L’INU inserisce nella sua
proposta di legge per il governo del territorio un decreto per definire
nuovamente una quantità minima di spazi pubblici, in relazione alle imminenti
autonomie regionali rafforzate e alla connessa definizione dei Livelli
Essenziali delle Prestazioni Sociali. Le mie perplessità, pensando alle
priorità nel campo dei diritti abitativi, diritto alla casa e diritto alla
città.
L’Istituto Nazionale di Urbanistica, nella
stesura del testo della proposta di legge nazionale di principi per il Governo
del Territorio (avviata con il Congresso di Bologna del novembre 2022, di cui
ho parlato su Utopia21 del gennaio 2023 1), ha recentemente ritenuto
opportuno2 introdurre un elemento di rigidità di carattere
egualitario, relativo alla quantità minima di spazi pubblici per abitante, da
definire con un successivo decreto, in qualche misura sulle tracce del Decreto
Ministeriale n° 1444 del 1968 “sugli standard”, tuttora vigente anche se
variamente tradotto dalle legislazioni delle singole Regioni.
Tale Decreto del 1968, in attuazione della
cosiddetta “Legge Ponte” n° 765 del 1967, tra le altre disposizioni, fissava in
18 metri quadrati per abitante il fabbisogno minimo di spazi pubblici urbani
(parcheggi e verde, scuole e altri servizi) nelle nuove zone residenziali “di
espansione”, commisurandolo ai volumi edificabili (da 80 a 100 metri cubi per
abitante): standard di 18 m2/abitante, che nelle zone già densamente
costruite diveniva tendenziale e ridotto alla metà. [1]
Questa novità nella proposta INU, che diverge
dal contesto flessibilista e performativo, si configura soprattutto come un ‘paletto’
rispetto all’incombente disegno legislativo sulle autonomie regionali
differenziate, caro alla componente leghista del governo Meloni (cui il partito
della Presidente del Consiglio giustappone il progetto del ‘premierato’).
Sia la (flebile) proposta INU che la (robusta)
iniziativa promossa dalla LegaNord [2]
si muovono sul terreno del Titolo V della Costituzione, come modificata nel
2001 riguardo agli aspetti ”federali” della Repubblica, Titolo V ancora
largamente non attuato e che prevede specificamente agli artt. 116 e 117, tra
altre importanti disposizioni:
-
leggi nazionali di principi sulle materie
“concorrenti” tra Stato e Regioni, materie tra le quali ricade il “governo del
territorio”,
-
definizione dei “livelli essenziali delle
prestazioni” concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale: tale definizione è indispensabile per poter
procedere al conferimento alle Regioni di ulteriori competenze sulle materie delegabili
(tra cui ad esempio energia ed istruzione), al fine di garantire le risorse
minime necessarie anche ai territori economicamente svantaggiati; problema che
in altri termini (determinazione dei “fabbisogni standard”) ha anche finora
impedito l’attuazione del “federalismo fiscale” anche sulle materie già di
competenza regionale, come stabilito dalla specifica riforma del 2009, in
applicazione dell’art. 119 della Costituzione (sempre nel Titolo V modificato
nel 2001).
Mentre mancano totalmente le “leggi di
principi”, sul fronte dei “livelli essenziali”, negli anni scorsi significative
porzioni sono state tracciate – almeno sulla carta – per la sanità (con il nome
di Livelli Essenziali di Assistenza) e per la disabilità; non c’è tuttora comunque
un quadro generale.
Spinto dall’urgenza politica delle “autonomie
differenziate” il Governo ha inserito nella legge di stabilità per il 2023
un percorso – che voleva essere accelerato – per la definizione dei Livelli Essenziali
delle Prestazioni Sociali (LEPS), avvalendosi di una Commissione Consultiva,
presieduta da Sabino Cassese, e senza ripassare dal Parlamento (il che secondo
molti commentatori è di dubbia costituzionalità): accelerazione che pare
essersi impantanata dopo le dimissioni dalla Commissione dei membri più
autorevoli non allineati politicamente al Governo (tra cui Giuliano Amato e
Franco Bassanini), nel successivo generale disinteresse dei media.
In questi giorni la questione è tornata di
attualità perché il disegno di legge sulle autonomie differenziate è arrivato
all’aula del Senato, con l’ipotesi di una rapida approvazione anche alla Camera
(prima delle elezioni europee di giugno), ma – pare – accantonando e differendo
alla fase attuativa il nodo dei LEPS: una faccenda che, per garantire il minimo
a tutti e lasciare più risorse ai più ricchi, comporta una maggior spesa,
secondo i commentatori, dell’ordine di grandezza di 100 miliardi di € annui.
I ‘diritti abitativi’, ovvero il “diritto alla
città”, e ad un territorio sano, e ancor prima il “diritto alla casa”, che non
sono (ancora) esplicitati dalla Costituzione 3,4 (dove dal 2021 al
Paesaggio si affianca l’Ambiente), anche se di fatto già tutelati da sentenze costituzionali,
non figurano formalmente tra i “diritti civili e sociali” di cui all’art. 117
(2° comma, lettera m) della Costituzione.
Tuttavia mi pare opportuno da parte dell’INU,
nel rivendicare una Legge di Principi per il Territorio, il tentativo di allargare
anche in questa direzione il concetto dei “livelli essenziali”.
Dubito però che l’enunciazione di un rinnovato
standard minimo nazionale di spazi pubblici per abitante aiuti ad una effettiva
espansione ed universalizzazione dei diritti abitativi.
Si tratta infatti pur sempre e solo di
inserire tali spazi nelle previsioni dei piani urbanistici comunali: previsioni
che oltre 50 anni dopo la suddetta “Legge Ponte” probabilmente (nelle misure
finora vigenti) sono state deliberate una o più volte in quasi tutti i Comuni,
fatte salve sia la loro parziale non attuazione sia la decadenza dei vincoli ai
fini espropriativi.
Il problema allora, ed invece, è quello –
finalmente – di assicurare effettivamente a tutti i cittadini i “diritti
abitativi”, al di là del disegno degli spazi pubblici nei piani urbanistici;
nella consapevolezza che in buona parte dei Comuni i servizi minimi sono già
conseguiti, almeno in termini quantitativi (con dotazioni medie di spazi anche
ben superiori a 30 m2 per abitante) e che le criticità si
distribuiscono soprattutto:
-
sotto il profilo spaziale
o
nei nuclei antichi e nelle periferie urbane
più dense e/o più degradate,
o
nei paesi e borghi semi-abbandonati e dispersi
delle cosiddette “aree interne”;
-
sotto il profilo tipologico – oltre ai deficit
qualitativi, a partite dall’edilizia scolastica – nei servizi per l’infanzia
(asili-nido), per gli anziani, per i disabili, per la salute di prossimità ed
ancora, a monte, nelle carenze abitative per le famiglie povere (e molti salariati
stanno diventando poveri), per gli immigrati, per le persone marginali oppure
per categorie ‘temporanee’ come gli studenti fuori-sede (senza dimenticare
le barriere architettoniche che spesso
impediscono l’accessibilità ai servizi esistenti).
Anche se manca un piano nazionale per il
diritto alla casa, parte di questi bisogni sono stati individuati in provvedimenti
specifici (come il PINQUA [3]
oppure la Strategia Nazionale Aree Interne) e nella pianificazione locale,
nonché in quel grande affresco dei desideri di riscatto costituito dal Piano
Nazionale di Ripresa e Resilienza 5,6.
Strumenti di sommaria programmazione che però dimostrano
per lo più un notevole divario tra bisogni e risorse, motivo per cui queste
vengono distribuite o viziosamente con criteri clientelari oppure virtuosamente
tramite “bandi”, il che determina priorità di spese non dettate solo dalla
gerarchia dei bisogni, ma anche dalla intraprendenza e abilità dei soggetti
richiedenti.[4]
Una seria attenzione alle disuguaglianze territoriali
dovrebbe invece comportare, oltre al reperimento di risorse notevolmente
maggiori, una concentrazione di forze per colmare i divari dove risultano più
acuti, con una vera programmazione territoriale, arrivando quando è il caso
anche all’utilizzo di poteri commissariali sostitutivi per le amministrazioni
locali inadempienti.
Oppure ancor meglio intervenire a monte e
ripensare l’architettura delle autonomie locali, decentrando i poteri nelle
metropoli e superando definitivamente la frammentazione dei piccoli Comuni
(come ho già argomentato in altre occasioni 1).
Quanto sopra, salvo qualche differenza di accenti,
è evidentemente ben noto nell’ambito dell’INU (da cui per altro traggo parte
delle mie conoscenze [5]).
Per questo a maggior ragione trovo
insoddisfacente l’ipotesi di un Decreto sulle quantità minime di spazi
pubblici.
Standard significa “misura normale” ma anche
“stendardo, bandiera”.
Se nell’ambito di una nuova legislazione per
il territorio si intende sollevare uno stendardo, ed imporre delle garanzie
minime di diritti per i cittadini a mio avviso bisogna andare oltre e cioè da
un lato partire dal diritto ad una casa per tutti (e non solo generici impegni
per un po’ di housing sociale) e dall’altro estendere il concetto di spazi
minimi alla effettiva realizzazione dei servizi primari (e non solo alla
previsione dei vincoli urbanistici a ciò finalizzati).
aldovecchi@hotmail.it
Fonti:
1.
Aldo Vecchi – RIFORMARE L’URBANISTICA? – su
Utopia21, gennaio 2023 https://drive.google.com/file/d/1-hRvpegM2DZGt55SJpfIACeqUuX07z63/view?usp=share_link
2.
Carlo Alberto Barbieri e Paolo Galuzzi –
FINALITA’ E PUNTI CARDINALI PER UNA LEGGE DI PRINCIPI FONDAMENTALI PER IL
GOVERNO DEL TERRITORIO E LA PIANIFICAZIONE – su Urbanistica Informazioni n° 311
– settembre-ottobre 2023, http://www.urbanisticainformazioni.it/_Barbieri_.html
nonché DIBATTITO PRESSO URBANPROMO 2023 https://www.youtube.com/watch?v=a_kUw8oNCH0
3.
Aldo Vecchi - L’UTOPIA
(ITALIANA) DI UNA CASA, PER TUTTI – su Utopia21,
luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=sharing
4. Aldo Vecchi - RILANCIARE LE POLITICHE
PUBBLICHE PER L’ABITARE? – su Utopia21, novembre 2022 - https://drive.google.com/file/d/1rPQBG8MZLR2pbpmSzAr5e-nqnaXX436n/view?usp=share_link
5.
Aldo Vecchi e Fulvio Fagiani – P.N.R.R.:
CONSIDERAZIONI GENERALI – su Utopia21, gennaio 2021 https://drive.google.com/file/d/1NdnwcSjgfWo6u0W_sXvx_O7Y4311M5Gj/view?usp=sharing
6.
Aldo Vecchi – P.N.R.R.: L’EDILIZIA E IL
TERRITORIO su Utopia21, gennaio 2021 - https://drive.google.com/file/d/1rkd1VOGaaMCXdo2gfELzGzqnswIPKufD/view?usp=sharing
7.
Isaia Sales – PNRR, IL PARADOSSO DEL SUD – su
La Repubblica del 7 dicembre 2023 - https://www.repubblica.it/commenti/2023/12/07/news/sud_pnrr_paradosso_risorse-421592109/
[1] Inoltre per le città determinava
ulteriori 16,5 m2 per abitante per servizi superiori e parchi
urbani, per le attività produttive un minimo di spazi pubblici pari al 10%
delle superfici di tali zone e per le attività terziarie m2 80 ogni
100 m2 di fabbricato.
[2] Più precisamente “Lega Nord per Salvini
Presidente”
[3] PINQUA: Programma Innovativo Nazionale
per la Qualità dell'Abitare
[4]
Come è rilevato, tra gli altri, da
Isaia Sales su “La Repubblica” 7 e dall’ASviS, nell’ambito del
Rapporto Territori 2023 (vedi mio articolo su questo numero di Utopia21), dove
critica l’abbandono della metodologia place-based per l’allocazione dei fondi
della Strategia Nazionale Aree Interne
[5]
Non sto a citare specifiche fonti,
tanto è vasta la pubblicistica INU sull’argomento, su cui addirittura su svolge
a Roma da tempo la Biennale degli Spazi Pubblici, giunta nel 2023 all’ottava
edizione.
Nessun commento:
Posta un commento