, e dunque rivela aspetti dell’umano in precedenza riservati alle élite, e cancellati nella vita di ogni giorno dalla lotta per l’esistenza.
Il piacere estetico, la necessità del superfluo, la vanità, l’incapacità di starsene con le mani in mano, dunque la mobilitazione, così come la dipendenza da protesi tecniche (bastoni, farmaci, società), da cui viene la sottomissione, tutto questo è l’Umano, non il Kapitale. Il meccanismo che si innesca non è quello della Alienazione, ma quello della Imbecillità, una categoria esplicativamente molto più utile dell’Alienazione, anche perché non ci assolve dalle nostre colpe imputandole al Kapitale.”

Demichelis non si pronuncia su classificazioni così remote e profonde, ma descrive compiutamente la “grande alienazione” dell’uomo contemporaneo sotto la “dinamys” del Tecno-Capitalismo, che – pur adottando in prevalenza metodi “morbidi” e cioè il consenso carpito agli stessi lavoratori-consumatori-utenti – ne ingloba ormai l’intera vita (di lavoro e di apparente non-lavoro) sotto il controllo della Rete, costituita da imprese-piattaforme (finalizzate al profitto). “…il capitalismo ha una essenza e una forma infinitamente trasformistica, quindi ha la capacità di adattarsi e modificarsi e di incorporare in sé anche le ragioni di chi contesta il tecno-capitalismo, incessantemente ripresentandosi come nuovo ... Essendo … un sistema diffuso … e quindi non più identificabile in qualcuno/qualcosa (un potere) evidente e riconoscibile e per di più infinitamente trasformista, diventa ancora più potente e pervasivo: … è la foucaultiana microfisica, oggi del potere tecno-capitalista, è la sua essenza (come l’ho recentemente definita) biopoliticamente disciplinante – e senza riconoscibilità, quindi siamo alienati soprattutto dalla capacità di riconoscimento del soggetto biopolitico/amministrativo che ci governa.”

In questo confronto asimmetrico, mi sembra che entrambi i duellanti rivelino parte della realtà storica ed antropologica.


EVOLUZIONE DEL CAPITALISMO

Ferraris si concentra sulla trasformazione in atto del capitalismo, da industriale a documediale: grazie all’automazione, la sfera della produzione e distribuzione delle merci si assottiglia, perdendo addetti e fatturato, ed emerge lo sfruttamento dei dati, prodotti (per ora gratuitamente) dagli stessi consumatori, e decisivi per il conseguimento del profitto tramite marketing e pubblicità mirata.
Gli altri raffronti storici proposti da Ferraris sono sui tempi lunghi e talvolta indefiniti: una constatazione complessiva di progresso, con attenuazione o scomparsa della fatica e del lavoro ripetitivo (e perciò della alienazione), più cibo e più salute, allungamento della vita media, meno guerra e più condanna della violenza, qualche diffusione dei diritti, ecc.
In questo ambito Ferraris si contrappone, negandone l’autorevolezza, agli studiosi (come Piketty) che si sono sforzati di dimostrare l’incremento delle disuguaglianze sociali.
E distribuisce accuse di “apocalittici” (o addirittura “complottisti”) ai critici dello stato presente del capitalismo (a partire dallo stesso Demichelis), di fatto nostalgici di un passato che era ben più gravoso per i lavoratori sfruttati.
Al fondo, comunque per Ferraris è valida l’ipotesi che “il capitale, come tendenza all’accumulo, sia coestensivo con la tecnica e con l’umano, e dunque qualcosa che non può essere superato, ma solo indirizzato.”… “ il Capitale è la condizione di possibilità della società, e che dunque è vano pensare di farne a meno: sarebbe come cercare di saltare al di là della propria ombra. Si tratta invece di adoperarlo nella maniera giusta….”

Demichelis analizza invece specificamente la fase “neo-liberalista” degli ultimi decenni, raffrontandola al periodo precedente in cui lo strapotere capitalista era stato limitato, ad esempio per l’Italia, dalla Costituzione e dallo Statuto dei Lavoratori, e individua il capitalismo della rete e delle piattaforme come una diversa prosecuzione del capitalismo industriale, di cui ripropone il fondamentale processo di scomposizione e suddivisione del lavoro (che prima avveniva dentro la fabbrica taylorista, e poi nel decentramento globalista) e di successiva ‘ricomposizione totalizzante’: “la nuova fabbrica (che unifica ciò che prima è stato diviso/individualizzato) è la rete/piattaforma;” vedi Uber, Foodora, ecc. “che però, di nuovo, non è di chi la usa, ma proprietà di un capitalista, quindi l’alienazione resta, anche se nascosta sotto il velo di un falso lavoro autonomo o relazionale/orizzontale.”
Quelli che vengono definiti apocalittici sono piuttosto i responsabili, coloro che guardano avanti e richiamano l’attenzione di tutti sui rischi che stiamo correndo in termini di cambiamenti climatici e di disuguaglianze sociali crescenti; i veri apocalittici semmai (nel senso che l’Apocalisse la producono deliberatamente e nichilisticamente) sono i negazionisti dei mutamenti climatici, i neoliberali che scrivono di capitale umano, i tecnofili sempre e comunque e quel tecno-capitalismo che sfrutta anche i disastri ambientali generati dalla irresponsabile volontà di potenza di tecnica e capitalismo, per fare comunque profitti – è la shock economy secondo Naomi Klein – o chi boccia ogni ipotesi di green new deal.”

L’avvertimento di Ferraris sul rischio di criticare lo stato presente finendo per elogiare l’ancient régime mi sembra condivisibile; per nulla condivisibile invece la negazione dell’incremento recente delle disuguaglianze sociali, in particolare a fronte di ricerche documentate, come quella di Piketty5,6 (ma anche dell’evidenza empirica sui consumi di lusso ed invece di massa).
L’analisi di Demichelis mi sembra invece molto fondata, riguardo alle nuove modalità del dominio “Tecno-Capitalista”: vorrei però segnalare:
-       che anche nella fase precedente, ad esempio quando Umberto Eco scriveva “Apocalittici o integrati” 7 (1964) era notevole il  condizionamento  del lavoratore-cittadino-utente (magari con tali ambiti più separati) da parte del potere (capitalistico) attraverso le sue strutture e sovrastrutture, tra cui i moderni mass-media, ma anche l’educazione tradizionale e conformista (che la mia generazione ha fatto in tempo a subire in quegli anni).
-       che le forme di contro-potere conseguite dal movimento operaio, con i Consigli di Fabbrica e con lo Statuto dei Lavoratori, benché rilevanti (soprattutto rispetto all’attuale dominio assai meno contrastato del capitalismo finanziario remoto), non hanno determinato in quegli anni uno stabile assetto di “impresa democratizzata”, ma solo un temporaneo squilibrio, che le forze dominanti hanno faticato a superare, in una dialettica aperta; dialettica che – in Italia – è stata conclusa simbolicamente con lo scontro sulla FIAT del 1980, che ha evidenziato dentro il movimento operaio da un lato errori delle avanguardie e dall’altro sbandamento di massa 8.
A tale sbandamento concorse e concorre a mio avviso non solo il condizionamento alienante, alimentato dal sistema capitalistico (poco più tardi in particolare con le televisioni commerciali, che erano e sono apparentemente “gratis”, come gli attuali social-media, e che parimenti però ti ‘rubano l’anima’), ma anche quel tanto di capitalismo (ovvero individualismo, egoismo, opportunismo, edonismo) che nelle masse è interiorizzato (da tempi remoti, suggerisce Ferraris), senza nemmeno essere “altro da se”.




SOCIALISMO REALE

Per Ferraris gran parte degli obiettivi del comunismo marxiano sono stati realizzati all’interno dello sviluppo capitalistico, almeno in Occidente, “ossia dalla socializzazione del plusvalore del capitale industriale attraverso la socialdemocrazia”.
Viceversa il cosiddetto “socialismo reale” si è rivelato una tragedia, con aspetti di comicità.

Per Demichelis la proprietà pubblica dei mezzi di produzione si è rivelata insufficiente “per avere magicamente una società comunista (o di altra natura) se non si controlla anche e soprattutto la forma tecnica di questo mezzo di produzione e i modi e le norme (e i processi di normalizzazione sociale) con cui si sovrappone alla società e allo stato)”.

Il racconto di Ferraris, che correttamente rileva gli elementi di assorbimento dialettico dell’opposizione operaia nella trasformazione del capitalismo (assorbimento meglio descritto a mio avviso da Boltanski&Chiapello,9,10 assente nelle pur ampie citazioni espresse da ambedue i dialoganti), finisce per nascondere la sostanza degli attuali rapporti sociali e di produzione, in cui il “Kapitale” continua a dominare estraendo plusvalore dal lavoro (in varie forme) subordinato, ed accumulandolo. 


AUTOMAZIONE

Per Ferraris l’automazione è un processo ineluttabile ed in parte anche auspicabile:
“…i lavoratori, se per “lavoro” si intende la fatica e l’alienazione, sono una minoranza in via di estinzione, almeno alle nostre latitudini. Vale la pena di osservare che quando si tratta di parlare di fatica, ci si riduce a tre esempi: i rider, i raccoglitori di pomodori e i magazzinieri di Amazon, tre funzioni che saranno presto svolte dai droni. …. Questo è il futuro. L’altro è un passato in via di sparizione. E non bisogna confonderli: nei primi tempi delle armi da fuoco c’erano ancora gli alabardieri, ma presto sono scomparsi.”

Demichelis non risulta interessato a misurare specificamente la velocità della transizione ad una produzione più automatizzata, bensì ad evidenziare, nella innovazione dei modi di produrre e distribuire, la continuità delle forme di dominio, che si estendono – in nome della tecnica e della falsa libertà del consumatore – fino a “sussumere” l’intera vita umana nel ciclo di controllo delle piattaforme e degli algoritmi.
La “tecnica come mezzo neutro nella libera disposizione dell’uomo … non esiste più. Oggi l’accrescimento della tecnica come apparato – così come del profitto capitalista – sono il fine della società e dell’economia. E algoritmi che imparano da soli, machine learning, internet delle cose, Panopticon 2.0, ibridazione uomo-macchina invece del vecchio uomo appendice delle macchine hanno completamente rovesciato il nostro rapporto con la tecnica…”

Sulla questione della estinzione del lavoro ho già contestato Ferraris2, ricevendone una corposa risposta3, che però non mi ha pienamente convinto; poiché gli investimenti necessari per l’automazione sono ingenti, la convenienza delle imprese a soppiantare il lavoro umano sarà lenta, progressiva e differenziata nei territori, per cui continuo a ritenere ragionevole ipotizzare una fase di transizione lunga e complessa; anche se le vicende umane vanno velocizzandosi, vorrei rammentare che le armi da taglio (esempio le sciabole dei cavalieri o le baionette dei fanti, ma anche il machete nelle guerriglie, fino al genocidio in Ruanda -1994) hanno conservato un ruolo militare importante fino a ben dentro al Novecento (simbolicamente fino alle inutili cariche della cavalleria polacca contro i carri armati di Hitler nel 1939), cioè cinque secoli dopo l’introduzione delle armi da fuoco: ben altro che alabardieri decorativi, tipo “Guardie Svizzere del Vaticano”.


DIGITALIZZAZIONE E DISINTERMEDIAZIONE

Ferraris: “Il digitale non è minimamente disintermediazione. È una nuova mediazione, una nuova dialettica, più sofisticata di quelle che l’hanno preceduta. E il fastidio degli intellettuali per il web è una forma di luddismo: come, io, il professionista della mediazione, superato da un algoritmo? Infatti, non bisogna lasciarsi superare dagli algoritmi, bisogna far di meglio e pensare di più. Se però partiamo da idee fuorvianti (per esempio quella del web come disintermediazione, tanto cara alla Casaleggio e associati) temo che non andremo troppo lontano.”

Demichelis: “…la disintermediazione è solo apparente (anche nel capitalismo delle piattaforme) e … maschera una diversa intermediazione. Più sofisticata? Certo meno percepibile. Che quindi maschera meglio l’alienazione che riproduce in altre forme.

E’ questo forse l’unico argomento del confronto in cui Ferraris e Demichelis di fatto concordano (a spese del malcapitato Casaleggio…).


CONSUMISMO

Ferraris: “Nel momento in cui le macchine si occupano della produzione, assolvendo la funzione che nel mondo classico era assolta dagli schiavi (e questo spiega perché il mondo classico è stato poco interessato all’automazione: non ne aveva bisogno) resta all’umanità una sfera che può essere concettualizzata complessivamente come responsività, e che si articola in invenzione, mobilitazione e consumo.”
L’invenzione è riservata ai pochi che svolgeranno mansioni creative.
La mobilitazione coinvolge tutti coloro che si connettono in rete (anche per l’innato bisogno umano di un “riconoscimento sociale”) e consentono, con l’estrazione dei dati, il funzionamento del sistema produttivo e distributivo.
Il consumo – come da me riportato al paragrafo Antropologia – costituisce una sorta di quintessenza dell’umanità: “L’apporto umano consiste nel consumo, che è manifestazione di bisogni e desideri, dunque anche nel conferimento di nuovi fini all’oggetto. Cioè nella creazione di una teleologia che, ben lungi dall’essere soppressa, è potenziata dalla tecnica. È vero in altri termini che la tecnica fornisce mezzi e non fini, ma si trascura che la crescita dei mezzi comporta una moltiplicazione dei fini, ossia una fioritura umana infinitamente più grande di quella dettata dalla penuria.”
La diversificazione individuale dei consumi è funzionale al sistema e quindi è impensabile una automatizzazione dello stesso consumo.

Demichelis nega invece che il consumismo sia “il proprio degli umani” : … “è appunto prodotto ([vedi Gunther] Anders e la pubblicità come propaganda e come mansionario del lavoro di consumo, che è un lavoro di incessante uccisione delle merci-feticcio perché siano sostituite velocemente da altre merci-feticcio), per sostenere la produzione: via marketing e pubblicità che sono, come ho detto, l’organizzazione scientifica del lavoro di consumo.
E se oggi si usano dopamina e algoritmi predittivi per spingerci a consumare – ovvero il consumo è un’altra forma di eteronomia, cioè di alienazione, ciascuno dovendo divenire altro da sé – mi diventa impossibile sostenere che il consumo non è stato ancora automatizzato. … Se un algoritmo decide al posto mio…; dopo l’automazione del lavoro stiamo avviandoci alla automazione del pensiero e quindi alla massima alienazione intesa come divenire altro da sé….”

Ferraris parla di consumo non automatizzabile, Demichelis di consumo alienato: mi sembrano aspetti diversi ma conciliabili dello stesso (complesso) fenomeno sociale.


BIOSFERA

Per pregnanza degli argomenti, su questo punto inverto l’ordine di presentazione tra i due “dialoganti”.

Demichelis si preoccupa anche dell’impatto del TecnoCapitalismo (e connesso consumismo) sulla biosfera “non basta un po’ di economia circolare per risollevare le sorti del pianeta, ma servirebbe modificare proprio quella logica del consumismo e dell’innovazione tecnica a prescindere dalla sua utilità sociale che porta a distruggere per produrre nuovamente; perché il tecno-capitalismo è incapace di concepire e di attuare il concetto di limite e di responsabilità verso le future generazioni – una forma di disumanità verso figli e nipoti; perché il tecno-capitalismo violenta l’ambiente e perché violenti verso le future generazioni (ancora) sono i negazionisti del cambiamento climatico e chi non si ribella a questo meccanismo; siamo disumani perché non comprendiamo, tanto siamo infatuati di tecnica, che la tecno-sfera confligge con la bio-sfera ed è illusorio pensare di risolvere con più tecnica i problemi creati dalla tecnica”.

Ferraris affronta i temi ambientali solo di rimbalzo: ”La devastazione dell’ambiente è una caratteristica dell’umano, non del Capitale: l’Europa era coperta di boschi, e dal neolitico in avanti gli umani si sono impegnati a disboscarla. … Pensa invece a quante norme per la tutela dell’ambiente e della salute esistono oggi e non c’erano un tempo. Quando eravamo bambini Londra era piena di smog e il Tamigi era inquinatissimo. Ora non più. …È cresciuta la coscienza civile, grazie a quell’enorme processo di capitalizzazione del sapere che è la scienza. E se si sono presi dei provvedimenti non è stato per un urlo anticapitalistico, ma per il costo sociale delle malattie. E se le norme sono state osservate, di nuovo, non è stato per motivi estranei all’economia capitalistica: semplicemente, i costi delle cause per danni alla salute e all’esistenza, e per i danni ambientali, hanno obbligato le imprese a fare i conti in modo sistematico con le normative ecologiche”.

Mi pare che per amore del paradosso (o del capitalismo consumista opulento?) Ferraris si rifiuti di confrontarsi con la scienza che misura il cambio climatico e la perdita di biodiversità come caratteri fondamentali dell’odierno divenire del mondo (anche se il Tamigi è meno inquinato di prima).

DIALETTICA POLITICA E SOCIALE
Ferraris ben racconta la sfida del Novecento tra Nazi-Fascismo, Comunismo e Capitalismo Socialdemocratico, con l’alleanza vincente tra gli ultimi due e poi lo “spareggio”, la vittoria finale del Capitalismo, però attuando molti obiettivi inziali del comunismo (del tutto disattesi invece dalle esperienze del Socialismo Reale). Nella situazione attuale invece Ferraris (ma uso parole mie):
-       esprime poca preoccupazione per i movimenti populisti, che vede come una democratizzazione del rapporto tra masse e leaders, con questi costretti a inseguire la “volontà popolare” espressa da tweet  e sondaggi,
-       manifesta poca fiducia verso una sinistra rimasta senza obiettivi centrali (in quanto già attuati con la “socializzazione del capitale industriale”) e rimasta attardata su parole d’ordine superate oppure di  nicchia (i diritti civile delle varie minoranze, i diritti degli animali, ecc.),
-       dedica poca attenzione ai movimenti di massa (femminismo, ambientalismo, ecc.), che ad ondate hanno comunque umanizzato il capitalismo, cosicché viviamo oggi in un mondo sì imperfetto, ma almeno assai avvertito ad esprimersi in modo politicamente corretto.

Demichelis parte dalle proprie ricerche come “sociologo del lavoro” e ‘sussume’ in tali categorie concettuali l’allargarsi delle forme di dominio e sfruttamento TecnoCapitaliste dal solo lavoro all’intera vita; solo marginalmente – in questo testo – affronta le tematiche relative alla lotta politica, successiva alla (asserita) “democratizzazione delle imprese” conquistata ai tempi dello Statuto dei Lavoratori, giudicando i movimenti di massa di volta in volta come “ri-assorbiti dal Capitale” (il 68 e dintorni), oppure sconfitti dalla repressione del sistema (quando proprio non riesce a ri-assorbire, perché “ogni pensiero davvero dissidente è sempre escluso e precluso”): no-global/Genova 2001, Occupy Wall Street. Mostra infine simpatie, ma non particolari speranze, verso Fridays for Future.

Temo, in questo paragrafo, di aver lasciato trasparire i miei commenti già nel modo di riassumere le posizioni dei due “dialoganti”: per emendarmi ho “corsivato”, a posteriori, le più evidenti manifestazioni del mio sentire.
Penso infatti che i movimenti di emancipazione (ma anche purtroppo gli odierni populismi con derive reazionarie) abbiano dinamiche proprie, non totalmente risolte dal potere dominante che di volta involta li riassorbe o li reprime, né dai rapporti di produzione (anche in senso lato).
E che quindi vadano studiati per capirne i linguaggi, le ideologie e le logiche di aggregazione, come riescano a far emergere quel tanto di anti-capitalismo (empatia, solidarismo, egualitarismo) che pure è insito nella natura umana (se fossimo totalmente “alienati” ed eterodiretti, nessuna aternativa sarebbe possibile, come già sostengono i neo-liberisti).
E per comprendere pertanto come certe sconfitte ‘se le vadano a cercare’ (ad esempio forzando verso lo scontro esemplare 8 – FIAT 1980, Genova 2001 - anziché coltivare il faticoso e lento sviluppo del lavoro politico tra le anfibie masse) oppure conseguano certe vittorie “carsicamente” ed anche post-mortem, come è accaduto per alcune rivendicazioni del ’68 o per il femminismo.



CHE FARE?
                                         
Per Ferraris è chiaro il compito cui sono chiamati gli intellettuali: convincere la sinistra (lasciando in sottordine i diritti civili e le vecchie rivendicazioni laburiste, ormai conseguite, almeno in Occidente) a riconquistare il consenso delle masse “opportuniste” (e quindi il controllo sui poteri statali) con l’obiettivo – tramite contrattazione e legislazione - di farsi pagare dalle Web-Companies l’attività di “mobilitazione”, socializzando quindi il “capitalismo documediale” a partire propriamente dalla ridistribuzione del valore economico dei “dati” che vengono estratti agli utenti.

Per Demichelis occorre promuovere la consapevolezza critica sui rapporti di sfruttamento ed alienazione che sotto il Tecno-Capitalismo pervadono la vita odierna per tutti i cittadini-lavoratori-consumatori: solo da questo nocciolo di pensiero eretico e dissidente è possibile sviluppare percorsi di dialogo e di resistenza, in particolare sui fronti della biosfera, delle generazioni future, delle diversità culturali.
Quanto alla retribuzione dei dati che vengono estratti dai nostri consumi, Demichelis opta per vietare la profilazione degli utenti a fini privati, accettandola solo nelle mani pubbliche ed in funzione della pubblica utilità /sanità, trasporti, previdenza). “… se ci identifichiamo con il sistema, tanto da lavorare gratuitamente per esso, vuol dire che massima è ormai la nostra alienazione con questo sistema (identificazione/identità con qualcosa significa alienazione da sé …). Questo nuovo lavoro gratuito e volontario deve essere retribuito? Piuttosto che gratuito, sì; ma, ribadisco, è un lavoro che deve essere vietato (così come è stato vietato il lavoro degli schiavi e dei bambini), altrimenti permetteremo al tecno-capitalismo di completare la sua azione di pianificazione (neoliberale) e di trasformazione/sussunzione/ibridazione della vita umana nel mercato e nella competizione di tutti contro tutti. Non vedo altro modo per restare umani che vietare questo lavoro.”

Sul “che fare” confesso di stare dalla parte di Demichelis, senza se e senza ma (malgrado alcuni dubbi sulle precedenti analisi).
Auspicando che quel che resta della sinistra ed i nuovi movimenti sappiano farsi carico dei problemi del post-lavoro, ma anche del lavoro che persiste, e prevenire l’annunciato disastro ambientale.


Fonti:
1.    Maurizio Ferraris e Lelio Demichelis - ALIENATI O IMBECILLI? PROVE DI DIALOGO SU TECNICA E UMANITÀ (MA ANCHE SU DESTRA E SINISTRA) – maggio-giugno 2019 https://www.agendadigitale.eu/tag/ferraris/
2.    Aldo Vecchi - DIBATTITO SUL “CAPITALISMO DOCUMEDIALE” – su UTOPIA21 del marzo 2019 – https://drive.google.com/file/d/19spZJ70tWdIegwm7nDD4hJGJvTA0oU8M/view.
3.    Maurizio Ferraris - IL CAPITALISMO DOCUMEDIALE - su UTOPIA21 del maggio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1zvydYKwaceoozsoQjWOJTAUffaSJ4dmD/view
4.    Fulvio Fagiani - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON LELIO DEMICHELIS SULL’ALIENAZIONE - su UTOPIA21 del gennaio 2019 – https://drive.google.com/file/d/1YDHb0asJXGgCNsWV2p5EmwASOmYTvFfg/view.
5.    Thomas Piketty - IL CAPITALE NEL XXI SECOLO” – Bompiani, Milano 2014
6.    Aldo Vecchi - PIKETTY: IL CAPITALE NEL XXI SECOLO (E PRECEDENTI) - su UTOPIA21 del novembre 2017 – https://drive.google.com/file/d/1N-8cYVuTAiCes4_S2UV9pBxm0f20SbMH/view.
7.    Umberto Eco – APOCALITTICI O INTEGRATI – Bompiani, Milano 1964
8.    Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi – SESSANTOTTO - su UTOPIA21 del maggio 2018 - https://drive.google.com/file/d/19F8htY0me_Mfsd4CcFhXha7piLEq3BL_/view.







UNA MIA POSTILLA AL DIALOGO

di Fulvio Fagiani


Il dialogo tra Maurizio Ferraris e Lelio Demichelis pubblicato su ‘Agenda digitale’ è molto ampio e Aldo Vecchi ne riassume bene i temi e le argomentazioni essenziali e ad esse non aggiungerò nulla.
Mi preme invece, anche alla luce degli interventi di Ferraris e Demichelis al Festival dell’Utopia 2019, soffermarmi su alcuni singoli punti.

La devastazione dell’ambiente e l’Antropocene – Ho a lungo commentato i diversi orientamenti riguardanti la data d’inizio dell’Antropocene1 dove si segnalano due correnti di pensiero: la prima, prevalentemente di studiosi di discipline umanistiche, che lo spalma lungo tutta la storia dell’umanità sostenendo, come Ferrrais, che “La devastazione dell’ambiente è una caratteristica dell’umano” e la sua nascita la si può far risalire alla comparsa stessa della nostra specie, la seconda, prevalentemente di studiosi di discipline scientifiche, che la ricollega invece ad un evento ben preciso, la ‘Great acceleration’, ben rappresentata da due celebri serie di grafici che riproduco in figura 1 e 2.
La prima serie riproduce l’andamento di alcune grandezze globali di natura socio-economica (popolazione, PIL, investimenti diretti, popolazione urbana, consumo di energia primaria, consumo di fertilizzanti, grandi dighe, consumo di acqua, produzione di carta, trasporti, telecomunicazioni e turismo internazionale), la seconda di grandezze ambientali (concentrazioni atmosferiche di diossido di carbonio, perossido d’azoto, metano, ozono stratosferico, temperatura superficiale, acidificazione degli oceani, pesca in mare, acquacoltura di gamberetti, azoto nelle zone costiere, perdita di foreste tropicali, terre addomesticate, degrado della biosfera terrestre) dal 1750 ad oggi.
In una generale tendenza al rialzo, si nota però un momento di accelerazione di tutte le curve collocata intorno al 1950. E’ questo il periodo della ‘Grande Accelerazione’ in cui la crescita economica ha un’impennata che si traduce in accelerazione del degrado ambientale.
In questo momento preciso, intorno al 1950, viene correttamente collocato l’inizio dell’Antropocene.
Perché proprio allora? Perché da quel momento le tendenze socio-economiche non si limitano ad alterare la biosfera, com’era sempre avvenuto nel passato, ma superano alcuni dei ‘confini planetari’3, cioè il limite di alcuni processi biofisici cruciali per la stabilità del Sistema Terra.
Il concetto di Antropocene serve proprio per segnalare una discontinuità tra un prima, la stabilità del Sistema, ed un dopo, l’instabilità.
E’ questa rottura che apre un nuovo capitolo nella storia dell’umanità e che va concettualizzato in modo corrispondente. Se unito all’insostenibilità sociale, di cui sono manifestazioni le enormi disuguaglianze di ricchezza, reddito e opportunità, la povertà assoluta di quasi un miliardo di persone, le privazioni di cui ancora soffre una consistente parte dell’umanità, la rottura ambientale designa una doppia necessità: garantire la soddisfazione di un limite minimo di bisogni essenziali ad ogni essere umano, il pavimento di figura 3, rimanendo entro i limiti definiti dai confini planetari, il soffitto di figura 3.


 PER LE FIGURE VEDI IL SITO UNIVERSAUSER/UTOPIA21

Figura 1 - Le tendenze di alcune grandezze socio-economiche dal 1750 ad oggi –
Tratto sa Steffen2.



Figura 2 - Le tendenze di alcune grandezze relative al Sistema Terra dal 1750 ad oggi –
Tratto sa Steffen2.



Figura 3 – Lo spazio ambientale tra il pavimento sociale e il soffitto ambientale –
Tratto da Spangemberg4.


Questa è la condizione cui deve sottostare ogni sistema socio-economico sostenibile.
Questa condizione, altrimenti definita lo Spazio Operativo Sicuro, ne comporta un’altra, discussa in molti articoli di UTOPIA215,6,7,8 che limita lo spazio per la crescita economica.
In questo senso le due affermazioni di Ferraris “la propensione al consumismo non può essere imputata al recente sviluppo capitalistico” e “il capitale, come tendenza all’accumulo, sia coestensivo con la tecnica e con l’umano, e dunque qualcosa che non può essere superato, ma solo indirizzato”, si scontrano con un’evidenza contraria: il sistema capitalistico, almeno nelle configurazioni in cui l’abbiamo conosciuto finora, è intrinsecamente un sistema per la crescita e si scontra dunque con il ‘soffitto’ dei confini planetari.
Questa è ciò che molta parte degli studiosi di sostenibilità esprime con il concetto di necessità di cambiamenti ‘trasformativi’ in opposizione ai ‘cambiamenti incrementali’, essendo i primi il ‘superamento’ ed i secondi il semplice ‘indirizzamento’ del sistema capitalistico.
Da cui discende che ogni proposta, come quella del ‘docu-capitalismo’, va comunque inserita nello spazio operativo sicuro tra pavimento e soffitto e tener conto della necessità di stabilizzare produzione e consumo globali in rapporto ai confini planetari, cosa che è molto dubbio possa fare il capitalismo.

Il lavoro – Al rapporto del lavoro con automazione e digitalizzazione ho dedicato già numerosi articoli9,10,11, qui mi preme sottolineare come il lavoro non debba essere considerato solo fonte di reddito, ma anche di identità e di inserimento sociale.
Per quest’ultimo valore rimando alle belle pagine di Luigino Bruni, che sottolineano come il lavoro sia l’occasione per sperimentare la cooperazione e l’interazione con altri uomini in organizzazioni complesse, e quindi siano una forma insostituibile per essere parte della società moderna.
Aggiungo che il lavoro è anche strumento di conoscenza delle forme della produzione sociale, e quindi solo grazie a questa conoscenza è possibile a larghe masse di appropriarsi del sapere sociale e poter essere quindi soggetti della trasformazione. Al contrario, un mondo suddiviso in pochi produttori e una moltitudine di consumatori sarebbe dominato da quei pochi che padroneggiano i meccanismi essenziali di funzionamento del sistema, e gli altri sarebbero dipendenti dal ’panem et circenses’ elargiti benevolmente dai dominatori.
Una prefigurazione di questa gerarchizzazione del mondo del lavoro è già oggi leggibile nell’organizzazione delle piattaforme digitali11, dove la segmentazione del lavoro e del consumo mostra tutte le sue distopie.
Un’altra esemplificazione degli effetti della segregazione delle conoscenze in piccole cerchie ristrette è data dal mondo della finanza, oggi attore primario sullo scenario dell’economia globale, custode di segreti negati ai più, teatro di appropriazioni e transazioni quanto mai opache, sottrattore e redistributore verso l’alto di risorse chiave.
Queste avvertenze comportano che il lavoro socialmente necessario rimasto dopo che l’automazione esperirà i suoi effetti, andrà redistribuito con attenzione, non solo secondo considerazioni economiche, ma soprattutto di natura democratica, perché i meccanismi fondamentali di formazione, applicazione e diffusione della conoscenza e di funzionamento organizzativo del sistema siano a disponibili a molti.

Infine un’ultima annotazione circa l’entità della sfida, su cui sono tornato più volte, ultimamente nel “dibattito” di settembre sulle tesi di Bertaglia in13.
Viviamo una condizione di “dislivello prometeico”, come sostiene Onofrio Romano nel libro14 recensito in questo numero, un dislivello tra complessità organizzata e capacità di comprensione e guida, che richiede uno straordinario sforzo di interazione e dialogo tra le diverse discipline, sia di matrice umanistica che scientifica, e delle diverse chiavi di lettura, con spirito di ascolto ed apertura, di reciproco apprendimento e insegnamento.
Uno sforzo cui affidiamo il nostro modesto contributo con le rubriche ‘Il dibattito’ e con articoli e testi nei prossimi numeri di UTOPIA21, invitando eventuali altri interlocutori, a partire dai due dialoganti Maurizio Ferraris e Lelio Demichelis.


fulviofagiani@libero.it


Fonti.

1.    Fulvio Fagiani – ANTROPOCENE, SCENARI DALL’ALTO E DAL BASSO, BUONI SEMI – Pubblicato sul numero di luglio 2019 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/146O1DJSrxxA2BxZjCd5gw3Dtdm2beh9C/view.
2.    Will Steffen a altri - THE ANTHROPOCENE: CONCEPTUAL AND HISTORICAL PERSPECTIVES -https://royalsocietypublishing.org/doi/pdf/10.1098/rsta.2010.0327 – Pubblicato nel 2015.
3.      Will Steffen e altri -  PLANETARY BOUNDARIES: GUIDING HUMAN DEVELOPMENT ON A CHANGING PLANET - https://science.sciencemag.org/content/347/6223/1259855/tab-pdf - Pubblicato nel 2015.
4.    Joachim Spangenberg – Institutional change for strong sustainable consumption: sustainable consumption and the degrowth economy - https://edisciplinas.usp.br/pluginfile.php/2292296/mod_folder/content/0/Spangenberg%20-%20Institutional%20change%20for%20strong%20sustainable%20consumption.pdf?forcedownload=1 – Pubblicato nel 2014
5.    Quaderno n.6 – Fulvio Fagiani, CRESCITA O DECRESCITA - https://drive.google.com/file/d/1Lo2eWnqu_Ge_aR-A81Ln2BudLUPdcu7l/view.
6.    Fulvio Fagiani – ECONOMIE DELLA SOSTENIBILITA’ – Pubblicato sul numero di novembre 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/15hBevvBH0Te2u_daJbQimv-4HsE_JUSc/view.
7.    Fulvio Fagiani – E’ POSSIBILE LA CRESCITA VERDE? – Pubblicato nel numero di settembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1KnByzV4PBztndSdcp6MGTH-aVErqFoFV/view.
8.    Fulvio Fagiani – REALTA’ E FATTIBILITA’ DELLA DECRESCITA – Pubblicatosul numero di settembre 2019 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1uMaTOQ3dT4y-FK5gZnnPXpPhk40WkziS/view
9.    Fulvio Fagiani – IL FUTURO DEL LAVORO TRA AUTOMAZIONE E PIATTAFORME – PARTE 1a - Pubblicato sul numero di gennaio 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1GH2nkxOUNjBT0u9bJJ-DraZOAJCPlNdt/view.
10. Fulvio Fagiani – IL FUTURO DEL LAVORO TRA AUTOMAZIONE E PIATTAFORME – PARTE 2a - Pubblicato sul numero di marzo 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1yJ3RqbEGqK4tIi2-evW3aWBffuxmvGAa/view.
11. Fulvio Fagiani – LE PIATTAFORME COME MODELLO D’IMPRESA - Pubblicato sul numero di luglio 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1rK2ubS1-2k8PWB7VDLobTYqaDtGzwO-5/view.
12. Luigino Bruni – CAPITALISMO INFELICE. VITA UMANA E RELIGIONE DEL PROFITTO – Bologna, Il Mulino 2015.
13. Aldo Vecchi, Fulvio Fagiani – DIBATTITO SULLA TRANSIZIONE ALLA SOSTENIBILITA’ – Pubblicato sul numero di settembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1AJGU5Fu41ghN4TBb3dLYTRCEkbPIbYZk/view.
14. Onofrio Romano – LA LIBERTA’ VERTICALE – Meltemi editore, Sesto San Giovanni (MI), 2019.


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