mercoledì 22 gennaio 2020

UTOPIA21 - GENNAIO 2020: CONVERSAZIONI SULLA SOCIETA’ DIGITALE




Il “Festival dell’Utopia” di Varese, giunto nell’autunno 2019 alla 4^ edizione, si è sviluppato in parallelo con la vita di “UTOPIA21”, nella reciproca autonomia, pur avendo in comune la guida di Fulvio Fagiani, la promanazione da Auser/Universauser ed il medesimo sito informatico. Pur essendo già radicata una sostanziale transumanza di temi e proposte tra Festival e “rivista”, con questa rubrica intendiamo rendere maggiormente presenti ai lettori di “Utopia21” alcuni dibattiti svolti nei mesi precedenti nell’ambito del Festival, che nel 2019 si è articolato sui seguenti filoni: I cambiamenti climatici     -
- La società digitale - Visioni a lungo termine delle città

I temi deI filone del Festival 2019 sulla “società digitale”:
il nostro futuro sarà segnato dalle tecnologie digitali.   
I dati saranno la nuova ricchezza, il lavoro scomparirà grazie all’automazione, l’economia da economia di produzione diventerà economia di consumo?
E ancora: la rete può essere democratizzata?
Come cambiano la comunicazione ed il lavoro nella società digitale?

Sommario:
-       il filosofo Maurizio Ferraris e il Welfare Digitale
-       l’economista Alfredo Biffi e l’Intelligenza Artificiale
-       il sociologo Lelio Demichelis e la Democratizzazione della Rete
-       la sindacalista Cinzia Maiolini: il Lavoro e la Rivoluzione Digitale
-       il formatore Claudio Casiraghi e l’Etica della Comunicazione
-       l’antropologo Fabio Merlini : l’estetica triste – Seduzione e Ipocrisia dell’Innovazione
-       alcune brevi considerazioni personali

per le illustrazioni, vedi l'articolo sul sito www.universauser.it 

Ai temi ed alle domande di questo filone, il Festival 2019 ha provato a rispondere con il concorso di esperti di diverse discipline, tendenze e formazioni.

Nell’economia di questo articolo ho ritenuto opportuno dedicare un minor approfondimento ai Relatori il cui pensiero è già stato affrontato più largamente da “Utopia21”, come Ferraris1,2,3e Demichelis3,4 (oppure le cui tematiche vengono affrontate in altro articolo di questo numero, come quelle di Cinzia Maiolini della CGIL5), e più spazio ai restanti relatori, e cioè Biffi Casiraghi e Merlini (in parte per altro già recensiti o intervistati dalla nostra redazione,6,7.


IL FILOSOFO MAURIZIO FERRARIS E IL WELFARE DIGITALE

La seduta di apertura presso il Salone del Palazzo Estense del Comune di Varese, in data 1° ottobre, dopo gli interventi (concernenti il Festival più in generale) da parte del Sindaco Davide Galimberti, del segretario provinciale della CGIL Umberto Colombo e del professor Fabio Minazzi per l’Università dell’Insubria, nonché di Fulvio Fagiani per Universauser, si è incardinata nella lezione del professor Maurizio Ferraris, Ordinario di Filosofia Teoretica (e vice-Rettore) dell’Università di Torino, articolata sui seguenti argomenti:
-       di bene in meglio
-       il comunismo realizzato
-       il welfare digitale.
e arricchita di brillanti immagini, visuali e verbali (come si può verificare consultando il materiale del Festival 7 : anche per questo mi limiterò ad un riassunto schematico).


Figura 1 – Il sacco di Roma del 455 ad opera di Genserico e dei suoi Vandali
– Karl Brjullov 1836)

Lasciando sullo sfondo le sue interpretazioni delle trasformazioni socio-economiche in atto imperniate sul “capitalismo documediale” (di cui abbiamo ampiamente riferito, comprese le mie personali critiche e perplessità1,2,3 - [A]), Ferraris ha sviluppato soprattutto una sua carrellata sulle magnifiche e progressive sorti dell’umanità da un passato, antico e prossimo, di guerre e devastazioni, fame e privazioni, ad un presente che – pur tra luci ed ombre – nutre 7 miliardi di persone, si limita per lo più alle “guerre commerciali” e – magari ipocritamente – condanna la crudeltà e lo sfruttamento (contrapponendosi quindi a chi sottolinea del presente le disuguaglianze, le alienazioni, le sofferenze, senza relativizzarle rispetto all’ancient règime).

Constatando che il Pianeta Terra, “come pianeta, sta benissimo”, Ferraris ha esortato invece a salvare l’umanità, sia sul fronte ambientale sia su quello di un effettivo ed adeguato welfare, come secondo lui è possibile con un corretto uso delle tecnologie, che possono essere più veloci delle tendenze al degrado ambientale.
Per conseguire tali risultati, piegando le imprese attraverso un rinvigorimento dei pubblici poteri, occorre che la sinistra comprenda la “rivoluzione documediale, con la conseguente diminuzione del lavoro fisico ripetitivo (come tale un successo delle rivendicazioni storiche del movimento operaio) e la contestuale funzione del consumo come “produzione di dati” (mentre le produzioni materiali sono per lo più automatizzabili, il consumo non può esserlo), per focalizzare le nuove rivendicazioni verso la socializzazione del “capitale documediale”, innanzitutto imponendo la retribuzione delle “mobilitazione” degli utenti lungo le reti digitali, e quindi una sorta di diritto generalizzato all’ “otium creativo”.
Senza tale iniziativa rivendicativa “moderna” della sinistra, il disagio degli utenti determina invece una sorta di “dittatura del proletariato” in chiave populista, in cui i leader sono in realtà schiavi del popolo attraverso i sondaggi).


L’ECONOMISTA ALFREDO BIFFI E L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Nella prima delle conferenze che si sono susseguite presso lo spazio Coop di Varese, a partire dal 8 ottobre, Alfredo Biffi, docente di Organizzazione Aziendale all’Università dell’Insubria, Dipartimento di Economia, ha affrontato il tema dell’Intelligenza Artificiale.
Partendo dalla definizione data dall’Enciclopedia Treccani, come insieme di “sistemi hardware e … software atti a fornire all’elaboratore elettronico prestazioni che, a un osservatore comune, sembrerebbero essere di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana. Suo scopo non è quello di replicare tale intelligenza …, bensì di riprodurne o   emularne alcune funzioni …in modo da fornire prestazioni qualitativamente equivalenti e quantitativamente superiori a quelle umane”, e dalla seguente descrizione schematica:

“1. Interfaccia con l’esperto: serve a consentire il caricamento da parte dell’esperto delle regole e della strategia di soluzione del problema
2. Base di conoscenza: vi sono archiviati sia i fatti, cioè i dati che descrivono i fenomeni, sia le regole che consentano di interpretarli e di porli in relazione tra loro
3. Motore inferenziale: modello di ragionamento, riportato su computer, che viene seguito dall’esperto per risolvere un problema
4. Interfaccia con l’utente: consente all’utente di inserire nuovi fatti nella base di conoscenze e di dare istruzioni (cioè comandi) al sistema”,
Biffi – analizzandone gli effetti a livello macro-economico ed a livello micro (cioè aziendale) -  ha evidenziato che tali applicazioni “rendono più produttivi quasi tutti i settori industriali in cui vengono introdotte, determinano profondi cambiamenti nei processi operativi e direzionali e nelle mansioni di gran parte degli addetti.  Molte attività tendono a scomparire (soppiantate dai computer), mentre nasce il bisogno di altre competenze e professionalità, molto diverse per contenuto e per caratteristiche comportamentali…»
“Gli esperti sono sicuri che non ci sarà compensazione adeguata attraverso nuovo lavoro. Posti in meno, situazione che potrà diventare strutturale!”


Figura 2: la “slide” del professor Biffi sul funzionamento dell’Intelligenza Artificiale

Oltre alla problematica dell’occupazione e della distribuzione della ricchezza (perché secondo il professor Biffi, diversamente da quanto afferma Ferraris, non è scontata la necessità di mantenere i disoccupati in quanto consumatori 6), si delinea il rischio di progressiva inabilità del cervello umano, che potrebbe divenire una mera appendice di un sistema ibrido naturale/artificiale (con riscontro pratico già misurabile anche nel livello intellettivo degli studenti, con la perdita di alcune capacità cognitive).
“Lo sviluppo tecnologico accelerato sta producendo concentrazione di ricchezza, ma rischia di produrre una cosa ancora più grave: la concentrazione della conoscenza.”
Biffi ha posto allora il problema di: “aumentare il grado di consapevolezza e conoscenza nelle persone per … renderle partecipi …:
• nei momenti di scelta a livello macro…
• nella progettazione, applicazione ed impiego a livello micro…”.
Il che comporta anche la capacità degli utenti di discernere tra le proposte tecnologiche/commerciali, senza essere comunque succubi delle “applicazioni” [B] .
Ed ha avanzato le seguenti proposte (con qualche elemento consapevolmente utopico e con specifica attenzione alle diversità individuali):
“ Immaginare scenari  di contesto di qualità della vita differenziali, per offrire opportunità alla soggettività;
Fare crescere il livello di conoscenza medio riportando la singola persona al centro              della propria identità nel mondo;
Pensare a modelli di sviluppo economico socialmente reingegnerizzati”.


IL SOCIOLOGO LELIO DEMICHELIS E LA DEMOCRATIZZAZIONE DELLA RETE

Lelo Demichelis, sociologo del lavoro e docente dell’Insubria (già intervistato e recensito su  UTOPIA21 3,4 ), intervenuto il 10 ottobre, ha impostato la sua comunicazione in termini storici: “Cinquant'anni fa l'autunno caldo sindacale e poi, nel 1970, lo Statuto dei lavoratori: cioè il riconoscimento e la formalizzazione giuridica di una serie di diritti democratici che entravano anche oltre i cancelli delle fabbriche” (In precedenza regnava l’autoritarismo, affiancato dallo spionaggio sistematico da parte delle aziende verso i dipendenti).
Sullo sfondo il concorrere delle ideologie delle grandi forze politiche che avevano portato alla Costituzione, sebbene contrapposte, nel porre al centro l’uomo: valeva per i cattolici e per i social-comunisti, ma anche per la tradizione liberale (e ne conseguiva la redistribuzione keynesiana dei redditi). 


Figura 3 – Il sociologo Lelio Demichelis

La svolta neo-liberista degli anni ’80, non solo con Reagan e Thacher, ma anche con l’ordoliberalismo che ha pervaso l’Unione Europea, ha invece esaltato il ruolo del mercato, come garante della efficienza dello sviluppo, riducendo i lavoratori a individui e i cittadini a “imprenditori di se stessi”, svuotando di fatto le conquiste che avevano reso più democratiche le imprese, e sviluppando mistificazioni come spacciare i “dipendenti” per “collaboratori”: mentre resta ben fermo il potere padronale nel decidere sul ciclo produttivo e sulle innovazioni – ha ricostruito Demichelis -  la produzione è decentrata e de-localizzata, i contratti di lavoro sono individualizzati, gli interessi di segmenti di lavoratori sono differenziati, le imprese sostanzialmente de-sindacalizzate.

In tale contesto, la “rete”, sorta negli ultimi decenni del Novecento come idea democratica, è stata rapidamente trasformata dalle imprese dominanti. “Social” è un nome fuorviante – ha rammentato Demichelis - perché si tratta di società capitalistiche che hanno lo scopo di massimizzare i profitti.
L’utente si muove in FaceBook come un pesce in un acquario, e viene governato da algoritmi che non può controllare.
Sullo sfondo della progressiva accelerazione, dal ‘900, degli stili di vita, con esaltazione della velocità e dei tempi brevi, si afferma una sorta di “ordo-macchinismo”: la tecnica, intesa come insieme di tecnologie, con le sue norme, si sovrappone alla società, plasma i rapporti sociali secondo razionalità strumentali alla massima efficienza dei processi (ad esempio far produrre anche dai consumatori una massa crescente di dati, di “condivisioni”, ed infine di profitti aziendali).

Mentre il lavoratore, più o meno consapevole, accetta la razionalità aziendale in cambio del salario, l’utente dello smartphone, affascinato da tale Pigmalione, si arrende alle lusinghe del consumismo e della condivisione, senza accorgersi che “divertendosi” perde la libertà [C] ed il controllo del proprio tempo (sulla alienazione ai tempi di Internet, vedi gli altri testi su Demichelis in Utopia21 3,4): si realizza così la “società amministrata”, preconizzata da Horkheimer e dalla Scuola di Francoforte.

Dopo aver tracciato tale quadro piuttosto pessimista, il professor Demichelis ha espresso però fiducia nella possibilità di contrapporre un pensiero critico, e cercare di demistificare e smontare tali meccanismi di controllo sociale: “Oggi è tempo di riportare la democrazia nelle imprese, ma anche di democratizzare la rete e i social, portando la democrazia oltre i cancelli degli algoritmi.”
Occorre sottrarsi alla delega sui nostri dati e i nostri profili, smascherare la falsa democrazia dei “like” e dei “feed-back” gestita dalle piattaforme, tornare a ragionare sui tempi lunghi (come in parte propongono i giovani dei Fridays for Future), costruire alternative al mercato, iniziando con il negare il principio neo-liberista, secondo cui, per l’appunto, “non c’è alternativa”.


LA SINDACALISTA CINZIA MAIOLINI: IL LAVORO E LA RIVOLUZIONE DIGITALE

Cinzia Maiolini, sindacalista della CGIL, coordinatrice dell’area “Idea diffusa”, è intervenuta allo Spazio Coop il 22 ottobre : “La rivoluzione digitale, che oggi ha il volto di piattaforme come Google o Facebook, assume sempre più le sembianze dell’Intelligenza Artificiale. Automazione di attività creative finora esclusiva di esseri umani, capacità di raccogliere e
analizzare enormi quantità di dati, sono funzioni ormai alla portata dei prossimi sistemi digitali e proiettano la loro ombra sul futuro del lavoro e sui rapporti nell’economia digitale.”

La Relatrice ha evidenziato in particolare come numerose innovazioni, frutto di ricerche di organismi pubblici (civili o militari), siano divenute patrimonio esclusivo di un gruppo di aziende private, con crescenti tendenze ad assicurarsi posizioni di predominio monopolistico sui mercati, ove la “libera concorrenza” viene esaltata solo in termini propagandistici: come ad esempio come Amazon, che “ospita” nella sua piattaforma anche produttori “indipendenti”, e impedisce così di fatto la nascita di “piattaforme” alternative.
A fronte di una diffusione di prodotti e servizi, anche con ridotti margini di guadagno, si determina una elevata concentrazione dei profitti.
Altri esempi di concentrazione monopolistica sono Google e Facebook, che – forti dei capitali accumulati - assorbono le “start up” potenzialmente concorrenziali, prima che si sviluppino.


Figura 4 – La sindacalista Cinzia Maiolini


Tra le conseguenze per gli utenti vi è la “profilazione predittiva”, che – spiandoli - tende a manipolare i consumatori nei loro successivi comportamenti, ed il coinvolgimento in operazioni “fai-da-te” in parziale sostituzione del lavoro dipendente (esempio tipico l’home banking).
Per quanto riguarda il lavoro, invece, si assiste ad una polarizzazione tra lavori poveri e ripetitivi, con contratti precari, e tendenzialmente sostituibili da macchine, droni e altri automatismi, e lavori qualificati, con sfruttamento più intenso e spesso senza limiti di orario, spesso governati da algoritmi incontrollabili.

(Ometto qui di riassumere la parte propositiva dell’intervento di Chiara Maiolini, perché già ampiamente trattata in questo stesso numero nell’articolo di Fulvio Fagiani 5 ).


IL FORMATORE CLAUDIO CASIRAGHI E L’ETICA DELLA COMUNICAZIONE

Claudio Casiraghi, docente di comunicazione per i Master della LIUC (Università di Castellanza) e presso la Pontificia Università, relatore nell’incontro del 7 novembre, ha impostato la sua comunicazione e conversazione sul tema dell’etica nella comunicazione, precisando che per Etica intende le regole per i comportamenti nei rapporti sociali, quindi qualcosa di diverso dalla “morale”, che concerne invece i valori a scala individuale.

Senza demonizzare in sé lo sviluppo tecnologico, il professor Casiraghi ha richiamato l’attenzione sul divario tra la velocità delle trasformazioni e la capacità di adattamento da parte del cervello umano; la complessità e pervasività di strumenti come lo smartphone rischiano di trasformare l’uomo stesso in mera propaggine di tali strumenti; la delega per le funzioni di memorizzazione porta ad un disallenamento e addirittura ad una tendenziale atrofia della mente umana, e specificamente ad un decadimento dei circuiti neurali (esempio degli studenti più giovani che, abituati a digitare sullo smartphone, trovano difficoltà ad usare la tastiera con l’uso di tutte le dita; caso estremo dell’esperimento di trapianto di memoria da una persona ad un’altra, con stravolgimento dell’identità).

L’applicazione generalizzata dei nuovi mezzi di comunicazione, in mancanza di una adeguata cultura per il loro buon uso, determina – ha sostenuto Casiraghi – diffuse conseguenze sociali:
-       forme di depressione, ansia, stress, paura del futuro, acuite dal “bombardamento informativo”, che privilegia le informazioni negative e catastrofiche, nonché dai ritmi frenetici della vita quotidiana, vera e/o virtuale;
-       chiusura in sé e scarsa attenzione e disponibilità verso gli altri, soprattutto nei contesti metropolitani;
-       crescente distanza inter-generazionale, in un quadro di abbreviazione dei cicli linguistico-culturali: le “generazioni” non si misurano più nei tempi della riproduzione familiare, e nemmeno dei grandi eventi caratterizzanti collettivamente (guerre, rivoluzioni, sommovimenti sociali), bensì per il medium di connessione: “quelli di Facebook” superati da “quelli di Istagram”.

Al livello del singolo individuo, il disagio e l’insofferenza vengono mascherate dalle momentanee soddisfazioni (corrispondenti a fisica emissione di dopamina) generate dai messaggi e dai “like” ricevuti, ma la dopamina auto-prodotta finisce (salvo cercare la dipendenza da altre sostanze) e resta un vuoto, nell’incapacità di ripristinare i necessari tempi di “comunicazione interiore”, della meditazione e del necessario riposo.


Figura 5 – la comunicazione del professor Casiraghi

A fronte di tale scenario, Casiraghi – anche in riposta ai primi interventi dal pubblico ha formulato alcuni principi da porre alla base di una comunicazione etica7, a partire dalla consapevolezza che l’uomo – in quanto animale relativamente debole tra le altre specie – ha elaborato il linguaggio come strumento indispensabile di cooperazione per difendersi e prevalere in ambienti ostili:
-       la comunicazione è un bisogno umano, stare insieme fa bene, anche se non sempre risulta facile e spontaneo;
-       la comunicazione è un fatto sociale e l’uomo – “animale simbolico” – elabora nello scambio interpersonale i necessari riti della convivenza, a partire ad esempio dalla convivialità (pur con le possibili degenerazioni e consunzioni dei riti stessi);
-       le tecniche sono strumenti indispensabili alla comunicazione, ma possono essere usate bene oppure male: ad esempio uno smartphone è un po’ come una Ferrari, e non si dovrebbe guidarla senza patente;
-       la comunicazione è una attività cognitiva ed ermeneutica, in cui ha uguale importanza capire gli altri e farsi capire dagli altri.

Dopo avere spaziato ancora su numerosi aspetti ed esempi della cattiva comunicazione, dall’aggressività individuale (non solo sui social) alla pubblicità ingannevole, dai talk show televisivi alle e-mail aziendali sgarbate, evidenziando anche la inefficacia delle poche normative  pubbliche finora elaborate (ad esempio la legge contro il cyber-bullismo, che sconta il grave limite della non-punibilità dei minorenni, oppure il regolamento sulla pubblicità dell’Autorità per la Comunicazione, farraginoso e largamente disatteso, a partire dalle televisioni), il professor Casiraghi – ancora  in dialogo con i convenuti -  ha concluso con alcuni suggerimenti praticabili da ognuno di noi (anche nella speranza che sperimentando una pratica di contro-cultura, questa si diffonda e possa un giorno prevalere), come ad esempio:
-       mostrarsi cordiali e disponibili, dal “Buongiorno!” alla cortese risposta a messaggi scorretti;
-       sottrarsi ai “cookies” e ad altri condizionamenti pubblicitari e di profilazione in Internet (a partire dal cancellare la propria “cronologia” al termine di ogni sessione di uso della Rete);
-       cercare di praticare indipendenza di giudizio nelle proprie scelte di consumo, scansando mode inutili e sconti stracciati;
-       replicare ai messaggi pubblicitari poco credibili, chiedendo chiarimenti oppure smascherandone le false premesse. 


L’ANTROPOLOGO FABIO MERLINI : L’ESTETICA TRISTE – SEDUZIONE E IPOCRISIA DELL’INNOVAZIONE

Fabio Merlini, antropologo ticinese, Direttore dell’IUFFP (Istituto Universitario Federale per la Formazione Professionale) di Lugano e Presidente della Fondazione Eranos di Ascona, in data 21 novembre, ha inquadrato le sue riflessioni sulla “estetica triste” 9 in una visione complessiva delle mutazioni indotte nei comportamenti umani dalle nuove tecnologie “digitali”, tra cui:
-       l’iperconnettività, attraverso gli smartphone e gli altri dispositivi mobili, che sono contemporaneamente (ed in permanenza) terminali di più canali di comunicazione, arrivando ad una sorta di “convocazione universale” (e qui ha fatto l’esempio di una scolaresca cui ha fatto depositare per alcuni minuti sulla cattedra tutti i cellulari, ma accesi, pigolanti di continue notifiche…);
-       una diversa percezione delle coordinate spazio-temporali, con lo spazio che si compatta, il mondo che appare piccolo, il tempo presente che si dilata a danno del passato e del futuro;
-       una sovrapposizione tra “pubblico” e “privato”, dove tutto risulta più poroso e più permeabile, cambia la percezione della “alterità”, tutti ci sentiamo più esposti e cresce il “bisogno di identità”;
-       lo sconfinamento tra lavoro e non-lavoro, con l’ufficio che entra in casa e fino in camera da letto, con una “trans-contestualità” che ribalta le gerarchie nelle normative di comportamento (esempio lo smartphone acceso a tavola).

Si tratta di un processo che ha accompagnato lo sviluppo tecnologico delle tele- comunicazioni, come già avevano osservato Adorno (con la radio si può ascoltare Bach in cucina, con profumo di arrosto, mentre Bach doveva camminare 2 giorni per poter ascoltare il suo maestro Buxtehude, con esclusivo profumo di incenso) e Benjamin, riguardo all’aura dell’opera d’arte originale rispetto alle riproduzioni, pur sempre più fedeli; altri esempi Merlini li ha tratti dalla sua (e nostra) esperienza generazionale, come nel caso della radio a transistor per ascoltare le cronache calcistiche, comportamento in cui si affaccia la “schizo-topia”, ovvero l’essere tirati di qua e di là.

Portando l’attenzione sugli oggetti che ci circondano, sempre più condizionati dai rapidi cicli delle mode (si pensi all’arredamento, che una volta era “per sempre”, dal momento in cui “si metteva su casa”; e addirittura si tramandava per generazioni, tra le élites aristocratiche, e all’opposto anche tra i più poveri) per Merlini:
“L’estetica è triste quando anziché essere occasione di crescita per chi ne fruisce i prodotti, diventa un fattore regressivo: una bella apparenza che non mantiene le sue promesse.”


Figura 6 – L’antropologo Fabio Merlini

L’espressione è ricalcata su quella, celebre, di “scienza triste” (l’economia), e intende definire la bellezza ipocrita di un design raffinatissimo - ormai generalizzato a pressoché tutte le merci - che troppo spesso, come vediamo nel settore del lusso ma non solo, nasconde condizioni di produzione e processi estrattivi devastanti sul piano ambientale e sociale. Insostenibili.
“Vediamo, ad esempio, la bellezza seduttiva del nostro cellulare, ma il modo in cui si mettono le mani sui minerali metallici che servono a farli funzionare? Che mondo è quello in cui una bella apparenza cerca nel design occasioni sempre più seducenti per rilucere, lasciando completamente nell’ombra ampie porzioni di sé, tristemente sacrificate all’estetica dell’innovazione?”
La narrazione sugli oggetti, pur presente e necessaria per venderli, si ferma agli inventori della Silicon Valley e non si spinge mai al lavoro minorile sfruttato nelle miniere di cobalto.

Anche l’aspetto ludico e accattivante delle merci ha una storia, con uno sviluppo di massa a partire dall’Ottocento (con i miti delle città rilucenti di vetrine, e poi dei Grandi Magazzini), con le fiere che sostituiscono le mete religiose dei pellegrinaggi (ma le reliquie della sofferenza, là esibite, sono invece qui accuratamente rimosse), e poi con il design, che compie una parabola negativa, da strumento di ricerca di cose utili e funzionali (e quindi belle, anche in rottura con i tempi ed il sentire comune) a sostanziale propaggine del marketing e della pubblicità, a servizio del venditore (imbellettando con stile modaiolo oggetti anche inutili e talora dannosi) e quindi non dell’utente.


ALCUNE BREVI CONSIDERAZIONI PERSONALI

Questo filone del Festival dell’Utopia 2019 mi è sembrato molto soddisfacente – rispetto ai temi posti – per la qualità dei Relatori, tutti molto competenti e molto chiari, e taluno addirittura affascinante – e per la gamma delle discipline e dei punti di vista.
Sotto questo aspetto, ed in particolare alla luce di questioni poste da Casiraghi e da Merlini, sulle mutazioni dell’uomo e del suo cervello, mi piacerebbe che il filone sulla “società digitale” proseguisse interpellando psicologhi, psichiatri, genetisti e neuro-biologi.

Rimando invece ad un confronto con Fulvio Fagiani (e con chi altro volesse parteciparvi) una necessaria riflessione sull’uditorio che questo filone del festival è riuscito a mobilitare e sulla qualità e continuità del dibattito conseguente.


Fonti:
1.    Aldo Vecchi - DIBATTITO SUL “CAPITALISMO DOCUMEDIALE” – su “UTOPIA21” marzo 2019 - https://drive.google.com/file/d/19spZJ70tWdIegwm7nDD4hJGJvTA0oU8M/view.
2.    Maurizio Ferraris - RISPOSTA SUL “CAPITALISMO DOCUMEDIALE” – su “UTOPIA21” maggio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1zvydYKwaceoozsoQjWOJTAUffaSJ4dmD/view.
3.    Aldo Vecchi e Fulvio Fagiani - IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS SU TECNICA E UMANITÀ - su “UTOPIA21” novembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1kfQ6QaOfbN_IiJCPZMlkIEikXUFzBynG/view.
4.    Fulvio Fagiani - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON LELIO DEMICHELIS su “UTOPIA21” settembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/0BzaFw8WEAEgYQVBhYlJnelhWZVk/view.
5.    Fulvio Fagiani - IL LAVORO TRA DIGITALIZZAZIONE E TRANSIZIONE ECOLOGICA – su questo numero di “UTOPIA21”.
6.    Fulvio Fagiani - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON ALFREDO BIFFI su “UTOPIA21” novembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/1kWubZZKFZbOYXvQ_ZgX6Ow_TnoY0lRMT/view.
7.    Aldo Vecchi  – LA COMUNICAZIONE ETICA, INDAGATA DA CLAUDIO CASIRAGHI - su “UTOPIA21” maggio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1Mievi8SYtnDEp8tHczMTqPtCqaXpn7yK/view.
8.    DOCUMENTAZIONE SUL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE 2019 -  https://www.universauser.it/immagini-2.html
9.    Fabio Merlini - L'ESTETICA TRISTE: SEDUZIONE E IPOCRISIA DELL'INNOVAZIONE – Bollati Boringhieri, Milano 2019




[A] e che possiamo così riassumere con parole dello stesso Filosofo: “Se i dati, anzi il capitale documediale, saranno la risorsa più pregiata, l’umanità sarà una documanità. La produzione di documenti sopravanzerà la produzione di beni, la socializzazione del valore prodotto dai dati sarà il fondamento del ‘welfare digitale’ “
[B] Non mi ha convinto pienamente la protesta del prof. Biffi contro il recente obbligo di usare le app sullo smartphone per continuare ad accreditarsi nel cosiddetto “home banking”, senza sostanziale alternativa (e lo stesso ragionamento può valere per altre opzioni di fatto obbligatorie per l’utente), perché a mio avviso non costituiscono una novità specifica dell’era digitale: anche nel passaggio dalla monetazione di conio alla moneta cartacea, oppure dal dollaro convertibile in oro a quello non convertibile (per restare con esempi in campo bancario)  l’utente era privato di effettiva libertà di scelta.
[C] Non mi ha pienamente convinto l’esempio del professor Demichelis sulla macchina fotografica, che nella sua attuale forma digitale (inglobata nello smartphone) fa tutto da sè in automatico, espropriando l’operatore di tutte le capacità e le decisioni in merito a esposizione, tempi e diaframmi, ecc. , perché anche il fotografo degli anni ’60, con il suo esposimetro ed i vari comandi manuali, era comunque condizionato dal tipo di macchine e di pellicole disponibili, mentre anche ora conserva la facoltà, volendolo, di modificare i parametri di scatto (nonché comunque ancora di scegliere il momento, l’inquadratura, il taglio, ecc. dell’immagine).

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