RIFORME ISTITUZIONALI:
SCHIERAMENTI
Il cammino del disegno di legge
di riforma costituzionale, giunto alla terza lettura, ed avendo perduto la
iniziale copertura politica berlusconiana, sembra profilarsi come una battaglia
campale tra Renzi&C e i resti della
sinistra del PD, in cui il primo tende a forzare la mano ponendo di fatto una
“questione di fiducia” su una materia che dovrebbe sfuggire alla logica
governativa, ed i secondi appaiono tentati di rifarsi da una serie di
umiliazioni finora subite, senza pagare il dazio né di una scissione né di
eventuali elezioni anticipate (tecnicamente alquanto improbabili con l’Italicum
per la sola Camera, e differito a metà 2016, ed il Senato eleggibile solo con
il “Consultellum” cioè con il Porcellum ridotto a proporzionale).
In un partito “normale”, gli
orientamenti della maggioranza, anche in materia di Costituzione, dovrebbero
essere abbastanza vincolanti, salvo
individuali obiezioni di coscienza; ma in un partito normale non succederebbe
né che il Segretario si accordi in materia costituzionale prima con il nemico
storico del centro-sinistra, per poi non ascoltare neppure i più ragionevoli
emendamenti proposti dalla sua minoranza, né che le Direzioni si concludano con
generale consenso anche quando il Segretario improvvisa cambi di linea ad “U”
rispetto alla storia del PD ed ai documenti congressuali, come avvenuto
sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e con la recente scellerata proposta di
sopprimere la tassazione sulla prima casa, ricchi compresi (ed inquilini e
senza casa esclusi da ogni attenzione, perché tanto son minoranze, e non così
celebrate dai media come i gay).
Il realismo politico, che ha
suggerito a Renzi poderosi passi indietro, ad esempio, sulla RAI (pur
mascherati da baldanzosi rimbalzi in avanti), potrebbe ora suggerirgli di
riconoscere di fatto i resti della sinistra-dem come una sorta di
“separati-in-casa”, in una fase in cui a nessuna delle due parti conviene far precipitare
il divorzio, e trattare una ragionevole mediazione con Gotor anziché con i
resti di Forza Italia.
Sono abbastanza convinto che la
sinistra-dem (anzi la parte restante, dopo la fuori-uscita di Civati e Fassina
ed il ri-allineamento al centro di Martina-Amendola-Damiano ecc.) abbozzerebbe
di buon grado, anche perché, non avendo dato una seria battaglia dove poteva
effettivamente mobilitare la base (come sull’art. 18), né avendo cavalcato più
di tanto la resistenza (a mio avviso in prevalenza corporativa) degli
insegnanti sulla buona scuola, faticherebbe a trovare consensi su materie più
ostiche al semplice cittadino (come il Senato elettivo od il quorum per
l’elezione del CSM, e come è stato per la battaglietta sulle preferenze).
E perché non ha maturato alcun
disegno strategico, né di scissione né di alternativa, ed è così costretta a
subire i lazzi di Renzi, Staino&C.
Se però Renzi mancherà di
realismo, e punterà tutto sull’avventura dei voti in aula, confidando
nell’erosione del dissenso Dem e nella estensione del consenso di un palude
verdiniana allargata, ci sarà invece il rischio che la corda si spezzi aprendo
una crisi invero non facilmente gestibile.
RIFORME ISTITUZIONALI: MERITO
Nel merito della riforma
costituzionale in itinere e della riforma elettorale di recente approvata ho
espresso più volte il mio perplesso parere.
Non sono particolarmente
affezionato né al bi-cameralismo né al Senato elettivo: tuttavia la formula
finora approvata, con alcuni consiglieri regionali nominati a svolgere un secondo
lavoro come senatori part-time (e, se coscienziosi, quando avranno il tempo di tornare a casa e
di parlare con qualche normale cittadino?)
mi sembra pasticciata e poco efficiente, e certo non l’unico né miglior
svolgimento del tema populistico “riduciamo i costi della politica”: perché non
tagliare numero ed emolumenti dei Deputati?
Il problema di fondo è quello del riequilibrio dei poteri e della
terzietà degli organi di garanzia (Presidenza della Repubblica, Corte
Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura), rispetto ad una Camera
(e conseguente governo) eletta con un risoluto premio di maggioranza, che
potrebbe spettare, in caso ballottaggio, anche ad una lista che goda in
partenza del consenso di quote modeste degli elettori votanti.
Problema che si era già profilato
con le precedenti versioni del maggioritario (Mattarellum e Porcellum), ma che
viene esaltato sia dall’Italicum sia da qualsivoglia forma di de-potenziamento
del Senato, ed a maggior ragione dalla sinergia delle due operazioni.
Gli emendamenti proposti da
Gotor (e sostenuti da una scarsa
trentina di senatori eletti con il simbolo PD)
affrontano la questione, a
partire dall’Italicum approvato e dal disegno di legge costituzionale ora
all’esame del Senato.
Le soluzioni tecniche possono
essere le più diverse.
La mia preferita, per quel che conto, e cioè nulla, sarebbe quella di
riconoscere, almeno in ipotesi, il meccanismo elettorale maggioritario in
Costituzione e di neutralizzarne gli effetti con una norma che dicesse: “In
caso di elezione maggioritaria di un ramo del Parlamento, i deputati e/o
senatori assegnati con meccanismo premiale sono privati del diritto di voto
nelle sedute dedicate all’elezione degli Organi di Garanzia, il cui collegio
eligente corrisponde pertanto ai soli deputati/senatori eletti con criterio
proporzionale”.
In tal modo sarebbe pienamente sopportabile anche un radicale
mono-cameralismo (NB: quando lo proponeva il PCI si era sempre in un quadro proporzionale),
ed il conservare o re-inventare un ruolo al Senato servirebbe per altri
possibili scopi, dal miglior raccordo con le autonomie locali (ma già esistono
in Costituzione le apposite Conferenze Stato-Regioni e Stato-Regioni-Comuni) ad
una procedura di raffreddamento nella legislazione su materie più delicate, dai
diritti umani alle stesse ulteriori revisioni costituzionali.
Quello che mi preoccupa è che il
tema della elezione degli organi di garanzia sembra appannaggio della sola
sinistra-dem, sola oppure più o memo mal accompagnata da Calderoli od altri
oppositori, e non interessi a nessuno della vasta e composita compagine
renziana, DOC e di complemento, da Zanda
a Finocchiaro, allo stesso Cesare Damiano, senza pensare che con l’Italicum non
sarà sempre il PD a vincere, ma potrebbero farlo anche forze diverse e
potenzialmente pericolose per la Repubblica (due nomi a caso dall’attualità:
Grillo e/o Salvini).
RIFORME ISTITUZIONALI: SCENARI
Al di là del mio personale scarso
gradimento, le riforme istituzionali promosse da Renzi e le innovazioni di
fatto da Lui introdotte nella “Costituzione materiale”, come la ostentata fine
della concertazione con le forze sociali, tendono a configurare una “Terza
Repubblica” in cui molto più potere è dato all’asse Governo/maggioranza
parlamentare, e molto meno agli altri soggetti, i cosiddetti “corpi intermedi”,
elettivi (minoranze parlamentari, Regioni e Comuni) e non elettivi (sindacati e
associazioni di categoria, burocrazia e – forse – magistratura).
Togliendo di fatto quote di
potere e “diritti di veto” ai poteri “deboli”, che hanno variamente condiviso
la gestione della Prima e Seconda
Repubblica, e rafforzando un nuovo potere centrale dello Stato, che potrebbe
così meglio confrontarsi con i vecchi e nuovi “poteri forti”, nazionali ed
internazionali, ed a cui vorrei attribuire alcuni nomi, per non lasciare questo testo
nella abituale ambiguità delle invettive contro poteri forti misteriosi ed
innominati:
I grandi gruppi dell’industria e
della finanza (FCA, Benetton e le altr multinazionali che continuano a produrre
in Italia, ENI&ENEL&Finmeccanica&C,
Intesa&Unicredit, Mediobanca e Generali), al di là delle mediazioni
corporative a cui si piegano nelle associazioni orizzontali, tipo Confindustria
e ABI
Istituzioni Europee (Commissione
Europea, BCE) e altri grandi stati Europei
USA e NATO
Cina, Russia ed altre potenze
emergenti, fino al Califfato Islamico
Finanza internazionale, in tutte
le sue articolazioni, dalle agenzie di rating ai grandi investitori istituzionali,
dagli Emiri del Golfo alle eminenze grigie nascoste nei paradisi fiscali
Aziende (americane) che controllano
i mezzi di comunicazione (Google, Microsoft, Face-book, ecc.)
(la Chiesa Cattolica?)
E senza dimenticare Mafia,
Ndrangheta e Camorra…
Allora forse uno stato italiano più
“forte e chiaro”, che superi il “pluralismo consociativo” non è del tutto un male, anche per cedere
eventualmente in modo trasparente più sovranità agli ambiti comunitari, resi
però meno tecno-cratici con più potere al Parlamento Europeo (dove non è
escluso che i popoli eleggano qualcosa di meglio delle attuali forze
politiche).
La riduzione degli ambiti di
mediazione dentro i tavoli istituzionali
a mio avviso non è da vedersi come necessariamente nociva per gli
interessi non rappresentati nelle maggiorane governative, perché dovrebbe
restare aperta la dimensione del conflitto (ed è con scioperi e manifestazioni
che i sindacati hanno difeso quanto hanno potuto difendere, dagli anni ’90 ad
oggi, su licenziamenti e pensioni, non certo sedendosi inermi nella “sala
Verde” di palazzo Chigi, come di fatto è accaduto, ad esempio, durante i
governi di Monti e di Letta).
Quello che dovrebbe massimamente
preoccupare, secondo me, non è la maggior libertà di governare da parte del
governo, bensì il rischio che il riassetto dei poteri da un lato attenti allo
spazio del conflitto, limitando il diritto di sciopero (al di là delle
patologie da correggere nei pubblici servizi) e la libertà di informazione ed espressione e d’altro lato comprima i contrappesi
istituzionali rendendo ineguale la competizione politica, in favore del
governo, e difficile il ricambio delle maggioranze.
Cioè che si tolga spazio ad un
sano “pluralismo dialettico”, sociale e politico.
Per questo fondamentali a mio
avviso sono i criteri di nomina ed elezione degli organi di garanzia
(Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della
Magistratura), nonché dei vertici delle aziende pubbliche (aziende che non sono
“del governo”, ma dei cittadini), dalla RAI alla Cassa Depositi e Prestiti, e
poi ENI, ENEL, Finmeccanica, Poste, Ferrovie: un insieme, che – pur in parte
privatizzato – può consentire una enorme influenza sull’economia, sulla vita
del paese e sulle opinioni dei cittadini.
Togliere al rafforzato governo il
potere esclusivo su queste nomine e affidarlo, ad esempio, al controllo di un
residuo ma dignitoso Senato (di rappresentanza federale e di fatto
proporzionale) potrebbe essere un
necessario complemento al disegno di riforma, in una direzione più democratica
e meno accentratrice.