Dall’incrocio dei dati ISTAT
sulla disoccupazione che non cala, delle previsioni FMI sulla stessa
disoccupazione, che rientrerebbe solo in 20 anni, e della relazione SVIMEZ
sul Sud che peggiora, con aggiunta di
appello di Saviano, il PD pare aver colto soprattutto quest’ultimo, convocando
una direzione pre-ferie, sul tema del Sud.
I 2 argomenti, Sud e occupazione,
sono largamente intrecciati, per cui l’iniziativa comunque non parrebbe fuori tema.
Però mi sembra che sul tema dell’occupazione
la linea di Renzi mostri una sostanziale inadeguatezza alla gravità del
problema, perché totalmente subordinata all’assioma della crescita, e cioè alla
convinzione (ideologica) che solo la ripresa economica può creare posti di
lavoro effettivi, e ogni altra strada porti a sterili e dannose forme di
assistenzialismo.
Con il corollario di valutare
come positiva ogni forma di “sviluppo industriale” (comprese ad esempio le
trivellazioni per la ricerca di gas e petrolio, che sono invece risorse
preziosissime da non dissipare a breve termine, provocando nel contempo danni
irrimediabili al territorio, al paesaggio e al turismo, e probabilmente anche
alla salute e sicurezza dei cittadini), senza una selettiva “politica
industriale” che individui i settori più benefici per il futuro e per la
convivenza sociale; e con l’aberrazione di
proporre come incentivi allo sviluppo economico anche promesse di
detassazione molto indirettamente connesse alla crescita, quali quelle sulla
prima casa (come già dimostrato dal 2009 al 2011 e nel 2013), oltre che
intrinsecamente ingiuste, come ho altrove argomentato (e di certo tornerò a
ribadire).
Tra i commenti ai rapporti di
ISTAT, SVIMEZ e FMI, Walter Passerini su “La Stampa” ha esposto anche un breve
resoconto sul sostanziale (e poco conosciuto) fallimento dell’iniziativa
europea (e Lettiana) “Garanzia Giovani”, che avrebbe dovuto agganciare quei
2.500.000 che né studiano né lavorano, ed invece ne ha contattati solo 700.000,
proponendo qualcosa di utile (stages, corsi, colloqui, ecc. e persino qualche
assunzione) ad una modesta minoranza.
A mio avviso una seria
riflessione su tale esperienza potrebbe essere utile per capirne i limiti e gli
errori.
Il 1.800.000 non raggiunto è
contento così (e magari fa lavoro nero)? Oppure abbandona la scuola non è
raggiungibile da “Garanzia giovani” per totale sfiducia? Oppure erano e sono
inadeguati gli strumenti organizzativi messi in campo? E sui 700.000 raggiunti
si sa qualcosa di più di prima? Quanto sta costando l’intera operazione?
Domande che pongo per partire dal
concreto e non da una contrapposta ideologia, che punti sulla spesa pubblica e
sui lavori socialmente utili, rievocando Roosvelt in un continente ed in una
fase storica che ne rende assai difficile la riproposizione.
Perché, ammesso che i segnali di
ripresa economica avvistati da Confindustria e da altri osservatori, ed
esaltati dal Governo, siano consistenti e reggano a possibili nuove e vecchie
bufere internazionali (Cina, Grecia, Ucraina, Libia, Medio Oriente), le stime
del FMI non sono infondate, ed indicano la seria possibilità di una crescita
senza nuova occupazione, connessa ai
continui (ed ineluttabili) incrementi di produttività insiti nella
competizione internazionale.
E’ accettabile una prospettiva di
disoccupazione di massa di lunga durata?
Ed allora mi sembra che sia
necessario incentivare e sperimentare ogni possibile strumento, vecchio e
nuovo, per aumentare l’occupazione (e prima o affianco ad essa una buona
scolarità) in un tale contesto di produttività crescente, spendendo meglio le
risorse pubbliche disponibili (e senza sprecarle, ad esempio, per togliere le
tasse sulle case dei ricchi): avviare un grande programma di borse di studio,
rilanciare il servizio civile (obbligatorio, come suggeriscono Serra, Urbinati
e – purtroppo – Salvini?), agevolare la staffetta giovani/anziani, favorire
serie forme di part time e di mirata riduzione degli orari di lavoro (sulla
scia dei “contratti di solidarietà”), e disincentivare invece gli straordinari,
rendere permanente le agevolazioni per le nuove partite IVA (che invece
scadranno al 31 dicembre).
E altre proposte (avanzate dai
sindacati, ma anche da ambienti imprenditoriali).
Non sarebbe il caso di metterle
al centro dell’attenzione?
PERVENUTO VIA E-MAIL
RispondiEliminacaro Aldo, mi pare che vada fatta, finalmente, una riflessione necessaria: in Italia lavorare costa troppo! normalmente ben di più di quanto il lavoro possa normalmente rendere. A me sembra questo il fatto basilare. Sopra tale costo ci stanno solo rendite monopoliste più o meno corruttrici (vedi appalti in genere), industria degli armamenti e similari, più o meno come sopra, segmenti marginali di mercato ad alto valore aggiunto (in genere ben sistemati sui settori consumistici). Dopo la Fornero costa troppo persino il volontariato cooperativo e funzionano solo le coop. di supersfruttamento e quelle di appalti pubblici, l'artigianato produttivo è stato decimato: A me pare che ora, in Italia abbia spazio produttivo solo il lavoro nero con ovvia evasione fiscale e contributiva. Cazzi acidi
G.P.
Caro Giorgio,
Eliminacondivido solo in parte: mi sembra che il costo attuale del lavoro sia ben sopportato da una bella fetta di industrie esportatrici, sopravvissute alla crisi.
Ciao
Aldo
PERVENUTO TRAMITE E-MAIL (REPLICA DI G.P.)
RispondiElimina------ approfondire:
che carattere hanno le aziende sopravvissute, finora, alla crisi: armi e aerospazio, sistemi di moda e aggregati, superlusso, consumismo di marca, agroalimentare di nicchia, posizioni di rendita monopoliste di carattere turistico, sistemi di rendita di appalti pubblici,vendita di servizi incomprimibili. poca chimica, metallurgia in declino da quando non può scaricare sulla collettività i costi ambientali, alluminio idem per l'energia, farmaceutica e forniture sanitarie che arrancano se non si garantiscono superprofitti da corruzione e conparaggio. Il territorio del nord ovest lombardia, storicamente più ricco di tessuto produttivo ci è abbastanza vicino per potere toccare con mano la situazione, la sua evoluzione, i margini di prospettiva. Credo si possa chiedere ancora alla CGIA di mestre, malgrado la perdita del suo segretario, di fornire il dato del costo medio, o differenziato, del lavoro per ora effettivamente lavorata, in italia, rispetto a quello tedesco. sono sicuro sarebbe un dato illuminante.
a dirti la verità io da un po' sto pensando all'inevitabilità del lavoro nero come stato di fatto nella realtà dell'esperienza giovanile e non solo e a come si può dargli rappresentabiità politica e sindacale
Caro G.,
Eliminacontinuo a non essere d'accordo.
Mi pare che, anche grazie agli interventi del governo (e prima del fu-Prodi) sul cuneo fiscale , il differenziale del costo del lavoro verso Germania etc.si sia ridotto, tanto da consentire una discreta salute di manifatture esportatrici classiche, come FCA (anche se Marchionne sta orientando gli stabilimenti italiani verso l'alta gamma, ma non a Pomigliano), Whirpool e Zanussi, il vicino distretto dei rubinetti (anche se selezionato dalla crisi), per restare nel metalmeccanico (ed ignorando il locale bacino di Agusta, un po'drogato dalle commesse militari: ma ha anche produzione di elicotteri civili non trascurabile).
Ciao
Aldo
PERVENUTO VIA E-MAIL
RispondiEliminaCiao,
anche se ho i figli in età di accesso al lavoro devo ammettere che una regola abbastanza diffusa in economia è che l'occupazione segue la ripresa con un ritardo di circa 1 o 2 anni. Se la ripresa è asfittica, ma è fondamentale l'inversione del ciclo deflattivo, il problema tende ad allungarsi.
Visto che siamo in regime economico capitalistico il "padrone" (che è meno cattivo di quanto in genere venga dipinto da alcuni ma è soltanto attaccato al Suo denaro) in una situazione instabile o in un ciclo di cui non è chiaro lo sviluppo, tende ad utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione (macchinari e straordinari) prima di assumere costi fissi maggiori. La novità degli ultimi anni è che in un'economia globale con tanti competitors qualcuno va sempre male per cui permane l'incertezza della ripresa mondiale. In effetti il controllo perfetto dell'economia presuppone un'economia chiusa ma qualcuno la vuole ?
In Italia credo che la questione dell'occupazione sia aggravata dalle novità in tema previdenziale che prolungando la permanenza nel lavoro degli "anziani" frega ovviamente i giovani, rimettendo però a posto i conti della Previdenza.
Nella sinistra esiste una cultura economica di matrice sindacale che in sintesi può essere definita: botte piena e moglie ubriaca. Purtroppo diventare forza di governo impone delle scelte. Se la sinistra invece di chiudersi in sterili e suicida polemiche si fosse occupata di risolvere queste contraddizioni economiche (che forse non possono essere risolte lasciando soltanto la consolazione della scelta al popolo con quale corda impiccarsi) sarebbe meglio per tutti.
Unica consolazione in materia è la stabilizzazione e de-polverizzazione dei contratti di lavoro.
FDR
mi sembra che la Tua analisi integri ma non contraddica il mio ragionamento.
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