sabato 15 agosto 2015

RIFLESSIONI DI MEZZA ESTATE SULLE RIFORME ISTITUZIONALI


RIFORME ISTITUZIONALI: SCHIERAMENTI

Il cammino del disegno di legge di riforma costituzionale, giunto alla terza lettura, ed avendo perduto la iniziale copertura politica berlusconiana, sembra profilarsi come una battaglia campale tra Renzi&C  e i resti della sinistra del PD, in cui il primo tende a forzare la mano ponendo di fatto una “questione di fiducia” su una materia che dovrebbe sfuggire alla logica governativa, ed i secondi appaiono tentati di rifarsi da una serie di umiliazioni finora subite, senza pagare il dazio né di una scissione né di eventuali elezioni anticipate (tecnicamente alquanto improbabili con l’Italicum per la sola Camera, e differito a metà 2016, ed il Senato eleggibile solo con il “Consultellum” cioè con il Porcellum ridotto a proporzionale).

In un partito “normale”, gli orientamenti della maggioranza, anche in materia di Costituzione, dovrebbero essere  abbastanza vincolanti, salvo individuali obiezioni di coscienza; ma in un partito normale non succederebbe né che il Segretario si accordi in materia costituzionale prima con il nemico storico del centro-sinistra, per poi non ascoltare neppure i più ragionevoli emendamenti proposti dalla sua minoranza, né che le Direzioni si concludano con generale consenso anche quando il Segretario improvvisa cambi di linea ad “U” rispetto alla storia del PD ed ai documenti congressuali, come avvenuto sull’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e con la recente scellerata proposta di sopprimere la tassazione sulla prima casa, ricchi compresi (ed inquilini e senza casa esclusi da ogni attenzione, perché tanto son minoranze, e non così celebrate dai media come i gay).  

Il realismo politico, che ha suggerito a Renzi poderosi passi indietro, ad esempio, sulla RAI (pur mascherati da baldanzosi rimbalzi in avanti), potrebbe ora suggerirgli di riconoscere di fatto i resti della sinistra-dem come una sorta di “separati-in-casa”, in una fase in cui a nessuna delle due parti conviene far precipitare il divorzio, e trattare una ragionevole mediazione con Gotor anziché con i resti di Forza Italia.

Sono abbastanza convinto che la sinistra-dem (anzi la parte restante, dopo la fuori-uscita di Civati e Fassina ed il ri-allineamento al centro di Martina-Amendola-Damiano ecc.) abbozzerebbe di buon grado, anche perché, non avendo dato una seria battaglia dove poteva effettivamente mobilitare la base (come sull’art. 18), né avendo cavalcato più di tanto la resistenza (a mio avviso in prevalenza corporativa) degli insegnanti sulla buona scuola, faticherebbe a trovare consensi su materie più ostiche al semplice cittadino (come il Senato elettivo od il quorum per l’elezione del CSM, e come è stato per la battaglietta sulle preferenze).

E perché non ha maturato alcun disegno strategico, né di scissione né di alternativa, ed è così costretta a subire i lazzi di Renzi, Staino&C.

Se però Renzi mancherà di realismo, e punterà tutto sull’avventura dei voti in aula, confidando nell’erosione del dissenso Dem e nella estensione del consenso di un palude verdiniana allargata, ci sarà invece il rischio che la corda si spezzi aprendo una crisi invero non facilmente gestibile.



RIFORME ISTITUZIONALI: MERITO

Nel merito della riforma costituzionale in itinere e della riforma elettorale di recente approvata ho espresso più volte il mio perplesso parere.

Non sono particolarmente affezionato né al bi-cameralismo né al Senato elettivo: tuttavia la formula finora approvata, con alcuni consiglieri regionali nominati a svolgere un secondo lavoro come senatori part-time (e, se coscienziosi,  quando avranno il tempo di tornare a casa e di parlare con qualche normale cittadino?)  mi sembra pasticciata e poco efficiente, e certo non l’unico né miglior svolgimento del tema populistico “riduciamo i costi della politica”: perché non tagliare numero ed emolumenti dei Deputati? 

Il problema di fondo è  quello del riequilibrio dei poteri e della terzietà degli organi di garanzia (Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura), rispetto ad una Camera (e conseguente governo) eletta con un risoluto premio di maggioranza, che potrebbe spettare, in caso ballottaggio, anche ad una lista che goda in partenza del consenso di quote modeste degli elettori votanti.

Problema che si era già profilato con le precedenti versioni del maggioritario (Mattarellum e Porcellum), ma che viene esaltato sia dall’Italicum sia da qualsivoglia forma di de-potenziamento del Senato, ed a maggior ragione dalla sinergia delle due operazioni.

Gli emendamenti proposti da Gotor  (e sostenuti da una scarsa trentina di senatori eletti con il simbolo PD)

affrontano la questione, a partire dall’Italicum approvato e dal disegno di legge costituzionale ora all’esame del Senato.

Le soluzioni tecniche possono essere le più diverse.

La mia preferita, per quel che conto, e cioè nulla, sarebbe quella di riconoscere, almeno in ipotesi, il meccanismo elettorale maggioritario in Costituzione e di neutralizzarne gli effetti con una norma che dicesse: “In caso di elezione maggioritaria di un ramo del Parlamento, i deputati e/o senatori assegnati con meccanismo premiale sono privati del diritto di voto nelle sedute dedicate all’elezione degli Organi di Garanzia, il cui collegio eligente corrisponde pertanto ai soli deputati/senatori eletti con criterio proporzionale”.

In tal modo sarebbe pienamente sopportabile anche un radicale mono-cameralismo (NB: quando lo proponeva il PCI si era sempre in un quadro proporzionale), ed il conservare o re-inventare un ruolo al Senato servirebbe per altri possibili scopi, dal miglior raccordo con le autonomie locali (ma già esistono in Costituzione le apposite Conferenze Stato-Regioni e Stato-Regioni-Comuni) ad una procedura di raffreddamento nella legislazione su materie più delicate, dai diritti umani alle stesse ulteriori revisioni costituzionali.

Quello che mi preoccupa è che il tema della elezione degli organi di garanzia sembra appannaggio della sola sinistra-dem, sola oppure più o memo mal accompagnata da Calderoli od altri oppositori, e non interessi a nessuno della vasta e composita compagine renziana, DOC  e di complemento, da Zanda a Finocchiaro, allo stesso Cesare Damiano, senza pensare che con l’Italicum non sarà sempre il PD a vincere, ma potrebbero farlo anche forze diverse e potenzialmente pericolose per la Repubblica (due nomi a caso dall’attualità: Grillo e/o Salvini). 



RIFORME ISTITUZIONALI: SCENARI

Al di là del mio personale scarso gradimento, le riforme istituzionali promosse da Renzi e le innovazioni di fatto da Lui introdotte nella “Costituzione materiale”, come la ostentata fine della concertazione con le forze sociali, tendono a configurare una “Terza Repubblica” in cui molto più potere è dato all’asse Governo/maggioranza parlamentare, e molto meno agli altri soggetti, i cosiddetti “corpi intermedi”, elettivi (minoranze parlamentari, Regioni e Comuni) e non elettivi (sindacati e associazioni di categoria, burocrazia e – forse – magistratura).

Togliendo di fatto quote di potere e “diritti di veto” ai poteri “deboli”, che hanno variamente condiviso la gestione  della Prima e Seconda Repubblica, e rafforzando un nuovo potere centrale dello Stato, che potrebbe così meglio confrontarsi con i vecchi e nuovi “poteri forti”, nazionali ed internazionali, ed a cui vorrei attribuire alcuni nomi, per non lasciare questo testo nella abituale ambiguità delle invettive contro poteri forti misteriosi ed innominati:

I grandi gruppi dell’industria e della finanza (FCA, Benetton e le altr multinazionali che continuano a produrre in Italia,  ENI&ENEL&Finmeccanica&C, Intesa&Unicredit, Mediobanca e Generali), al di là delle mediazioni corporative a cui si piegano nelle associazioni orizzontali, tipo Confindustria e ABI

Istituzioni Europee (Commissione Europea, BCE) e altri grandi stati Europei

USA e NATO

Cina, Russia ed altre potenze emergenti, fino al Califfato Islamico

Finanza internazionale, in tutte le sue articolazioni, dalle agenzie di rating ai grandi investitori istituzionali, dagli Emiri del Golfo alle eminenze grigie nascoste nei paradisi fiscali

Aziende (americane) che controllano i mezzi di comunicazione (Google, Microsoft, Face-book, ecc.)

(la Chiesa Cattolica?)

E senza dimenticare Mafia, Ndrangheta e Camorra…


Allora forse uno stato italiano più “forte e chiaro”, che superi il “pluralismo consociativo”  non è del tutto un male, anche per cedere eventualmente in modo trasparente più sovranità agli ambiti comunitari, resi però meno tecno-cratici con più potere al Parlamento Europeo (dove non è escluso che i popoli eleggano qualcosa di meglio delle attuali forze politiche).

La riduzione degli ambiti di mediazione dentro i tavoli istituzionali  a mio avviso non è da vedersi come necessariamente nociva per gli interessi non rappresentati nelle maggiorane governative, perché dovrebbe restare aperta la dimensione del conflitto (ed è con scioperi e manifestazioni che i sindacati hanno difeso quanto hanno potuto difendere, dagli anni ’90 ad oggi, su licenziamenti e pensioni, non certo sedendosi inermi nella “sala Verde” di palazzo Chigi, come di fatto è accaduto, ad esempio, durante i governi di Monti e di Letta).

Quello che dovrebbe massimamente preoccupare, secondo me, non è la maggior libertà di governare da parte del governo, bensì il rischio che il riassetto dei poteri da un lato attenti allo spazio del conflitto, limitando il diritto di sciopero (al di là delle patologie da correggere nei pubblici servizi) e la libertà di informazione ed espressione  e d’altro lato comprima i contrappesi istituzionali rendendo ineguale la competizione politica, in favore del governo, e difficile il ricambio delle maggioranze.

Cioè che si tolga spazio ad un sano “pluralismo dialettico”, sociale e politico.

Per questo fondamentali a mio avviso sono i criteri di nomina ed elezione degli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Consiglio Superiore della Magistratura), nonché dei vertici delle aziende pubbliche (aziende che non sono “del governo”, ma dei cittadini), dalla RAI alla Cassa Depositi e Prestiti, e poi ENI, ENEL, Finmeccanica, Poste, Ferrovie: un insieme, che – pur in parte privatizzato – può consentire una enorme influenza sull’economia, sulla vita del paese e sulle opinioni dei cittadini.

Togliere al rafforzato governo il potere esclusivo su queste nomine e affidarlo, ad esempio, al controllo di un residuo ma dignitoso Senato (di rappresentanza federale e di fatto proporzionale)  potrebbe essere un necessario complemento al disegno di riforma, in una direzione più democratica e meno accentratrice.

1 commento:

  1. PERVENUTO TRAMITE FACEBOOK
    Un quadro realistico e carico di incognite. A dirla tutta: si rischia una figura di m,,,,
    M.C.

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