domenica 31 marzo 2024

UTOPIA21 - MARZO 2024: ALBERTO BURGIO E IL PROGRESSISMO (900 ESCLUSO)

 

ALBERTO  BURGIO E IL PROGRESSISMO (NOVECENTO ESCLUSO)

di Aldo Vecchi

 

Il saggio di Burgio inquadra la crisi del progressismo nella stessa attuazione ottocentesca delle promesse illuministe, vedendo nella storia tragica del Novecento la conferma dei suoi fallimenti: ma a mio avviso trascura importanti pezzi di quella storia, che in parte perdurano

 

Sommario:

-       PROGRESSISMO E ILLUMINISMO: PREMESSE E SVILUPPI

-       POSITIVISMO (IMPERIALISTA) E CRITICI OTTOCENTESCHI

-       CRISI DEL PROGRESsISMO E NOVECENTO

-       QUALCHE ALTRO ASPETTO DEL NOVECENTO E DELL’OGGI

(in corsivo le parti più soggettive della recensione; sottolineate parole in citazione, che erano in corsivo nel saggio recensito)

 

 

 

Il breve saggio di Alberto Burgio[1] “Tra utopia e rimozione. Considerazioni sulla storia del progresso”, incluso nel 2013 nella raccolta “Utopia – storia e teoria di un esperienza filosofica e politica” a cura di Carlo Altini 1 (di cui già ho recensito l’introduzione 2), evidenzia alcuni snodi storici di forte rilevanza attuale.

 

 

PROGRESSISMO E ILLUMINISMO: PREMESSE E SVILUPPI

 

Con rapidi cenni alla concezione ciclica del tempo ed alla glorificazione di un mitico passato come elementi caratterizzanti del pensiero classico (dall’antichità greco-romana al rinascimento) ed ai loro riflessi sulla visione trascendente del pensiero cristiano, e contrapponendosi agli storici che invece hanno cercato di esaltare isolati frammenti di “progressismo” lungo tale percorso, l’Autore individua nell’illuminismo settecentesco la svolta verso una compiuta teoria del parallelo progresso tecnico-scientifico e morale-politico come filo conduttore della storia dell’umanità (euro-occidentale, come vedremo più avanti), seppur anticipata dalla curiosità tardo-medioevale e dalla rivoluzione scientifica del Seicento.

 

Se già a fine ‘600, con Perrault e Fontenelle “si sviluppa “la tesi dell’accumulo potenzialmente illimitato di conoscenze, come pure l’idea che il tempo provveda al perfezionamento delle scienze e delle arti … i Lumi aggiungeranno … un salto di qualità del discorso, nella misura in cui un processo quantitativo di accrescimento per accumulazione è d’ora innanzi concepito come trasformazione del soggetto stesso della conoscenza e della prassi… Le teorie illuministe e poi positiviste del progresso si sviluppano attorno all’idea – ben presto divenuta certezza, un articolo di fede – che ai successi della ragione alle prese con i segreti del mondo fisico si accompagnino di necessità conquiste altrettanto certe e rilevanti sul terreno della moralità individuale e collettiva. Di modo che la società o la civiltà che si autorappresenta come la più ‘avanzata’ lungo la linea evolutiva non si ritiene più soltanto la più ricca di cultura o la più potente, ma anche come la più giusta”.

 

Anche nell’ambito della svolta illuminista, tuttavia, Burgio distingue tra i sostenitori più integrali di tali posizioni, come Turgot e Condorcet, e le argomentazioni più dialettiche di pensatori quali Kant o Rousseau (o dello stesso Voltaire); così pure, esaminando gli sviluppi ottocenteschi, tende a scrostare da Hegel e ancor più da Marx le letture di stampo deterministico, assai diffuse tra i detrattori di Marx, ma anche – ammette Burgio – tra i suoi più pedissequi estimatori.

 

 

POSITIVISMO (IMPERIALISTA) E CRITICI OTTOCENTESCHI

 

Però quello che più emerge nel saggio di Burgio, riguardo all’Ottocento, è la divaricazione tra un ottimismo positivista (sempre più permeato dalla consapevolezza imperialista e colonialista dell’egemonia euro-occidentale) ed una gamma di posizioni critiche – pur in parte rivolte al passato perduto – che troveranno negli sviluppi storici (conflitti sociali, guerre, crisi economiche) la conferma delle loro perplessità, fino ad un Novecento che – secondo Burgio – seppellisce e rinnega l’idea di progresso.

Il catalogo dei pensatori ottocenteschi progressisti che – muovendo dalla lettura della storia umana per stadi evolutivi – approdano a concezioni esplicitamente razziste, tecnocratiche ed eugenetiche è piuttosto impressionante: si va da Saint-Simon che afferma: “data la sua struttura, il negro, a parità di educazione, non è suscettibile di essere elevato al medesimo grado di intelligenza di un europeo”, mentre il governo viene affidato agli industriali “fiore della società”,  a Comte che, nel compimento dell’evoluzione verso la fase suprema della società industriale ne preconizza la guida da parte di una “nuova autorità morale …autentico potere spirituale” (i tecnocrati), da Spencer secondo cui “l’inevitabile sovrabbondanza numerica degli uomini” impone “l’eliminazione” dei più deboli, fino allo stesso Darwin che prevede, tra qualche secolo “le razze umane civilizzate avranno quasi certamente sterminato e sostituito In tutto il mondo le razze selvagge” e così l’avvenire sarà appannaggio di una umanità giunta “ad uno stadio più civilizzato, speriamo, di quello caucasico”.

Sul fronte critico, tralasciando le posizioni squisitamente reazionarie, emergono Sismondi:    “l’uomo ha perso in intelligenza, in vigore fisico, in salute, in allegria, quello che ha guadagnato in capacità di produrre ricchezza”, Quinet: “quel che costituirà la forza di questo tempo comincia col farne la  miseria”, Michelet: “operai-macchina” in “un inferno della noia”, verso una “umanità senza l’uomo”, Counot, che nelle parole di Burgio, “vede incombere un futuro meccanizzato, plumbeo, che restituisce il frutto avvelenato di una sconsiderata ansa di dominio”, Baudelaire con il mito del progresso come “fanale oscuro e perfido”:

Assente, a mio avviso ingiustificato, Leopardi Giacomo.

 

 

CRISI DEL PROGRESSISMO E NOVECENTO

 

A questo punto l’Autore propone la seguente sintesi: “Quando si verifica, e perché, la crisi del progressismo? … Sorto nel XVIII secolo dalla fiducia nelle prospettive di emancipazione del genere umano … il progressismo si afferma nel XIX secolo come progetto di dominio imperiale della parte più ‘progredita’ perché più potente, riformulando in chiave particolaristica (quindi, in sostanza, rinnegando) le proprie aspirazioni universaliste … Nel Novecento (in realtà già dal secondo Ottocento) il progressismo entra in crisi nella misura in cui si realizza. In questo senso la sua crisi è un contrappasso, in quanto consegue al divenire sempre più evidente della distruttività dei processi reali e della cifra ideologica delle sue mitologie”.

 

Se le conferme della storia che Burgio individua già nell’Ottocento sono a mio avviso controvertibili, perché ad esempio agli occhi borghesi e ‘benpensanti’ la repressione dei moti del 48 e lo sterminio degli insorti della Comune possono anche non distogliere dal fluire di progresso e progressismo, gli eventi novecenteschi connessi alle due guerre mondiali e al nazi-fascismo costituiscono indubbiamente una rottura del paradigma ottimistico-positivista.

 

Di questa rottura di paradigma Burgio mostra l’eco nei pensieri riflessivi e disincantati di Paul Valery, di Max Weber, di Thomas Mann, di Spengler (“Il tramonto dell’Occidente”) di Ortega Y Gasset, di Benjamin, di Husserl, per poi concentrarsi sui pensatori del secondo Novecento, dalla Scuola di Francoforte ad Habermas, da Bayman a Jonas: di Jonas Burgio condivide, concludendo il suo testo, l’appello alla ‘responsabilità’, come alternativa al ‘progresso’ in questi termini: “.. la razionalità moderna si è sviluppata fino a raggiungere una straordinaria potenza strumentale …deresponsabilizzandosi sul piano morale. … prendere sul serio la storia della modernità con il suo carico di violenza implica da una parte riconoscere che la parola nel segno della quale condurre innanzi la nostra impresa collettiva deve essere ‘responsabilità’ e non più progresso; e dall’altra, assumere su di sé il compito di mettere in discussione anche praticamente questo quadro concreto di logiche di dominio e di rapporti di potere ... e non declinare il tema della responsabilità in termini inerti e rassegnati.”

 

QUALCHE ALTRO ASPETTO DEL NOVECENTO E DELL’OGGI

 

Mentre l’appello finale mi pare condivisibile (anche se dire “responsabilità” sembra un po’ vago, definito solo come contrario a “progresso”) ho l’impressione che il racconto di Burgio sul Novecento abbia trascurato alcuni aspetti importanti, sia nella storia del pensiero sia soprattutto nella storia della società (e intellettuali connessi):

-       tra i soggetti delle tragedie novecentesche c’è anche il ‘socialismo reale’ che – almeno a livello di propaganda – ha sempre associato la modernizzazione tecnica con il ‘sole dell’avvenire’; solo negli ultimi suoi decenni si è fatto palese l’esaurirsi di tali “spinte progressive’ (ed anche nelle propagande naziste e fasciste si vagheggiava di uomini nuovi e di sviluppi tecnologici, e non solo del ritorno ad ordini patriarcali);

-       tra gli antagonisti  del comunismo e del nazi-fascismo, le teorie e le esperienze sostanzialmente socialdemocratiche del new deal roosveltiano e del dopoguerra europeo – malgrado l’incombente pericolo delle guerre nucleari (e dopo i criminali assaggi di Hiroshima e Nagasachi) - hanno fatto rivivere nelle masse occidentali una ideologia pratica saldamente progressista (e consumista), almeno fino alle crisi degli anni ’70 (progressismo dentro cui il discorso universalista sui “diritti dell’uomo” ha ribaltato i pregiudizi razzisti, approdando semmai ad una nuova forma di colonialismo culturale ‘ugualitario’);

-       di scientismo progressista risulta intrisa anche l’ideologia neo-liberista post-89 che – pur in crescente affanno in quanto smentita da crisi e conflitti – costituisce tuttora il pensiero dominante delle classi dirigenti occidentali, da Fukuyama a Elon Musk (per semplificare), senza essere finora sostituita da linee dominanti alternative a tale tecno-capitalismo, anche se il sentire comune del XXI secolo, sempre qua in Occidente, sembra essere intessuto soprattutto dal disincanto (vedi Censis, vedi crisi demografica).

Inoltre persino nel novero delle correnti ecologiste, che nell’insieme costituiscono un sostanzioso antagonista del progressismo tecno-capitalista (sia in quanto si contrappongono alla preminenza dell’uomo sulla restante natura, sia perché ridimensionano la visione eurocentrica rivalutando altre antropologie), non è esclusa la presenza di teorici che fondano anche su nuovi strumenti scientifici e tecnici il percorso verso orizzonti di una migliore umanità, riconciliata con la Terra e gli altri suoi abitanti.   

 

D’altro canto qualche considerazione retrospettivamente favorevole al progresso, ma senza ingenue proiezioni al futuro (anzi con utili riflessioni dialettiche in proposito), compare tra diversi pensatori contemporanei che su Utopia21 abbiamo recensito, quali ad esempio Angus Deaton 3, Rutger Bregman 3, Emanuele Felice 4, Joel Mokyr 4, Maurizio Ferraris 5, Aldo Schiavone 6.

 

Pertanto, nel condividere l’appello di Alberto Burgio alla responsabilità collettiva di tutti gli uomini a fronte del tecno-capitalismo (come sinteticamente mi permetterei di definire “questo quadro concreto di logiche di dominio e di rapporti di potere”) e delle insidie del progressismo, mi pare che possa essere di aiuto una conoscenza più approfondita dell’uno e dell’altro e cioè soprattutto di come tali ideologie, dal Novecento, permeano tuttora la coscienza di vaste masse (ed ancor peggio nella versione populista-sovranista e in parte  “regressiva” della stessa modernità).

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1. Carlo Altini – INTRODUZIONE. APPUNTI DI STORIA E TEORIA DELL’UTOPIA in

A.A.V.V., a cura di Carlo Altini: “UTOPIA – STORIA DI UN’ESPERIENZA

FILOSOFICA E POLITICA” – Il Mulino, Bologna 2013

2. Quaderno 38 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA SETTEMBRE  2022 A SETTEMBRE 2023

https://drive.google.com/file/d/1Q1DfHP4wyIXfk4vFHRDxGeBfUusxe45n/viw?usp=drive_link

3. Quaderno 2 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA OTTOBRE 2016 A LUGLIO 2018 - https://drive.google.com/file/d/1XNrzF-eULeezx4wuuOl0DQ_x_ejPVkC/view?usp=sharing

4. Quaderno 12 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA SETTEMBRE 2018 A LUGLIO 2019 – https://drive.google.com/file/d/1ilodGZwmWQoon1v1jG0nXBO632TK-2lC/view?usp=sharing

5. Quaderno 24 – DAL FESTIVAL DELL’UTOPIA DI VARESE 2019 - https://drive.google.com/file/d/1mFfzahdqKWS7um2kIo1KunmTYIIqWyWn/view?usp=sharing

6. Quaderno 25 – LE RECENSIONI DI UTOPIA21 DA SETTEMBRE 2019 A SETTEMBRE 2020 - https://drive.google.com/file/d/1MY8u1JhNGOWIdzIIr8ENcmRSCORsAvvk/view?usp=sharing

 

 



[1] Da Wikipediia: Alberto Burgio (Palermo, 13 maggio 1955) è un filosofo e politico italiano. Dal 1993 insegna Storia della filosofia presso l'Università di Bologna. È stato eletto deputato al Parlamento della Repubblica alle elezioni politiche del 2006 - Si è occupato prevalentemente di storia della filosofia politica e di filosofia della storia con studi su Rousseau e il contrattualismo moderno, Kant e l'idealismo tedesco, la teoria della storia tra Adam Smith e Marx, il marxismo italiano (con particolare riferimento ad Antonio Labriola e a Gramsci), il razzismo e il nazismo. Nel corso di un quarantennio, la sua ricerca si è sviluppata in molteplici direzioni, ma sulla base di un presupposto unitario: l’idea di poter leggere il dibattito filosofico moderno e contemporaneo, tra Sei e primo Novecento, come una discussione consapevole sulla modernità e le sue logiche evolutive: sulla genesi, le caratteristiche, le potenzialità e le patologie del mondo moderno. Di qui gli studi sulle teorie del contratto sociale, lette come analisi della dialettica dell’individualismo; le ricerche sulla storia e la logica delle ideologie razziste, studiate come manifestazioni della fragilità del progetto universalistico; lo studio delle interazioni tra riflessione filosofica e indagine economico-politica; la rilettura della filosofia della storia sette e ottocentesca sullo sfondo della crisi dell’impianto provvidenzialistico; l’analisi storico-critica del macrotesto marxista e dei suoi antecedenti nel contesto della «filosofia classica tedesca».

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