Il
“Festival dell’Utopia” di Varese, giunto nell’autunno 2019 alla 4^ edizione, si
è sviluppato in parallelo con la vita di “UTOPIA21”, nella reciproca autonomia,
pur avendo in comune la guida di Fulvio Fagiani, la promanazione da
Auser/Universauser ed il medesimo sito informatico. Pur essendo già radicata
una sostanziale transumanza di temi e proposte tra Festival e “rivista”, con
questa rubrica intendiamo rendere maggiormente presenti ai lettori di
“Utopia21” alcuni dibattiti svolti nei mesi precedenti nell’ambito del
Festival, che nel 2019 si è articolato sui seguenti filoni: I cambiamenti climatici -
- La
società digitale - Visioni a lungo termine delle città
I temi deI filone del
Festival 2019 sulla “società digitale”:
il nostro futuro sarà
segnato dalle tecnologie digitali.
I dati saranno la nuova
ricchezza, il lavoro scomparirà grazie all’automazione, l’economia da economia
di produzione diventerà economia di consumo?
E ancora: la rete può
essere democratizzata?
Come cambiano la
comunicazione ed il lavoro nella società digitale?
Sommario:
-
il filosofo Maurizio
Ferraris e il Welfare Digitale
- l’economista Alfredo Biffi e l’Intelligenza Artificiale
- il sociologo Lelio Demichelis e la Democratizzazione della
Rete
- la sindacalista Cinzia Maiolini: il Lavoro e la Rivoluzione
Digitale
- il formatore Claudio Casiraghi e l’Etica della Comunicazione
- l’antropologo Fabio Merlini : l’estetica triste – Seduzione
e Ipocrisia dell’Innovazione
-
alcune brevi considerazioni personali
Ai
temi ed alle domande di questo filone, il Festival 2019 ha provato a rispondere
con il concorso di esperti di diverse discipline, tendenze e formazioni.
Nell’economia di questo
articolo ho ritenuto opportuno dedicare un minor approfondimento ai Relatori il
cui pensiero è già stato affrontato più largamente da “Utopia21”, come Ferraris1,2,3e
Demichelis3,4 (oppure le cui tematiche vengono affrontate in altro
articolo di questo numero, come quelle di Cinzia Maiolini della CGIL5),
e più spazio ai restanti relatori, e cioè Biffi Casiraghi e Merlini (in parte
per altro già recensiti o intervistati dalla nostra redazione,6,7.
IL FILOSOFO MAURIZIO
FERRARIS E IL WELFARE DIGITALE
La
seduta di apertura presso il Salone del Palazzo Estense del Comune di Varese,
in data 1° ottobre, dopo gli interventi (concernenti il Festival più in
generale) da parte del Sindaco Davide Galimberti, del segretario provinciale
della CGIL Umberto Colombo e del professor Fabio Minazzi per l’Università
dell’Insubria, nonché di Fulvio Fagiani per Universauser, si è incardinata
nella lezione del professor Maurizio Ferraris, Ordinario di Filosofia Teoretica
(e vice-Rettore) dell’Università di Torino, articolata sui seguenti argomenti:
-
di
bene in meglio
-
il
comunismo realizzato
-
il
welfare digitale.
e
arricchita di brillanti immagini, visuali e verbali (come si può verificare
consultando il materiale del Festival 7 : anche per questo mi limiterò ad un riassunto schematico).
Figura 1 – Il sacco di Roma del 455 ad opera di Genserico e
dei suoi Vandali
– Karl Brjullov 1836)
Lasciando
sullo sfondo le sue interpretazioni delle trasformazioni socio-economiche in
atto imperniate sul “capitalismo documediale” (di cui abbiamo ampiamente
riferito, comprese le mie personali
critiche e perplessità1,2,3 - [A]), Ferraris ha
sviluppato soprattutto una sua carrellata sulle magnifiche e progressive sorti
dell’umanità da un passato, antico e prossimo, di guerre e devastazioni, fame e
privazioni, ad un presente che – pur tra luci ed ombre – nutre 7 miliardi di
persone, si limita per lo più alle “guerre commerciali” e – magari
ipocritamente – condanna la crudeltà e lo sfruttamento (contrapponendosi quindi
a chi sottolinea del presente le disuguaglianze, le alienazioni, le sofferenze,
senza relativizzarle rispetto all’ancient règime).
Constatando
che il Pianeta Terra, “come pianeta, sta benissimo”, Ferraris ha esortato
invece a salvare l’umanità, sia sul fronte ambientale sia su quello di un
effettivo ed adeguato welfare, come secondo lui è possibile con un corretto uso
delle tecnologie, che possono essere più veloci delle tendenze al degrado
ambientale.
Per
conseguire tali risultati, piegando le imprese attraverso un rinvigorimento dei
pubblici poteri, occorre che la sinistra comprenda la “rivoluzione documediale,
con la conseguente diminuzione del lavoro fisico ripetitivo (come tale un
successo delle rivendicazioni storiche del movimento operaio) e la contestuale
funzione del consumo come “produzione di dati” (mentre le produzioni materiali
sono per lo più automatizzabili, il consumo non può esserlo), per focalizzare
le nuove rivendicazioni verso la socializzazione del “capitale documediale”,
innanzitutto imponendo la retribuzione delle “mobilitazione” degli utenti lungo
le reti digitali, e quindi una sorta di diritto generalizzato all’ “otium
creativo”.
Senza tale iniziativa rivendicativa
“moderna” della sinistra, il disagio degli utenti determina invece una sorta di
“dittatura del proletariato” in chiave populista, in cui i leader sono in
realtà schiavi del popolo attraverso i sondaggi).
L’ECONOMISTA ALFREDO
BIFFI E L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Nella
prima delle conferenze che si sono susseguite presso lo spazio Coop di Varese,
a partire dal 8 ottobre, Alfredo Biffi, docente di Organizzazione Aziendale all’Università
dell’Insubria, Dipartimento di Economia, ha affrontato il tema
dell’Intelligenza Artificiale.
Partendo
dalla definizione data dall’Enciclopedia Treccani, come insieme di “sistemi hardware
e … software atti a fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un
osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva
dell’intelligenza umana. Suo scopo non è quello di replicare tale intelligenza
…, bensì di riprodurne o emularne
alcune funzioni …in modo da fornire prestazioni qualitativamente equivalenti e
quantitativamente superiori a quelle umane”, e dalla seguente descrizione
schematica:
“1.
Interfaccia con l’esperto: serve a consentire il caricamento da parte
dell’esperto delle regole e della strategia di soluzione del problema
2.
Base di conoscenza: vi sono archiviati sia i fatti, cioè i dati che descrivono
i fenomeni, sia le regole che consentano di interpretarli e di porli in
relazione tra loro
3.
Motore inferenziale: modello di ragionamento, riportato su computer, che viene
seguito dall’esperto per risolvere un problema
4.
Interfaccia con l’utente: consente all’utente di inserire nuovi fatti nella
base di conoscenze e di dare istruzioni (cioè comandi) al sistema”,
Biffi
– analizzandone gli effetti a livello macro-economico ed a livello micro (cioè
aziendale) - ha evidenziato che tali
applicazioni “rendono più produttivi quasi tutti i settori industriali in cui
vengono introdotte, determinano profondi cambiamenti nei processi operativi e
direzionali e nelle mansioni di gran parte degli addetti. Molte attività tendono a scomparire
(soppiantate dai computer), mentre nasce il bisogno di altre competenze e
professionalità, molto diverse per contenuto e per caratteristiche
comportamentali…»
“Gli
esperti sono sicuri che non ci sarà compensazione adeguata attraverso nuovo
lavoro. Posti in meno, situazione che potrà diventare strutturale!”
Figura 2: la “slide” del professor Biffi sul funzionamento
dell’Intelligenza Artificiale
Oltre
alla problematica dell’occupazione e della distribuzione della ricchezza
(perché secondo il professor Biffi, diversamente da quanto afferma Ferraris,
non è scontata la necessità di mantenere i disoccupati in quanto consumatori 6),
si delinea il rischio di progressiva inabilità del cervello umano, che potrebbe
divenire una mera appendice di un sistema ibrido naturale/artificiale (con
riscontro pratico già misurabile anche nel livello intellettivo degli studenti,
con la perdita di alcune capacità cognitive).
“Lo
sviluppo tecnologico accelerato sta producendo concentrazione di ricchezza, ma
rischia di produrre una cosa ancora più grave: la concentrazione della
conoscenza.”
Biffi
ha posto allora il problema di: “aumentare il grado di consapevolezza e
conoscenza nelle persone per … renderle partecipi …:
•
nei momenti di scelta a livello macro…
•
nella progettazione, applicazione ed impiego a livello micro…”.
Il
che comporta anche la capacità degli utenti di discernere tra le proposte
tecnologiche/commerciali, senza essere comunque succubi delle “applicazioni” [B] .
Ed
ha avanzato le seguenti proposte (con qualche elemento consapevolmente utopico
e con specifica attenzione alle diversità individuali):
“
Immaginare scenari di contesto di
qualità della vita differenziali, per offrire opportunità alla soggettività;
Fare
crescere il livello di conoscenza medio riportando la singola persona al
centro della propria
identità nel mondo;
Pensare
a modelli di sviluppo economico socialmente reingegnerizzati”.
IL SOCIOLOGO LELIO
DEMICHELIS E LA DEMOCRATIZZAZIONE DELLA RETE
Lelo
Demichelis, sociologo del lavoro e docente dell’Insubria (già intervistato e
recensito su UTOPIA21 3,4 ), intervenuto
il 10 ottobre, ha impostato la sua comunicazione in termini storici: “Cinquant'anni
fa l'autunno caldo sindacale e poi, nel 1970, lo Statuto dei lavoratori: cioè
il riconoscimento e la formalizzazione giuridica di una serie di diritti
democratici che entravano anche oltre i cancelli delle fabbriche” (In
precedenza regnava l’autoritarismo, affiancato dallo spionaggio sistematico da
parte delle aziende verso i dipendenti).
Sullo
sfondo il concorrere delle ideologie delle grandi forze politiche che avevano
portato alla Costituzione, sebbene contrapposte, nel porre al centro l’uomo:
valeva per i cattolici e per i social-comunisti, ma anche per la tradizione
liberale (e ne conseguiva la redistribuzione keynesiana dei redditi).
Figura 3 – Il sociologo Lelio Demichelis
La
svolta neo-liberista degli anni ’80, non solo con Reagan e Thacher, ma anche
con l’ordoliberalismo che ha pervaso l’Unione Europea, ha invece esaltato il
ruolo del mercato, come garante della efficienza dello sviluppo, riducendo i
lavoratori a individui e i cittadini a “imprenditori di se stessi”, svuotando
di fatto le conquiste che avevano reso più democratiche le imprese, e
sviluppando mistificazioni come spacciare i “dipendenti” per “collaboratori”: mentre
resta ben fermo il potere padronale nel decidere sul ciclo produttivo e sulle
innovazioni – ha ricostruito Demichelis - la produzione è decentrata e de-localizzata, i
contratti di lavoro sono individualizzati, gli interessi di segmenti di
lavoratori sono differenziati, le imprese sostanzialmente de-sindacalizzate.
In
tale contesto, la “rete”, sorta negli ultimi decenni del Novecento come idea
democratica, è stata rapidamente trasformata dalle imprese dominanti. “Social”
è un nome fuorviante – ha rammentato Demichelis - perché si tratta di società
capitalistiche che hanno lo scopo di massimizzare i profitti.
L’utente
si muove in FaceBook come un pesce in un acquario, e viene governato da
algoritmi che non può controllare.
Sullo
sfondo della progressiva accelerazione, dal ‘900, degli stili di vita, con esaltazione
della velocità e dei tempi brevi, si afferma una sorta di “ordo-macchinismo”:
la tecnica, intesa come insieme di tecnologie, con le sue norme, si sovrappone
alla società, plasma i rapporti sociali secondo razionalità strumentali alla
massima efficienza dei processi (ad esempio far produrre anche dai consumatori
una massa crescente di dati, di “condivisioni”, ed infine di profitti
aziendali).
Mentre
il lavoratore, più o meno consapevole, accetta la razionalità aziendale in
cambio del salario, l’utente dello smartphone, affascinato da tale Pigmalione,
si arrende alle lusinghe del consumismo e della condivisione, senza accorgersi
che “divertendosi” perde la libertà [C] ed il controllo del
proprio tempo (sulla alienazione ai tempi di Internet, vedi gli altri testi su
Demichelis in Utopia21 3,4): si realizza così la “società
amministrata”, preconizzata da Horkheimer e dalla Scuola di Francoforte.
Dopo
aver tracciato tale quadro piuttosto pessimista, il professor Demichelis ha
espresso però fiducia nella possibilità di contrapporre un pensiero critico, e
cercare di demistificare e smontare tali meccanismi di controllo sociale: “Oggi
è tempo di riportare la democrazia nelle imprese, ma anche di democratizzare la
rete e i social, portando la democrazia oltre i cancelli degli algoritmi.”
Occorre
sottrarsi alla delega sui nostri dati e i nostri profili, smascherare la falsa
democrazia dei “like” e dei “feed-back” gestita dalle piattaforme, tornare a
ragionare sui tempi lunghi (come in parte propongono i giovani dei Fridays for
Future), costruire alternative al mercato, iniziando con il negare il principio
neo-liberista, secondo cui, per l’appunto, “non c’è alternativa”.
LA SINDACALISTA CINZIA MAIOLINI: IL LAVORO E LA
RIVOLUZIONE DIGITALE
Cinzia
Maiolini, sindacalista della CGIL, coordinatrice dell’area “Idea diffusa”, è
intervenuta allo Spazio Coop il 22 ottobre : “La rivoluzione digitale, che oggi
ha il volto di piattaforme come Google o Facebook, assume sempre più le
sembianze dell’Intelligenza Artificiale. Automazione di attività creative finora
esclusiva di esseri umani, capacità di raccogliere e
analizzare
enormi quantità di dati, sono funzioni ormai alla portata dei prossimi sistemi
digitali e proiettano la loro ombra sul futuro del lavoro e sui rapporti
nell’economia digitale.”
La
Relatrice ha evidenziato in particolare come numerose innovazioni, frutto di
ricerche di organismi pubblici (civili o militari), siano divenute patrimonio
esclusivo di un gruppo di aziende private, con crescenti tendenze ad
assicurarsi posizioni di predominio monopolistico sui mercati, ove la “libera
concorrenza” viene esaltata solo in termini propagandistici: come ad esempio come Amazon, che “ospita” nella sua piattaforma
anche produttori “indipendenti”, e impedisce così di fatto la nascita di
“piattaforme” alternative.
A
fronte di una diffusione di prodotti e servizi, anche con ridotti margini di
guadagno, si determina una elevata concentrazione dei profitti.
Altri
esempi di concentrazione monopolistica sono Google e Facebook, che – forti dei
capitali accumulati - assorbono le “start up” potenzialmente concorrenziali,
prima che si sviluppino.
Figura 4 – La sindacalista Cinzia Maiolini
Tra
le conseguenze per gli utenti vi è la “profilazione predittiva”, che –
spiandoli - tende a manipolare i consumatori nei loro successivi comportamenti,
ed il coinvolgimento in operazioni “fai-da-te” in parziale sostituzione del
lavoro dipendente (esempio tipico l’home banking).
Per
quanto riguarda il lavoro, invece, si assiste ad una polarizzazione tra lavori
poveri e ripetitivi, con contratti precari, e tendenzialmente sostituibili da
macchine, droni e altri automatismi, e lavori qualificati, con sfruttamento più
intenso e spesso senza limiti di orario, spesso governati da algoritmi
incontrollabili.
(Ometto qui di
riassumere la parte propositiva dell’intervento di Chiara Maiolini, perché già
ampiamente trattata in questo stesso numero nell’articolo di Fulvio Fagiani 5
).
IL FORMATORE CLAUDIO
CASIRAGHI E L’ETICA DELLA COMUNICAZIONE
Claudio Casiraghi, docente di comunicazione per
i Master della LIUC (Università di Castellanza) e presso la Pontificia
Università, relatore nell’incontro del 7 novembre, ha impostato la sua
comunicazione e conversazione sul tema dell’etica nella comunicazione,
precisando che per Etica intende le regole per i comportamenti nei rapporti
sociali, quindi qualcosa di diverso dalla “morale”, che concerne invece i
valori a scala individuale.
Senza demonizzare in sé lo sviluppo
tecnologico, il professor Casiraghi ha richiamato l’attenzione sul divario tra
la velocità delle trasformazioni e la capacità di adattamento da parte del
cervello umano; la complessità e pervasività di strumenti come lo smartphone
rischiano di trasformare l’uomo stesso in mera propaggine di tali strumenti; la
delega per le funzioni di memorizzazione porta ad un disallenamento e
addirittura ad una tendenziale atrofia della mente umana, e specificamente ad
un decadimento dei circuiti neurali (esempio degli studenti più giovani che,
abituati a digitare sullo smartphone, trovano difficoltà ad usare la tastiera
con l’uso di tutte le dita; caso estremo dell’esperimento di trapianto di
memoria da una persona ad un’altra, con stravolgimento dell’identità).
L’applicazione generalizzata dei nuovi mezzi di
comunicazione, in mancanza di una adeguata cultura per il loro buon uso,
determina – ha sostenuto Casiraghi – diffuse conseguenze sociali:
-
forme
di depressione, ansia, stress, paura del futuro, acuite dal “bombardamento
informativo”, che privilegia le informazioni negative e catastrofiche, nonché
dai ritmi frenetici della vita quotidiana, vera e/o virtuale;
-
chiusura
in sé e scarsa attenzione e disponibilità verso gli altri, soprattutto nei
contesti metropolitani;
-
crescente
distanza inter-generazionale, in un quadro di abbreviazione dei cicli
linguistico-culturali: le “generazioni” non si misurano più nei tempi della
riproduzione familiare, e nemmeno dei grandi eventi caratterizzanti
collettivamente (guerre, rivoluzioni, sommovimenti sociali), bensì per il medium
di connessione: “quelli di Facebook” superati da “quelli di Istagram”.
Al livello del singolo individuo, il disagio e
l’insofferenza vengono mascherate dalle momentanee soddisfazioni (corrispondenti
a fisica emissione di dopamina) generate dai messaggi e dai “like” ricevuti, ma
la dopamina auto-prodotta finisce (salvo cercare la dipendenza da altre
sostanze) e resta un vuoto, nell’incapacità di ripristinare i necessari tempi
di “comunicazione interiore”, della meditazione e del necessario riposo.
Figura 5 – la comunicazione del professor Casiraghi
A fronte di tale scenario, Casiraghi – anche in
riposta ai primi interventi dal pubblico – ha formulato alcuni principi da porre alla base
di una comunicazione etica7, a partire dalla consapevolezza che
l’uomo – in quanto animale relativamente debole tra le altre specie – ha
elaborato il linguaggio come strumento indispensabile di cooperazione per
difendersi e prevalere in ambienti ostili:
-
la
comunicazione è un bisogno umano, stare insieme fa bene, anche se non sempre
risulta facile e spontaneo;
-
la
comunicazione è un fatto sociale e l’uomo – “animale simbolico” – elabora nello
scambio interpersonale i necessari riti della convivenza, a partire ad esempio
dalla convivialità (pur con le possibili degenerazioni e consunzioni dei riti
stessi);
-
le
tecniche sono strumenti indispensabili alla comunicazione, ma possono essere
usate bene oppure male: ad esempio uno smartphone è un po’ come una Ferrari, e
non si dovrebbe guidarla senza patente;
-
la
comunicazione è una attività cognitiva ed ermeneutica, in cui ha uguale
importanza capire gli altri e farsi capire dagli altri.
Dopo avere spaziato
ancora su numerosi aspetti ed esempi della cattiva comunicazione,
dall’aggressività individuale (non solo sui social) alla pubblicità ingannevole,
dai talk show televisivi alle e-mail aziendali sgarbate, evidenziando anche la
inefficacia delle poche normative pubbliche
finora elaborate (ad esempio la legge contro il cyber-bullismo, che sconta il
grave limite della non-punibilità dei minorenni, oppure il regolamento sulla
pubblicità dell’Autorità per la Comunicazione, farraginoso e largamente
disatteso, a partire dalle televisioni), il professor Casiraghi – ancora in dialogo con i convenuti - ha concluso con alcuni suggerimenti
praticabili da ognuno di noi (anche nella speranza che sperimentando una
pratica di contro-cultura, questa si diffonda e possa un giorno prevalere),
come ad esempio:
-
mostrarsi
cordiali e disponibili, dal “Buongiorno!” alla cortese risposta a messaggi
scorretti;
-
sottrarsi
ai “cookies” e ad altri condizionamenti pubblicitari e di profilazione in
Internet (a partire dal cancellare la propria “cronologia” al termine di ogni
sessione di uso della Rete);
-
cercare
di praticare indipendenza di giudizio nelle proprie scelte di consumo,
scansando mode inutili e sconti stracciati;
-
replicare
ai messaggi pubblicitari poco credibili, chiedendo chiarimenti oppure
smascherandone le false premesse.
L’ANTROPOLOGO FABIO
MERLINI : L’ESTETICA TRISTE – SEDUZIONE E IPOCRISIA DELL’INNOVAZIONE
Fabio
Merlini, antropologo ticinese, Direttore dell’IUFFP (Istituto Universitario
Federale per la Formazione Professionale) di Lugano e Presidente della
Fondazione Eranos di Ascona, in data 21 novembre, ha inquadrato le sue
riflessioni sulla “estetica triste” 9 in una visione complessiva
delle mutazioni indotte nei comportamenti umani dalle nuove tecnologie
“digitali”, tra cui:
-
l’iperconnettività,
attraverso gli smartphone e gli altri dispositivi mobili, che sono
contemporaneamente (ed in permanenza) terminali di più canali di comunicazione,
arrivando ad una sorta di “convocazione universale” (e qui ha fatto l’esempio
di una scolaresca cui ha fatto depositare per alcuni minuti sulla cattedra
tutti i cellulari, ma accesi, pigolanti di continue notifiche”…);
-
una
diversa percezione delle coordinate spazio-temporali, con lo spazio che si
compatta, il mondo che appare piccolo, il tempo presente che si dilata a danno
del passato e del futuro;
-
una
sovrapposizione tra “pubblico” e “privato”, dove tutto risulta più poroso e più
permeabile, cambia la percezione della “alterità”, tutti ci sentiamo più
esposti e cresce il “bisogno di identità”;
-
lo
sconfinamento tra lavoro e non-lavoro, con l’ufficio che entra in casa e fino
in camera da letto, con una “trans-contestualità” che ribalta le gerarchie
nelle normative di comportamento (esempio lo smartphone acceso a tavola).
Si
tratta di un processo che ha accompagnato lo sviluppo tecnologico delle tele-
comunicazioni, come già avevano osservato Adorno (con la radio si può ascoltare
Bach in cucina, con profumo di arrosto, mentre Bach doveva camminare 2 giorni
per poter ascoltare il suo maestro Buxtehude, con esclusivo profumo di incenso)
e Benjamin, riguardo all’aura dell’opera d’arte originale rispetto alle
riproduzioni, pur sempre più fedeli; altri esempi Merlini li ha tratti dalla
sua (e nostra) esperienza generazionale, come nel caso della radio a transistor
per ascoltare le cronache calcistiche, comportamento in cui si affaccia la
“schizo-topia”, ovvero l’essere tirati di qua e di là.
Portando
l’attenzione sugli oggetti che ci circondano, sempre più condizionati dai
rapidi cicli delle mode (si pensi all’arredamento, che una volta era “per
sempre”, dal momento in cui “si metteva su casa”; e addirittura si tramandava
per generazioni, tra le élites aristocratiche, e all’opposto anche tra i più
poveri) per Merlini:
“L’estetica
è triste quando anziché essere occasione di crescita per chi ne fruisce i
prodotti, diventa un fattore regressivo: una bella apparenza che non mantiene
le sue promesse.”
Figura
6 – L’antropologo Fabio Merlini
L’espressione
è ricalcata su quella, celebre, di “scienza triste” (l’economia), e intende definire
la bellezza ipocrita di un design raffinatissimo - ormai generalizzato a
pressoché tutte le merci - che troppo spesso, come vediamo nel settore del
lusso ma non solo, nasconde condizioni di produzione e processi estrattivi
devastanti sul piano ambientale e sociale. Insostenibili.
“Vediamo,
ad esempio, la bellezza seduttiva del nostro cellulare, ma il modo in cui si
mettono le mani sui minerali metallici che servono a farli funzionare? Che mondo
è quello in cui una bella apparenza cerca nel design occasioni sempre più
seducenti per rilucere, lasciando completamente nell’ombra ampie porzioni di
sé, tristemente sacrificate all’estetica dell’innovazione?”
La
narrazione sugli oggetti, pur presente e necessaria per venderli, si ferma agli
inventori della Silicon Valley e non si spinge mai al lavoro minorile sfruttato
nelle miniere di cobalto.
Anche
l’aspetto ludico e accattivante delle merci ha una storia, con uno sviluppo di
massa a partire dall’Ottocento (con i miti delle città rilucenti di vetrine, e
poi dei Grandi Magazzini), con le fiere che sostituiscono le mete religiose dei
pellegrinaggi (ma le reliquie della sofferenza, là esibite, sono invece qui
accuratamente rimosse), e poi con il design, che compie una parabola negativa,
da strumento di ricerca di cose utili e funzionali (e quindi belle, anche in
rottura con i tempi ed il sentire comune) a sostanziale propaggine del
marketing e della pubblicità, a servizio del venditore (imbellettando con stile
modaiolo oggetti anche inutili e talora dannosi) e quindi non dell’utente.
ALCUNE BREVI CONSIDERAZIONI PERSONALI
Questo filone del
Festival dell’Utopia 2019 mi è sembrato molto soddisfacente – rispetto ai temi
posti – per la qualità dei Relatori, tutti molto competenti e molto chiari, e
taluno addirittura affascinante – e per la gamma delle discipline e dei punti
di vista.
Sotto questo aspetto,
ed in particolare alla luce di questioni poste da Casiraghi e da Merlini, sulle
mutazioni dell’uomo e del suo cervello, mi piacerebbe che il filone sulla
“società digitale” proseguisse interpellando psicologhi, psichiatri, genetisti
e neuro-biologi.
Rimando invece ad un confronto con Fulvio Fagiani (e con
chi altro volesse parteciparvi) una necessaria riflessione sull’uditorio che
questo filone del festival è riuscito a mobilitare e sulla qualità e continuità
del dibattito conseguente.
Fonti:
1.
Aldo
Vecchi - DIBATTITO SUL “CAPITALISMO DOCUMEDIALE” – su “UTOPIA21” marzo 2019 - https://drive.google.com/file/d/19spZJ70tWdIegwm7nDD4hJGJvTA0oU8M/view.
2.
Maurizio
Ferraris - RISPOSTA SUL “CAPITALISMO DOCUMEDIALE” – su “UTOPIA21” maggio 2019 -
https://drive.google.com/file/d/1zvydYKwaceoozsoQjWOJTAUffaSJ4dmD/view.
3.
Aldo
Vecchi e Fulvio Fagiani - IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS SU TECNICA E
UMANITÀ - su “UTOPIA21” novembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1kfQ6QaOfbN_IiJCPZMlkIEikXUFzBynG/view.
4.
Fulvio
Fagiani - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON LELIO DEMICHELIS su “UTOPIA21” settembre
2017 - https://drive.google.com/file/d/0BzaFw8WEAEgYQVBhYlJnelhWZVk/view.
5. Fulvio
Fagiani - IL LAVORO TRA DIGITALIZZAZIONE E TRANSIZIONE ECOLOGICA – su questo
numero di “UTOPIA21”.
6. Fulvio
Fagiani - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON ALFREDO BIFFI su “UTOPIA21” novembre
2017 - https://drive.google.com/file/d/1kWubZZKFZbOYXvQ_ZgX6Ow_TnoY0lRMT/view.
7. Aldo
Vecchi – LA COMUNICAZIONE
ETICA, INDAGATA DA CLAUDIO CASIRAGHI - su “UTOPIA21” maggio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1Mievi8SYtnDEp8tHczMTqPtCqaXpn7yK/view.
8. DOCUMENTAZIONE
SUL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE 2019 - https://www.universauser.it/immagini-2.html
9. Fabio
Merlini - L'ESTETICA TRISTE: SEDUZIONE E IPOCRISIA DELL'INNOVAZIONE – Bollati
Boringhieri, Milano 2019
[A]
e che possiamo così riassumere con parole dello stesso Filosofo: “Se i dati,
anzi il capitale documediale, saranno la risorsa più pregiata, l’umanità sarà
una documanità. La produzione di documenti sopravanzerà la produzione di beni,
la socializzazione del valore prodotto dai dati sarà il fondamento del ‘welfare
digitale’ “
[B]
Non mi ha convinto pienamente la protesta del prof. Biffi contro il recente
obbligo di usare le app sullo smartphone per continuare ad accreditarsi nel cosiddetto
“home banking”, senza sostanziale alternativa (e lo stesso ragionamento può
valere per altre opzioni di fatto obbligatorie per l’utente), perché a mio
avviso non costituiscono una novità specifica dell’era digitale: anche nel
passaggio dalla monetazione di conio alla moneta cartacea, oppure dal dollaro
convertibile in oro a quello non convertibile (per restare con esempi in campo
bancario) l’utente era privato di
effettiva libertà di scelta.
[C]
Non mi ha pienamente convinto l’esempio del professor Demichelis sulla macchina
fotografica, che nella sua attuale forma digitale (inglobata nello smartphone)
fa tutto da sè in automatico, espropriando l’operatore di tutte le capacità e
le decisioni in merito a esposizione, tempi e diaframmi, ecc. , perché anche il
fotografo degli anni ’60, con il suo esposimetro ed i vari comandi manuali, era
comunque condizionato dal tipo di macchine e di pellicole disponibili, mentre
anche ora conserva la facoltà, volendolo, di modificare i parametri di scatto
(nonché comunque ancora di scegliere il momento, l’inquadratura, il taglio,
ecc. dell’immagine).
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