IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS
SU TECNICA E UMANITA’
di Aldo
Vecchi e Fulvio Fagiani
RIASSUNTO
E COMMENTO
di Aldo Vecchi
Il tentativo di
riassumere e commentare, in sole nove pagine, il lungo dialogo tra Maurizio
Ferraris e Lelio Demichelis su “tecnica e umanità (ma anche su destra e
sinistra)”, pubblicato in Agenda Digitale1.
Sommario:
antropologia e
alienazione
evoluzione del
capitalismo
automazione
digitalizzazione e
disintermediazione
consumismo
biosfera
dialettica politica e sociale
che fare?
(in corsivo i commenti
personali)
al termine: UNA MIA POSTILLA AL DIALOGO
di Fulvio Fagiani
Sommario:
la devastazione dell’ambiente e l’Antropocene
ll lavoro
l’entità della sfida
Il
filosofo Maurizio Ferraris ed il sociologo Lelio Demichelis – le cui
elaborazioni abbiamo in parte già affrontato su Utopia212,3,4 (presentando
ivi anche brevi profili degli Autori) – si sono confrontati direttamente in un recente
‘carteggio’, pubblicato su agendadigitale.eu
1, al cui testo integrale rimando, limitandomi in questo
articolo ad un breve riassunto e ad alcuni commenti personali.
Avverto però i lettori
che tale ‘carteggio’ contiene alcune involontarie ripetizioni, per errore
editoriale (tra pagg. 42-56 e pagg. 56-70, nonché tra pag.21 e pag. 80), nonché
fin troppi voluti “ribadimenti” dei propri concetti da parte di ambedue i
dialoganti, che sono entrati in relazione con gli argomenti dell’interlocutore,
spesso confinando la dialettica a polemica sui
termini, oppure sull’autorevolezza delle citazioni; risultandone però stimolati
ad ampliare ed approfondire ognuno la propria impostazione: che pertanto in
questo articolo esaminerò, in parallelo, ma separatamente (e solo su alcuni
punti).
ANTROPOLOGIA E
ALIENAZIONE
Ferraris traccia, tra le righe
del suo manifesto sul capitalismo documediale, una visione di fondo, immanente
e permanente, della specie umana, individualmente più debole di altre specie, e
quindi connotata dalla cooperazione e dalla tecnica per sopravvivere e
prevalere (oltretutto estendendosi, come specie, anche in ambienti fisici non
favorevoli).
Ma
con alcune costanti, che includono ad esempio – ed almeno da alcuni millenni – il
gusto per l’affabulazione, il gioco, il lusso (ed anche la droga), talché la
propensione al consumismo non può essere imputata al recente sviluppo capitalistico.
Più
in generale, l’umano “non nasce buono, può diventarlo se ci sono le politiche
giuste”.
L’umano,
diversamente dalle macchine, pur sempre strumenti funzionali a finalità esterne,
ha la finalità intrinseca di sopravvivere: “Diversamente dalle macchine, noi
consumiamo introducendo energia in un organismo che, diversamente dai
meccanismi, conosce solo due posizioni, acceso (vivo) e spento (morto), mentre
un computer o un asciugacapelli puoi spegnerlo e riaccenderlo un bel po’ di
volte. È l’unicità del consumo negli organismi, quello che ci assimila agli
animali non umani e definisce la nostra superiorità rispetto alle macchine che,
loro, non hanno scopi o bisogni, noia o ideali, semplicemente perché non
dispongono di un tempo limitato di vita, e di una alternativa secca e
irreversibile tra acceso e spento. Contemporaneamente, però, è proprio il
disporre di protesi tecniche a far sì che noi siamo diversi dagli animali non
umani. La nostra differenza non sta tanto in quello che abbiamo in noi, quanto
piuttosto in ciò che è fuori di noi: biblioteche, case, supermercati,
università, e ovviamente anche galere, lager e (una volta) fabbriche.”
Alienazione:
“A questa parola-feticcio, se ce ne è una, a questo rifugio dei peccatori e
degli imbecilli, che offende l’alienazione vera di chi si spacca la schiena
sotto il sole, converrebbe sostituire una diversa antropologia, che proprio
oggi è visibile, nel momento in cui in molte parti del mondo il bisogno cede il
posto al consumo, e dunque rivela aspetti dell’umano in precedenza riservati
alle élite, e cancellati nella vita di ogni giorno dalla lotta per l’esistenza.
Il
piacere estetico, la necessità del superfluo, la vanità, l’incapacità di
starsene con le mani in mano, dunque la mobilitazione, così come la dipendenza
da protesi tecniche (bastoni, farmaci, società), da cui viene la sottomissione,
tutto questo è l’Umano, non il Kapitale. Il meccanismo che si innesca non è
quello della Alienazione, ma quello della Imbecillità, una categoria
esplicativamente molto più utile dell’Alienazione, anche perché non ci assolve
dalle nostre colpe imputandole al Kapitale.”
Demichelis non si pronuncia su
classificazioni così remote e profonde, ma descrive compiutamente la “grande
alienazione” dell’uomo contemporaneo sotto la “dinamys” del Tecno-Capitalismo,
che – pur adottando in prevalenza metodi “morbidi” e cioè il consenso carpito
agli stessi lavoratori-consumatori-utenti – ne ingloba ormai l’intera vita (di
lavoro e di apparente non-lavoro) sotto il controllo della Rete, costituita da
imprese-piattaforme (finalizzate al profitto). “…il capitalismo ha una essenza
e una forma infinitamente trasformistica, quindi ha la capacità di adattarsi e
modificarsi e di incorporare in sé anche le ragioni di chi contesta il
tecno-capitalismo, incessantemente ripresentandosi come nuovo ... Essendo … un
sistema diffuso … e quindi non più identificabile in qualcuno/qualcosa (un
potere) evidente e riconoscibile e per di più infinitamente trasformista,
diventa ancora più potente e pervasivo: … è la foucaultiana microfisica, oggi
del potere tecno-capitalista, è la sua essenza (come l’ho recentemente
definita) biopoliticamente disciplinante – e senza riconoscibilità, quindi
siamo alienati soprattutto dalla capacità di riconoscimento del soggetto
biopolitico/amministrativo che ci governa.”
In questo confronto
asimmetrico, mi sembra che entrambi i duellanti rivelino parte della realtà
storica ed antropologica.
EVOLUZIONE DEL
CAPITALISMO
Ferraris si concentra sulla
trasformazione in atto del capitalismo, da industriale a documediale: grazie
all’automazione, la sfera della produzione e distribuzione delle merci si
assottiglia, perdendo addetti e fatturato, ed emerge lo sfruttamento dei dati,
prodotti (per ora gratuitamente) dagli stessi consumatori, e decisivi per il
conseguimento del profitto tramite marketing e pubblicità mirata.
Gli
altri raffronti storici proposti da Ferraris sono sui tempi lunghi e talvolta
indefiniti: una constatazione complessiva di progresso, con attenuazione o
scomparsa della fatica e del lavoro ripetitivo (e perciò della alienazione),
più cibo e più salute, allungamento della vita media, meno guerra e più
condanna della violenza, qualche diffusione dei diritti, ecc.
In
questo ambito Ferraris si contrappone, negandone l’autorevolezza, agli studiosi
(come Piketty) che si sono sforzati di dimostrare l’incremento delle
disuguaglianze sociali.
E
distribuisce accuse di “apocalittici” (o addirittura “complottisti”) ai critici
dello stato presente del capitalismo (a partire dallo stesso Demichelis), di
fatto nostalgici di un passato che era ben più gravoso per i lavoratori
sfruttati.
Al
fondo, comunque per Ferraris è valida l’ipotesi che “il capitale, come tendenza
all’accumulo, sia coestensivo con la tecnica e con l’umano, e dunque qualcosa
che non può essere superato, ma solo indirizzato.”… “ il Capitale è la
condizione di possibilità della società, e che dunque è vano pensare di farne a
meno: sarebbe come cercare di saltare al di là della propria ombra. Si tratta
invece di adoperarlo nella maniera giusta….”
Demichelis analizza invece
specificamente la fase “neo-liberalista” degli ultimi decenni, raffrontandola
al periodo precedente in cui lo strapotere capitalista era stato limitato, ad
esempio per l’Italia, dalla Costituzione e dallo Statuto dei Lavoratori, e
individua il capitalismo della rete e delle piattaforme come una diversa
prosecuzione del capitalismo industriale, di cui ripropone il fondamentale
processo di scomposizione e suddivisione del lavoro (che prima avveniva dentro
la fabbrica taylorista, e poi nel decentramento globalista) e di successiva
‘ricomposizione totalizzante’: “la nuova fabbrica (che unifica ciò che prima è
stato diviso/individualizzato) è la rete/piattaforma;” vedi Uber, Foodora, ecc.
“che però, di nuovo, non è di chi la usa, ma proprietà di un capitalista,
quindi l’alienazione resta, anche se nascosta sotto il velo di un falso lavoro
autonomo o relazionale/orizzontale.”
“Quelli
che vengono definiti apocalittici sono piuttosto i responsabili, coloro che
guardano avanti e richiamano l’attenzione di tutti sui rischi che stiamo
correndo in termini di cambiamenti climatici e di disuguaglianze sociali
crescenti; i veri apocalittici semmai (nel senso che l’Apocalisse la producono
deliberatamente e nichilisticamente) sono i negazionisti dei mutamenti
climatici, i neoliberali che scrivono di capitale umano, i tecnofili sempre e
comunque e quel tecno-capitalismo che sfrutta anche i disastri ambientali
generati dalla irresponsabile volontà di potenza di tecnica e capitalismo, per
fare comunque profitti – è la shock economy secondo Naomi Klein – o chi boccia
ogni ipotesi di green new deal.”
L’avvertimento di
Ferraris sul rischio di criticare lo stato presente finendo per elogiare
l’ancient régime mi sembra condivisibile; per nulla condivisibile invece la
negazione dell’incremento recente delle disuguaglianze sociali, in particolare
a fronte di ricerche documentate, come quella di Piketty5,6 (ma
anche dell’evidenza empirica sui consumi di lusso ed invece di massa).
L’analisi di Demichelis
mi sembra invece molto fondata, riguardo alle nuove modalità del dominio
“Tecno-Capitalista”: vorrei però segnalare:
-
che anche nella fase
precedente, ad esempio quando Umberto Eco scriveva “Apocalittici o integrati” 7
(1964) era notevole il condizionamento del lavoratore-cittadino-utente (magari con
tali ambiti più separati) da parte del potere (capitalistico) attraverso le sue
strutture e sovrastrutture, tra cui i moderni mass-media, ma anche l’educazione
tradizionale e conformista (che la mia generazione ha fatto in tempo a subire
in quegli anni).
-
che le forme di
contro-potere conseguite dal movimento operaio, con i Consigli di Fabbrica e
con lo Statuto dei Lavoratori, benché rilevanti (soprattutto rispetto
all’attuale dominio assai meno contrastato del capitalismo finanziario remoto),
non hanno determinato in quegli anni uno stabile assetto di “impresa
democratizzata”, ma solo un temporaneo squilibrio, che le forze dominanti hanno
faticato a superare, in una dialettica aperta; dialettica che – in Italia – è
stata conclusa simbolicamente con lo scontro sulla FIAT del 1980, che ha
evidenziato dentro il movimento operaio da un lato errori delle avanguardie e dall’altro
sbandamento di massa 8.
A tale
sbandamento concorse e concorre a mio avviso non solo il condizionamento
alienante, alimentato dal sistema capitalistico (poco più tardi in particolare
con le televisioni commerciali, che erano e sono apparentemente “gratis”, come
gli attuali social-media, e che parimenti però ti ‘rubano l’anima’), ma anche
quel tanto di capitalismo (ovvero individualismo, egoismo, opportunismo,
edonismo) che nelle masse è interiorizzato (da tempi remoti, suggerisce
Ferraris), senza nemmeno essere “altro da se”.
SOCIALISMO REALE
Per
Ferraris gran parte degli obiettivi
del comunismo marxiano sono stati realizzati all’interno dello sviluppo
capitalistico, almeno in Occidente, “ossia dalla socializzazione del plusvalore
del capitale industriale attraverso la socialdemocrazia”.
Viceversa
il cosiddetto “socialismo reale” si è rivelato una tragedia, con aspetti di
comicità.
Per
Demichelis la proprietà pubblica dei
mezzi di produzione si è rivelata insufficiente “per avere magicamente una
società comunista (o di altra natura) se non si controlla anche e soprattutto
la forma tecnica di questo mezzo di produzione e i modi e le norme (e i
processi di normalizzazione sociale) con cui si sovrappone alla società e allo
stato)”.
Il racconto di
Ferraris, che correttamente rileva gli elementi di assorbimento dialettico
dell’opposizione operaia nella trasformazione del capitalismo (assorbimento meglio
descritto a mio avviso da Boltanski&Chiapello,9,10 assente nelle
pur ampie citazioni espresse da ambedue i dialoganti), finisce per nascondere
la sostanza degli attuali rapporti sociali e di produzione, in cui il
“Kapitale” continua a dominare estraendo plusvalore dal lavoro (in varie forme)
subordinato, ed accumulandolo.
AUTOMAZIONE
Per
Ferraris l’automazione è un processo
ineluttabile ed in parte anche auspicabile:
“…i
lavoratori, se per “lavoro” si intende la fatica e l’alienazione, sono una
minoranza in via di estinzione, almeno alle nostre latitudini. Vale la pena di
osservare che quando si tratta di parlare di fatica, ci si riduce a tre esempi:
i rider, i raccoglitori di pomodori e i magazzinieri di Amazon, tre funzioni
che saranno presto svolte dai droni. …. Questo è il futuro. L’altro è un passato in via
di sparizione. E non bisogna confonderli: nei primi tempi delle armi da fuoco
c’erano ancora gli alabardieri, ma presto sono scomparsi.”
Demichelis non risulta interessato
a misurare specificamente la velocità della transizione ad una produzione più
automatizzata, bensì ad evidenziare, nella innovazione dei modi di produrre e
distribuire, la continuità delle forme di dominio, che si estendono – in nome
della tecnica e della falsa libertà del consumatore – fino a “sussumere”
l’intera vita umana nel ciclo di controllo delle piattaforme e degli algoritmi.
La
“tecnica come mezzo neutro nella libera disposizione dell’uomo … non esiste
più. Oggi l’accrescimento della tecnica come apparato – così come del profitto
capitalista – sono il fine della società e dell’economia. E algoritmi che
imparano da soli, machine learning, internet delle cose, Panopticon 2.0,
ibridazione uomo-macchina invece del vecchio uomo appendice delle macchine
hanno completamente rovesciato il nostro rapporto con la tecnica…”
Sulla questione della
estinzione del lavoro ho già contestato Ferraris2, ricevendone una
corposa risposta3, che però non mi ha pienamente convinto; poiché
gli investimenti necessari per l’automazione sono ingenti, la convenienza delle
imprese a soppiantare il lavoro umano sarà lenta, progressiva e differenziata
nei territori, per cui continuo a ritenere ragionevole ipotizzare una fase di
transizione lunga e complessa; anche se le vicende umane vanno velocizzandosi,
vorrei rammentare che le armi da taglio (esempio le sciabole dei cavalieri o le
baionette dei fanti, ma anche il machete nelle guerriglie, fino al genocidio in
Ruanda -1994) hanno conservato un ruolo militare importante fino a ben dentro
al Novecento (simbolicamente fino alle inutili cariche della cavalleria polacca
contro i carri armati di Hitler nel 1939), cioè cinque secoli dopo l’introduzione
delle armi da fuoco: ben altro che alabardieri decorativi, tipo “Guardie
Svizzere del Vaticano”.
DIGITALIZZAZIONE E
DISINTERMEDIAZIONE
Ferraris:
“Il digitale non è minimamente disintermediazione. È una nuova mediazione,
una nuova dialettica, più sofisticata di quelle che l’hanno preceduta. E il
fastidio degli intellettuali per il web è una forma di luddismo: come, io,
il professionista della mediazione, superato da un algoritmo? Infatti, non
bisogna lasciarsi superare dagli algoritmi, bisogna far di meglio e pensare di
più. Se però partiamo da idee fuorvianti (per esempio quella del web come
disintermediazione, tanto cara alla Casaleggio e associati) temo che non
andremo troppo lontano.”
Demichelis: “…la disintermediazione
è solo apparente (anche nel capitalismo delle piattaforme) e … maschera una
diversa intermediazione. Più sofisticata? Certo meno percepibile. Che quindi
maschera meglio l’alienazione che riproduce in altre forme.
E’ questo forse l’unico
argomento del confronto in cui Ferraris e Demichelis di fatto concordano (a
spese del malcapitato Casaleggio…).
CONSUMISMO
Ferraris: “Nel momento in cui le
macchine si occupano della produzione, assolvendo la funzione che nel mondo
classico era assolta dagli schiavi (e questo spiega perché il mondo classico è
stato poco interessato all’automazione: non ne aveva bisogno) resta all’umanità
una sfera che può essere concettualizzata complessivamente come responsività, e
che si articola in invenzione, mobilitazione e consumo.”
L’invenzione
è riservata ai pochi che svolgeranno mansioni creative.
La
mobilitazione coinvolge tutti coloro che si connettono in rete (anche per
l’innato bisogno umano di un “riconoscimento sociale”) e consentono, con
l’estrazione dei dati, il funzionamento del sistema produttivo e distributivo.
Il
consumo – come da me riportato al
paragrafo Antropologia – costituisce una sorta di quintessenza
dell’umanità: “L’apporto umano consiste nel consumo, che è manifestazione di
bisogni e desideri, dunque anche nel conferimento di nuovi fini all’oggetto.
Cioè nella creazione di una teleologia che, ben lungi dall’essere soppressa, è
potenziata dalla tecnica. È vero in altri termini che la tecnica fornisce mezzi
e non fini, ma si trascura che la crescita dei mezzi comporta una
moltiplicazione dei fini, ossia una fioritura umana infinitamente più grande di
quella dettata dalla penuria.”
La
diversificazione individuale dei consumi è funzionale al sistema e quindi è
impensabile una automatizzazione dello stesso consumo.
Demichelis nega invece che il consumismo sia “il proprio
degli umani” : … “è appunto prodotto ([vedi Gunther] Anders e la pubblicità
come propaganda e come mansionario del lavoro di consumo, che è un lavoro di
incessante uccisione delle merci-feticcio perché siano sostituite velocemente
da altre merci-feticcio), per sostenere la produzione: via marketing e
pubblicità che sono, come ho detto, l’organizzazione scientifica del lavoro di
consumo.
E
se oggi si usano dopamina e algoritmi predittivi per spingerci a consumare –
ovvero il consumo è un’altra forma di eteronomia, cioè di alienazione, ciascuno
dovendo divenire altro da sé – mi diventa impossibile sostenere che il consumo
non è stato ancora automatizzato. … Se un algoritmo decide al posto mio…; dopo
l’automazione del lavoro stiamo avviandoci alla automazione del pensiero e
quindi alla massima alienazione intesa come divenire altro da sé….”
Ferraris parla di
consumo non automatizzabile, Demichelis di consumo alienato: mi sembrano
aspetti diversi ma conciliabili dello stesso (complesso) fenomeno sociale.
BIOSFERA
Per pregnanza degli
argomenti, su questo punto inverto l’ordine di presentazione tra i due
“dialoganti”.
Demichelis si preoccupa anche
dell’impatto del TecnoCapitalismo (e connesso consumismo) sulla biosfera “non
basta un po’ di economia circolare per risollevare le sorti del pianeta, ma
servirebbe modificare proprio quella logica del consumismo e dell’innovazione
tecnica a prescindere dalla sua utilità sociale che porta a distruggere per
produrre nuovamente; perché il tecno-capitalismo è incapace di concepire e di
attuare il concetto di limite e di responsabilità verso le future generazioni –
una forma di disumanità verso figli e nipoti; perché il tecno-capitalismo
violenta l’ambiente e perché violenti verso le future generazioni (ancora) sono
i negazionisti del cambiamento climatico e chi non si ribella a questo
meccanismo; siamo disumani perché non comprendiamo, tanto siamo infatuati di
tecnica, che la tecno-sfera confligge con la bio-sfera ed è illusorio pensare
di risolvere con più tecnica i problemi creati dalla tecnica”.
Ferraris affronta i temi
ambientali solo di rimbalzo: ”La devastazione dell’ambiente è una
caratteristica dell’umano, non del Capitale: l’Europa era coperta di boschi, e
dal neolitico in avanti gli umani si sono impegnati a disboscarla. … Pensa
invece a quante norme per la tutela dell’ambiente e della salute esistono oggi
e non c’erano un tempo. Quando eravamo bambini Londra era piena di smog e il
Tamigi era inquinatissimo. Ora non più. …È cresciuta la coscienza civile,
grazie a quell’enorme processo di capitalizzazione del sapere che è la scienza.
E se si sono presi dei provvedimenti non è stato per un urlo anticapitalistico,
ma per il costo sociale delle malattie. E se le norme sono state osservate, di
nuovo, non è stato per motivi estranei all’economia capitalistica:
semplicemente, i costi delle cause per danni alla salute e all’esistenza, e per
i danni ambientali, hanno obbligato le imprese a fare i conti in modo sistematico
con le normative ecologiche”.
Mi pare che per amore
del paradosso (o del capitalismo consumista opulento?) Ferraris si rifiuti di
confrontarsi con la scienza che misura il cambio climatico e la perdita di
biodiversità come caratteri fondamentali dell’odierno divenire del mondo (anche
se il Tamigi è meno inquinato di prima).
DIALETTICA
POLITICA E SOCIALE
Ferraris ben racconta la sfida
del Novecento tra Nazi-Fascismo, Comunismo e Capitalismo Socialdemocratico, con
l’alleanza vincente tra gli ultimi due e poi lo “spareggio”, la vittoria finale del
Capitalismo, però attuando molti obiettivi inziali del comunismo (del tutto
disattesi invece dalle esperienze del Socialismo Reale). Nella situazione
attuale invece Ferraris (ma uso parole mie):
-
esprime
poca preoccupazione per i movimenti
populisti, che vede come una democratizzazione del rapporto tra masse e leaders,
con questi costretti a inseguire la “volontà popolare” espressa da tweet e sondaggi,
-
manifesta
poca fiducia verso una sinistra
rimasta senza obiettivi centrali (in quanto già attuati con la “socializzazione
del capitale industriale”) e rimasta attardata su parole d’ordine superate
oppure di nicchia (i diritti civile
delle varie minoranze, i diritti degli animali, ecc.),
-
dedica
poca attenzione ai movimenti di massa
(femminismo, ambientalismo, ecc.), che ad ondate hanno comunque umanizzato il
capitalismo, cosicché viviamo oggi in un mondo sì imperfetto, ma almeno assai
avvertito ad esprimersi in modo politicamente corretto.
Demichelis parte dalle proprie
ricerche come “sociologo del lavoro” e ‘sussume’ in tali categorie concettuali
l’allargarsi delle forme di dominio e sfruttamento TecnoCapitaliste dal solo
lavoro all’intera vita; solo
marginalmente – in questo testo – affronta le tematiche relative alla lotta
politica, successiva alla (asserita)
“democratizzazione delle imprese” conquistata ai tempi dello Statuto dei
Lavoratori, giudicando i movimenti di massa di volta in volta come
“ri-assorbiti dal Capitale” (il 68 e dintorni), oppure sconfitti dalla
repressione del sistema (quando proprio non riesce a ri-assorbire, perché “ogni
pensiero davvero dissidente è sempre escluso e precluso”): no-global/Genova
2001, Occupy Wall Street. Mostra infine simpatie, ma non particolari speranze,
verso Fridays for Future.
Temo, in questo
paragrafo, di aver lasciato trasparire i miei commenti già nel modo di riassumere
le posizioni dei due “dialoganti”: per emendarmi ho “corsivato”, a posteriori,
le più evidenti manifestazioni del mio sentire.
Penso infatti che i
movimenti di emancipazione (ma anche purtroppo gli odierni populismi con derive
reazionarie) abbiano dinamiche proprie, non totalmente risolte dal potere
dominante che di volta involta li riassorbe o li reprime, né dai rapporti di
produzione (anche in senso lato).
E che quindi vadano
studiati per capirne i linguaggi, le ideologie e le logiche di aggregazione, come
riescano a far emergere quel tanto di anti-capitalismo (empatia, solidarismo,
egualitarismo) che pure è insito nella natura umana (se fossimo totalmente
“alienati” ed eterodiretti, nessuna aternativa sarebbe possibile, come già
sostengono i neo-liberisti).
E per comprendere pertanto
come certe sconfitte ‘se le vadano a cercare’ (ad esempio forzando verso lo
scontro esemplare 8 – FIAT 1980, Genova 2001 - anziché coltivare il
faticoso e lento sviluppo del lavoro politico tra le anfibie masse) oppure
conseguano certe vittorie “carsicamente” ed anche post-mortem, come è accaduto
per alcune rivendicazioni del ’68 o per il femminismo.
CHE FARE?
Per
Ferraris è chiaro il compito cui
sono chiamati gli intellettuali: convincere la sinistra (lasciando in
sottordine i diritti civili e le vecchie rivendicazioni laburiste, ormai
conseguite, almeno in Occidente) a riconquistare il consenso delle masse
“opportuniste” (e quindi il controllo sui poteri statali) con l’obiettivo –
tramite contrattazione e legislazione - di farsi pagare dalle Web-Companies
l’attività di “mobilitazione”, socializzando quindi il “capitalismo
documediale” a partire propriamente dalla ridistribuzione del valore economico
dei “dati” che vengono estratti agli utenti.
Per Demichelis occorre promuovere la
consapevolezza critica sui rapporti di sfruttamento ed alienazione che sotto il
Tecno-Capitalismo pervadono la vita odierna per tutti i
cittadini-lavoratori-consumatori: solo da questo nocciolo di pensiero eretico e
dissidente è possibile sviluppare percorsi di dialogo e di resistenza, in
particolare sui fronti della biosfera, delle generazioni future, delle
diversità culturali.
Quanto
alla retribuzione dei dati che vengono estratti dai nostri consumi, Demichelis
opta per vietare la profilazione degli utenti a fini privati, accettandola solo
nelle mani pubbliche ed in funzione della pubblica utilità /sanità, trasporti,
previdenza). “… se ci identifichiamo con il sistema, tanto da lavorare
gratuitamente per esso, vuol dire che massima è ormai la nostra alienazione con
questo sistema (identificazione/identità con qualcosa significa alienazione da
sé …). Questo nuovo lavoro gratuito e volontario deve essere retribuito? Piuttosto
che gratuito, sì; ma, ribadisco, è un lavoro che deve essere vietato (così come
è stato vietato il lavoro degli schiavi e dei bambini), altrimenti permetteremo
al tecno-capitalismo di completare la sua azione di pianificazione
(neoliberale) e di trasformazione/sussunzione/ibridazione della vita umana nel
mercato e nella competizione di tutti contro tutti. Non vedo altro modo per
restare umani che vietare questo lavoro.”
Sul “che fare” confesso di stare dalla parte di
Demichelis, senza se e senza ma (malgrado alcuni dubbi sulle precedenti
analisi).
Auspicando che quel che
resta della sinistra ed i nuovi movimenti sappiano farsi carico dei problemi
del post-lavoro, ma anche del lavoro che persiste, e prevenire l’annunciato
disastro ambientale.
Fonti:
1.
Maurizio
Ferraris e Lelio Demichelis - ALIENATI O IMBECILLI? PROVE DI DIALOGO SU TECNICA
E UMANITÀ (MA ANCHE SU DESTRA E SINISTRA) – maggio-giugno 2019 https://www.agendadigitale.eu/tag/ferraris/
2.
Aldo
Vecchi - DIBATTITO SUL “CAPITALISMO DOCUMEDIALE” – su UTOPIA21 del marzo 2019 –
https://drive.google.com/file/d/19spZJ70tWdIegwm7nDD4hJGJvTA0oU8M/view.
3. Maurizio
Ferraris - IL CAPITALISMO DOCUMEDIALE - su UTOPIA21 del maggio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1zvydYKwaceoozsoQjWOJTAUffaSJ4dmD/view
4. Fulvio
Fagiani - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON LELIO DEMICHELIS SULL’ALIENAZIONE - su
UTOPIA21 del gennaio 2019 – https://drive.google.com/file/d/1YDHb0asJXGgCNsWV2p5EmwASOmYTvFfg/view.
5. Thomas
Piketty - IL CAPITALE NEL XXI SECOLO” – Bompiani, Milano 2014
6.
Aldo
Vecchi - PIKETTY: IL CAPITALE NEL XXI SECOLO (E PRECEDENTI) - su UTOPIA21 del novembre
2017 – https://drive.google.com/file/d/1N-8cYVuTAiCes4_S2UV9pBxm0f20SbMH/view.
7.
Umberto
Eco – APOCALITTICI O INTEGRATI – Bompiani, Milano 1964
8.
Anna
Maria Vailati e Aldo Vecchi – SESSANTOTTO - su UTOPIA21 del maggio 2018 - https://drive.google.com/file/d/19F8htY0me_Mfsd4CcFhXha7piLEq3BL_/view.
UNA MIA POSTILLA AL
DIALOGO
di Fulvio Fagiani
Il
dialogo tra Maurizio Ferraris e Lelio Demichelis pubblicato su ‘Agenda
digitale’ è molto ampio e Aldo Vecchi ne riassume bene i temi e le
argomentazioni essenziali e ad esse non aggiungerò nulla.
Mi
preme invece, anche alla luce degli interventi di Ferraris e Demichelis al
Festival dell’Utopia 2019, soffermarmi su alcuni singoli punti.
La devastazione
dell’ambiente e l’Antropocene – Ho a lungo commentato i diversi orientamenti
riguardanti la data d’inizio dell’Antropocene1 dove si segnalano due
correnti di pensiero: la prima, prevalentemente di studiosi di discipline
umanistiche, che lo spalma lungo tutta la storia dell’umanità sostenendo, come
Ferrrais, che “La devastazione dell’ambiente è una caratteristica dell’umano” e
la sua nascita la si può far risalire alla comparsa stessa della nostra specie,
la seconda, prevalentemente di studiosi di discipline scientifiche, che la ricollega
invece ad un evento ben preciso, la ‘Great acceleration’, ben rappresentata da
due celebri serie di grafici che riproduco in figura 1 e 2.
La
prima serie riproduce l’andamento di alcune grandezze globali di natura
socio-economica (popolazione, PIL, investimenti diretti, popolazione urbana,
consumo di energia primaria, consumo di fertilizzanti, grandi dighe, consumo di
acqua, produzione di carta, trasporti, telecomunicazioni e turismo
internazionale), la seconda di grandezze ambientali (concentrazioni
atmosferiche di diossido di carbonio, perossido d’azoto, metano, ozono
stratosferico, temperatura superficiale, acidificazione degli oceani, pesca in
mare, acquacoltura di gamberetti, azoto nelle zone costiere, perdita di foreste
tropicali, terre addomesticate, degrado della biosfera terrestre) dal 1750 ad
oggi.
In
una generale tendenza al rialzo, si nota però un momento di accelerazione di
tutte le curve collocata intorno al 1950. E’ questo il periodo della ‘Grande
Accelerazione’ in cui la crescita economica ha un’impennata che si traduce in
accelerazione del degrado ambientale.
In
questo momento preciso, intorno al 1950, viene correttamente collocato l’inizio
dell’Antropocene.
Perché
proprio allora? Perché da quel momento le tendenze socio-economiche non si
limitano ad alterare la biosfera, com’era sempre avvenuto nel passato, ma
superano alcuni dei ‘confini planetari’3, cioè il limite di alcuni
processi biofisici cruciali per la stabilità del Sistema Terra.
Il
concetto di Antropocene serve proprio per segnalare una discontinuità tra un
prima, la stabilità del Sistema, ed un dopo, l’instabilità.
E’
questa rottura che apre un nuovo capitolo nella storia dell’umanità e che va
concettualizzato in modo corrispondente. Se unito all’insostenibilità sociale,
di cui sono manifestazioni le enormi disuguaglianze di ricchezza, reddito e
opportunità, la povertà assoluta di quasi un miliardo di persone, le privazioni
di cui ancora soffre una consistente parte dell’umanità, la rottura ambientale
designa una doppia necessità: garantire la soddisfazione di un limite minimo di
bisogni essenziali ad ogni essere umano, il pavimento di figura 3, rimanendo
entro i limiti definiti dai confini planetari, il soffitto di figura 3.
Figura 1 - Le tendenze di alcune grandezze socio-economiche
dal 1750 ad oggi –
Tratto sa Steffen2.
Figura 2 - Le tendenze di alcune grandezze relative al
Sistema Terra dal 1750 ad oggi –
Tratto sa Steffen2.
Figura 3 – Lo spazio ambientale tra il pavimento sociale e
il soffitto ambientale –
Tratto da Spangemberg4.
Questa
è la condizione cui deve sottostare ogni sistema socio-economico sostenibile.
Questa
condizione, altrimenti definita lo Spazio Operativo Sicuro, ne comporta
un’altra, discussa in molti articoli di UTOPIA215,6,7,8 che limita
lo spazio per la crescita economica.
In
questo senso le due affermazioni di Ferraris “la propensione al consumismo non
può essere imputata al recente sviluppo capitalistico” e “il capitale, come
tendenza all’accumulo, sia coestensivo con la tecnica e con l’umano, e dunque
qualcosa che non può essere superato, ma solo indirizzato”, si scontrano con
un’evidenza contraria: il sistema capitalistico, almeno nelle configurazioni in
cui l’abbiamo conosciuto finora, è intrinsecamente
un sistema per la crescita e si scontra dunque con il ‘soffitto’ dei confini
planetari.
Questa
è ciò che molta parte degli studiosi di sostenibilità esprime con il concetto
di necessità di cambiamenti ‘trasformativi’ in opposizione ai ‘cambiamenti
incrementali’, essendo i primi il ‘superamento’ ed i secondi il semplice
‘indirizzamento’ del sistema capitalistico.
Da
cui discende che ogni proposta, come quella del ‘docu-capitalismo’, va comunque
inserita nello spazio operativo sicuro tra pavimento e soffitto e tener conto
della necessità di stabilizzare produzione e consumo globali in rapporto ai
confini planetari, cosa che è molto dubbio possa fare il capitalismo.
Il lavoro – Al rapporto del lavoro con automazione e
digitalizzazione ho dedicato già numerosi articoli9,10,11, qui mi
preme sottolineare come il lavoro non debba essere considerato solo fonte di
reddito, ma anche di identità e di inserimento sociale.
Per
quest’ultimo valore rimando alle belle pagine di Luigino Bruni, che
sottolineano come il lavoro sia l’occasione per sperimentare la cooperazione e
l’interazione con altri uomini in organizzazioni complesse, e quindi siano una
forma insostituibile per essere parte della società moderna.
Aggiungo
che il lavoro è anche strumento di conoscenza delle forme della produzione
sociale, e quindi solo grazie a questa conoscenza è possibile a larghe masse di
appropriarsi del sapere sociale e poter essere quindi soggetti della trasformazione.
Al contrario, un mondo suddiviso in pochi produttori e una moltitudine di
consumatori sarebbe dominato da quei pochi che padroneggiano i meccanismi
essenziali di funzionamento del sistema, e gli altri sarebbero dipendenti dal
’panem et circenses’ elargiti benevolmente dai dominatori.
Una
prefigurazione di questa gerarchizzazione del mondo del lavoro è già oggi
leggibile nell’organizzazione delle piattaforme digitali11, dove la
segmentazione del lavoro e del consumo mostra tutte le sue distopie.
Un’altra
esemplificazione degli effetti della segregazione delle conoscenze in piccole
cerchie ristrette è data dal mondo della finanza, oggi attore primario sullo
scenario dell’economia globale, custode di segreti negati ai più, teatro di
appropriazioni e transazioni quanto mai opache, sottrattore e redistributore
verso l’alto di risorse chiave.
Queste
avvertenze comportano che il lavoro socialmente necessario rimasto dopo che
l’automazione esperirà i suoi effetti, andrà redistribuito con attenzione, non
solo secondo considerazioni economiche, ma soprattutto di natura democratica, perché
i meccanismi fondamentali di formazione, applicazione e diffusione della
conoscenza e di funzionamento organizzativo del sistema siano a disponibili a
molti.
Infine
un’ultima annotazione circa l’entità della sfida, su
cui sono tornato più volte, ultimamente nel “dibattito” di settembre sulle tesi di Bertaglia
in13.
Viviamo
una condizione di “dislivello prometeico”, come sostiene Onofrio Romano nel
libro14 recensito in questo numero, un dislivello tra complessità
organizzata e capacità di comprensione e guida, che richiede uno straordinario
sforzo di interazione e dialogo tra le diverse discipline, sia di matrice
umanistica che scientifica, e delle diverse chiavi di lettura, con spirito di
ascolto ed apertura, di reciproco apprendimento e insegnamento.
Uno
sforzo cui affidiamo il nostro modesto contributo con le rubriche ‘Il
dibattito’ e con articoli e testi nei prossimi numeri di UTOPIA21, invitando eventuali
altri interlocutori, a partire dai due dialoganti Maurizio Ferraris e Lelio
Demichelis.
fulviofagiani@libero.it
Fonti.
1.
Fulvio
Fagiani – ANTROPOCENE, SCENARI DALL’ALTO E DAL BASSO, BUONI SEMI – Pubblicato
sul numero di luglio 2019 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/146O1DJSrxxA2BxZjCd5gw3Dtdm2beh9C/view.
2. Will Steffen a altri - THE ANTHROPOCENE: CONCEPTUAL AND HISTORICAL
PERSPECTIVES -https://royalsocietypublishing.org/doi/pdf/10.1098/rsta.2010.0327 – Pubblicato nel 2015.
3. Will Steffen e altri - PLANETARY BOUNDARIES: GUIDING HUMAN DEVELOPMENT ON A
CHANGING PLANET - https://science.sciencemag.org/content/347/6223/1259855/tab-pdf - Pubblicato nel 2015.
4. Joachim Spangenberg – Institutional change for strong
sustainable consumption: sustainable consumption and the degrowth economy - https://edisciplinas.usp.br/pluginfile.php/2292296/mod_folder/content/0/Spangenberg%20-%20Institutional%20change%20for%20strong%20sustainable%20consumption.pdf?forcedownload=1
– Pubblicato nel 2014
5.
Quaderno
n.6 – Fulvio Fagiani, CRESCITA O DECRESCITA - https://drive.google.com/file/d/1Lo2eWnqu_Ge_aR-A81Ln2BudLUPdcu7l/view.
6.
Fulvio
Fagiani – ECONOMIE DELLA SOSTENIBILITA’ – Pubblicato sul numero di novembre
2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/15hBevvBH0Te2u_daJbQimv-4HsE_JUSc/view.
7.
Fulvio
Fagiani – E’ POSSIBILE LA CRESCITA VERDE? – Pubblicato nel numero di settembre
2019 - https://drive.google.com/file/d/1KnByzV4PBztndSdcp6MGTH-aVErqFoFV/view.
8.
Fulvio
Fagiani – REALTA’ E FATTIBILITA’ DELLA DECRESCITA – Pubblicatosul numero di
settembre 2019 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1uMaTOQ3dT4y-FK5gZnnPXpPhk40WkziS/view
9.
Fulvio
Fagiani – IL FUTURO DEL LAVORO TRA AUTOMAZIONE E PIATTAFORME – PARTE 1a -
Pubblicato sul numero di gennaio 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1GH2nkxOUNjBT0u9bJJ-DraZOAJCPlNdt/view.
10. Fulvio Fagiani – IL FUTURO
DEL LAVORO TRA AUTOMAZIONE E PIATTAFORME – PARTE 2a - Pubblicato sul numero di
marzo 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1yJ3RqbEGqK4tIi2-evW3aWBffuxmvGAa/view.
11. Fulvio Fagiani – LE
PIATTAFORME COME MODELLO D’IMPRESA - Pubblicato sul numero di luglio 2018 di
UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1rK2ubS1-2k8PWB7VDLobTYqaDtGzwO-5/view.
12. Luigino Bruni –
CAPITALISMO INFELICE. VITA UMANA E RELIGIONE DEL PROFITTO – Bologna, Il Mulino
2015.
13. Aldo Vecchi, Fulvio
Fagiani – DIBATTITO SULLA TRANSIZIONE ALLA SOSTENIBILITA’ – Pubblicato sul
numero di settembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1AJGU5Fu41ghN4TBb3dLYTRCEkbPIbYZk/view.
14. Onofrio Romano – LA
LIBERTA’ VERTICALE – Meltemi editore, Sesto San Giovanni (MI), 2019.
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