Mentre Renzi incassa la fiducia
della Merkel sul Job Act prima di quella del Senato, osservo che nel metodo il
circuito Fiducia/Delega risulta tanto elusivo della potestà parlamentare
(potestà che nel frattempo si esplica pienamente al suo livello più basso nello
stallo per l’elezione di 2 giudici costituzionali) quanto rappresentativo
dell’insieme del Renzismo, che – tra primarie ed europee – ha chiesto ed
ottenuto dagli elettori una delega in bianco su molte materie, esercitando a
fondo il ricatto della mancanza di alternative (che è effettiva, e Letta
agitava con minori energie) e ben guardandosi dal consultare la sua base
elettorale nel merito delle scelte (come invece aveva promesso nelle primarie,
proprio sul tema del lavoro: ora qualche consultazione – vedi scuola – la
gestisce direttamente come Governo).
Renzi si sente forte dei
sondaggi, sia sulla sua persona, sia riguardo all’art. 18, la cui difesa oggi
sembrerebbe minoritaria nel paese, che invece anni addietro respinse
sonoramente un referendum abrogativo proposto dai radicali: evidentemente anni
di ideologia padronale (detta anche “pensiero unico”), ben affiancata dagli
effetti della globalizzazione sul mercato del lavoro europeo (la “macro-fisica”
del potere), sono riusciti ad incidere sull’opinione pubblica, ed anche su
quella di centro-sinistra.
Dubito però che in tale ambito le
posizioni si siano definitivamente rovesciate, ma è difficile verificarlo,
stante la liquefazione del PD come organizzazione ed ambito di dibattito (inclusa la minoranza, che in teoria
raccoglieva la maggioranza degli iscritti con le tessere 2013, ma è priva di
strategia e di leadership, e nemmeno sa rinnovare le “sue tessere”, se non
quando servono a cammellare voti in qualche congresso di sezione; né tanto meno
raccogliere firme sulle sue proposte, anche on-line, così come a sostegno dell’evanescente
referendum sul pareggio di bilancio) e finché la CGIL ed altri soggetti non
assumeranno iniziative di mobilitazione, idonee ed efficaci (spero non
l’occupazione delle fabbriche da parte di qualche avanguardia, cui ha accennato
Landini; i precedenti non sono fausti: al biennio rosso 1919-21 seguì il
ventennio nero, e all’occupazione della Fiat nel 1980 seguì la marcia dei
40.000 e corollari fino ad oggi influenti).
Infatti ritengo che tra astenuti,
disillusi, elettori temporanei o definitivi del M5S, elettori fedeli alla
sinistra che hanno ri-votato PD (o anche Tsipras) con il collo molto “obtorto”,
ci sia una massa di persone, ed una realtà sociale frammentata ma non
definitivamente dispersa, che alla lunga, comprimi-comprimi, ri-emergerà in
forme forse nuove, e che mal digerisce le politiche oggettivamente di destra,
soprattutto se non sono presentate come necessario compromesso, dati i rapporti
di forza internazionali, ma rivendicate (non solo da Renzi, vedi recente
intervista di Fassino alla Stampa) come “moderno modo di essere di sinistra”, e
cioè ad esempio:
- - La retorica del merito e del talento, che poi si
traduce solo nella facilità di licenziare, perché nella pratica di governo non
vedo né nuove borse di studio per studenti e neo-laureati meritevoli, né
selezioni pubbliche ai posti di comando, né tanto meno l’abbandono della
selezione correntizia del personale politico (qualcosa di meglio forse sta nel documento sulla scuola, che mi
riservo di commentare quando sarò meno esacerbato sull’art. 18);
- - La balla che bisogna poter licenziare, anche
individualmente, perché i padroni locali e gli investitori internazionali si
decidano ad investire;
- - Il precariato come colpa dei sindacati, che per
me assomiglia molto a quei mariti che incolpano la moglie se la poveretta viene
cornificata: “dov’erano i sindacati?” certo non al governo, dove se non c’era
Berlusconi, con Maroni e Sacconi, c’era
Treu, e poi Bassolino-Salvi ed infine Damiano (l’unico che ha cercato di
correggere la baracca) (e qualcuno potrebbe anche chiedere dov’era il giovane
Renzi: non mi pare si opponesse a quella linea, né come Scout, né come DC/Popolare,
né come Margherito ed infine PD);
- - Tutta la propaganda sul “cambiare verso” e il “nuovo
che avanza”, dimenticando antiche priorità come la lotta all’evasione fiscale, al
lavoro in nero, alla corruzione, alla “imprendibilità” del finanz-capitalismo
internazionale.
Tornando infine al merito della
riforma del lavoro, la delega è volutamente piuttosto vaga, ed è stata
parzialmente emendata, ma conferma l’intenzione politica di ridurre le tutele
per i licenziamenti individuali (ed altre intenzioni invece potenzialmente
positive sugli ammortizzatori sociali, i contratti di inserimento e la
detassazione sul lavoro stabile): si dovranno valutare attentamente i decreti
delegati e le coperture finanziarie connesse.
Permane ai vertici del governo e
tra molti commentatori una grave sottovalutazione dell’importanza delle tutele
vigenti, sia pure per i soli lavoratori
stabili nelle aziende superiori a 15 dipendenti (tuttora la maggioranza dei
lavoratori dipendenti), anche se sono relativamente pochi i casi di
applicazione del reintegro nel posto di lavoro: il potenziale intervento del
giudice del lavoro è un deterrente, fondamentale nella “microfisica del potere”
a scala aziendale, dove chi è forte è il padrone e non il singolo lavoratore.
Scardinare o anche solo attenuare
e manipolare tali tutele (già ridotte dalla legge Fornero) influisce
sull’insieme dei rapporti di lavoro (e non solo per i soggetti direttamente
tutelati).
(Se poi ci si mette anche a
depotenziare i contratti nazionali si andrà rapidamente ad una ulteriore
compressione dei salari, già oggi molto risicati).
In proposito vorrei proporre
un’analogia con la legge del 1978 sull’equo canone (non posso autocitarmi perché il mio archivio cartaceo di quegli anni
si è perduto nella muffa delle cantine, con dentro anche un mio breve testo
sulla “micro-fisica del potere tra padrone di casa e inquilino), allorché
parte della sinistra si batté a lungo sulla percentuale che i nuovi affitti
dovevano pagare sul valore locativo degli alloggi (il 3% sembrava di sinistra,
il 4% di destra, ed il governo Andreotti chiuse al 3,85%), mentre la
sostanziale sconfitta degli inquilini stava nella generalizzata possibilità di
sfratto per “finita locazione” (cioè i contratti diventavano temporanei, superando
il blocco dei fitti non solo in termini economici ma soprattutto
giuridico-temporali).
Mentre il blocco dei fitti aveva
spinto verso l’alto i canoni dei nuovi contratti, l’equo canone così concepito
ha spinto tutti coloro che hanno potuto a comprarsi una casa (sfuggendo almeno
su questo fronte alla precarietà della vita) ed ha proiettato verso l’alto
il valore degli affitti sugli alloggi
restanti (e l’equo canone chi se lo ricorda più?).
PERVENUTO VIA E-MAIL
RispondiEliminaHo smesso di guardare certe trasmissioni perchè non ce la faccio più a vedere il degrado di questo paese e poi ci sei tu che scrivi queste cose e mi riporti di nuovo alla realtà!!!!!! io ho bisogno alla sera quando torno a casa di leggere solo ed esclusivamente cazzate!!!!! cazzate immani!!!! così mi addormento felice.......ma poi mi sveglio pesante, e allora torno a leggere quello che scrivi per provare nel giorno a cui vado incontro a cambiare qualche cosa....
Grazie ciao.
U.M.