LA PANDEMIA COME CRISI ESISTENZIALE ED I SUOI RIFLESSI
SOCIALI
di Anna
Maria Vailati e Aldo Vecchi
Una riflessione sugli
aspetti soggettivi delle reazioni al Coronavirus, per chiedersi come potrà
ricostituirsi un tessuto di socialità.
Sulla
Pandemia è già stato scritto di tutto, e già Utopia21 se n’è occupata, tra
l’altro con gli editoriali di marzo, maggio e luglio.
Mentre
ancora non sono chiari né gli orizzonti epidemici, né le proporzioni complete
della conseguente crisi economica, e tanto meno l’attendibilità dei rimedi
prospettati dall’Europa e dai singoli Stati, ci sembra tuttavia interessante
soffermarci ancora su alcuni aspetti della questione.
Il
virus Covid-19 appartiene alla natura ed è nella natura dell’uomo convivere con
svariati micro-organismi (dentro e fuori dal corpo umano) oppure soccombere a
fronte della loro prevalenza: in un quadro di continua evoluzione, sia genetica
che tecno-medicale, che riguarda sia gli uomini che i micro-organismi, ed i
reciproci, dialettici rapporti: ad esempio con l’apparente debellamento di
alcuni agenti patogeni, la maggior resistenza ai farmaci di altri agenti, la
diversa occupazione di nicchie ecologiche, l’interazione con i cicli agrari, le
abitudini alimentari e gli altri stili di vita, ecc..
Al
fondo delle posizioni negazioniste, quando almeno tentativamente argomentate, ci
sembra che ci sia una tendenza “consolatoria” (e in qualche modo socializzante),
che nasce dalla paura, a cercare un nemico tra gli uomini (poteri forti che
complottano per creare artificialmente i virus[1], o per far credere vere
infezioni inventate, o per manipolare, celare o centellinare vaccini segreti),
e così sfuggire dalla constatazione che invece il nemico può essere dentro di
noi, di ognuno di noi, e ne condividiamo la sostanza bio-chimica, ne temiamo la
peculiare e “virale” “intelligenza collettiva”.
Anche
le pulsioni colpevoliste, della Pandemia come punizione divina (ripudiate dalla
Chiesa di Papa Francesco, ma striscianti – secondo tradizione – nel corpo mistico
del cristianesimo), ed a nostro avviso anche da parte di alcune minoranze
ecologiste che leggono un collegamento automatico tra urbanesimo e contagio
(oppure tra alimentazione carnivora e contagio), tendono a socializzare la
resistenza psicologica alla Pandemia, inducendo a schierarsi nella preghiera
(se non nelle processioni senza distanziamento) oppure nella condanna della
modernità-che-distrugge-la-biodiversità: mentre a nostro avviso la
contaminazione con specie diverse – virus, topi o pipistrelli - è molto più
facile per l’uomo primitivo che si aggira nella foresta vergine, con la
fondamentale differenza che al momento
non ha da contagiare immense metropoli, ma solo sparute tribù.
Per
chiarire, non amiamo la metropoli e la globalizzazione che distrugge la
biodiversità, ma riteniamo che quest’ultima seconda vada difesa, e la prime due
riformate, senza invocare su di loro la colpa specifica della frammistione con
i pipistrelli, ma solo quella, intrinseca, e già molto grave, di moltiplicatore
dei contagi tra esseri umani (anche se non
è da escludere che una urbanizzazione accelerata contribuisca
specificamente ad intrecciare la permanenza di abitudini ancestrali, di
commistione con animali, o di modalità di macellazione, di cui il contesto
metropolitano acuisce le conseguenze).
Il
negazionismo ed il colpevolismo ed in genere la ricerca di un “untore” o “capro
espiatorio” [2],
specie se agitate da personaggi pubblici (politici, medici, artisti) hanno il
solo risultato di aumentare la tensione sociale ed il disorientamento
individuale; allontanando nel contempo una seria e laica ricerca sui fenomeni
che facilitano le pandemie ed anche sulle diverse capacità dei sistemi sanitari
di affrontarle, con maggiore o minore efficienza, e soprattutto equità.
Ma
se non ci si provvede di siffatti scudi, la constatazione della nuda appartenenza
alla natura e alla sua crudeltà ci rende
più soli e più fragili
La
precarietà è invero intrinseca alla mortalità ed alla morbilità,
caratteristiche fondamentali della vita umana.
E
però quotidianamente rimossa, per i singoli soggetti in medie condizioni di
salute (e di età…), e soprattutto nel nostro mondo occidentale e
de-sacralizzato, da un principio vitalistico, che ci fa guardare al domani, al
piacere, al progresso.
Un
atteggiamento ottimista che coinvolge in larga parte – in tempi normali – anche
chi è socialmente precario, per le condizioni contrattuali del proprio lavoro
(autonomo, temporaneo, dipendente-ma-insicuro, ecc.) o di altri aspetti
basilari dell’esistenza (abitazione, affetti, famiglia).
Si
tratta dello stesso poco-sensato ottimismo esistenziale che fa vedere remoti i
pericoli, ancorché ormai ben visibili, del cambio climatico, e rende difficile
acquisire consenso sulle politiche ambientali di lungo termine e largo respiro;
come ha tratteggiato Fulvio Fagiani in diversi articoli 1,2; e che
ha indotto popoli e governanti ad ignorare gli autorevoli allarmi già da tempo
lanciati dagli scienziati in merito alle incombenti pandemie (comprese quelle
che verranno…).
La
nostra impressione è che questa Pandemia abbia intaccato profondamento questo
immotivato ma spontaneo ottimismo, e precarizzato in qualche misura anche chi
era più stabile e “garantito” (e quindi assai peggio per chi precario già lo
era), imponendo un confronto ravvicinato con la possibilità – ed il timore – di
ammalarsi e di morire (anche se statisticamente restano maggiori le probabilità
di contrarre altre malattie inguaribili o di subire un incidente: probabilità
che l’insensato ottimismo già aveva “messo in conto”, cercando però di
dimenticarsene, ed alle quali si aggiunge il più casuale contagio da
coronavirus).
Questa
inedita consapevolezza determina, su larga scala, ma in una dimensione
individuale, diversi fenomeni di disagio psichico, come registrato e ben
raccontato dallo psichiatra Vittorio Lingiardi 3 “… I meno
privilegiati sono esausti. Molti resistono in uno stato di prostrazione
economica, stanchezza immaginativa, oscuramento della speranza. Usando il
linguaggio della clinica …. esposizione traumatica, .. fragilità
post-traumatica, --- elaborazione del lutto, …svuotamento depressivo. Il clima
è propizio per trappole difensive: rimuovere… negare…proiettare in modi più o
meno paranoidi. Dietro l’angolo altri rischi: precipitare in sentimenti di
sospetto e rabbia, ma anche di impotenza e solitudine”[3]
Nel
contempo i legami sociali si sono variamente rarefatti, di più durante il
confinamento rigoroso, ma in notevole misura anche dopo (in particolare per il
lavoro a distanza e la didattica a distanza), riducendo le occasioni di
frequentazione ed il livello di fiducia negli altri, in quanto possibili
portatori di contagio, ma anche perché ciascuno rimane più racchiuso nelle sue
paure, ed anzi si sente più “socialmente utile” rimanendo “sanitariamente
distante”.[4]
Forzando
Bauman, ci sentiremmo di dire che la “società liquida”4 tende a
divenire “aeriforme”[5], con le singole molecole
fisicamente compresse sì nelle celle abitative, ma fluttuanti in uno spazio di
relazioni sociali “ad interazioni deboli” e suscettibili di diverse
trasformazioni: ri-precipitare nello stato liquido (con eventuali nuove
polarizzazioni più solide) oppure evaporare in nuove configurazioni sospese (o
addirittura “ionizzanti”?).
Fuor
di metafora, nel valutare le biforcazioni che si aprono nell’auspicabile uscita
dalla crisi sanitaria e socio-economica, e di cui si è già parlato nei
precedenti editoriali di Utopia21, riteniamo che la condizione psicologica “scossa”
dei singoli individui (anche in funzione delle inasprite gerarchie sociali) possa
giocare un ruolo, più probabilmente di amplificazione che di attenuazione,
delle onde oscillatorie che attraversano e attraverseranno i “corpi sociali”.
Non
sappiamo se si apriranno alternative radicali, come quelle schematizzate poco
più di un secolo addietro da Rosa Luxemburg nello slogan “socialismo o barbarie”5
(allora prevalsero le barbarie, dalla prima guerra mondiale – già in atto –
alla crisi del 29 ed al nazifascismo, dalla Shoah alla seconda guerra mondiale,
emblematicamente conclusa dalle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki; ed
anche il socialismo, quello reale, non si rivelò poi così alternativo alle
barbarie, come invece quello immaginato dalla stessa Rosa Luxemburg); però il
prossimo bivio Biden/Trump appare abbastanza impressionante.
Pensiamo
tuttavia che potrebbero rafforzarsi spinte contraddittorie:
-
da
un alto quelle individualiste, facilitate dalle nuove solitudini e motivate
dalla lotta per la sopravvivenza (economica e sanitaria), che possono trovare
nei social media una proiezione collettiva-ma-non-cooperativa e nelle
piattaforme un collettore selettivo per la ricerca del reddito; e facilitare la
prevalenza di politiche corporative e sovraniste (con le conseguenti
contrapposizioni tra poteri nazionali),
dei monopoli telematici e della finanza
irresponsabile; esasperando così la polarizzazione tra i più ricchi ed i più
poveri, già galoppante di suo prima della pandemia;
-
dall’altro
una nuova coscienza civica, con la ricostituzione della fiducia reciproca e la
consapevolezza di un rinnovato bisogno delle istituzioni pubbliche e della cooperazione
internazionale; e approdare verso una società inclusiva, con il temperamento
dei consumi ed una concezione del lavoro solidale; con la necessità di
arricchire il già complesso discorso ambientalista ed egualitario con queste
nuove attenzioni alla soggettività ed alla capacità di cura.[6]
In
mezzo al bivio, anzi “in una rete di linee che s'intersecano”6, non
c’è solo ciascuno di noi, ma le concrete politiche dei vari soggetti
collettivi, dai sindacati e partiti alle istituzioni, locali e nazionali, fino
– nel nostro caso – all’Unione Europea, che possono condizionare le propensioni
di persone, famiglie ed imprese in un senso o nell’altro.
In
particolare l’Europa – pur in un quadro geopolitico globale poco
tranquillizzante – si è posta obiettivi ambiziosi, ed in parte rispondenti ai
bisogni di ricostruzione dei tessuti sociali (e sanitari, con un effettivo
welfare universale) ed alla speranza di una riduzione del rischio climatico
(come ha ben illustrato Fulvio Fagiani 7,8)[7].
E
quindi dissipare il pessimismo della ragione, che potrebbe promanare dalle
nostre precedenti riflessioni, in cui il tradizionale ottimismo della volontà
risulta motivatamente affievolito.
Fonti:
1.
Fulvio
Fagiani – ALLE RADICI DELL’INAZIONE CLIMATICA: RAGIONI PSICOLOGICHE E
SOCIOLOGICHE – Pubblicato sul numerodi maggio 2020 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1VIBJG2nW827g3rKQxBiwob0b10tJgcFQ/view.
2.
Fulvio
Fagiani – PER L’AZIONE E LA TRASFORMAZIONE 8E CONTRO L’INAZIONE E LA
RASSEGNAZIONE – Pubblicato sul numero di luglio 2020 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1euJ09IArEJDtGSf3O-wHBNET0yERB8ZX/view.
3.
Vittorio
Lingiardi – LA SPERANZA SI PUO’ ANCORA IMMAGINARE – su Robinson, supplemento di
Repubblica, 25/07/2020
4.
Zygmunt
Bauman – MODERNITÀ LIQUIDA - Laterza, Bari 2002
5.
Rosa
Luxemburg - SOCIALISMO O BARBARIE (LA CRISI DELLA SOCIALDEMOCRAZIA) – Red Star
Press, Roma 2019
6.
Italo
Calvino – SE UNA NOTTE D’INVERNO UN VIAGGIATORE – Einaudi, Torino 1979
7.
Fulvio
Fagiani – LE STRATEGIE EUROPEE PER CLIMA E OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE –
Pubblicato sul numero di marzo 2019 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1Auht7xf98I9_a4Y8mWSe6ugJ3cxPIm6f/view.
8.
Fulvio
Fagiani – IL GREEN DEAL EUROPEO – Pubblicato sul numero di gennaio 2020 di
UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1w2VagFLdVHCzpHxD0IALYlr3bL5W0GM5/view.
[1]
Se poi un giorno scoprissimo che veramente il Covid-19 è un sotto-prodotto (o
un criminale voluto esperimento) di laboratori impegnati in guerre
batteriologiche/virologiche, per conto di uno Stato o della Spectre, il
sospettarlo o denunciarlo anticipatamente, in assenza di alcuna prova (o almeno
di seri indizi), non ci avrebbe aiutato né a scoprirlo né a sconfiggerlo: fuori
dalla setta complottista, apparirebbe solo uno sterile gridare “Al lupo Al
lupo”
[2]
O anche il sempiterno tentativo sovranista di scaricare anche la colpa del
contagio sui soliti “migranti invasori”, che in realtà, in campo pandemico,
sono veramente “gli ultimi arrivati”: una solenne stupidaggine, che tuttavia
alle prossime elezioni regionali potremo probabilmente misurare come di grande
effetto “popolare”.
[3] Il testo di Lingiardi prosegue lungo un
asse “disciplinare” delle scienze psichiche, prospettando l’utilità terapeutica
di un ricorso ai miti, cioè “al nostro patrimonio mitopoietico, cioè alla funzione immaginifica e narrativa che ci
caratterizza come umani….Non c’è psicologia del profondo senza apertura al
mito..”, richiamando teorie di Freud, Jung e Bion ed esemplificando alcune
figure mitologiche a suo parere pertinenti.
Stato gassoso e leggi dei gas - Scienze a scuola
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[4] Il bilancio delle solitudini oggettive
è piuttosto complesso, ed i sociologi sapranno dirci di più: paradossalmente il
confinamento nelle case ci ha spinti a moltiplicare i nostri rapporti con
l’artificio delle comunicazioni telematiche, con più successo per quelle bilaterali
e maggior fatica per quelle multilaterali, che solo in parte hanno sopperito
alla sospensione di molte attività collettive; nell’insieme ne sono stati
colpiti di più i malati (anche non Covid) e gli anziani ricoverati, per le
drastiche restrizioni alle visite in ospedale e case di riposo, gli anziani
soli, alcune fasce infantili private – con la chiusura delle scuole – di
fondamentali canali di socializzazione; mentre per altre nicchie della
popolazione il confinamento può anche aver mostrato risvolti positivi, per i
singoli nel ritrovare se stessi o attitudini dimenticate, per i nuclei
famigliari nello scoprire rapporti affettivi appannati (o viceversa acuire
rancori sepolti…).
Ma ciò che più ci interessa, nell’economia di questo articolo,
è la condizione soggettiva di solitudine “esistenziale”, messa a nudo dalla
Pandemia, anche per chi fisicamente non è solo.
E “Lo stato gassoso è uno stato della materia caratterizzato
da grande disordine delle particelle. Energia cinetica: elevata Distanza tra le
particelle: elevata Interazioni tra le particelle: debolissime I gas non hanno
forma propria né volume proprio. Hanno una bassa viscosità e sono molto
comprimibili.”
[6] Sarà probabilmente di aiuto
l’annunciata nuova enciclica di Papa Francesco sulla fratellanza.
[7] Vorremmo però segnalare il pericolo che
– nel superare la vecchia concezione “ordo-liberale”, che esaltava la
concorrenza (e lasciava ipocritamente ai singoli stati le politiche di sostegno
alle imprese nei mercati internazionali) – finisca per assumere una veste
mercantilista “federale” di imposizione dei “propri” monopoli (più verdi, più
sociali, ma sempre monopoli) contro quelli degli altri imperi (U.S.A., Cina,
Russia), a spese finali dei popoli del quarto mondo.
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