Diversamente dai precedenti
incontri promossi dall’Associazione E.T. ed altri e patrocinati dall’Amministrazione
Comunale, sempre con la partecipazione di ricercatori connessi al Centro di
Ricerca Comunitario di Ispra, la terza serata, dedicata al futuro della mobilità,
con Giorgio Martini (specialista della motorizzazione tradizionale) e Harald Scholz (specialista della
motorizzazione elettrica), a mio avviso è rimasta troppo racchiusa nella
specificità dei contributi tecnici (all’opposto dei precedenti confronti), e
non ha spaziato a sufficienza sulla questione complessiva di una “mobilità
sostenibile” .
Pur apprezzando la tenace
competenza scientifica dei relatori, e la loro capacità di divulgazione in un
campo facile ad essere invaso dalla fake-news e dalla leggende da bar, più o
meno metropolitano, mi è sembrato che - malgrado alcuni accenni dell’ing.
Scholz ai vantaggi del trasporto pubblico (purché elettrico) ed una clamorosa
immagine da lui stesso, presentata, con la congestione del traffico
auto-veicolare a New Delhi, e malgrado la statistica (calante, ma tuttora
impressionante) sui 25.000 morti annui per incidenti stradali in Europa,
richiamata invece dal dott. Martini - i
ragionamenti sostanziali della serata (tranne una timida domanda sul rapporto
tra velocità e consumi) si siano svolti nella direzione di un auspicio verso
nuove normative e nuove tecnologie in grado di rendere la motorizzazione privata
compatibile con la qualità dell’aria, dapprima (“Euro 7”), e poi con la
riduzione delle emissioni di CO2 (auto elettrica e relative batterie e
ricariche).
Come se le auto non avessero:
-
un volume, che – ai nostri elevati
livelli di motorizzazione - incide sull’uso e consumo del suolo già quando le
auto sono ferme (box, autorimesse, parcheggi), e diviene insostenibile quando
molte di esse insieme convergono nelle città alle ore di punta (la foto di New
Delhi è pazzesca anche immaginandola composta da vetture tutte quante elettrificate;
ma anche Sesto Calende alle 18 del venerdì e sabato non è un bello spettacolo,
in specie se nell’attigua CastelVegas sono in campo saldi e cotillons);
-
una superficie, che quando è esposta al
sole lo riflette aumentando al cosiddetta “albedo” del pianeta e peggiorando il
microclima locale (effetti mitigabili in parte con “carrozzerie fotovoltaiche”,
oggi non previste, o almeno con tettoie fotovoltaiche e/o vegetali sopra i
parcheggi);
-
un peso, da una tonnellata (utilitaria) a
due tonnellate (SUV), di materiali costosi da reperire, lavorare e smaltire
(l’argomento in serata è staro accennato per le sole batterie al litio), e
ancora ben lungi dall’essere incluso in una logica di economia circolare (la
vita media di un autoveicolo è attorno al decennio, e le sue componenti vengono
distrutte per poter essere – solo in parte – riutilizzate): a fronte di un
residuo secco del ciclo dei rifiuti urbani medio di 100 kg/anno pro capite
(solo pochi comuni virtuosi come Sesto C. &C. sono già scesi sotto i 75
kg), i “rifiuti speciali automobilistici” prodotti da ogni europeo medio
risultano circa altrettanto (poco meno di un auto pro-capite per poco più di
dieci anni, per più di una tonnellata/auto >= 100 Kg/anno);
-
una velocità, limitata in Italia teoricamente
a 50 Km/h in città, 90 fuori città ed a 130 Km/h in autostrada, che – applicata
alla suddetta massa tra 1 e 2 tonnellate di ogni veicolo – lo trasforma in un
proiettile sempre pericolosamente puntato contro la vita degli altri, pedoni ed
automobilisti, nonché verso i conducenti stessi ed i loro passeggeri;
pericolosità che aumenta, se non ricordo male, in funzione del quadrato della
velocità stessa; mentre resta intatto il sostrato mitologico e pubblicitario
della velocità come progresso e come potenza maschilista.
Mi aspettavo (e mie aspetterei)
che, invece, da un lato l’automobile venisse (venga) trattata come un merce più
o meno sostenibile in tutti gli aspetti del suo ciclo di vita (come ci ha
spiegato nel precedente incontro la dott.ssa Serenella Sala, sempre del CCR di
Ispra), e d’altro lato che la mobilità sostenibile fosse (sia) indagata come un sistema complesso di diverse modalità di
trasporto, dalla bici e dal monopattino al jet ed alla nave porta- container,
in parte alternative ed in parte complementari,
dove – nella dinamica delle tecnologie e dei prezzi, delle normative e
degli incentivi/disincentivi fiscali -
si cerchi di privilegiare – guidati dai pubblici poteri – i mezzi di
volta in volta meno inquinanti per ogni specifico tipo e lunghezza del viaggio:
ad esempio i piedi, il mono-pattino, la bici o l’auto elettrica (magari a guida
automatica e condivisa in “car sharing”) fino alla prima fermata del trasporto
pubblico, il treno fino alla fine del continente, l’aereo solo tra un
continente e l’altro, ecc. (con le dovute complicazioni per bambini, anziani,
disabili; differenziando i movimenti per il lavoro e lo studio da quelli per il
tempo libero; verificando gli impatti positivi del tele-lavoro e della
telematica in generale; con tutt’un altro ragionamento daccapo per le merci, e
così via). Criteri che sono tratteggiati anche nella nuova strategia di
riconversione ecologica della Commissione Europea.
Ed è proprio il peso concreto e
positivo dell’Europa nel condizionare e al tempo stesso promuovere i “mercati”,
come dimostrato nelle analitiche dissertazioni di Martini e Scholz, che mi
porta ad auspicare una concretizzazione delle nuove strategie della Commissione
UE, anche in materia di mobilità, in direttive e normative efficaci e cogenti,
ben aldilà di Euro7 e dell’elettrificazione di tutta la flotta.
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