Voglia di parlar bene del Governo
Renzi non ne viene molta, dal “Jobs act” allo “Sblocca Italia”, e dopo la
Leopolda-5, ma – per coerenza con il mio assunto relativista ed
anti-pregiudiziale - non posso esimermi
da una valutazione serena di altri provvedimenti dello stesso Governo.
In attesa di capire meglio la
“legge di stabilità”, che sta al centro di tutto, mi sono applicato con
pazienza alla lettura integrale delle proposte per la “buona scuola”, superando
il disagio della retorica millenaristica (riferita ai 1000 giorni) del portale
propagandistico governativo “passo dopo passo”.
Il testo sulla scuola – attualmente sottoposto ad apprezzabile pubblica
consultazione (mi sono anche sobbarcato il questionario) - infatti mi sembra
invece piuttosto serio, corposo e documentato, e ben leggibile, malgrado alcuni inutili anglicismi e un
po’di vezzi da specialisti pedagogici.
La premessa del testo è che
investire risorse sulla formazione sia decisivo per ridurre la disoccupazione: il che mi pare molto condivisibile se si
intende che a medio termine la qualità delle risorse umane consente migliori
prestazioni all’intero sistema/paese, meno condivisibile invece se si vuole illudere gli studenti che a breve
termine una migliore qualificazione possa garantire più occupazione non solo in
singoli casi o specifici settori (e forse in un maggior capacità di
auto-imprenditorialità), ma addirittura all’insieme dei giovani in cerca di
lavoro (perché a mio avviso una migliore istruzione non riesce a modificare in
pochi anni gli squilibri macro-economici in atto).
Il nocciolo della proposta governativa
per una “buona scuola” consiste nella promessa di assunzione in ruolo di gran
parte dei precari attualmente in servizio, per arrivare ad assegnare ad ogni
scuola, sulla base dei fabbisogni (numero di alunni effettivi e tendenziali) un
organico non risicato ma leggermente sovrabbondante, idoneo a riassorbire al
suo interno distacchi funzionali (vice-presidi e tutors), “spezzoni” di
cattedre, supplenze lunghe e brevi, e offerte didattiche integrative,
rafforzando concretamente l’autonomia scolastica da diversi anni a vuoto
proclamata e dando spazio a modulazioni più flessibili di classi ed orari.
Tali risorse dovrebbero
consentire alle scuole anche di estendere gli orari di apertura delle scuole e
di lezione (tempo pieno), di affrontare l’evasione scolastica, di progettare
iniziative di educazione per gli adulti (in
merito mi permetto di dubitare sull’automatico conseguire di tali progressi dal
mero consolidamento degli organici).
I principali corollari della
proposta (riassumendo in breve un documento di oltre 130 pagine) mi sembrano
essere:
-
il superamento degli scatti automatici di
anzianità (già scomparsi da decenni nel resto del pubblico impiego) con l’avvio
di meccanismi di carriera più selettivi (pur
sempre discutibili riguardo ai criteri di valutazione ed ai soggetti che
dovranno attuarla, affiancando i dirigenti scolastici)
-
la determinazione in 2/3 della quota fissa, per
ogni istituto, dei docenti che riceveranno gli aumenti a cadenza periodica, con
l’ipotesi che tale limite costante (ed astratto
e perciò poco accettabile) inneschi di per se un processo di concorrenza
tra istituti, perché i docenti esclusi dagli “scatti” in una scuola “forte” (cioè
con tanti professori con buoni curricula) sarebbero spinti a trasferirsi in una
scuola “debole” per trovarvi maggiore fortuna (personalmente ci credo poco, perché molti altri sono i motivi di
trasferimento o non-trasferimento delle persone, a fronte del solo incentivo
degli “scatti” economici, e perché scuole con insegnanti “deboli”, premiati benché
a basso punteggio, potrebbero risultare – ad esempio - le scuole socialmente
difficili, e probabilmente non saranno comunque molto ambite);
-
l’approdo, dopo l’immissione ope legis degli
attuali precari, ad un processo ordinario di reclutamento dei nuovi docenti
tramite corsi-concorsi e tirocini guidati;
-
lo spostamento dell’asse culturale non solo
verso la “modernità” (riassorbendo con altri nomi le tre I berlusconiane:
Informatica, Impresa, Inglese) ma anche verso una maggiore “umanità”, con la
triade Musica Arte Sport (in concreto
però poche ore settimanali);
-
la conferma della volontà di confrontarsi con le
imprese presenti sul territorio, per sperimentare maggiori esperienze di
alternanza tra scuola e lavoro;
-
massicce dosi di trasparenza “on line” su tutto
quanto sopra, a partire dai curricula dei docenti e dalle graduatorie delle
nuove progressioni di carriera.
Oltre alle note in corsivo che ho sopra interposto, ritengo di
esprimere le seguenti considerazioni, guardando anche a ciò che manca nel documento
governativo (che comunque mi sembra una solida e positiva base di partenza) e
che a mio avviso sarebbe necessario perché la scuola (e la società) diventino
davvero migliori:
-
il segno
complessivo della proposta si dovrà leggere misurando le risorse aggiuntive
effettivamente assegnate alla scuola (nonché all’università e alla ricerca),
tenendo conto dei tagli nel frattempo prospettati della Legge di Stabilità del
medesimo Governo;
-
l’autonomia
dei singoli istituti e delle nuove aggregazioni ipotizzate è positiva, ma a mio
avviso insufficiente per aggredire gli storici ritardi della scuola italiana
riguardo all’evasione e alla mancata elevazione dell’obbligo scolastico, che
invece richiedono piani di interventi specifici, fondati sull’analisi dei
bisogni (a partire dagli asili-nido, oggi classificati come “assistenza”) e fortemente sostenuti dallo Stato e dagli
Enti locali, con poderosi aiuti per il diritto allo studio dei meritevoli non
abbienti, fino all’università (cioè un po’ oltre il “bonus bebè”);
-
le
trasformazioni sociali ed antropologiche (cos’è l’adolescenza oggi?) dovrebbero
suggerire un ripensamento radicale anche sui cicli didattici e sui programmi di
studio, non solo aggiungendo materie, e assumere come primo obiettivo la
formazione complessiva dei cittadini (non solo “Economia per tutti”, ma una
vera educazione civica e soprattutto anche un po’ di filosofia per tutti,
intesa come sviluppo delle capacità critiche personali a fronte dei “media”
vecchi e nuovi e dei modi nuovi e antichi di sfruttamento);
-
personalmente
non mi turba il rapporto con il mondo delle imprese, purché non sia a senso
unico (e permetta quindi anche che scuola e territorio possano ingerirsi su ciò
che fanno o non fanno le imprese,
escludendo una mera sudditanza ammirata) e riterrei educativa una sostanziosa
esperienza di lavoro vero dentro al ciclo dell’obbligo, da elevare a 18 anni
per tutti, aggiungendoci (con riferimento alla “educazione civica” di cui
sopra) anche un periodo di servizio civile, sia in loco sia con scambi europei;
-
mi pare
infine che andrebbe finalmente affrontato anche il tabù degli orari di lavoro
dei docenti, lasciando invariate le ore di insegnamento “frontale”, ma
inglobando tutte le altre prestazioni, da svolgersi a scuola (e non portando a
casa i pacchetti di compiti da correggere), nell’ambito delle 36 ore
settimanali comuni a tutto il resto del
pubblico impiego (fatti salvi, od ampliando, i contratti a tempo
parziale).