Mi sembra piuttosto grave che sia
passata sostanzialmente nel silenzio la notizia di Repubblica dell’11 maggio
scorso “Borse studio, un idoneo su
quattro senza assegno - Quasi cinquantamila studenti in regola restano
fuori perché i bilanci regionali non possono contemplare il pagamento delle
borse di studio” (articolo di Corrado Zunino, fondato su una ricerca della
fondazione Agnelli, riferita anche agli anni precedenti).
Premesso che con la recente
riforma dei criteri ISEE per determinare le condizioni di bisogno dei
richiedenti, il meccanismo di assegnazione
dovrebbe risultare bonificato dall’infiltrazione dei “falsi poveri”, gli
effetti perversi del nostro sgangherato “federalismo reale” contemplano
l’esclusione crescente di migliaia di studenti universitari che - a parità di meriti e di bisogni – hanno la
sola colpa di risiedere nelle regioni “sbagliate”, ovviamente ricadenti nel
centro-sud, dove inoltre (e non sempre motivatamente) è più basso l’importo
degli assegni, quando corrisposti.
Considerato che questo avviene in
un quadro di calo delle iscrizioni all’università, ed in assenza di una
politica generale di sostegno al diritto allo studio nell’età post-obbligo (ed
anche di una politica di contrasto capillare all’evasione dall’obbligo
scolastico), supplita solo dalla buona volontà locale delle “buone scuole”, mi
permetto di segnalare questo tema – avente il costo di qualche decina di
milioni di Euro, per quanto riguarda l’Università - per chi volesse ancora fare “qualcosa di
sinistra” (anziché abolire le tasse sulla casa e poi magari anche Equitalia).
Tenendo conto inoltre che il
diritto allo studio, anche universitario, permarrà di competenza regionale
anche a seguito della modifica costituzionale in attesa di conferma
referendaria (riforma “Boschi”), che pure limita notevolmente in altri campi
l’attuale autonomia regionale.
Rammento, per i curiosi della nostalgia, che nel lontano 1971 la
subordinazione a limiti di disponibilità finanziaria pre-determinati del
“presalario”, fino ad allora assicurato a tutti coloro che ne avevano i
requisiti, suscitò grandi lotte studentesche, inclusa l’occupazione del
calcolatore del Politecnico di Milano: una struttura climatizzata di 400 m2, la
cui capacità di calcolo oggi invece starebbe facilmente racchiusa in uno
smart-phone. Migliorano le tecnologie, ma non migliora la giustizia sociale.
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U.C. Più che occupazione si trattò di occlusione con ausilio di arte muraria
Aldo Vecchi Non ricordo l'arte muraria (forse perché il mio approccio è sempre stato più urbanistico che edilizio...); però sicuramente c'erano dei varchi, perché il compagno X.Y. si era responsabilizzato, a fronte di non so quale controparte, a garantire il funzionamento di aerazione, raffrescamento, ecc.; poi ad agosto la rivoluzione andò in vacanza, e la reazione trasloco l'UNIVAC in un capannone di periferia
U.C. Furono mutati gli ingressi verso il cortile. Ricordo mattoni e malta. Ricordo anche quanto scrivi. Ricordo che l'UNIVAC era collegato con un laboratorio in svizzera.
per memoria storica: ricordo quel mattino, penso di maggio del 1971. Ci portammo, noi studenti, in delegazione nel cortile, difronte al trifoglio, prima del sovrappasso dell'ingresso. Bussammo "gentilmente" alla porta e, miracolo, si affacciarono delle persone con un abbigliamento desueto per quegli anni ad architettura (a parte i bidelli che l'avevano nero). Dei signori elegantemente abbigliati con candidi camici bianchi. Furono invitati gentilmente ad uscire, erano almeno una decina, e si procedette con mattoni e malta a murare l'ingresso verso il cortile. La cosa ebbe grande rilevanza sulla stampa e ricordo questo fatto dell'elaboratore che operava(non penso in rete) con alcuni laboratori ed aziende svizzere.
Aldo Vecchi
Mi ricordo invece la scena immediatamente prima, con il compagno H.K.che telefona al Direttore del Centro di Calcolo per comunicargli, a nome dell'Assemblea del Politecnico, che il Calcolatore è dichiarato "occupato" e deve essere sgomberato con precise modalità .