“Settimo non rubare. Furto e
mercato nella storia dell’Occidente” di Paolo Prodi – Il Mulino, 2009, € 29,00,
pagg. 396 – costituisce un poderoso affresco sulle trasformazioni dell’Europa e
sulle contrapposizioni dialettiche tra potere civile, potere religioso e potere
economico dalla dissoluzione dell’Impero Romano ai giorni nostri.
L’assunto del testo (ampio e ben
leggibile anche se ricco di richiami ad una vastissima bibliografia e di
citazioni, comprese quelle non tradotte dal latino ed altre lingue) è ben
spiegato dallo stesso Autore all’inizio dell’ultimo capitolo: “Il processo di separazione tra il potere
sacro e quello politico che ha caratterizzato dopo la fine del primo millennio
la civiltà europea ---- ha permesso anche la nascita di un potere economico
distinto dal potere politico in quanto legato a un capitale mobile non
coincidente con il dominio o il controllo della terra --- elemento essenziale
di partenza per permettere la fondazione del sistema democratico e liberale
----“.
Paolo Prodi cerca di superare le
barriere specialistiche tra i diversi filoni di studi storici, orientati
rispettivamente al diritto o all’economia, ai ‘fatti’ oppure alle ‘idee’, e di
evidenziare i mutevoli rapporti tra le forze in campo nell’ultimo millennio,
privilegiando come tema di verifica dei cambiamenti sociali il tema della
trasgressione ai precetti e alle norme in materia economica e delle relative
sanzioni: pertanto la nozione e la percezione del “furto” (non solo in quanto
‘sottrazione di cose altrui’, ma anche come avidità, usura, frode,
prevaricazione sul mercato ed infine evasione del fisco), dapprima come
“peccato”, poi man mano anche come “colpa” (rispetto all’etica ‘professionale’)
e come “reato” (con l’evolversi ed il crescere della legislazione civile).
Pertanto tra le fonti di Prodi
rivestono un ruolo centrale, ma con importanza decrescente, i testi
ecclesiastici ed in particolare i ‘manuali dei confessori’, riguardo alla
classificazione delle infrazioni al 7° comandamento (con la faticosa
sublimazione del tasso di interesse fuori dal campo dell’usura), mentre a
partire dalla affermazione nel tardo medioevo di una prima “repubblica
internazionale del denaro” (con le sue fiere di cambio ed una sua sorta di “lex
mercatoria”) e dalla rottura della
cristianità con gli scismi protestanti, ed il contestuale sorgere degli stati
‘moderni’, la materia di studio si allarga ad un insieme assai più complesso di
dati e di testi.
Gli intrecci ed i conflitti tra
‘stati’ e ‘mercati’ sono profondamente indagati dall’Autore, che ne coglie
l’alterna oscillazione, portatrice da un lato dei benefici effetti in materia
di crescita dei diritti individuali e sociali, necessaria per la nuova
legittimazione del potere, e dall’altro di pericolose derive sia in termini di
oppressione autoritaria che di strapotere monopolistici:
-
dall’estremo del Guicciardini, che – attorno al
1530 scrive “--- el duca di Ferrara che
fa mercatanzia, non solo fa cosa vergognosa, ma è tiranno, faccendo quello che
è officio de’ privati e non suo: e pecca tanto verso i populi, quanto
peccherebbero e populi verso di lui intromettendosi in quello che è officio
solum del principe”, rilevando però che nei fatti già esisteva lo stato
mercantile,
-
all’estremo opposto di Fichte, che quasi 3
secoli dopo sostiene (riepilogo in italiano di Prodi): “L’economia e il commercio non possono non coincidere con la
nazione-patria, con le sue istituzioni, con i suoi costumi, con la sua
Polizei”, considerando “i commercianti alla strega di funzionari statali ---“ .
A margine delle argomentazioni
principali, nel testo si aprono
frequenti finestre su temi collaterali, non sviluppati, ma stimolanti, tra cui
(i primi due anche in rapporto alla mia precedente lettura del successivo testo
del Graeber sul “debito”):
- la assimilazione del furto e
del debito nella colpa e nel reato, la grande espansione e poi il superamento
della galera per i debitori;
- l’importanza del colonialismo e
dell’imperialismo per il consolidamento dei grandi stati europei (non è
affrontato invece specificamente il connesso tema dello schiavismo);
- l’accenno ad una
interpretazione dell’antisemitismo e della stessa shoah come estrema
espressione dello statalismo contro la “repubblica internazionale degli
affari”, incarnata dall’ebraismo;
- una lettura aperta ed assai
problematica della situazione attuale e dei possibili sviluppi: Prodi non vede
nella “globalizzazione” una riedizione della “repubblica medievale dei
mercanti”, bensì un intreccio confuso tra potere economico e potere politico (vedi
ad esempio i “fondi sovrani”) che rischia di negare sia la fisiologia dei
mercati sia le libertà democratiche (con l’Italia come utile paradigma degli
oscuri intrecci).
Inchinandomi davanti all’autorevolezza del testo e aderendo alle sue
dialettiche aperture, mi permetto di avanzare solo una critica marginale,
riguardo all’economia nella storia “antica”, che mi sembra sia indagata da
Paolo Prodi solo attraverso gli occhi dei teorici del tempo (pur autorevoli,
come Aristotele o Cicerone) e non con altri strumenti (usati invece per il
periodo successivo): il mio sospetto è che anche nell’antichità, pur in assenza
di un autonomo potere economico, con adeguato prestigio sociale e coerente ‘copertura ideologica’, alcune
leggi oggettive dei mercati, come in seguito delineate, già di fatto dovessero
funzionare, per sorreggere l’ampia rete di scambi in atto, sia pure sotto
l’egida dei poteri dell’aristocrazia terriera e militare.
Contestualmente ho letto anche il più breve “Non rubare“ – collana “I
comandamenti” Il Mulino, 2010, € 12,00, pagg. 169- , scritto dallo stesso Paolo
Prodi, che riassume il più ampio testo di cui sopra in un agevole “bigino” e da
Guido Rossi, che nella sua parte osserva da una angolazione laica la crescente
deriva “immorale” del capitalismo finanziario, vedendola – mi par di capire –
come una tendenza intrinseca ed irreversibile, e lasciando pertanto poche
speranze di redenzione.
Anche Prodi, nella conclusione del testo maggiore, non sembra affatto
“ottimista”: ma la sua visione storica di una continua contrapposizione di
forze contrastanti mi sembra lasci aperte diverse prospettive potenziali.