IL DIFFICILE PERCORSO
VERSO LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE DEI FABBRICATI.
di Aldo Vecchi
Il tema della
sostenibilità ambientale in edilizia sta maturando con difficoltà, a partire
dalle più consoliate certificazioni energetiche. Stanti i limiti delle
normative vigenti, il settore è stimolato da protocolli volontari di
qualificazione energetica, di iniziativa pubblica e privata, la cui
applicazione però presenta lacune e contraddizioni.
Riassunto:
sostenibilità dei
fabbricati (nuovi e vecchi), energetica ed ambientale;
limiti della normativa
e dei piani urbanistici e territoriali;
i protocolli volontari
e le certificazioni di qualità ambientale;
pregi e limiti di LEED
e di ITACA;
CASA-CLIMA-NATURE.
SOSTENIBILITA’
DEI FABBRICATI (NUOVI E VECCHI), ENERGETICA ED AMBIENTALE; LIMITI DELLA
NORMATIVA E DEI PIANI URBANISTICI E TERRITORIALI
Il tema della sostenibilità
ambientale dei fabbricati è abbastanza conosciuto riguardo all’aspetto
energetico, perché la normativa vigente in Italia (ed in Europa) pone precisi
obblighi, operativi per le nuove costruzioni (e per le ristrutturazioni “pesanti”)
e conoscitivi anche per parte dei fabbricati esistenti, attraverso la
prescrizione della certificazione energetica (A.P.E. ovvero Attestato di
Prestazione Energetica) per i passaggi di proprietà e per i contratti di
affitto.
Sul mercato delle nuove
costruzioni (per quanto in questi anni di crisi piuttosto depresso) la classificazione
energetica inizia a contare: si vedono infatti molte pubblicità di interventi
immobiliari che vantano “la classe A”.
Invece, per quanto riguarda il
patrimonio edilizio consolidato, tale diffusione informativa, benché affiancata
da incentivi fiscali in favore della riqualificazione energetica dei fabbricati
esistenti, non ha finora prodotto una effettiva crescita comportamentale nella
grande massa dei proprietari dei fabbricati stessi, i cui consumi di gasolio,
metano ed elettricità continuano a pesare notevolmente sulle emissioni di
anidride carbonica del nostro paese; ciò malgrado il relativo successo di
alcuni interventi parziali, quali l’inserimento di pannelli solari e
fotovoltaici.
Ancora minore è l’incidenza
sull’insieme della popolazione degli altri aspetti della sostenibilità
ambientale del settore edilizio, che è solo in parte normata da leggi statali e
regionali, relative a singoli settori, con cui si vietano scelte nocive (ad
esempio in materia di scarichi di acque piovane e fognarie, ecc.) oppure si
impongono o incentivano alcune scelte virtuose (ad esempio in materia di acustica,
di illuminazione, ecc.); la sensibilità popolare contro gli agenti inquinanti
appare invece assai più consistente nei confronti dei fattori esterni alle abitazioni,
quali industrie e mezzi di trasporto.
E’ a mio avviso improbabile
quindi che a breve termine si verifichi una maturazione culturale tale da
rendere necessaria una svolta legislativa (nazionale, ma anche europea) verso
un assetto complessivamente sostenibile delle nuove costruzioni (e a maggior
ragione per il patrimonio edilizio consolidato), anche se tali tematiche sono
largamente presenti nella redazione dei piani urbanistici comunali in questo
inizio di secolo, in applicazione della Direttiva Europea sull’obbligo di
Valutazione Ambientale Strategica di tali piani (da effettuare con procedure di
partecipazione delle popolazioni interessate): valutazioni che purtroppo si
svolgono senza linee-guida tecniche unificanti, almeno a scala regionale, tali
da consentire serietà di confronti e verifiche; mentre è possibile che gli
stessi piani territoriali e comunali includano (come raramente avviene)
standard minimi ed incentivazioni organicamente finalizzate ad una maggiore
sostenibilità del costruito e del costruendo.
I
PROTOCOLLI VOLONTARI E LE CERTIFICAZIONI DI QUALITA’ AMBIENTALE
In questa situazione
largamente indefinita e sperimentale, si collocano alcune iniziative
volontaristiche, di origine pubblica e privata, ed in parte internazionale, per
promuovere standard qualitativi avanzati, tramite la redazione di protocolli
procedurali e la formulazione di tabelle di indicatori quantificati, nonché la
certificazione dei risultati conseguiti dai singoli progetti.
E’ interessante considerare
che l’attuale normativa nazionale sulla Attestazione delle Prestazioni
Energetiche era stata anticipata localmente dall’esperienza di Casa-Clima nella
Provincia Autonoma di Bolzano (collegata a più evolute realtà internazionali);
e non a caso in tale ambito viene ora proposto la procedura più complessiva
Casa-Clima-Nature, che rientra tra quelli esaminati in questo articolo.
Le iniziative di
certificazione ambientale volontaria prevalenti ad oggi in Italia (trascurando
il meno diffuso BREEAM, di origine inglese, ed oltre a Casa-Clima-Nature, che
tratto a fine articolo), sono:
-
LEED, (acronimo di The
Leadership in Energy and Environmental Design) proposto dall’associazione
G.B.C. (Green Building Council), filiazione dell’omonima organizzazione
statunitense, U.S.G.B.C., operante dal 1993 e successivamente divenuta internazionale, e che presenta un modello
funzionale simile in qualche misura alle “agenzie di rating” del mercato
finanziario;
-
ITACA, realizzato dall’intesa tra le Regioni
italiane e confluito, sotto l’egida del Consiglio Nazionale delle Ricerche,
nella “Prassi Di Riferimento” (PDR) UNI n° 13/2015, e quindi seguendo il
modello pubblicistico delle norme UNI, ISO, ecc., declinato per la residenza e
per le diverse destinazioni d’uso non residenziali (contempla inoltre
specifiche edizioni regionali).
Tali due iniziative stanno in
alterni rapporti di competizione/collaborazione, e sono attorniate da Istituti
di Certificazione e da un mondo di professionisti ed aziende che intendono in
tal modo valorizzarsi nel mercato.
Per la descrizione dettagliata
di tali procedure valutative, rimando alle fonti primarie e secondarie elencate
in appendice; di seguito i titoli dei “capitoli” in cui si inquadrano i singoli
indicatori, per le costruzioni residenziali (ambedue i protocolli sono
articolati anche per le varie destinazioni non residenziali):
LEED:
Siti
sostenibili (22 criteri)
Gestione
delle acque (4 criteri)
Energia
e atmosfera (9 criteri)
Materiali
e risorse (9 criteri)
Innovazione
nella progettazione (2 criteri)
Priorità
regionale (1 criterio, variabile localmente),
per
un totale quindi di 47 indicatori.
ITACA/UNI:
Qualità
del sito (6 schede)
Consumo
di risorse (16 schede)
Carichi
ambientali (6 schede)
Qualità
ambientale indoor (6 schede)
Qualità
del servizio (2 schede),
per
un totale quindi di 36 indicatori.
PREGI
E LIMITI DI LEED E DI ITACA
Pur accettando che la
scomposizione di un progetto in una molteplicità di aspetti analitici e la
ricomposizione del giudizio di sostenibilità attraverso un dosaggio di
“punteggi” comporti necessariamente approssimazioni ed una inevitabile
distorsione soggettiva, l’orizzonte culturale di tali protocolli ed indicatori,
a mio avviso, dovrebbe essere quello di considerare:
-
che la sostenibilità riguarda in un insieme
“olistico” e non settoriale gli aspetti economici, sociali ed ambientali;
-
che la città è un organismo complesso e non la
semplice sommatoria di singoli edifici ecologici;
-
che la valutazione deve contemplare nel tempo
tutto il ciclo di vita
del fabbricato e delle sue componenti, nonché gli aspetti specifici dello
svolgimento delle attività di cantiere.
Inoltre il “paniere” degli
aspetti ambientali e socio-economici da esaminare dovrebbe essere il più
possibile esaustivo (diversamente, per capirsi, dal “paniere Istat” per il
rilevamento dei prezzi, che può a buona ragione essere campionario e limitarsi
alle voci più significative).
Tali concetti sono in buona
parte presenti nelle premesse teoriche delle iniziative in esame.
Però, pur esprimendo un
doveroso apprezzamento verso gli sforzi comunque compiuti in direzione di un
incremento della sensibilità ambientale di committenti, progettisti ed aziende
(ed in parte quindi anche verso gli utenti finali), mi sembra doveroso rilevare
che nello sviluppo concreto dei protocolli e degli indicatori si riscontrano
per ora rilevanti carenze.
In merito all’ampiezza del
“paniere”, dal confronto reciproco tra LEED/Italia e l’ultima versione di ITACA
(PdR 13/2015, aggiornato nel giugno 2016) emerge ad esempio che il primo
trascura fattori quali il benessere acustico e l’inquinamento elettromagnetico,
mentre il secondo non contempla la verifica di emissività dei materiali, l’impatto
luminoso verso l’esterno e sorvola sull’inquinamento da attività di cantiere.
Ambedue inoltre non si fanno
carico in modo esplicito della correttezza dei rapporti di lavoro (rispetto dei
contratti, anche nei sub-appalti) né nell’esercizio dei cantieri, né tanto meno
nella produzione dei materiali e dei semilavorati.
Analogamente molto limitata è
l’attenzione al possibile fine-vita della costruzione, presente in ITACA solo
come “materiali riciclabili o smontabili” e non come verifica preventiva dei
costi economici e ambientali della complessiva rimozione del manufatto e
ripristino del sito.
Totalmente ignorato è il tema
sociale ed economico dei costi e dei prezzi rispetto alla accessibilità dei
fabbricati in progetto per i ceti meno abbienti: tra le righe si intuisce che
al momento le case ecologiche sono un lusso che comunque riguarda solo una
committenza agiata che se lo può permettere; ed anche che la gara alla
certificazione ambientale si connota spesso più come (costosa) operazione di
marketing per prodotti edilizi di alta gamma che non come effettivo sostegno
alla ricerca del bene-abitare per tutti.
Come già sopra enunciato, è
oggettivamente difficile un raccordo organico e tipizzabile con la
strumentazione urbanistica comunale (e tanto meno territoriale), tuttavia i
capitoli “Siti sostenibili” di LEED e “Selezione del sito” di ITACA mi sembrano
quanto mai astratti dalle effettive problematiche locali e slegati dal quadro
normativo che le regola (ciò stupisce soprattutto per ITACA, che promana dalle
autorità regionali, le quali detengono ampi poteri proprio in materia di
gestione del territorio e di valutazioni ambientali); LEED sembra ignorare il
rapporto con le reti di urbanizzazione preesistenti e/o necessarie, mentre
ITACA non contempla il tema della densità edilizia ed abitativa.
L’indicatore “adiacenza a
infrastrutture”, scheda/criterio “A.10” di ITACA, di cui riproduco il
frontespizio e la tabella/punti nella figura 1, mostra infine quello che
secondo me è il principale difetto di questi sistemi di valutazione, e cioè la
minima incidenza assegnata agli eventuali fattori negativi: nell’esempio della
scheda A/10, le situazioni “virtuose” di limitata distanza dalle reti
infrastrutturali preesistenti possono fruttare punteggi positivi da 3 a 6,
qualora tale distanza risulti inferiore a 100 metri, mentre una distanza
maggiore di 100 metri comporterebbe sempre e solo una penalizzazione limitata a
“-1”, non proporzionale alla distanza stessa, che per assurdo potrebbe
allungarsi nell’ordine dei chilometri.
FIGURA
1 – ESTRATTO DALLA “PRASSI DI RIFERIMENTO” UNI 13.1/2015 PER NUOVE COSTRUZIONI
RESIDENZIALI
Tale irrilevanza dei fattori
detrattivi si riproduce sistematicamente in tutte le tabelle della “prassi”
ITACA/UNI, mentre in LEED esistono solo punteggi positivi: ciò può portare al
paradosso che elevate prestazioni in taluni aspetti settoriali della
progettazione nascondano di fatto pesanti carenze ambientali.
Sempre in materia di distanze,
può essere significativo il fatto che LEED indica come “materiali regionali”,
di cui ai “crediti M5.1 e M5.2”, l’impiego di materiali prodotti e lavorati ad
una distanza inferiore a 350 km (erano circa 800 nel modello americano): quindi
non esattamente “a chilometro zero”; inoltre per acquisire i suddetti crediti è
sufficiente utilizzare tali materiali “locali” per una percentuale
rispettivamente del 10% (M5.1) o del 20% (M5.2) sul totale del valore degli
approvvigionamenti.
Tali peculiarità dei criteri
premiali possono portare a sostanziali distorsioni nella procedura di
progettazione, impiegando energie organizzative per conseguire i punteggi ITACA
o LEED (ove i livelli più alti si chiamano LEED GOLD e LEED PLATINUM...),
anziché perseguire più sostanziali livelli di sostenibilità ambientale su altri
fronti della costruzione.
CASA-CLIMA-NATURE
Casa-Clima-Nature, ha invece
uno schema molto più semplice, in qualche misura privo di alcune aberrazioni
sopra descritte, perché fondato su soli 8 parametri (contro i circa 40 degli
altri due metodi di valutazione sopra esaminati), per ciascuno dei quali fissa
una soglia minima piuttosto elevata, senza ulteriori premialità (o si consegue
la certificazione, oppure no): evidentemente però lascia scoperte numerose
tematiche ambientali e tutte quelle socio-economiche.
I
parametri di Casa-Clima-Nature:
Indice di efficienza dell'involucro
Indice
di emissione di CO2
Impatto
ambientale dei materiali da costruzione
Indice
di impatto idrico WKW
Qualità
dell'aria interna
Illuminazione
naturale
Comfort
acustico
Protezione
dal gas radon.
Fonti:
1.
Maurizio Cudicio e Gianpaolo Forese – su EXPOCLIMA settembre 2015: “LA
CERTIFICAZIONE DI SOSTENIBILITÀ DEGLI EDIFICI: CONFRONTO TRA I DIVERSI
PROTOCOLLI” -
www.expoclima.net
3. Filippo Simoncelli (JTS engineering) “IL
SISTEMA DI CERTIFICAZIONE LEED® - LA SALVAGUARDIA AMBIENTALE NON PIÙ COME ONERE
MA COME INVESTIMENTO” in www.albertoapostoli.com
4. Alberto Lodi, Enrica Roncalli e Ilaria Minora – su ICMQ/I
QUADERNI DI EDILIO, novembre 2011 “CREDITI LEED E MATERIALI DA COSTRUZIONE” in www.icmq.it
5. PRASSI DI RIFERIMENTO
UNI 13.1.2015 e UNI 13.1.2016: “Sostenibilità ambientale nelle costruzioni -
Strumenti operativi per la valutazione della sostenibilità Inquadramento
generale e principi metodologici” in www.itaca.org e www.proitaca.org
6. PROTOCOLLI ITACA
NAZIONALI 2011 e 2015: RESIDENZIALE, NON RESIDENZIALE, COMMERCIO, UFFICI,
INDUSTRIA, SCUOLE in www.itaca.org
8. Marino Ferrari e altri:
“LA CARTA AMBIENTALE”- Maggioli,
Santarcangelo di Romagna 2015
9.
Alberto Steidl: “LA CASA CINQUESTELLE – RECENS21 EFFICIENZA
ENERGETICA E NON SOLO” – Graffiti, Varese 2011