ALCUNE OSSERVAZIONI SUL TESTO DaD
DI ANTONIO BALISTRERI
Il
testo DaD di Antonio Balistreri (in “Solitudine Digitale”, con Fulvio Fagiani)1
squaderna ampiamente le problematiche relative alla Didattica a Distanza (DaD)
e della Didattica nell’Era Digitale (DED?), ma trascura a mio avviso le
peculiarità degli apprendimenti relativi alla sfera manuale-pratica-artistica
(ed anche ginnica-corporale), che già tradizionalmente nella scuola hanno un
ruolo marginale e che sono risultati evidentemente compressi e snaturati nella
DaD (anche oltre il più generale sacrificio degli aspetti di socializzazione ed
interazione fisica ed emotiva che la DaD ha comportato).
Mentre
mi pare che vada meglio indagato in qual modo tali apprendimenti possano
trasformarsi – positivamente o negativamente – in un ambito Digitale, modalità
di trasformazione che evidentemente è diversa da quella che coinvolge
frontalmente gli apprendimenti di tipo teorico, per i quali la navigazione in
Internet e la immensa disponibilità di fonti scritte ed audio-video può avere
un impatto assai rilevante: il copia-incolla può portare alla facile
compilazione di un nuovo testo, od alla applicazione risolutiva di formule e
algoritmi, ma non altrettanto alla esecuzione (conforme oppure creativa) di
gesti ed azioni (tanto in campo ginnico quanto in campo tecnico oppure
artistico), pur facilitabili da video tutoriali e da altri strumenti digitali di
elaborazione e di auto-correzione.
La
questione degli apprendimenti manuali-pratici-artistici (e ginnico-corporali) mi
sembra importante, tanto quanto un approccio induttivo nella ricerca di norme
linguistiche e di leggi scientifiche[A], perché dovrebbero essere
gli elementi specifici di una didattica di tipo maieutico, soprattutto nel
tentativo di cogliere le potenzialità – spesso nascoste – di consistenti
minoranze di allievi (non necessariamente coincidenti con quelli con un
retroterra familiare di minor scolarizzazione), che risultano o sembrano
refrattari alla ‘normale’ disciplina scolastica, e che attraverso il ‘gancio’
di una propensione o passione specifica possono essere coinvolti in una più
generale affezione all’apprendimento.
La
maieutica, che Balistreri – con il nome di “classe rovesciata” – propone come
correttivo[B] alla didattica
tradizionale per affrontare la problematica del contesto digitale che ormai
pervade gli allievi[C],
nella mia esperienza personale era già apparsa comunque come una alternativa
sostanziale e superiore: non mi riferisco solo alla vicenda universitaria, che
ho raccontato con Anna Vailati nel recente articolo “Architettura Milano
1968-71, ecc.“, ma anche ai miei precedenti studi liceali, di cui ho
dimenticato molto, ma non le poche occasioni di approccio “sperimentale”: quali
un assistente di fisica che – previa colletta tra gli studenti per ammortizzare
il possibile esito negativo – lanciava
una noce contro una finestra postulando la rottura della noce anziché del vetro, ed una prova a sorpresa di
biologia, in cui dovevamo ipotizzare la causa di una antica epidemia, sulla
scorta di una descrizione giornalistica dell’epoca su sintomi e condizioni al
contorno.
Al
di là delle mie personali predilezioni, e mettendo comunque in guardia sulle
difficoltà della maieutica, quali:
-
la
maieutica per pochi, come quella da noi sperimentata nella “Sperimentazione
della Facoltà di Architettura di Milano al 1968, di fatto escludente per molti
discenti,
-
la
maieutica che riflette pedissequamente il pensiero del Docente (difetto che ho
purtroppo constatato, ad esempio, in un filmato su Danilo Dolci, da lui stesso
promosso; pur con tutto il rispetto dovuto al Maestro in questione),
mi
pare che il vero problema sia come una
didattica rovesciata divenga possibile per una scuola di massa (dove a mio
avviso è quanto mai necessaria, proprio per l’eterogeneità degli allievi, come
sopra accennato, e per il soverchiante contesto digitale, come suggerisce
Balistreri): perché ritengo che comporti un forte impegno quantitativo e
qualitativo di docenti preparati e di altre risorse al contorno, da quelle
umane (docenti di sostegno individuale ed assistenti di gruppo, che potrebbero
essere insegnanti in formazione) a quelle materiali (non solo interfacce
digitali, ma – per l’appunto – laboratori per attività
manuali-pratiche-artistiche (anche
musicali, teatrali, ecc.) e spazi per motricità
ginnico-sportiva-coreutica: meglio se connessi ad una seria rivisitazione
dell’alternanza scuola-lavoro, a mio avviso finora male applicata e
ingiustamente bistrattata dagli ‘umanisti elitari’, ovvero ‘quelli che il
Classico…’).
Ne
vedo cioè un motivo specifico in più per rivendicare risorse per il sistema
pubblico di formazione: all’opposto della rassegnazione alla scuola
tradizionale cui sembra orientata la presentazione pubblicitaria del testo di
Mastrocola e Ricolfi “Il danno scolastico” (che
francamente non ho letto e difficilmente leggerò per un consolidato pregiudizio
avverso al secondo autore): “L’istruzione democratica, facile e di scarsa
qualità nata per salvare i più deboli allarga il solco tra ceti alti e bassi” .
Ci si può battere invece per una “istruzione democratica”, ma di alta qualità?
Fonti
1.
Antonio G.Balistreri e Fulvio Fagiani –
SOLITUDINE DIGITALE. DAD E SMART WORKING. IL FUTURO DEL DIGITALE A SCUOLA E AL
LAVORO – Asterios, Trieste 2021 - Il libro è acquistabile in libreria e può
essere scaricato dal sito www.volantiniasterios.it, al prezzo di 3€, in formato pdf non
protetto, liberamente distribuibile.
2.
Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi - FACOLTÀ DI
ARCHITETTURA, MILANO, 1968-1971: LE 2 UTOPIE CHE ABBIAMO ATTRAVERSATO – su
Utopia21, settembre 2021 https://drive.google.com/file/d/1y-1G9dVnwBCyJJ3HVBYm8aU_mNSrmAzz/view?usp=sharing
[A]
In proposito, mi sembra riduttiva
l’affermazione di Balistreri – “Pensiero è soltanto quell’attività mentale che
procede in modo lineare e logico-deduttivo”
[B] Non ho ben compreso se complementare od
alternativo, nel testo di Balistreri; in ambedue i casi la funzione correttiva
affidata da Balistreri al docente come ‘pilota della navigazione in Internet’
nella parte finale del testo mi pare che smentisca l’affermazione iniziale, un
po’ categorica, su Internet come ‘mezzo che condiziona l’uso’
[C]
Non intendo banalizzare la
rivoluzione digitale, che probabilmente nella formazione e trasmissione del
sapere costituisce una svolta di portata paragonabile alle precedenti
introduzioni della scrittura e poi della stampa: però mi permetterei di
segnalare anche il ripetersi – prima di Internet, ma in determinate condizioni
storiche – di alcuni “archetipi sociali”, quali l’autodidatta seriale ma
de-strutturato (vedi in Jean Paul Sartre “La nausea”, 1938), lo studente facoltoso
ma svogliato (il “Giovin Signore” di Giuseppe Parini, secolo XVIII) ed il
banale “studente scopiazzatore” (ora facilitato dalla funzione “incolla”: prima
era costretto a sussumere in parte i testi trascrivendoli), che tutti noi
abbiamo conosciuto negli ultimi decenni.
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