giovedì 9 ottobre 2014

DI NUOVO SUL (FU?) ART. 18

Mentre Renzi incassa la fiducia della Merkel sul Job Act prima di quella del Senato, osservo che nel metodo il circuito Fiducia/Delega risulta tanto elusivo della potestà parlamentare (potestà che nel frattempo si esplica pienamente al suo livello più basso nello stallo per l’elezione di 2 giudici costituzionali) quanto rappresentativo dell’insieme del Renzismo, che – tra primarie ed europee – ha chiesto ed ottenuto dagli elettori una delega in bianco su molte materie, esercitando a fondo il ricatto della mancanza di alternative (che è effettiva, e Letta agitava con minori energie) e ben guardandosi dal consultare la sua base elettorale nel merito delle scelte (come invece aveva promesso nelle primarie, proprio sul tema del lavoro: ora qualche consultazione – vedi scuola – la gestisce direttamente come Governo).

Renzi si sente forte dei sondaggi, sia sulla sua persona, sia riguardo all’art. 18, la cui difesa oggi sembrerebbe minoritaria nel paese, che invece anni addietro respinse sonoramente un referendum abrogativo proposto dai radicali: evidentemente anni di ideologia padronale (detta anche “pensiero unico”), ben affiancata dagli effetti della globalizzazione sul mercato del lavoro europeo (la “macro-fisica” del potere), sono riusciti ad incidere sull’opinione pubblica, ed anche su quella di centro-sinistra.
Dubito però che in tale ambito le posizioni si siano definitivamente rovesciate, ma è difficile verificarlo, stante la liquefazione del PD come organizzazione ed ambito di dibattito (inclusa la minoranza, che in teoria raccoglieva la maggioranza degli iscritti con le tessere 2013, ma è priva di strategia e di leadership, e nemmeno sa rinnovare le “sue tessere”, se non quando servono a cammellare voti in qualche congresso di sezione; né tanto meno raccogliere firme sulle sue proposte, anche on-line, così come a sostegno dell’evanescente referendum sul pareggio di bilancio) e finché la CGIL ed altri soggetti non assumeranno iniziative di mobilitazione, idonee ed efficaci (spero non l’occupazione delle fabbriche da parte di qualche avanguardia, cui ha accennato Landini; i precedenti non sono fausti: al biennio rosso 1919-21 seguì il ventennio nero, e all’occupazione della Fiat nel 1980 seguì la marcia dei 40.000 e corollari fino ad oggi influenti).

Infatti ritengo che tra astenuti, disillusi, elettori temporanei o definitivi del M5S, elettori fedeli alla sinistra che hanno ri-votato PD (o anche Tsipras) con il collo molto “obtorto”, ci sia una massa di persone, ed una realtà sociale frammentata ma non definitivamente dispersa, che alla lunga, comprimi-comprimi, ri-emergerà in forme forse nuove, e che mal digerisce le politiche oggettivamente di destra, soprattutto se non sono presentate come necessario compromesso, dati i rapporti di forza internazionali, ma rivendicate (non solo da Renzi, vedi recente intervista di Fassino alla Stampa) come “moderno modo di essere di sinistra”, e cioè ad esempio:
-      -    La retorica del merito e del talento, che poi si traduce solo nella facilità di licenziare, perché nella pratica di governo non vedo né nuove borse di studio per studenti e neo-laureati meritevoli, né selezioni pubbliche ai posti di comando, né tanto meno l’abbandono della selezione correntizia del personale politico (qualcosa di meglio forse sta nel documento sulla scuola, che mi riservo di commentare quando sarò meno esacerbato sull’art. 18);
-       -   La balla che bisogna poter licenziare, anche individualmente, perché i padroni locali e gli investitori internazionali si decidano ad investire;
-     -  Il precariato come colpa dei sindacati, che per me assomiglia molto a quei mariti che incolpano la moglie se la poveretta viene cornificata: “dov’erano i sindacati?” certo non al governo, dove se non c’era Berlusconi, con Maroni e Sacconi,  c’era Treu, e poi Bassolino-Salvi ed infine Damiano (l’unico che ha cercato di correggere la baracca) (e qualcuno potrebbe anche chiedere dov’era il giovane Renzi: non mi pare si opponesse a quella linea, né come Scout, né come DC/Popolare, né come Margherito ed infine PD);
-     - Tutta la propaganda sul “cambiare verso” e il “nuovo che avanza”, dimenticando antiche priorità come la lotta all’evasione fiscale, al lavoro in nero, alla corruzione, alla “imprendibilità” del finanz-capitalismo internazionale.  

Tornando infine al merito della riforma del lavoro, la delega è volutamente piuttosto vaga, ed è stata parzialmente emendata, ma conferma l’intenzione politica di ridurre le tutele per i licenziamenti individuali (ed altre intenzioni invece potenzialmente positive sugli ammortizzatori sociali, i contratti di inserimento e la detassazione sul lavoro stabile): si dovranno valutare attentamente i decreti delegati e le coperture finanziarie connesse. 
Permane ai vertici del governo e tra molti commentatori una grave sottovalutazione dell’importanza delle tutele vigenti, sia pure  per i soli lavoratori stabili nelle aziende superiori a 15 dipendenti (tuttora la maggioranza dei lavoratori dipendenti), anche se sono relativamente pochi i casi di applicazione del reintegro nel posto di lavoro: il potenziale intervento del giudice del lavoro è un deterrente, fondamentale nella “microfisica del potere” a scala aziendale, dove chi è forte è il padrone e non il singolo lavoratore.
Scardinare o anche solo attenuare e manipolare tali tutele (già ridotte dalla legge Fornero) influisce sull’insieme dei rapporti di lavoro (e non solo per i soggetti direttamente tutelati).
(Se poi ci si mette anche a depotenziare i contratti nazionali si andrà rapidamente ad una ulteriore compressione dei salari, già oggi molto risicati).

In proposito vorrei proporre un’analogia con la legge del 1978 sull’equo canone (non posso autocitarmi perché il mio archivio cartaceo di quegli anni si è perduto nella muffa delle cantine, con dentro anche un mio breve testo sulla “micro-fisica del potere tra padrone di casa e inquilino), allorché parte della sinistra si batté a lungo sulla percentuale che i nuovi affitti dovevano pagare sul valore locativo degli alloggi (il 3% sembrava di sinistra, il 4% di destra, ed il governo Andreotti chiuse al 3,85%), mentre la sostanziale sconfitta degli inquilini stava nella generalizzata possibilità di sfratto per “finita locazione” (cioè i contratti diventavano temporanei, superando il blocco dei fitti non solo in termini economici ma soprattutto giuridico-temporali).

Mentre il blocco dei fitti aveva spinto verso l’alto i canoni dei nuovi contratti, l’equo canone così concepito ha spinto tutti coloro che hanno potuto a comprarsi una casa (sfuggendo almeno su questo fronte alla precarietà della vita) ed ha proiettato verso l’alto il  valore degli affitti sugli alloggi restanti (e l’equo canone chi se lo ricorda più?). 

1 commento:

  1. PERVENUTO VIA E-MAIL
    Ho smesso di guardare certe trasmissioni perchè non ce la faccio più a vedere il degrado di questo paese e poi ci sei tu che scrivi queste cose e mi riporti di nuovo alla realtà!!!!!! io ho bisogno alla sera quando torno a casa di leggere solo ed esclusivamente cazzate!!!!! cazzate immani!!!! così mi addormento felice.......ma poi mi sveglio pesante, e allora torno a leggere quello che scrivi per provare nel giorno a cui vado incontro a cambiare qualche cosa....
    Grazie ciao.
    U.M.

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