Il testo alterna felicemente (pur con qualche refuso di troppo)
l’analisi e la comparazione di dati quantitativi da diverse fonti, riferimenti
bibliografici ad altre autorevoli ricerche sociologiche e brevi e spigliati
racconti “giornalistici”, mirati sui casi concreti di diversi migranti
coinvolti nei diversi flussi esaminati dal libro.
Nelle Conclusioni, da pag. 83 a
pag. 88, la stessa Autrice riassume con molta chiarezza il testo, che mi
sforzerò di riassumere ulteriormente:
La prima parte (“da”) esamina i
nuovi flussi di emigrazione degli italiani verso l’estero, evidenziando che si
tratta in prevalenze di giovani, istruiti, sia maschi che femmine, provenienti
dal Centro-Nord, motivati dalla ricerca di un lavoro migliore (ma anche
disposti a mansioni umili nella fase di ricerca) e diretti per lo più verso le aree metropolitane più
dinamiche e/o ospitali, tra cui Londra, Berlino, Parigi, Barcellona, ma anche
Dubai e Shangai; si muovono attraverso reti amicali oppure attraverso approcci
individuali al web, od ancora, almeno inizialmente, al seguito di imprese
italiane esportatrici.
A fianco di queste correnti più
innovative e caratteristiche di questo inizio di secolo, con accelerazione
negli anni di crisi dal 2007, si affianca il rinverdire di flussi più
tradizionali di migranti a basso livello di istruzione, in prevalenza dalle
regioni del Sud.Le quantificazioni ufficiali degli emigranti iscritti come “residenti all’estero” (nell’ordine di quasi 100.000 all’anno) risultano sotto-stimate, fino ad un raddoppio del flusso effettivo, perché la facilità dei trasporti e la temporaneità degli impieghi spingono spesso a mantenere vivi i legami con le famiglie e le città di origine ed inalterate le iscrizioni anagrafiche.
La seconda parte (“a”) si occupa
degli immigrati, i cui flussi di arrivo sono decisamente diminuiti dopo il
2010, mentre è aumentato il numero degli stranieri che lasciano l’Italia o per
tornare al paese di origine oppure per trasferirsi in altri paesi europei, più
floridi e/o accoglienti; la crisi inoltre ha indotto una crescente mobilità
degli immigrati all’interno dei confini italiani, per inseguire le occasioni di
lavoro e non perdere i permessi di soggiorno, accettando anche de-mansionamenti
e altre forme di peggioramento contrattuale (ad esempio trasferendosi dalle
industrie del Nord al bracciantato stagionale nell’agricoltura del Sud).
(Il testo non affronta la recente ondata di sbarchi di profughi e
migranti irregolari, orientati per altro tendenzialmente verso il Nord Europa).
La terza parte (“in”) osserva la
ripresa delle migrazioni interne, soprattutto dal Sud al Nord (anzi al
Nord-Est), già in atto dagli anni Novanta, ed ora in accelerazione (ancora
vicino ai 100.000/anno) , sia tra i lavoratori qualificati (in parte già
insediati al Centro-Nord come studenti universitari fuori-sede) sia per le
mansioni medio-basse; anche qui sia maschi che femmine, anche senza la
tradizionale subalternità della “moglie che segue il marito”.
Le mete di questi immigrati, per
lo più giovani e single, sono soprattutto le città del Centro-Nord, che hanno
ripreso ad aumentare la popolazione, anche se nel contempo continua
l’esodo verso i rispettivi hinterland,
soprattutto per le famiglie con figli; tra queste città le più attrattive risultano
essere – oltre a Milano e Torino – Bologna e altri centri emiliani, ed il
Triveneto, con Trento in evidenza.
Su questo tema l’Autrice sviluppa
un approfondimento, sulla
correlazione tra nuove imprese innovative (“start up”) e flussi di immigrazione
a mio avviso non troppo convincente in
termini quantitativi ma indubbiamente interessante sul piano qualitativo.
In termini quantitativi infatti,
Camilla Gaiaschi propone, a pag. 69, alcuni grafici che collocano le regioni e
le provincie italiane, avendo sull’asse y l’immigrazione e sull’asse x la
densità di “start-up” e tende a leggere un allineamento del conseguente “sciame
di dati” lungo una retta virtuosa: ma a
mio avviso tali sciami risultano troppo larghi e sgranati per confermare una attendibile
legge statistica (ovvero lasciano troppi casi di notevole immigrazione con
poche start-up oppure di poca immigrazione con molte start up). Sul fronte qualitativo, invece, l’indagine risulta interessante, soprattutto quando illustra le motivazioni di insediamento di nuove aziende creative a Bologna, tra cui le infrastrutture informatiche pubbliche, l’ambiente stimolante e l’alta velocità con Roma e con Milano, oppure quando tratteggia il “modello Trento” (istituti di ricerca, investimenti pubblici, welfare) senza tacerne le potenziali criticità (incidenza di una spesa pubblica forse non confermabile, poteri locali un po’ ingessati, ambiente provinciale al di sotto di una soglia “metropolitana”).
PERVENUTO VIA FACE-BOOK
RispondiEliminaGentile Aldo, la ringrazio per il suo interesse e l'attenta recensione. L'intento è appunto quello di scattate una fotografia quali-quanti sul fenomeno nei suoi tre aspetti, che in genere sono affrontati in letteratura separatamente. La correlazione con cui chiudo il libro è uno spunto di riflessione che potrebbe essere l'inizio di ulteriori approfondimenti, che purtroppo per esigenze di tempo e per la natura del libro non ho potuto condurre. Se ha ulteriori suggerimenti sarei felice di confrontarmi con Lei. Grazie ancora.
CAMILLA GAIASCHI