Una recensione
impropria, che riassume brevemente il testo “Ordine e disordine nella città
contemporanea” 1 e sviluppa piuttosto i pensieri indotti da questo
testo, molto stimolante ma per l’appunto assai discutibile.
Sommario:
- l’articolazione e i
contenuti del testo (anche citando altrui recensioni)
- la dialettica tra
ordine e disordine, alternativamente poli negativi o positivi, e la perorazione
finale in difesa della pianificazione
- mie critiche alla perorazione: poco coraggiosa, poco
aggiornata (o fiduciosa), poco lungimirante
- mie critiche puntuali a taluni elementi di analisi
- sul florilegio di citazioni
(in corsivo le parti
più personali)
L’Autore del testo:
Francesco Indovina (1933), giurista ed economista, già docente di
Pianificazione Territoriale presso lo IUAV (Venezia) ed ancora docente ad Alghero,
già direttore della rivista "Archivio di studi urbani e
regionali", con un passato politico dallo PSI allo PSIUP e poi al
Manifesto
Il tema mi è sembrato
assai stimolante, soprattutto per chi – come me – ha ricoperto il ruolo di
funzionario pubblico, e quindi anche di sistematica applicazione delle norme
(norme che in parte ha anche contribuito a definire), avendo alle spalle una
giovinezza talora “rivoluzionaria”, e quindi in parte di critica e di
violazione di alcune norme, ritenute ingiuste (propensione alla critica per
altro sviluppata anche in età matura).
L’ARTICOLAZIONE E I
CONTENUTI DEL TESTO (ANCHE CITANDO ALTRUI RECENSIONI)
Come
ha scritto l’urbanista e accademica Patrizia Gabellini 2 “La formula
scelta da Indovina è di scandire il discorso in tre parti e due intermezzi: la
prima parte dedicata all'Ordine come concepito e perseguito dagli urbanisti nel
tempo lungo; la seconda dedicata al Disordine come esito di processi
socio-economici; la terza all'Azione, ovvero al modo di porsi dell'autore
stesso di fronte al tema sollevato. I due intermezzi sono costituiti da
altrettanti ‘florilegi’ (successioni di citazioni: 32 nel primo e 10 nel
secondo florilegio), elegante modo per accostare liberamente ‘fiore’ a ‘fiore’
con grande libertà interpretativa (libertà dichiarata).”
Come
ha meglio dettagliato il geografo (e politico) catalano Oriol Nel.lo 3
“Indovina sviluppa il suo saggio, come impongono i canoni della dialettica, in
tre capitoli.
Dedica
il primo alla volontà di ordine urbanistico e alle sue concretizzazioni nel
corso della
storia
della città contemporanea: da Ebenezer Howard e Le Corbusier all'urbanistica
riformista italiana della fine del secolo scorso.
Il
secondo capitolo, invece, si concentra sul disordine urbano, le sue cause e le
sue conseguenze sulla funzionalità e l'equità della città.
L'epilogo
costituisce invece la rivendicazione di una diversa urbanistica: ovvero quella che,
senza rinunciare all'aspirazione di raggiungere forme di ordine urbano più
giuste, efficienti e sostenibili, è consapevole dell'impossibilità (e
dell'inopportunità) di cancellare i conflitti. Il superamento della
contrapposizione tra ordine e disordine si deve dunque raggiungere, per
Indovina, non con una chimerica imposizione assoluta di uno stato sull'altro,
bensì mediante un costante governo delle trasformazioni economiche, sociali e
urbane.”
LA DIALETTICA TRA
ORDINE E DISORDINE, ALTERNATIVAMENTE POLI NEGATIVI O POSITIVI, E LA PERORAZIONE FINALE IN DIFESA DELLA PIANIFICAZIONE
In
diverse parti del testo, infatti, Indovina esplicita la complessa dialettica
tra l’ordine ed il disordine (urbani), esplicitando
la possibilità che una condizione di ordine possa essere ingiusta (perché
conserva i privilegi di alcuni, ad esempio nella distribuzione delle proprietà
fondiarie) e opportunamente messa in crisi da nascenti spinte al disordine, e
viceversa che sia invece il disordine a privilegiare interessi di parte a danno
di un vigente ordine che tutela i più deboli (ad esempio una occupazione abusiva
di uno spazio pubblico); evidenziando sempre le corrispondenze non univoche tra
potere politico/potere economico/struttura sociale ed assetti urbani.
In particolare, nella trasformazione
irrisolta tra “città moderna” e “città contemporanea”, Indovina vede la prima
“caratterizzata da contrasti sociali ed economici … spesso piazza di
conflitti…” come “un mix variegato e ricco, talvolta esplosivo”, mentre la
seconda “con la sua rafforzata tendenza alla polarizzazione, accompagnata dalla
frammentazione sociale …. appare costituita da strati sociali non comunicanti
neanche conflittualmente …. determinando un contesto generale di insicurezza…”
Ma
nell’insieme l’Autore, pur esprimendo comprensione e simpatia per le “pratiche
sociali”, legali e talvolta illegali, che rimettono in discussione i canoni
consolidati e che caratterizzano la città come ambiente vitale e vivace, propone
infine una apologia della pianificazione, pianificazione che però andrebbe emendata
da talune distorsioni ed errori (al livello politico, a quello tecnico ed a
quello amministrativo), e riproposta in modo adeguato per affrontare le
problematiche della ”città contemporanea”, quali ad esempio l’adattamento
climatico, l’immigrazione, la sicurezza, i divari generazionali, ecc. (riassumo
i principali tra i 9 “temi emergenti” del capitolo 4 della 3^ parte).
(Il tutto comunque in
un’ottica eurocentrica o addirittura “all'interno del perimetro della
dimensione nazionale”, come osserva criticamente anche lo studioso e
pianificatore ‘terzo-mondista’ Marcello Balbo 4, richiamando nella
sua recensione le diverse tendenze delle città e delle megalopoli degli altri
continenti).
MIE CRITICHE ALLA PERORAZIONE: POCO CORAGGIOSA, POCO
AGGIORNATA (O FIDUCIOSA), POCO LUNGIMIRANTE
A parte le specifiche
divergenze di analisi che mi permetterò di evidenziare nella seconda parte di
questa recensione, la sommessa perorazione di Indovina in difesa della
pianificazione, posizione che pure condivido nei suoi sommi capi, non mi
convince essenzialmente per i seguenti motivi:
-
perché mi sembra poco
coraggiosa, e non adeguata alle sfide che attendono l’umanità [A]:
l’argomento del mutamento climatico ed ambientale è affrontato da Indovina solo
a pag. 182 e seguenti (quasi alla fine del libro), e limitatamente ai problemi
di adattamento degli organismi urbani ai possibili “eventi estremi”, mentre a
mio avviso i rischi di estinzione delle condizioni di vita in larga parte del
Pianeta, connessi al cambio climatico,
comportano un nuovo grande criterio di “ordine” nell’intero ciclo della
gestione del territorio, in tutti gli aspetti produttivi ed insediativi della
vita umana, in territori dove si fatica a distinguere tra “città” e “campagna”,
con una necessaria ed inedita preponderanza del momento collettivo (eguaglianza
e fraternità) rispetto al momento individuale (senza totalitarismi, alcune
libertà andranno necessariamente compresse, a partire dalla “libertà di
inquinare”);
-
Perché mi sembra poco
aggiornata (o poco fiduciosa) su recenti elementi positivi della legislazione
europea e nazionale, quali l’obbligo di sviluppare serie forme di
partecipazione popolare nelle procedure di formazione di quasi tutte le forme
di pianificazione paesaggistica, territoriale ed urbana (nonché delle principali opere pubbliche)
attraverso le Valutazioni Ambientali Strategiche e la Valutazioni di Impatto
Ambientale (con le dovute “sintesi non-tecniche”).
Tale obbligo (spesso purtroppo ridotto a mero adempimento
burocratico) non può colmare “d’ufficio” lo scollamento tra cittadini ed
istituzioni, ma almeno vale la pena di provarci: con la necessaria umiltà con
cui il “sapere tecnico” ed il “potere
politico” (ed il sotto-potere amministrativo), trovando nuove forme di
comunicazione (argomento questo abbozzato correttamente anche da Indovina),
devono riguadagnare la necessaria
credibilità presso “il popolo sovrano”; anche affinché cessi di essere un
“popolo sovranista”, oscillante tra l’invettiva e la delega in bianco ai
demagoghi ed agli aspiranti ”uomini forti”.
-
Perché mi sembra poco
aperta ad innovazioni radicali (che coinvolgano i legislatori) in direzione di
una maggior efficacia sociale ed ambientale della pianificazione (intesa come
azione complessiva di enti locali opportunamente riformati) e al tempo stesso
di una concentrazione degli sforzi sugli obiettivi prioritari (suolo, aria,
acque, cibo, biodiversità, lavoro…..), monitorando i risultati parziali e
mantenendo flessibili gli strumenti; l’Autore ci rammenta nel finale che la
pianificazione “non può modificare la struttura sociale… non può evitare le
discriminazioni e le sperequazioni prodotte dal sistema sociale”, e ciò è
senz’altro vero per i tradizionali piani urbanistici [B]
, ma mi sembra una moderata utopia ipotizzare che, per esempio, – pur
nell’ambito del vigente sistema capitalistico – il potere locale (opportunamente
potenziato) possa progettare, in tutt’uno, l’adeguamento della rete dei servizi
scolastici sia come spazi fisici che come servizi alle famiglie, allocando le
risorse necessarie per i bisogni formativi delle varie fasce di età e le varie
componenti etniche e sociali di un territorio (a partire dalle ‘periferie’);
analoghi esempi si possono ipotizzare integrando piani della mobilità con le
politiche tariffarie e con la fiscalità sull’auto, oppure gli interventi sulle
abitazioni sociali con le politiche attive per il lavoro (come per altro già si
fa in alcune parti d’Europa e anche di Italia).
MIE CRITICHE PUNTUALI A TALUNI ELEMENTI DI ANALISI
Colgo inoltre pretesto
dal libro di Indovina, per puntualizzare, in contradditorio, alcune sue valutazioni
analitiche:
-
CITTA’ ANTICA: pur non
essendo un vero e proprio trattato storico, il testo di Indovina introduce la
dinamica tra “città moderna” e “città contemporanea” sullo sfondo di una
introduzione storica, risalendo a Ippodamo [C]
ed a Vitruvio, dando sostanzialmente per scontato che nella città “antica” le
trasformazioni fossero molto lente e stazionarie: criterio che a mio avviso
sottovaluta la enorme instabilità data innanzitutto da pestilenze, guerre,
invasioni e saccheggi e poi di frequente comunque dalle componenti sociali: si
pensi ai disordini ed anche agli “ordini” religiosi dal medioevo alle riforme
protestanti; ma anche ad alcune fasi straordinarie di rapida innovazione
urbana, come la Roma di Nerone e poi quella degli Imperatori Flavii.
-
ESEMPI DI “ORDINE”: le
esemplificazioni su cui l’Autore si sofferma sono la “addizione” di Ferrara Estense (Rossetti), la
ricostruzione di Lisbona Illuminista (Pombal) e la ristrutturazione di Parigi
Ottocentesca (Haussmann), che hanno in comune sia l’intervento su organismi
urbani esistenti, sia la determinazione solo parziale delle forme
architettoniche da realizzare, e quindi (opportunamente) assomigliano
abbastanza ai compiti dell’urbanistica contemporanea, quasi sempre condizionata
(anche in bene) dalle preesistenze e dalle permanenze. Ciò limita (forse
utilmente) la riflessione alla perenne tensione tra un possibile ordine
progettuale ed un certo disordine comunque preesistente; tale rassegna non contempla
quindi, volutamente, i tentativi storici di impostazione di un “ordine urbano
totale” (almeno fisico, e con la presunzione di domare le diversità della
sottostante natura e quella della fluttuante società) che è invece tipico delle
“città di fondazione”, di diverse epoche, talune delle quali sono state anche
completate e sono rimaste poi così
invariate nei secoli successivi [D].
Casi limite che però potrebbero arricchire le verifiche sulle modalità
dell’insorgere del “disordine”, sia nei modi di uso dei manufatti edilizi che
nella loro trasformazione.
Figura 1 – la cittadina
di Richelieu (1800 abitanti), Indre et Loire, Francia
-
STATICITA’ DELLA
CAMPAGNA: parimenti, in antitesi all’effervescenza della città, dove molte
scelte di uso del suolo sono sempre possibili, l’Autore enfatizza la staticità
della campagna, dove le scelte colturali (e quindi anche quelle insediative)
sono in gran parte determinate da oggettive condizioni geografiche e
geo-pedologiche: mi sembra errato trascurare la continua mutevolezza del suolo
agricolo, in quanto comunque “naturale”, e le interazioni, anche rapide, tra
eventi atmosferici/evoluzioni colturali/andamenti di mercato/eventi
socio-politici (si pensi alla varie carestie, alla peronospera ed alla
fillossera, alla Peste Nera; a disboscamenti, bonifiche ed opere irrigue, ed ai
fenomeni opposti; ma anche all’introduzione in Europa dei vegetali provenienti
dall’Oriente, dal riso alla filiera della seta e dalle Americhe, dal pomodoro
alla patata).
-
ORDINI ESPLICITI ED
ORDINI IMPLICITI: mi pare che il testo si occupi soprattutto dell’ordine urbano
in quanto definito dai Piani o comunque dagli ordinamenti, mentre sarebbe
interessante allargare la riflessione anche a quel livello primario di
regolazione della convivenza civile (e quindi anche edilizia ed urbana) che sta
a monte delle norme formalizzate.
Penso agli “usi e consuetudini” interiorizzati dagli individui,
fino ad un certo grado di sviluppo della complessità sociale, nell’ambito di
società molto coese (ed anche repressive, anche se non necessariamente
autoritarie), non solo primitive, ma anche ad esempio nei nostri territori montani,
dai villaggi Walser ai masi Tirolesi. L’ordine “spontaneo” di cui tratta
mirabilmente Gianfranco Caniggia(&C) 5, e che tende ad
estinguersi con lo sviluppo della stessa auto-coscienza progettuale, con la
divisione sociale del lavoro, ed in particolare con il mercato capitalistico.
Figura 2 – Abaco
sui modelli di formazione del tessuto
urbano, da Caniggia&Maffei, “Lettura dell’edilizia di base”- 1979
Ritengo sia utile valutare se alla radice della società e
dei suoi conflitti non vi sia solo il disordine spontaneo ed egoista, con la
necessità di un ordine che si impone da sopra e “dall’esterno” (salvo la
miracolosa ricomposizione spontanea nel mercato, in cui credono tuttora molti –
troppi? - seguaci di Adam Smith), ma anche qualche traccia di un ordine
intrinseco all’essere sociale dell’umanità: probabilmente diverso da luogo a
luogo e da tempo in tempo (motivo per cui è oggi appare più facile fare
urbanistica in Svizzera che non in Sicilia; ai tempi di Ippodamo forse era vero
il contrario).
-
EMANCIPAZIONE
INTERROTTA? – in una nota, ma senza sviluppare ulteriormente il concetto,
Indovina riporta un importante affermazione di Rodotà sulla dialettica
ordine/disordine nel campo del diritto e lungo l’evoluzione della società a
partire dall’ “ancient régime”: “…la conquista del diritto di territori prima
affidati unicamente alla regola religiosa o all’imperativo etico o alla
conformità sociale o al dato naturalistico …. costituiva… una forma di
liberazione da regole costrittive che, proprio perché imposte da entità
astratte … non erano modificabili con un atto della volontà. La legge, invece,
come opera consapevole dell’uomo, rimane nella sua disponibilità…”
Che rapporto c’è tra questa fiducia illuministica in una
progressiva laicizzazione e razionalizzazione dell’Ordine Giuridico (e perciò
sociale ed istituzionale) e la realtà odierna di crisi della democrazia e di
disordine ‘non polarizzato’, che Indovina tratteggia (senza approfondirla) come
connotato tipico della città contemporanea (e della difficoltà di governarla)?
Nel testo si trova qualche accenno a Zagrebelsky e ad
Urbinati, ad altri autori stranieri e – un po’ malvolentieri – a Bauman, ma mi
sembra manchi una adeguata trattazione di tale problematica di grande attualità
(che nel nostro piccolo di Utopia21 abbiamo cercato di affrontare sotto
l’impreciso nome di ‘populismo’).
Con il rischio di brancolare un po’ acciecati nel difficile
scenario della contemporaneità.
-
MORTE DEL LAVORO – Nel
descrivere la città contemporanea e le tendenze in atto, pur in un quadro
dialettico riguardo alla trasformazione dalla città “moderna”, l’Autore mi
sembra indulgere eccessivamente in favore dell’ipotesi della prossima
estinzione del lavoro [E]
“Il capitale finanziario non sembra aver bisogno di masse di operai da
sfruttare, … ma soltanto di algoritmi intelligenti… Le produzioni materiali,
che continuano ad esserci, non sono più significative rispetto all’intera
valorizzazione del capitale…. La fabbrica senza operai è una prospettiva non
più teorica….le città … non sono più la sede della grande concentrazione di
lavoro e capitale (fatta eccezione di alcuni paesi, che diventano
tendenzialmente i produttori mondiali)…”
A parte la condivisibile e pesante parentesi, che in realtà
include gran parte del mondo (vedi sopra la critica di Balbo), mi permetterei
di affermare che
a) – anche per il domani – la produzione materiale resterà
comunque passaggio determinante per la valorizzazione delle merci (ma anche di
molti prodotti ‘immateriali’), perché senza di esse tali merci (e anche molti
prodotti ‘immateriali’) nemmeno sussistono: i moderni operai, ridotti di numero
e trasformati nella qualità (o nascosti nelle cantine del quarto mondo), più o
meno pagati, restano necessari per produrre, far funzionare e manutenere tutte
le macchine automatiche del nuovo capitalismo
b) – almeno per l’oggi – non è vero che la produzione
materiale è stata espulsa dalla città, ma solo dalle sue aree centrali o
neo-centrali: prendendo ad esempio Milano (fenomeno urbano che a mio avviso non
finisce al confine comunale con Bresso e con Cormano, ma spesso travalica il
confine amministrativo della stessa “città metropolitana”), malgrado la
globalizzazione ed il decentramento produttivo, la “città” continua a contenere
rilevanti attività manifatturiere, anche se disperse nel territorio
metropolitano, perché non esistono più le grandi fabbriche del Novecento, ma
esiste ancora una miriade di piccole fabbriche.
Ho apprezzato invece la lettura pluralista che Indovina
propone per i fenomeni di segregazione sociale, specifici della città
contemporanea (pur con il dovuto richiamo a Saskia Sassens 6), e
però differenziati da luogo a luogo, con la permanenza in Italia ed in Europa
di una consistente libertà di movimento – ad esempio – dei giovani di diversi
ceti sociali nelle aree centrali pedonalizzate (il fenomeno della movida), e conseguente
promiscuità delle offerte di consumo (ad esempio a Milano il negozio a prezzi
popolari di HM a fianco della più
esclusiva Rinascente); aree da cui però ovviamente i ceti subalterni rimangono
esclusi quando si tratta del ‘dove abitare’.
SUL FLORILEGIO DI CITAZIONI
Quanto ai florilegi di
citazioni che – come giustamente rileva Nel.lo “offrono una panoramica
particolarmente suggestiva che delizierà il lettore” – mi permetto però di
osservare che – terminato il piacere letterario, e accettando (e forse
apprezzando, perché li conosco) la prevalenza di autori italiani (come
censurato invece da Balbo) – mi restano pesanti dubbi:
-
sulla rappresentatività
dei testi estratti (ed ancor più dei riassunti che li precedono nel capitolo 3
della parte prima) rispetto al percorso culturale ed operativo di taluni
autori: ad esempio (già ho detto nella nota B sugli “antichi maestri”, come
Piccinato, Astengo e Bottoni):
o
Magnaghi appare inchiodato ad una visione
molto utopistica della “federazione di villaggi”, non considerando sue
elaborazioni più mature come “Il progetto locale” 7,8 del 2001 e
2011 (o più immature, come “La città fabbrica” 9) e quelle della più
ampia “scuola territorialista”;
o
Benevolo viene evocato
per una sua tarda visione meta-storica e non per ricordare le sue ferree
convinzioni sulla indispensabile acquisizione preventiva alla mano pubblica dei
suoli da trasformare, sulla operatività immediata dei piani generali e sul
ruolo degli uffici di piano (ben ribaditi nel servizio commemorativo su
“Urbanistica” n° 158 10);
o
analogamente risultano impoverite
le proposte, invece sempre molto concrete, di Campos Venuti 8 (mentre
è dato il giusto rilievo ed una adeguata esposizione soprattutto a De Carlo ed
a Secchi, forse anche a Salzano);
-
sulla esclusione dei
teorici che di recente più hanno focalizzato propriamente la questione del
disordine della città contemporanea, da Stefano Boeri ad Arturo Lanzani, da
Ennio Nonni al ‘Tactical Urbanism’ 8.
Per finire mi permetto
di segnalare che – a dispetto del prestigio accademico dell’Autore, così come della
casa editrice Franco Angeli – , nel testo ci si imbatte in numerosi refusi (in
media uno per pagina) e che anche il controllo della forma espressiva non
sempre risulta convincente: una freudiana rivincita del “disordine”?
Fonti:
1.
Francesco
Indovina – ORDINE E DISORDINE NELLA CITTA’ CONTEMPORANEA – Franco Angeli,
Milano 2017
2.
Patrizia
Gabellini - UN NUOVO LESSICO PER UN NUOVO ORDINE URBANO - in “città-bene-comune”,
ottobre 2018 - http://www.casadellacultura.it/806/un-nuovo-lessico-per-un-nuovo-ordine-urbano
3.
Oriol
Nel.lo - DELL'ORDINE E DEL DISORDINE URBANO - in “città-bene-comune”, dicembre
2018 - http://www.casadellacultura.it/832/dell-ordine-e-del-disordine-urbano
4.
Marcello
Balbo - DISORDINE? IL PROBLEMA È LA DISUGUAGLIANZA - in “città-bene-comune”, settembre
2018 - http://www.casadellacultura.it/779/disordine-il-problema-egrave-la-disuguaglianza
5.
Gianfranco
Caniggia e Gian Luigi Maffei – LETTURA DELL’EDILIZIA DI BASE – Marsilio,
Venezia 1979
6.
Saskia
Sassens - LE CITTÀ NELL'ECONOMIA GLOBALE – Il Mulino, Bologna 2010
7.
Alberto
Magnaghi - IL PROGETTO LOCALE: VERSO LA COSCIENZA DI LUOGO – Bollati
Boringhieri – Milano 2010
8.
Aldo Vecchi - PROBLEMATICHE DELLA SOSTENIBILITA’, DAL FABBRICATO
AL TERRITORIO (parte III) – Quaderno n° 5/2018 di “UTOPIA 21” – https://www.universauser.it/i-quaderni/quaderno-5-sostenibilita-dal-fabbricato-al-territorio.html
9.
Alberto
Magnaghi, Augusto Perelli, Riccardo Sarfatti, Cesare Stevan - LA CITTA'
FABBRICA. CONTRIBUTI PER UN'ANALISI DI CLASSE DEL TERRITORIO - Clup, Milano
1970
10.
Autori
Vari – RICORDANDO LEONARDO BENEVOLO – su “Urbanistica” n° 158, pubblicata nel
novembre 2017
[A]
Con riferimento al mio articolo di settembre
su Utopia21 “SUOLO, TERRITORIO, URBANISTICA: A CHE PUNTO E’ IL
DIBATTITO” , in cui mi chiedevo tra l’altro in che direzione si muovesse
l’Istituto Nazionale di Urbanistica dopo il Congresso di Riva del Garda, colgo
l’occasione per segnalare l’intervista al nuovo presidente Talia su Urbanistica
Informazioni n° 283, dove si confermano le buone intenzioni dell’Istituto,
soprattutto riguardo al ruolo dell’INU e degli urbanisti, di certo sensibili ai
problemi ambientali, ma non si coglie la necessità di una svolta nella gestione
del territorio che sia all’altezza della complessiva sfida posta all’umanità
dal cambio climatico, che la stessa umanità sta provocando
[B]
Non intendo riesumare la fiducia quasi ingenua nell’urbanistica come soluzione
di ogni problema (quale traspare nelle citazioni che Indovina estrae da
Piccinato, Astengo e Bottoni; citazioni datate che pertanto non riflettono il
pensiero più maturo di personaggi quali Astengo e Bottoni, che ho avuto l’onore
di incontrare quando erano per l’appunto più che maturi), bensì rivendicare la
possibilità che la pianificazione urbana e territoriale sia opportunamente
integrata con altre importanti leve del potere pubblico in campo sociale ed
economico.
[C] Non ricordavo
che Aristotele, unica fonte storica specifica su Ippodamo da Mileto, usasse una
prosa da ‘giornalista di colore’, segnalandoci del proto-urbanista la “folta
zazzera e gli ornamenti costosi … la veste pesante … anche durante la stagione
estiva…”
[D]
Di città fondate ex-novo nella campagna è ricca non solo la storia antica, in
particolare greca e romana, ma anche quella dell’ultimo millennio (città
medioevali – tra cui Borgomanero, in cui per caso nacqui – , rinascimentali,
barocche, illuministe; coloniali e post-coloniali, come le capitali Washington,
Canberra, Brasilia, Chandigarth…; e poi le new-towns e le villes nouvelles,
ecc.) Particolarmente interessanti alcuni insediamenti, più piccoli, che sono
rimasti anche fisicamente “cristallizzati”, quali – a mia memoria
visuale – i borghi sabaudi di Stupinigi
e di Venaria, quelli sabaudi/devozionali di Vicoforte e di Oropa, la cittadina
di Richelieu (voluta dall’omonimo cardinale e ministro, rimasta intatta tranne
il suo stesso castello, radicalmente raso al suolo dalla Rivoluzione: un
massimo del Disordine contro un massimo dell’Ordine) e le “cittadelle” militari
progettate da Vauban, come quella di Besancon, tutte caratterizzate anche da
rigorose simmetrie ortogonali.
[E] Sul tema
dell’automazione e della estinzione/non estinzione del lavoro Utopia21 si è
largamente occupata, da ultimo commentando il dialogo tra Maurizio Ferraris e
Lelio Demichelis, ed in diversi interventi di Fulvio Fagiani