INTERVISTA AD ADRIANO FANCHINI:
40 ANNI TRA SIAI E AGUSTA
Con riferimento alle
altre interviste attinenti al movimento operaio nella zona “insubrica” che
abbiamo pubblicato su Utopia21 1, l’esperienza di Adriano Fanchini come
operaio e sindacalista nel gruppo Agusta (che ha assorbito anche gran parte
della storica SIAI Marchetti); e anche nei suoi rapporti con il territorio e l’ambiente.
D. = domanda
R. = risposta
In corsivo i commenti più personali
D. LaTua esperienza
di lavoro (e anche di sindacalista) tra Siai Marchetti ed Agusta è durata
quarant’anni…
R. Sì, ho iniziato a
lavorare giusto 50 anni fa, nel novembre 1971, e sono rimasto nell’azienda di
Vergiate, fino al 2011 (tranne un breve periodo in aspettativa, in cui ho fatto
il funzionario del Partito Comunista)
D. Prima hai seguito
un percorso scolastico?
R. Sì, all’Istituto
Tecnico Industriale, prima a Borgomanero e poi nella nascente sezione staccata
di Arona, dove eravamo solo una classe, isolata in un condominio, con mezzo
laboratorio nel sottoscala: una situazione poco stimolante, che forse ha
contributio a farmi smettere dopo 2 anni (anche per motivi di famiglia): ma mi
resta il rammarico di non aver proseguito
D. Erano anni di
movimento tra gli studenti, anche a Borgomanero e ad Arona?
R. Sì, in alcuni
mesi si faceva soprattutto sciopero… Già da prima ero iscritto alla Federazione
Giovanile Comunista, a Castelletto Ticino, ma il confronto con i “movimenti”
apriva la mente a nuove prospettive, allora
non c’erano steccati, nei paesi tra PCI e altri gruppi di
sinistra: ad Arona c’erano rapporti e anche contrasti con le altre scuole (al
Liceo c’erano anche studenti di destra)
D. Ma avete avuto
contatti anche con le Marcelline (scuola
magistrale femminile confessionale) ?
R. Una volta cercammo
di fare un volantinaggio, ricordo che ero insieme a Tom Capuano1, e
che i genitori delle allieve non erano particolarmente contenti….
D. E’ stato
difficile farsi assumere alla SIAI?
R. No: bastava compilare
una domanda, e tagliarsi i capelli, perché alla Direttrice del Personale non
andavano i”capelloni”.
D. Allora la SIAI
era in espansione?
R. Si, alla fine
degli anni ’70 arrivò ad avere 3.000 dipendenti, la maggioranza a Vergiate,
circa 1000 a Sesto (dove c’erano anche gli uffici della Direzione), 400 tra
Borgomanero (meccanica) e Malpensa (assitenza) e inoltre quasi 300 nel
distaccamento in Libia, per gli ottimi rapporti commerciali con il Gheddafi di
allora
D. Perché poi arrivò
la crisi della SIAI?
R. Penso soprattutto
per motivi politici, di strategie dei gruppi di potere nelle “Partecipazioni
Statali”: il gruppo Agusta, con cui la SIAI già collaborava per gli elicotteri,
non aveva interesse per l’ala fissa, ed i modelli di aerei da addestramento
della SIAI, di oggettiva miglior qualità, non riuscirono a soppiantare nelle
forniture all’Aviazione italiana qeulli dell’AerMacchi. Il gruppo dirigente
SIAI stava con il PSI, quello AerMacchi con la Dc, e vinse la DC. Si può anche
dire, però, che la tecnologia SIAI sta per avere una rivincita postuma, perché
il parco progetti e le migliori mestranze sono state assorbite dalla Macchi di
Venegono, ed il prossimo modello Macchi che userà l’Aviazione (comprese le
Frecce Tricolori) assomiglierà tremendamente al fantasma del SIAI S211…
D. Tornando al Tuo
ingresso in fabbrica, com’era il processo di formazione? Ti è servito qualcosa
il biennio dell’ITIS?
R. In quegli anni
la SIAI non si impegnava in una attività di formazione, perché con le sue
migliori condizioni contrattuali e salariali, attraeva di fatto gli operai che
si erano specializzati nelle piccole fabbriche della zona. Nel mio caso fui
fortunato, perché mi misero al reparto Attrezzeria, dove c’era da imparare sul
campo dagli operai più anziani a fare operazioni delicate, dagli stampi alla
carpenteria per le linee di produzione, perché allora l’azienda era abituata ad
essere autosufficiente, grazie alla altissima professionalità di questi
“maestri”, tra cui vorrei ricordare soprattutto Romano Zeni, di Sesto Calende…
D. Persona molto
conosciuta e apprezzato anche fuori dalla fabbrica: con gli altri del gruppo
Anziani Siai ha ottenuto che – in un territorio ormai privo di grandi fabbriche
– la “Sirena della SIAI” continui a suonare alle 7.55 dei giorni feriali
R. La sento anch’io
da Castelletto: quando lavoravo mi pesava un po’, perché al mattino si ha anche
voglia di dormire, ma adesso è quasi un buon ricordo.
D. Ti ho interrotto
sulla formazione…(aggiungo per i lettori
che invece, nei decenni precedenti, la SIAI si era distinta per i suoi corsi di
disegno, anche serali)
R. Il lavoro in
Attrezzeria, ma anche in Modellistica (modelli in legno dei pezzi di aereo o di
elicottero, che poi le macchine rilevavano e in parallelo riproducevano, ad
esempio, sull’alluminio), era fondato sul disegno, sulla conoscenza dei
materiali (l’aeronautica per forza di cose doveva stare all’avanguardia nella
ricerca) e poi anche sulla manualità; quel po’ di disegno tecnico e di
esercitazioni in officina con la lima dell’ITIS mi sono anche tornate utili;
poi, per esempio, a saldare ho imparato guardando i saldatori che realizzavano
i nostri “attrezzi”. Tutto questo è poi cambiato dagli anni ’90, sia per
l’introduzione delle macchine a controllo numerico e di materiali come il
carbonio e il titanio, sia per le scelte di Agusta, che preferisce
esternalizzare gli stampi e quant’altro a imprese esterne, di fatto controllate
dal gruppo, e che costituiscono parte dell’ “indotto aeronautico” della nostra
zona, molte imprese con elevate certificazioni di qualità. Io però ero ormai passato
al “Controllo Qualità” (anche lì imparando da colleghi anziani di altissima
competenza).
D. Qual’era il
panorama politico-sindacale dei dipendenti SIAI negli anni ’70?
R. La maggioranza
erano aderenti alla FIM-CISl, un po’ perché venivano da territori dominati
dalla Democrazia Cristiana, e un po’ per il prestigio dei sindacalisti FIM,
anziani che venivano dalla tradizione della Commissione Interna (aggiungi che
nel dopoguerra una parte dei quadri della FIOM era stata allontanata per motivi
politici, a partire da Albino Caletti,il “Capitano Bruno”; anche mio padre,
Mario, da operaio SIAI era passato a fare il sindacalista per la Camera del Lavoro
di Novara, e poi per diverse categorie della CGIL). Alla FIM aderiva anche un
gruppetto, che allora si era formato, di Avanguardia Operaia. Poi con il
ricambio generazionale e l’ingresso di molti giovani, come me, la FIOM divenne
maggioritaria (anche se curiosamente una parte della UILM era costituita da iscritti
al PCI…): c’era l’importantissima novità dello Statuto dei Lavoratori e la
fondazione dei Consigli di Fabbrica.
D. E anche Tu sei
stato eletto delegato?
R. Si, dopo qualche
mese; successivamente sono entrato anche nell’Esecutivo (perché il Consiglio
intero contava una cinquantina di delegati); e a volte andavo a tenere
assemblee nelle piccole e medie aziende della “zona Laghi”
D. Anche in SIAI si
svilupparono le conquiste degli anni ’70?
R. Sì, a mio avviso
furono anni di trasformazioni rivoluzionarie, come l’abolizione del cottimo,
che era ancorato a tempi di lavorazione assurdi, punitivi per la media degli
operai, e però talora invece dannosi per la effettiva produttività, come
riuscimmo a dimostrare all’azienda.
E riuscimmo invece ad impostare una
seria contrattazione collettiva sul cosiddetto “inquadramento unico”, rivedendo
mansioni e “carriere”: allora i Delegati avevano un monte-ore, che si
distribuivano (e se le ore non bastavano, il Consiglio si riuniva dopo la
giornata di lavoro), ma così continuavano a lavorare nei reparti in contatto
con i lavoratori…
D. Allora sì, dopo: meno?
R. Secondo me le
attuali Rappresentanze Sindacali Unitarie hanno perso questo contatto, i Rappresentanti
sono distaccati a tempo pieno e gestiscono contrattazioni individuali, ad
esempio per i passaggi di livello, per garantirsi il consenso elettorale, quasi
una specie di voti di scambio…
D. Ti ho interrotto
sulle conquiste degli anni ‘70
R. Altra battaglia
fondamentale, anche sotto l’aspetto umano e
culturale, fu il superamento dell’indennità per lavorazioni nocive, che
“monetizzava” la permanenza dei lavoratori in ambienti malsani e pericolosi:
costringemmo la SIAI a rifare come si deve i reparti verniciatura e incollaggi,
con tutte le aerazioni necessarie ed i
controlli sulla salute.
D. Ma poi questa
spinta si è interrotta…
R. Penso che nella
seconda metà degli anni ’70 sia improvvisamente divenuto centrale il tema del
terrorismo, anche prima del sequestro Moro: pure in SIAI ci furono alcuni
episodi di sabotaggio, a macchinari ed a prodotti, ed un attentato incendiario
ad una automobile di un dirigente, che per fortuna andò a fuoco senza esplodere
e innescare altri effetti a catena. La preoccupazione del Consiglio di Fabbrica
era quella di isolare i fiancheggiatori del terrorismo (collaborando anche con
la Direzione) e sviluppare la battaglia politica e culturale per la difesa
delle istituzioni democratiche, senza dimenticare la dialettica sindacale e gli
interessi dei lavoratori. Ma non fu facile, e da lì si spezzò in qualche misura
il legame tra la sinistra parlamentare e una parte dei lavoratori.
D. Anch’io come
militante di sinistra, di fronte al sequestro Moro ebbi l’impressione che in
qualche modo le Brigate Rosse ci avessero privato della possibilità di
continuare la lotta poilitica, nei termini in cui si svolgeva prima.
R. E’ una impressione
che condivido. Tutto fu poi più difficile anche per il Partito Comunista:
Berlinguer, che a mio avviso aveva detto cose giustissime sulla “austerità”, si
trovò nelle strettoie della nuova alleanza tra DC e PSI e di battaglie giuste
ma impossibili come la vertenza FIAT del 1980. Poi però, con la sua morte,
subimmo anche il peso di non avere dei leader alla sua altezza (in parallelo
penso che abbia pesato dall’altra parte la perdita di Moro come guida
autorevole e intelligente): dopo la transizione di Natta, Occhetto sollevò
speranze, ma si rivelò una delusione
D. La prima di
molte?
R. Forse: d’altronde
dall’altra parte si affermò il “C.A.F.” con Craxi Andreotti e Forlani…
D. E poi Berlusconi…Tornando
alla SIAI, vorrei raccontarTi un’esperienza personale: tra il 74 ed il 76
frequentavo abitualmente i cancelli della Siai, sia a Sesto che a Vergiate, per
“fare intervento politico” per Lotta Continua (che alla IGNIS era presente
all’interno), con scarsi risultati in generale (stante la forte affezione degli
operai Siai all’azienda e/o al PCI e sindacato), tranne due episodi, uno di
forte attenzione, quando esponemmo una mostra sulle condizioni abitative di
molti operai (legata a rivendicazioni specifiche sulle case popolari) e l’altro
invece quando distribuimmo un volantino contro l’industria bellica, che fu
particolarmente malvisto…
R. All’inizio degli
anni ’70 la condizione abitativa di molti operai era ancora drammatica: ricordo
un gruppo di immigrati da Salerno che vivevano a Vergiate in una specie di
dormitorio, ed al sabato venivano a lavarsi ai Bagni Pubblici di Castelletto.
Sulla questione dell’industria
bellica, come sindacato abbiamo spinto più volte per la priorità a modelli di
aeromobili per uso civile [1], ma se
prevaleva il contrario non c’era quasi nessuno in grado di rifiutarsi: ricordo
solo un “intermedio” (figura contratuale tra l’operaio e l’impiegato) che si
dimise dal posto di lavoro su questo tema, perché era un testimone di Geova,
molto coerente con la sua fede
D. Verso la
conclusione dell’intervista, vorrei chiederTi un po’ dei Tuoi rapporti con il
territorio, a partire da Castelletto Ticino, e del Tuo impegno per l’ambiente,
anche fuori dalla fabbrica
R. Sappiamo tutti
quanto ora la situazione generale sia difficile, per l’intero pianeta. A
livello locale si è fatto qualcosa, e personalmente me ne sono occupato, oltre
che come “utente” dei boschi o del lago e del fiume, come Consigliere e
Assessore Comunale e anche come Assessore del Parco Ticino (piemontese). Per
esempio si è fatto molto per le acque, già dagli anni ’70, con il piano
regionale dei depuratori per l’area dei laghi (in ritardo invece sulla sponda
lombarda del Lago Maggiore), e in qualche misura per l’aria o la fauna: ma poi
scappano disastri come quella dei cinghiali (a mio avviso per colpa degli
stessi cacciatori) o parimenti dei “pesci siluro”, che saranno scappati da
qualche laghetto artificiale e ora scorazzano da padroni nelle acque del Ticino
D. E le dolenti note
dell’urbanisitca e del consumo di suolo (che
ho anche misurato di persona, come
tecnico del Comune di Castelletto nel biennio cruciale 1979-81)
R. Certamente ci
sono stati errori storici nel governo del territorio, anche da parte della
sinistra, tra il dopoguerra ed il 1980: ma proprio negli anni ’70 si era aperta
una discussione positiva, in particolare quando era assessore Franco Paracchini
1, per un miglior controllo di fenomeni come gli insediamenti lungo
la Statale del Sempione. Però il rovesciamento delle alleanze da parte di un
nuovo gruppo dirigente del PSI, portò al comando una coalizione di interessi,
con effetti devastanti, non solo sul Sempione, ma anche con la disseminazione
di “zone miste”, sparpagliate nelle campagne, con fabbrichette e villette. A
guardar bene, la devastazione fu ancora più grave per il bilancio comunale, che
dopo un decennio di scelte sbagliate (ad esempio il mancato “secondo
depuratore”, con tutte le opere di collettamento, da buttar via perché avrebbe inquinato
le sorgenti dell’acquedotto, oppure l’impianto di compostaggio progettato
all’insaputa dei consiglieri comunali e dei cittadini) si concluse con debiti
fuori bilancio per 1,7 miliardi di Lire. Cosicchè la sinistra tornò in Giunta,
con un pezzo di Democrazia Cristiana, per metterci le pezze, vendendo
addirittura la farmacia comunale e tornando faticosamente in pareggio. E
sull’urbanistica un po’ meno peggio, con molti buoi ormai scappati: ma ho
l’impressione che anche la prossima revisione del Piano Regolatore sia attesa
per soddisfare alcuni appetiti immobiliari…
Fonti:
1.
Aldo
Vecchi – INTERVISTE SUL MOVIMENTO OPERAIO (IN AREA INSUBRICA) – Quaderno 30 di
Utopia21, ottobre 202
https://drive.google.com/file/d/16AV33_pkUzHgGoUwDYgSrsYvsIURfWjU/view?usp=sharing
[1]
La SIAI aveva già vissuto dal 1945
una difficile fase di riconversione radicale da industria bellica a produzioni
civile (le più disparate: imbarcazioni, vagoni ferroviari), imposta anche dal
trattato di pace dopo la rovinosa sconfitta del nazi-fascismo: riconversione
che comportò anche il licenziamento di numerosi lavoratori, gestito all’inizio
dallo stesso Consiglio di Gestione uscito dalla Resistenza. Sulla vicenda ho
raccolto fonti orali (ad esempio i primi a stare a casa erano quelli meno
poveri, perché possedevano almeno una mucca), ma non ho trovato una
ricostruzione storica adeguata, che invece meriterebbe, come la vicenda dei
vetrai di Sesto Calende 1
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