Il “Rapporto 2014” del Centro di
ricerca sui Consumi di Suolo (costituito da INU, Dipartimento DAStU del
Politecnico di Milano e da Legambiente), edito on-line dall’INU e redatto da Arcidiacono,
Di Simine, Oliva, Pileri, Ronchi e Salata, con sottotitolo POLITICHE, STRUMENTI
E PROPOSTE LEGISLATIVE PER IL CONTENIMENTO DEL CONSUMO DI SUOLO IN ITALIA,
mantiene quanto promette:
- un ampio esame delle
problematiche teoriche relative alle modalità di misura del consumo di suolo (se
riguardi la sola superficie “coperta” da fabbricati, quella altrimenti
impermeabilizzata oppure quella a vario titolo “occupata” per gli usi urbani, e
come valutare in tale ambito, ad esempio, il verde pubblico) e sullo stato
dell’arte nella effettiva misurazione in Italia (con spiccate differenze tra
diverse regioni e realtà locali, ma con il recente apporto unitario di ISPRA e
quello promesso in futuro dall’ISTAT) ed in Europa, con lo standard comune
consolidato di “CORINE Land Cover” (che però utilizza un reticolo a larghe
maglie, con unità di 25 ettari), gli ulteriori approfondimenti con i progetti
LUCAS e HR Built-Up Areas (quest’ultimo con foto satellitari con risoluzione di
soli 20 metri);
- una rappresentazione sintetica
delle problematiche concrete del consumo di suolo in Italia (complessivamente,
secondo ISPRA, dal 3% negli anni 50 ad oltre il 7% attuale), in relazione ai
diversi usi del suolo e modelli insediativi, con attenzione alle differenze tra
regioni, nonché ai disturbi indiretti indotti dalla frammentazione del suolo
non occupato, e con approfondimenti specifici in territorio lombardo sulla
provincia di Lodi (e sugli effetti, talora perversi, del Piano Provinciale),
sulle nuove infrastrutture (assai “consumose”) e sui parchi regionali e
dintorni (in tali intorni si condensano specifiche pressioni differenziali);
- una articolata denuncia (soprattutto
da parte di Paolo Pileri) del deficit istituzionale, ed anche culturale, che in
Italia impedisce una seria tutela della risorsa primaria costituita dal suolo
(in confronto con le esperienze europee più avanzate, a partire dalla
Germania), e che si annida soprattutto nella crescente e mal-intesa autonomia
decisionale dei singoli comuni, mentre i fenomeni ambientali prescindono dai
confini amministrativi;
- una rassegna delle iniziative e
proposte di legge in materia di risparmio nel consumo di suolo, a scala
regionale (seguita anche da interessanti contributi specifici per Lombardia,
Piemonte e Toscana) – finora per lo più solo buone intenzioni - ed a scala
nazionale, che testimoniano la crescita di una sensibilità diffusa
sull’argomento, cui non corrispondono finora interventi adeguati; con
approfondimento delle criticità del disegno di legge dell’ex ministro Catania (che al momento della stesura del Rapporto
era ancora all’ordine del giorno, mentre ora appare sepolto dalla nuova valanga
di cemento del decreto sblocca-Italia) i cui limiti principali
sembrerebbero il mantenimento di una logica incrementale per gli insediamenti
(seppure frenata) e la mancata assunzione del nuovo principio della
“rigenerazione urbana” come asse portante per il governo del territorio (nota: la logica “incrementale frenata” pare
insita anche nel Piano Territoriale Metropolitano di Barcellona, che a fine
volume viene presentato come innovativo, e di cui comunque si può apprezzare
l’incisività, rispetto alla fumosità prevalente nei Piani di Area Vasta
nostrani);
- la formulazione (Edoardo Zanchini e Federico Oliva) della
suddetta “rigenerazione urbana”, ovvero del risanamento complessivo dei tessuti
insediativi carenti sotto il profilo qualitativo ed energetico (e talora anche
statico/antisismico), come fronte di investimento (ma anche di risorse
endogene) per un nuovo sviluppo delle città all’interno dei loro confini,
alternativo ad ogni ulteriore espansione (una sorta di continuo flusso
temporale tra i diversi usi urbani, nello spazio consolidato delle città).
Nell’insieme questo testo costituisce un notevole contributo
teorico-pratico sulla questione del consumo di suolo e – assieme alla lettura
degli ultimi numeri delle riviste Urbanistica ed Urbanistica Informazioni (non
invece le ultime rassegne di Urban-promo, che nei fatti trattano in prevalenza
casi di ulteriori espansione) – conferma il deciso impegno sul tema di gran
parte degli intellettuali vicini all’INU.
Dovrebbe stupire pertanto il reciproco ignorarsi con il contiguo ambito
di “Salviamo-Il-Paesaggio” (cui pure aderiscono tra gli altri FAI, WWF, Italia
Nostra, Slow food e Legambiente, quest’ultima partner dell’INU nello stesso
CRCS), che si occupa del medesimo tema con iniziative concrete, locali e
nazionali, seppur forse un po’ velleitarie, come il censimento dal basso sul
consumo del suolo e l’ipotesi di un disegno di legge di iniziativa popolare.
E che da parte sua, oltre ad ignorare il CRCS, assume talvolta – a
scala locale – anche gli urbanisti dell’INU come bersaglio (vedi atti della
recente 3^ assemblea nazionale).
Manca invece qualsivoglia sforzo di entrare nel merito delle reciproche
posizioni teoriche generali.
E che sarebbe a mio avviso invece molto interessante, ad esempio,
approfondendo i giudizi sul disegno di legge di riforma urbanistica presentato
dal ministro Lupi: dalla lettura comparata, a distanza, infatti emerge una
visione possibilista dell’INU (vedi Oliva su UrbInf n° 255) ed una stroncatura
di Salv.Paes. che ha ospitato nel suo sito un documento critico firmato tra gli
altri da Vezio De Lucia e Francesco Indovina.
Riservandomi di esprimere anche qualche mia valutazione (soprattutto se
il testo Lupi diventerà nell’agenda-Renzi qualcosa di più di un soprammobile decorativo),
segnalo che qualche punto di contatto teorico si potrebbe paradossalmente
riscontrare addirittura tra la “liquidità immobiliare” di Lupi, che pure parte
dalla valorizzazione della proprietà, e la evanescenza del possesso, cui arriva
il prof. Maddalena (lectio magistralis alla suddetta 3^ conferenza di
Salv.Paes.), a partire dai “beni comuni”; e che forse una linea unitaria può
essere cercata tra tutti coloro che perseguono il risparmio del consumo di
suolo (e non possono esimersi dal valutare le modalità della connessa
“rigenerazione urbana”).
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