Che
ai vertici di CGIL-CISL-UIL si cerchi di tornare all’unità sindacale è probabilmente
positivo; in questa fase è invece improbabile una efficace spinta unitaria dal
basso, che sarebbe ancor più positiva; mi pare invece che dal basso emergano
soprattutto disgregazione e rabbia impotente.
L’unità
sindacale potrebbe ridurre la debolezza contrattuale dei lavoratori, ma non lo
farà se promuove o accetta accordi che comportano oggettivamente divisioni e
discriminazioni, come quello sulla detassazione dei premi di produttività.
Mi
sembra corretto che le aziende vogliano premiare gli incrementi di produttività,
ed i sindacati contrattare tali premi, e scambiare –ad esempio – la flessibilità
di orario con maggiore salario.
Ma
che c’entra il fisco, se deve tendere all’equità?
In
una fase di crisi, ed in cui i salari
sono bassi, anche perché erosi da anni di scarso recupero della (pur contenuta)
inflazione e dal connesso ed iniquo “fiscal drag” (le aliquote IRPEF rimangono
fisse mentre la moneta si svaluta, e quindi aumentano di incidenza relativa),
il de-potenziamento dei contratti nazionali (che in qualche misura avevano
sostituito la “scala mobile” per compensare la svalutazione) comporterà una
ulteriore diminuzione dei salari effettivi per larghe face di lavoratori, non
coperti da ulteriori contratti aziendali o “territoriali”.
A
questa ingiustizia si affianca l’aggravante della agevolazione fiscale per il
“salario di produttività”, che favorisce i dipendenti contrattualmente più
forti, senza una intrinseca connessione con i “meriti” (un lavoratore molto
“produttivo” può trovarsi, non per sua scelta, in una azienda o zona priva di
contratti integrativi) e tanto meno con i “bisogni” (solo il lavoratore
classificato “produttivo” potrà difendere il potere di acquisto del salario).
A
mio avviso tale discriminazione contrasta anche con i principi costituzionali
di equità distributiva e fiscale, perché le scarse risorse pubbliche destinabili
alla detassazione dovrebbero invece puntare soprattutto sui bisogni (ad esempio
aumentando le detrazioni per i familiari a carico dei lavoratori), mentre il “merito”
può essere riconosciuto direttamente dalla società e dal mercato (se liberati
dalle incrostazioni clientelari e mafiose).
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