venerdì 7 marzo 2014

IPER-DEMOCRAZIA?


Di solito quando leggo un editoriale di Luca Ricolfi su “La Stampa”, mi aspetto che dica “io sono di sinistra, ma la sinistra sbaglia, perché ecc.”; di solito il “perché ecc.” è di destra, e io mi rafforzo tranquillamente nelle opposte opinioni: in breve, per me Ricolfi è un “sedicente di sinistra” tranquillizzante, tanto che spesso faccio a meno di leggerlo. 

Il recente articolo “Cinque Stelle, l’illusione iperdemocratica” mi è invece stranamente sembrato interessante (anche se solo in parte originale), anche perché per una volta si è dimenticato di criticare le radici marxiste della sinistra, limitandosi a parlar male del ’68 (su un aspetto su cui mi sento disponibile ad una specifica autocritica: l’assemblearismo autoreferenziale).

Tema su cui Ricolfi arriva dopo aver (a mio avviso correttamente) negato caratteri fascisti o stalinisti al M5S, attribuendogli invece patente di non-violento ed iper-democratico.

Sulla patente di “non-violento” non concordo fino in fondo: non perché sopravvaluti “qualche spintone in Parlamento” (come dice Ricolfi), ma perché a mio avviso l’atteggiamento ideologico totalitario del M5S, e cioè la pretesa di rappresentare “tutti i cittadini” e la speranza di conquistare perciò il “100%” del Parlamento, distruggendo ogni altro partito implicano in sé una dose di presunzione concettuale oggettivamente “violenta”, che per ora fortunatamente si esprime solo a livello verbale (“voi siete gnente”, come dice l’on. Taverna): la non-violenza, mi pare ci abbiano insegnato Gandhi e Mandela, comporta invece la comprensione degli altri e dei loro interessi e punti di vista, che pura si intende strenuamente combattere.    

La questione dell’iper-democratismo, per Ricolfi, si fonda storicamente:

- sull’assemblearismo del ’68, che coinvolgeva consistenti minoranze di studenti, presenti e militanti, ma ignorava e/o disprezzava le restanti ”maggioranze silenziose”, privilegiando l’impegno dei militanti (non è l’unico difetto del ’68 e non ne cancella i pregi: mi pare di ricordare tuttavia che parte del movimento ne fosse consapevole e abbia cercato, forse invano di colmare le distanze: ad esempio nel 71, nelle lotte contro il primo crack dello “stato sociale”, che si palesò nella limitazione del numero delle borse di studio – ovvero “pre-salario”- , a prescindere dalla crescita dei bisogni);

- sull’apertura dei media al protagonismo del pubblico (simbolizzato secondo Ricolfi dalle telefonate a “Chiamate Roma 3131”), che  avrebbe portato – uso parole mie - ad un progressivo prevalere delle emozioni dell’uomo della strada sulle competenze degli esperti (compresi, secondo Ricolfi, i necessari “politici di professione”).

Fin qui concordo in parte (vedi diversi precedenti “post”).

Ricolfi conclude quindi con una lunga sparata contro ogni forma di democrazia diretta e sulla irreversibilità della opzione verso la democrazia rappresentativa, anche in nome del “diritto” del cittadino comune a delegare e a non partecipare personalmente alla gestione della cosa pubblica.

Io invece mi permetto di coltivare qualche dubbio in proposito: la scorciatoia totalizzante del M5S verso la “democrazia diretta in rete” si sta rivelando una pericolosa pagliacciata, che rischia non solo di far male alle vigenti istituzioni, ma anche di sputtanare per qualche decennio anche il nocciolo buono delle proposte di trasparenza e partecipazione; ma la crisi della democrazia rappresentativa è troppo ampia, profonda e duratura (e non provocata solo dagli eccessi della nuova opposizione “iper-democratica) per non riflettere a fondo  da un lato alle sue probabili evoluzioni ed involuzioni e dall’altro alla cauta introduzione di possibili correttivi anche radicali.

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