ALBERTO BURGIO E IL PROGRESSISMO
(NOVECENTO ESCLUSO)
di Aldo
Vecchi
Il saggio di Burgio inquadra
la crisi del progressismo nella stessa attuazione ottocentesca delle promesse
illuministe, vedendo nella storia tragica del Novecento la conferma dei suoi
fallimenti: ma a mio avviso trascura importanti pezzi di quella storia, che in
parte perdurano
Sommario:
-
PROGRESSISMO E ILLUMINISMO: PREMESSE E SVILUPPI
-
POSITIVISMO
(IMPERIALISTA) E CRITICI OTTOCENTESCHI
-
CRISI
DEL PROGRESsISMO E NOVECENTO
- QUALCHE
ALTRO ASPETTO DEL NOVECENTO E DELL’OGGI
(in corsivo le parti più soggettive della
recensione; sottolineate parole in citazione, che erano in corsivo nel
saggio recensito)
Il breve saggio di Alberto Burgio[1]
“Tra utopia e rimozione. Considerazioni sulla storia del progresso”, incluso nel
2013 nella raccolta “Utopia – storia e teoria di un esperienza filosofica e
politica” a cura di Carlo Altini 1 (di cui già ho recensito
l’introduzione 2), evidenzia alcuni snodi storici di forte rilevanza
attuale.
PROGRESSISMO E ILLUMINISMO: PREMESSE E SVILUPPI
Con rapidi cenni alla concezione ciclica del
tempo ed alla glorificazione di un mitico passato come elementi caratterizzanti
del pensiero classico (dall’antichità greco-romana al rinascimento) ed ai loro
riflessi sulla visione trascendente del pensiero cristiano, e contrapponendosi
agli storici che invece hanno cercato di esaltare isolati frammenti di
“progressismo” lungo tale percorso, l’Autore individua nell’illuminismo
settecentesco la svolta verso una compiuta teoria del parallelo progresso
tecnico-scientifico e morale-politico come filo conduttore della storia
dell’umanità (euro-occidentale, come vedremo più avanti), seppur anticipata
dalla curiosità tardo-medioevale e dalla rivoluzione scientifica del Seicento.
Se già a fine ‘600, con Perrault e Fontenelle
“si sviluppa “la tesi dell’accumulo potenzialmente illimitato di conoscenze,
come pure l’idea che il tempo provveda al perfezionamento delle scienze e delle
arti … i Lumi aggiungeranno … un salto di qualità del discorso, nella misura in
cui un processo quantitativo di accrescimento per accumulazione è d’ora innanzi
concepito come trasformazione del soggetto stesso della conoscenza e della
prassi… Le teorie illuministe e poi positiviste del progresso si sviluppano
attorno all’idea – ben presto divenuta certezza, un articolo di fede – che ai
successi della ragione alle prese con i segreti del mondo fisico si
accompagnino di necessità conquiste altrettanto certe e rilevanti sul terreno
della moralità individuale e collettiva. Di modo che la società o la civiltà
che si autorappresenta come la più ‘avanzata’ lungo la linea evolutiva non si
ritiene più soltanto la più ricca di cultura o la più potente, ma anche come la
più giusta”.
Anche nell’ambito della svolta illuminista, tuttavia,
Burgio distingue tra i sostenitori più integrali di tali posizioni, come Turgot
e Condorcet, e le argomentazioni più dialettiche
di pensatori quali Kant o Rousseau (o dello stesso Voltaire); così pure,
esaminando gli sviluppi ottocenteschi, tende a scrostare da Hegel e ancor più
da Marx le letture di stampo deterministico, assai diffuse tra i detrattori di
Marx, ma anche – ammette Burgio – tra i suoi più pedissequi estimatori.
POSITIVISMO (IMPERIALISTA) E CRITICI OTTOCENTESCHI
Però quello che più emerge nel saggio di
Burgio, riguardo all’Ottocento, è la divaricazione tra un ottimismo positivista
(sempre più permeato dalla consapevolezza imperialista e colonialista
dell’egemonia euro-occidentale) ed una gamma di posizioni critiche – pur in
parte rivolte al passato perduto – che troveranno negli sviluppi storici
(conflitti sociali, guerre, crisi economiche) la conferma delle loro
perplessità, fino ad un Novecento che – secondo Burgio – seppellisce e rinnega
l’idea di progresso.
Il catalogo dei pensatori ottocenteschi
progressisti che – muovendo dalla lettura della storia umana per stadi
evolutivi – approdano a concezioni esplicitamente razziste, tecnocratiche ed
eugenetiche è piuttosto impressionante: si va da Saint-Simon che afferma: “data
la sua struttura, il negro, a parità di educazione, non è suscettibile di
essere elevato al medesimo grado di intelligenza di un europeo”, mentre il
governo viene affidato agli industriali “fiore della società”, a Comte che, nel compimento dell’evoluzione
verso la fase suprema della società industriale ne preconizza la guida da parte
di una “nuova autorità morale …autentico potere spirituale” (i tecnocrati), da
Spencer secondo cui “l’inevitabile sovrabbondanza numerica degli uomini” impone
“l’eliminazione” dei più deboli, fino allo stesso Darwin che prevede, tra
qualche secolo “le razze umane civilizzate avranno quasi certamente sterminato
e sostituito In tutto il mondo le razze selvagge” e così l’avvenire sarà
appannaggio di una umanità giunta “ad uno stadio più civilizzato, speriamo, di
quello caucasico”.
Sul fronte critico, tralasciando le posizioni
squisitamente reazionarie, emergono Sismondi:
“l’uomo ha perso in intelligenza, in vigore fisico, in salute, in
allegria, quello che ha guadagnato in capacità di produrre ricchezza”, Quinet:
“quel che costituirà la forza di questo tempo comincia col farne la miseria”, Michelet: “operai-macchina” in “un
inferno della noia”, verso una “umanità senza l’uomo”, Counot, che nelle parole
di Burgio, “vede incombere un futuro meccanizzato, plumbeo, che restituisce il
frutto avvelenato di una sconsiderata ansa di dominio”, Baudelaire con il mito
del progresso come “fanale oscuro e perfido”:
Assente, a mio avviso ingiustificato, Leopardi Giacomo.
CRISI DEL PROGRESSISMO E NOVECENTO
A questo punto l’Autore propone la seguente
sintesi: “Quando si verifica, e perché, la crisi del progressismo? … Sorto nel
XVIII secolo dalla fiducia nelle prospettive di emancipazione del genere umano
… il progressismo si afferma nel XIX secolo come progetto di dominio imperiale
della parte più ‘progredita’ perché più potente, riformulando in chiave
particolaristica (quindi, in sostanza, rinnegando) le proprie aspirazioni
universaliste … Nel Novecento (in realtà già dal secondo Ottocento) il
progressismo entra in crisi nella misura in cui si realizza. In questo senso la sua crisi è un contrappasso, in
quanto consegue al divenire sempre più evidente della distruttività dei
processi reali e della cifra ideologica delle sue mitologie”.
Se le conferme della storia che Burgio individua già nell’Ottocento
sono a mio avviso controvertibili, perché ad esempio agli occhi borghesi e
‘benpensanti’ la repressione dei moti del 48 e lo sterminio degli insorti della
Comune possono anche non distogliere dal fluire di progresso e progressismo,
gli eventi novecenteschi connessi alle due guerre mondiali e al nazi-fascismo costituiscono
indubbiamente una rottura del paradigma ottimistico-positivista.
Di questa rottura di paradigma Burgio mostra
l’eco nei pensieri riflessivi e disincantati di Paul Valery, di Max Weber, di
Thomas Mann, di Spengler (“Il tramonto dell’Occidente”) di Ortega Y Gasset, di
Benjamin, di Husserl, per poi concentrarsi sui pensatori del secondo Novecento,
dalla Scuola di Francoforte ad Habermas, da Bayman a Jonas: di Jonas Burgio
condivide, concludendo il suo testo, l’appello alla ‘responsabilità’, come
alternativa al ‘progresso’ in questi termini: “.. la razionalità moderna si è
sviluppata fino a raggiungere una straordinaria potenza strumentale
…deresponsabilizzandosi sul piano morale. … prendere sul serio la storia della
modernità con il suo carico di violenza implica da una parte riconoscere che la
parola nel segno della quale condurre innanzi la nostra impresa collettiva deve
essere ‘responsabilità’ e non più progresso; e dall’altra, assumere su di sé il
compito di mettere in discussione anche praticamente questo quadro concreto di logiche di dominio e di rapporti di
potere ... e non declinare il tema della responsabilità in termini inerti e
rassegnati.”
QUALCHE ALTRO ASPETTO DEL
NOVECENTO E DELL’OGGI
Mentre l’appello finale mi pare condivisibile (anche se dire
“responsabilità” sembra un po’ vago, definito solo come contrario a
“progresso”) ho l’impressione che il racconto di Burgio sul Novecento abbia
trascurato alcuni aspetti importanti, sia nella storia del pensiero sia
soprattutto nella storia della società (e intellettuali connessi):
-
tra i soggetti delle tragedie novecentesche c’è anche il ‘socialismo
reale’ che – almeno a livello di propaganda – ha sempre associato la
modernizzazione tecnica con il ‘sole dell’avvenire’; solo negli ultimi suoi
decenni si è fatto palese l’esaurirsi di tali “spinte progressive’ (ed anche
nelle propagande naziste e fasciste si vagheggiava di uomini nuovi e di
sviluppi tecnologici, e non solo del ritorno ad ordini patriarcali);
-
tra gli antagonisti del
comunismo e del nazi-fascismo, le teorie e le esperienze sostanzialmente
socialdemocratiche del new deal roosveltiano e del dopoguerra europeo –
malgrado l’incombente pericolo delle guerre nucleari (e dopo i criminali
assaggi di Hiroshima e Nagasachi) - hanno fatto rivivere nelle masse
occidentali una ideologia pratica saldamente progressista (e consumista), almeno
fino alle crisi degli anni ’70 (progressismo dentro cui il discorso
universalista sui “diritti dell’uomo” ha ribaltato i pregiudizi razzisti,
approdando semmai ad una nuova forma di colonialismo culturale ‘ugualitario’);
-
di scientismo progressista risulta intrisa anche l’ideologia
neo-liberista post-89 che – pur in crescente affanno in quanto smentita da
crisi e conflitti – costituisce tuttora il pensiero dominante delle classi
dirigenti occidentali, da Fukuyama a Elon Musk (per semplificare), senza essere
finora sostituita da linee dominanti alternative a tale tecno-capitalismo,
anche se il sentire comune del XXI secolo, sempre qua in Occidente, sembra
essere intessuto soprattutto dal disincanto (vedi Censis, vedi crisi
demografica).
Inoltre persino nel novero delle correnti ecologiste, che nell’insieme
costituiscono un sostanzioso antagonista del progressismo tecno-capitalista (sia
in quanto si contrappongono alla preminenza dell’uomo sulla restante natura,
sia perché ridimensionano la visione eurocentrica rivalutando altre
antropologie), non è esclusa la presenza di teorici che fondano anche su nuovi
strumenti scientifici e tecnici il percorso verso orizzonti di una migliore
umanità, riconciliata con la Terra e gli altri suoi abitanti.
D’altro canto qualche considerazione retrospettivamente favorevole al
progresso, ma senza ingenue proiezioni al futuro (anzi con utili riflessioni
dialettiche in proposito), compare tra diversi pensatori contemporanei che su
Utopia21 abbiamo recensito, quali ad esempio Angus Deaton 3, Rutger
Bregman 3, Emanuele Felice 4, Joel Mokyr 4, Maurizio
Ferraris 5, Aldo Schiavone 6.
Pertanto, nel condividere l’appello di Alberto Burgio alla
responsabilità collettiva di tutti gli uomini a fronte del tecno-capitalismo
(come sinteticamente mi permetterei di definire “questo quadro concreto di logiche di dominio e di rapporti di potere”) e delle insidie del progressismo, mi pare
che possa essere di aiuto una conoscenza più approfondita dell’uno e dell’altro
e cioè soprattutto di come tali ideologie, dal Novecento, permeano tuttora la
coscienza di vaste masse (ed ancor peggio nella versione populista-sovranista e
in parte “regressiva” della stessa
modernità).
aldovecchi@hotmail.it
Fonti:
1. Carlo Altini
– INTRODUZIONE. APPUNTI DI STORIA E TEORIA DELL’UTOPIA in
A.A.V.V., a cura di Carlo Altini: “UTOPIA – STORIA DI UN’ESPERIENZA
FILOSOFICA E
POLITICA” – Il Mulino, Bologna 2013
2. Quaderno 38 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA SETTEMBRE 2022 A SETTEMBRE 2023
https://drive.google.com/file/d/1Q1DfHP4wyIXfk4vFHRDxGeBfUusxe45n/viw?usp=drive_link
3. Quaderno 2 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA OTTOBRE 2016 A LUGLIO
2018 - https://drive.google.com/file/d/1XNrzF-eULeezx4wuuOl0DQ_x_ejPVkC/view?usp=sharing
4. Quaderno 12 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA
SETTEMBRE 2018 A LUGLIO 2019 – https://drive.google.com/file/d/1ilodGZwmWQoon1v1jG0nXBO632TK-2lC/view?usp=sharing
5. Quaderno 24 – DAL FESTIVAL DELL’UTOPIA DI VARESE 2019 - https://drive.google.com/file/d/1mFfzahdqKWS7um2kIo1KunmTYIIqWyWn/view?usp=sharing
6. Quaderno 25 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA SETTEMBRE 2019 A
SETTEMBRE 2020 - https://drive.google.com/file/d/1MY8u1JhNGOWIdzIIr8ENcmRSCORsAvvk/view?usp=sharing
[1] Da Wikipediia: Alberto Burgio (Palermo,
13 maggio 1955) è un filosofo e politico italiano. Dal 1993 insegna Storia
della filosofia presso l'Università di Bologna. È stato eletto deputato al
Parlamento della Repubblica alle elezioni politiche del 2006 - Si è occupato
prevalentemente di storia della filosofia politica e di filosofia della storia
con studi su Rousseau e il contrattualismo moderno, Kant e l'idealismo tedesco,
la teoria della storia tra Adam Smith e Marx, il marxismo italiano (con
particolare riferimento ad Antonio Labriola e a Gramsci), il razzismo e il
nazismo. Nel corso di un quarantennio, la sua ricerca si è sviluppata in
molteplici direzioni, ma sulla base di un presupposto unitario: l’idea di poter
leggere il dibattito filosofico moderno e contemporaneo, tra Sei e primo
Novecento, come una discussione consapevole sulla modernità e le sue logiche
evolutive: sulla genesi, le caratteristiche, le potenzialità e le patologie del
mondo moderno. Di qui gli studi sulle teorie del contratto sociale, lette come
analisi della dialettica dell’individualismo; le ricerche sulla storia e la
logica delle ideologie razziste, studiate come manifestazioni della fragilità
del progetto universalistico; lo studio delle interazioni tra riflessione
filosofica e indagine economico-politica; la rilettura della filosofia della
storia sette e ottocentesca sullo sfondo della crisi dell’impianto
provvidenzialistico; l’analisi storico-critica del macrotesto marxista e dei
suoi antecedenti nel contesto della «filosofia classica tedesca».
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