giovedì 6 agosto 2015

SI PUO’ SOPPORTARE UNA TALE DISOCCUPAZIONE A LUNGO TERMINE?

Dall’incrocio dei dati ISTAT sulla disoccupazione che non cala, delle previsioni FMI sulla stessa disoccupazione, che rientrerebbe solo in 20 anni, e della relazione SVIMEZ sul  Sud che peggiora, con aggiunta di appello di Saviano, il PD pare aver colto soprattutto quest’ultimo, convocando una direzione pre-ferie, sul tema del Sud.
I 2 argomenti, Sud e occupazione, sono largamente intrecciati, per cui l’iniziativa comunque non parrebbe  fuori tema.

Però mi sembra che sul tema dell’occupazione la linea di Renzi mostri una sostanziale inadeguatezza alla gravità del problema, perché totalmente subordinata all’assioma della crescita, e cioè alla convinzione (ideologica) che solo la ripresa economica può creare posti di lavoro effettivi, e ogni altra strada porti a sterili e dannose forme di assistenzialismo.
Con il corollario di valutare come positiva ogni forma di “sviluppo industriale” (comprese ad esempio le trivellazioni per la ricerca di gas e petrolio, che sono invece risorse preziosissime da non dissipare a breve termine, provocando nel contempo danni irrimediabili al territorio, al paesaggio e al turismo, e probabilmente anche alla salute e sicurezza dei cittadini), senza una selettiva “politica industriale” che individui i settori più benefici per il futuro e per la convivenza sociale; e con l’aberrazione di  proporre come incentivi allo sviluppo economico anche promesse di detassazione molto indirettamente connesse alla crescita, quali quelle sulla prima casa (come già dimostrato dal 2009 al 2011 e nel 2013), oltre che intrinsecamente ingiuste, come ho altrove argomentato (e di certo tornerò a ribadire).

Tra i commenti ai rapporti di ISTAT, SVIMEZ e FMI, Walter Passerini su “La Stampa” ha esposto anche un breve resoconto sul sostanziale (e poco conosciuto) fallimento dell’iniziativa europea (e Lettiana) “Garanzia Giovani”, che avrebbe dovuto agganciare quei 2.500.000 che né studiano né lavorano, ed invece ne ha contattati solo 700.000, proponendo qualcosa di utile (stages, corsi, colloqui, ecc. e persino qualche assunzione) ad una modesta minoranza.
A mio avviso una seria riflessione su tale esperienza potrebbe essere utile per capirne i limiti e gli errori.
Il 1.800.000 non raggiunto è contento così (e magari fa lavoro nero)? Oppure abbandona la scuola non è raggiungibile da “Garanzia giovani” per totale sfiducia? Oppure erano e sono inadeguati gli strumenti organizzativi messi in campo? E sui 700.000 raggiunti si sa qualcosa di più di prima? Quanto sta costando l’intera operazione?

Domande che pongo per partire dal concreto e non da una contrapposta ideologia, che punti sulla spesa pubblica e sui lavori socialmente utili, rievocando Roosvelt in un continente ed in una fase storica che ne rende assai difficile la riproposizione.

Perché, ammesso che i segnali di ripresa economica avvistati da Confindustria e da altri osservatori, ed esaltati dal Governo, siano consistenti e reggano a possibili nuove e vecchie bufere internazionali (Cina, Grecia, Ucraina, Libia, Medio Oriente), le stime del FMI non sono infondate, ed indicano la seria possibilità di una crescita senza nuova occupazione, connessa ai  continui (ed ineluttabili) incrementi di produttività insiti nella competizione internazionale.

E’ accettabile una prospettiva di disoccupazione di massa di lunga durata?
Ed allora mi sembra che sia necessario incentivare e sperimentare ogni possibile strumento, vecchio e nuovo, per aumentare l’occupazione (e prima o affianco ad essa una buona scolarità) in un tale contesto di produttività crescente, spendendo meglio le risorse pubbliche disponibili (e senza sprecarle, ad esempio, per togliere le tasse sulle case dei ricchi): avviare un grande programma di borse di studio, rilanciare il servizio civile (obbligatorio, come suggeriscono Serra, Urbinati e – purtroppo – Salvini?), agevolare la staffetta giovani/anziani, favorire serie forme di part time e di mirata riduzione degli orari di lavoro (sulla scia dei “contratti di solidarietà”), e disincentivare invece gli straordinari, rendere permanente le agevolazioni per le nuove partite IVA (che invece scadranno al 31 dicembre).

E altre proposte (avanzate dai sindacati, ma anche da ambienti imprenditoriali).

Non sarebbe il caso di metterle al centro dell’attenzione?  

6 commenti:

  1. PERVENUTO VIA E-MAIL
    caro Aldo, mi pare che vada fatta, finalmente, una riflessione necessaria: in Italia lavorare costa troppo! normalmente ben di più di quanto il lavoro possa normalmente rendere. A me sembra questo il fatto basilare. Sopra tale costo ci stanno solo rendite monopoliste più o meno corruttrici (vedi appalti in genere), industria degli armamenti e similari, più o meno come sopra, segmenti marginali di mercato ad alto valore aggiunto (in genere ben sistemati sui settori consumistici). Dopo la Fornero costa troppo persino il volontariato cooperativo e funzionano solo le coop. di supersfruttamento e quelle di appalti pubblici, l'artigianato produttivo è stato decimato: A me pare che ora, in Italia abbia spazio produttivo solo il lavoro nero con ovvia evasione fiscale e contributiva. Cazzi acidi
    G.P.

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    1. Caro Giorgio,
      condivido solo in parte: mi sembra che il costo attuale del lavoro sia ben sopportato da una bella fetta di industrie esportatrici, sopravvissute alla crisi.
      Ciao
      Aldo

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  2. PERVENUTO TRAMITE E-MAIL (REPLICA DI G.P.)
    ------ approfondire:
    che carattere hanno le aziende sopravvissute, finora, alla crisi: armi e aerospazio, sistemi di moda e aggregati, superlusso, consumismo di marca, agroalimentare di nicchia, posizioni di rendita monopoliste di carattere turistico, sistemi di rendita di appalti pubblici,vendita di servizi incomprimibili. poca chimica, metallurgia in declino da quando non può scaricare sulla collettività i costi ambientali, alluminio idem per l'energia, farmaceutica e forniture sanitarie che arrancano se non si garantiscono superprofitti da corruzione e conparaggio. Il territorio del nord ovest lombardia, storicamente più ricco di tessuto produttivo ci è abbastanza vicino per potere toccare con mano la situazione, la sua evoluzione, i margini di prospettiva. Credo si possa chiedere ancora alla CGIA di mestre, malgrado la perdita del suo segretario, di fornire il dato del costo medio, o differenziato, del lavoro per ora effettivamente lavorata, in italia, rispetto a quello tedesco. sono sicuro sarebbe un dato illuminante.

    a dirti la verità io da un po' sto pensando all'inevitabilità del lavoro nero come stato di fatto nella realtà dell'esperienza giovanile e non solo e a come si può dargli rappresentabiità politica e sindacale

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    1. Caro G.,

      continuo a non essere d'accordo.

      Mi pare che, anche grazie agli interventi del governo (e prima del fu-Prodi) sul cuneo fiscale , il differenziale del costo del lavoro verso Germania etc.si sia ridotto, tanto da consentire una discreta salute di manifatture esportatrici classiche, come FCA (anche se Marchionne sta orientando gli stabilimenti italiani verso l'alta gamma, ma non a Pomigliano), Whirpool e Zanussi, il vicino distretto dei rubinetti (anche se selezionato dalla crisi), per restare nel metalmeccanico (ed ignorando il locale bacino di Agusta, un po'drogato dalle commesse militari: ma ha anche produzione di elicotteri civili non trascurabile).

      Ciao

      Aldo

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  3. PERVENUTO VIA E-MAIL
    Ciao,
    anche se ho i figli in età di accesso al lavoro devo ammettere che una regola abbastanza diffusa in economia è che l'occupazione segue la ripresa con un ritardo di circa 1 o 2 anni. Se la ripresa è asfittica, ma è fondamentale l'inversione del ciclo deflattivo, il problema tende ad allungarsi.

    Visto che siamo in regime economico capitalistico il "padrone" (che è meno cattivo di quanto in genere venga dipinto da alcuni ma è soltanto attaccato al Suo denaro) in una situazione instabile o in un ciclo di cui non è chiaro lo sviluppo, tende ad utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione (macchinari e straordinari) prima di assumere costi fissi maggiori. La novità degli ultimi anni è che in un'economia globale con tanti competitors qualcuno va sempre male per cui permane l'incertezza della ripresa mondiale. In effetti il controllo perfetto dell'economia presuppone un'economia chiusa ma qualcuno la vuole ?

    In Italia credo che la questione dell'occupazione sia aggravata dalle novità in tema previdenziale che prolungando la permanenza nel lavoro degli "anziani" frega ovviamente i giovani, rimettendo però a posto i conti della Previdenza.

    Nella sinistra esiste una cultura economica di matrice sindacale che in sintesi può essere definita: botte piena e moglie ubriaca. Purtroppo diventare forza di governo impone delle scelte. Se la sinistra invece di chiudersi in sterili e suicida polemiche si fosse occupata di risolvere queste contraddizioni economiche (che forse non possono essere risolte lasciando soltanto la consolazione della scelta al popolo con quale corda impiccarsi) sarebbe meglio per tutti.

    Unica consolazione in materia è la stabilizzazione e de-polverizzazione dei contratti di lavoro.
    FDR

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    1. mi sembra che la Tua analisi integri ma non contraddica il mio ragionamento.

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