RODOTA’ - “REFERENDUM, LA STORIA DELLA REPUBBLICA NON E’ UNA ZAVORRA”
Poiché l’articolo di Rodotà su
“La Repubblica” del 24-05-16 non mi risulta disponibile gratuitamente tramite
Internet, ho ritenuto opportuno riassumerlo, data l’importanza dei contenuti e
la storica credibilità dell’Autore (a cui personalmente fino ad oggi avevo dato
molto credito).
MIO RIASSUNTO
Contrapponendosi alla campagna di
Renzi contro la palude parlamentare della Prima Repubblica, Rodotà ne denuncia
il presunto stravolgimento storico:
-
da un lato sostenendo l’impossibilità di
acquisire a sostegno del Si all’attuale riforma costituzionale le voci in
passato contrarie al bicameralismo (ad es. Berlinguer), perché profondamente
ancorate al sistema elettorale proporzionale;
-
d’altro lato rivendicando i successi raggiunti
negli anni ’70 in materia di “diritti civili, politici e sociali” (divorzio,
aborto, diritto di famiglia, statuto dei lavoratori, riforma sanitaria, scuola
(?), carceri, manicomi, obiezione di coscienza, ecc.), complessivamente frutto
del “pluralismo delle forze politiche”.
A fronte della scadenza
referendaria, Rodotà ne segnala il nesso inscindibile con la riforma elettorale
“iper-maggioritaria” dell’Italicum, che individua come grave compressione della
rappresentanza popolare e delle garanzie di pluralismo (e quindi di difesa dei
diritti dei cittadini).
Infine Rodotà tende a ribaltare
contro il SI gli argomenti della perfettibilità della Riforma Boschi e dello
stesso Italicum (i successivi miglioramenti promessi comporterebbero mediazioni
ed inciuci, incompatibili con il carattere salvifico della campagna per il SI)
e del ricatto del presunto caos-post-Renzi-sconfitto, sia perché il groviglio
delle diverse leggi elettorali per Camera e Senato è stato causato dalla stessa
maggioranza governativa, sia perché non è scontato un ritorno anticipato alle
elezioni, grazie alle risorse del vigente sistema parlamentare (anzi si
potrebbe riaprire in questo parlamento una stagione fertile di riforme,
recuperando proposte riformatrici scartate dal Renzismo).
Rodotà conclude paventando un
martellante crescendo della campagna di Renzi, che – partita da Facebook -
“invaderà ogni spazio pubblico”, cui contrappone “i cittadini, che sono lì,
sempre meglio informati e sempre più determinati”.
&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&
MIO COMMENTO
Proprio perché i cittadini siano
correttamente informati, a mio avviso bisogna riavvolgere la storia di qualche
anno in più, e capire perché I Padri Costituenti, benché forse intrisi di
proporzionalismo, non abbiano fissato tale principio nella stessa carta
Costituzionale, ed invece abbiano lasciato carta bianca al Parlamento in
materia di leggi elettorali, tanto da portare dopo pochi anni al tentativo
DeGasperiano iper-maggioritario della “legge truffa” (battuta per un soffio nelle
urne, ma forse non così estranea all’effettivo clima costituente), e non
escludendo in linea di principio anche
soluzioni quali quella del maggioritario secco di collegio (modello
inglese talora auspicato dall’elogiatissimo – post-mortem – Marco Pannella),
in cui il pluralismo della
rappresentanza parlamentare potrebbe anche essere ridotto a zero.
E capire anche perché il
bicameralismo, sancito dalla originaria Costituzione con scadenze temporali
differenziate tra le due Camere (l’una di durata di 5 anni e l’altra di 6), sia
stato rapidamente corretto, con un precoce ricorso all’art. 138, uniformando
tali scadenze e rendendolo ex-post assai più “perfetto” (cioè con un Senato
foto-copia ridotta della Camera, essendo assai simili – ma nessuno lo obbligava
- anche i sistemi elettorali).
Secondo me la spiegazione di tali
scelte (o non-scelte) dell’Assemblea Costituente sta nel carattere necessariamente
“compromissorio” che la Carta dovette assumere tra le visioni e gli interessi
contrapposti (ed anche mutevoli) delle principali forze politiche, a maggior
ragione a seguito della spaccatura politica tra DC e sinistre che avvenne nel
1947, in corso di stesura del testo, per consentirne la necessaria ultimazione.
Che si sia trattato di un
“compromesso alto”, con mirabili risultati nella prima parte della Costituzione
(che pure andrebbe aggiornata: ad esempio non contempla le voci “ambiente” ed “ecologia”),
e con elevata proprietà di linguaggio giuridico nell’intero testo, non toglie
che i Padri Costituenti abbiano lasciato in eredità a Figli e Nipoti qualche
problema irrisolto (anche Rodotà ammette “seri problemi di efficienza”).
La storia successiva inoltre va
ulteriormente approfondita, perché se Renzi esagera con una complessiva
rottamazione, la dialettica sociale e parlamentare che ha consentito dagli anni
60 agli anni 80 l’approvazione di alcune buone leggi riformatrici (non
concentrate negli anni ’70, che sulla scuola, ad esempio, non produssero quasi nulla),
si sviluppò attraverso conflitti e forzature non encomiabili (da Tambroni al
golpismo attorno a Segni padre, dalle stragi fasciste agli anni di piombo) e
non impedì il crescere di un sistema bloccato di clientele e corruzione,
smascherato in parte ex-post solo negli anni ’90 (Tangentopoli), mentre il debito
pubblico iniziava a salire inesorabilmente.
Passando dalla storia al
presente, Rodotà non spiega – almeno in questo articolo – quali siano i difetti
inaccettabili della Riforma in esame, ma SI SCAGLIA INVECE CONTRO LA LEGGE
ELETTORALE ITALICUM, CHE NON È OGGETTO DEL REFERENDUM, e che a mio avviso non
“espropria” i cittadini della loro sovranità più di quanto facciano le leggi
elettorali, variamente maggioritarie, vigenti in Francia, Gran Bretagna e Stati
Uniti d’America.
La prospettiva tratteggiata da
Rodotà è di bocciare la Riforma Boschi per affossare il Renzismo e rimettere quindi
in discussione la legge elettorale.
Rodotà in sostanza fa coincidere
il valore del “pluralismo”, che anch’io molto apprezzo, con la nostalgia per
gli anni 70 (quando lui era giovane, ed io anche di più) in cui il sistema
elettorale imponeva (faticose) coalizioni ed il sistema politico, pur bloccato
dall’esclusione del PCI dal governo (anche per ragioni internazionali),
implicava di fatto qualche dose di dialogo, più o meno consociativo, tra
maggioranza e minoranze (talora la DC però dialogava sottobanco anche a destra,
con i fascisti dell’MSI): Rodotà ritiene auspicabile un PLURALISMO NEL GOVERNO
e quindi l’equilibrio dei veti incrociati tra le componenti delle coalizioni
(stabili o variabili), mentre PER ME L’ESSENZIALE E’ INVECE IL PLURALISMO NEL
PARLAMENTO, NELL’INSIEME DELLE ISTITUZIONI, DELLE ORGANIZZAZIONI SOCIALI E DEL
SISTEMA INFORMATIVO.
Più marginali mi sembrano gli
altri argomenti, con cui Rodotà cerca di sfatare il pericolo del
“salto-nel-buio” invocato da Renzi e Renziani; indubbiamente non può essere
motivo sufficiente per approvare con il referendum una riforma perniciosa, se
la si ritiene tale (come io non la ritengo, confortato da ultimo anche dai pacati
e puntuali argomenti dei 193 professori per il SI): tuttavia non mi pare
affatto tranquillizzante la serena fiducia con cui Rodotà intravede, in un
possibile finale di legislatura con il No vittorioso, “una seria stagione
riformatrice”.
Dove vive Rodotà? Pensa che una
riforma migliore possa scaturire dalla convergenza di Brunetta e Salvini con gli
incerti rottami del PD-post-Renzi e con il Movimento 5Stelle (che solo
strumentalmente si è servito in passato del nome e prestigio dello stesso
Rodotà)?
Per finire un cenno all’invadenza
mediatica di Renzi: il personaggio è esuberante (e talora sgradevole), ma non
mi pare che si avvalga più del dovuto né delle televisioni pubbliche né di
quelle private (che non possiede, a differenza di Berlusconi), né che possa
contare – in questa fase – su facili sponde nel mondo del giornalismo; se usa
Facebook, nessuno vieta ad altri di usarlo altrettanto contro di lui, a partire
dl M5S e dalla Casaleggio-Associati (non mi risulta che i possibili “trucchi”
negli algoritmi del social media di Zuckerberg
siano pensati per favorire il governo italiano).