EUROPA, UTOPIA VISSUTA?
di Aldo Vecchi
L’unità europea, tra
luci ed ombre, rappresenta comunque una esperienza inedita di sovranazionalità
ed estensione dei diritti; e costituisce la materiale realizzazione dell’utopia
europeista.
Una occasione per
riflettere più in generale sulla difficile attuazione delle utopie,
indispensabile per il sito “UTOPIA21”.
Riassunto:
la percezione dell’Europa, tra diverse generazioni. I limiti intrinseci
dell’unità europea, nella sua genesi e nei successivi sviluppi. I pregi
ineguagliati dell’Europa nel campo della pace (almeno interna), dei diritti
individuali (e in parte sociali) ed anche nella tutela dell’ambiente. Le
difficoltà nella incarnazione delle utopie ed il problema della sostenibilità
sociale delle scelte ecologiste.
Per Altiero Spinelli ed altri
intellettuali di avanguardia tra le due guerre (a maggior ragione se oppressi
dal fascismo, o addirittura rinchiusi in carcere o al confino) proporre l’unità
europea era chiaramente un’utopia.
Per molti della mia
generazione, se non coinvolti direttamente come emigranti, operatori economici
o almeno come turisti, l’unità europea è risultata spesso un argomento
retorico, da ascoltare nei telegiornali o da affrontare nei temi scolastici.
Per molti giovani è una
acquisizione scontata, un territorio aperto per muoversi, studiare, cercare
lavoro (quando non accade di cercarlo più lontano).
Per quasi metà degli italiani,
stando ai sondaggi, negli ultimi anni l’Europa (o quanto meno la sua unità
monetaria) è anche diventata un fastidio, la causa remota o presunta di
sofferenze e disagi connessi alla crisi economica ed alle politiche di
austerità (ed in altri paesi è anche peggio come ha dimostrato il referendum
inglese sulla “Brexit”).
Non intendo trascurare pesanti
elementi negativi che a mio avviso connotano l’unità europea fin dal suo
nascere (e addirittura nei suoi “cromosomi nazionali”) e nelle ragioni e
modalità della sua crescita:
-
la sua costruzione sotto l’ombrello della nuova
potenza occidentale, gli U.S.A., in contrapposizione al blocco sovietico
durante la “guerra fredda”,
-
la sua connotazione come raduno dei vecchi
padroni del mondo, seppure spolpati o sconfitti nel ciclo di 2 guerre generate
in Europa e dall’Europa imposte al mondo intero,
-
la permanenza di una politica estera,
commerciale ed in parte anche militare, antagonistica rispetto agli interessi
dei paesi poveri ed emergenti, dal protrarsi delle colonialismo inglese e
francese fino
-
agli anni ’60 a varie forme di neo-colonialismo
in seguito, dalla gestione dei prezzi agricoli alla subordinazione agli
interessi degli U.S.A. in vari scacchieri geo-politici (Indocina, Medio
Oriente, ed altri),
-
la sua impronta costitutiva schiacciata sui
dogmi della libertà di impresa, della stabilità monetaria e della circolazione
delle merci prioritaria su quelle delle persone, con il benessere sociale come
variabile dipendente,
-
la sua architettura istituzionale farraginosa,
con prevalenza degli elementi tecnocratici e burocratici, in cui quasi si
disperdono le tracce del mandato popolare primario delle istituzioni, pur
chiaro nei singoli Stati membri e nel Parlamento Europeo.
Tuttavia l’Unione Europea
resta il primo esempio nella storia moderna di una grande confederazione tra
stati di eguale dignità, sorta senza alcuna predominanza militare dell’uno su
altri (vedi invece le storie dell’unità d’Italia e della Germania, ed anche la
federazione Svizzera non maturò senza guerre intestine); nel confronto con gli
Stati Uniti d’America va sottolineata a
mio avviso non solo la dilacerante Guerra di Secessione, ma il peccato
originale del nuovo stato, che - mentre
proclamava il diritto alla felicità per tutti gli uomini - si fondava
sul genocidio degli indigeni e sulla tratta degli schiavi africani.
Il processo di unità europea
invece si avvia per lasciarsi alle spalle il peggio delle esperienze nazionaliste,
non solo di guerre, ma anche il nazi-fascismo e le persecuzioni razziali.
E si qualifica da 50 anni come
spazio di pace e sovranazionalità, un segmento di quel “governo mondiale”
ipotizzato da Kant e altri utopisti, e che è molto debolmente riflesso nell’ONU
e negli altri organismi internazionali (che attualmente subiscono, e non
governano, la globalizzazione dei mercati: si veda su questo tema in questa
uscita di UTOPIA21 la recensione a mia cura sul testo di Rodrik)
Nello spazio europeo si
affermano concretamente i principali istituti giuridici relativi ai “diritti
umani” (con fatica estesi anche in parte a rifugiati e migranti) ed anche ai
diritti sociali (seppur non omogenei in favore dei disoccupati, ad esempio proprio
in Italia ed in Grecia); condizioni che sono presenti solo sporadicamente in
altre parti del Mondo, tolti Giappone, Canada, Australia e Nuova Zelanda; e che
rispecchiano, in parte, più antiche utopie di avanguardie illuministe,
radicali, socialiste.
Inoltre, benché percorso da
una quantità eccessiva di automobili (assumendo la motorizzazione privata come
paradigma del consumismo anti-ecologico) e da ingombranti interessi industriali
e finanziari, il territorio dell’Europa Unita si è venuto a configurare anche
per la diffusa sensibilità ambientale, che l’ha portata a svolgere un ruolo di
avanguardia, sia come esempio di progresso convergente delle legislazioni
nazionali (acque, aria, cicli produttivi, paesaggio, ecc.), sia come
protagonista nelle trattative internazionali sul clima e sull’ambiente.
Come redattore di “UTOPIA21”,
mi piace pensare che tale quadro pressoché unico di luci ed ombre, rappresenta
anche la concreta realizzazione (non l’unica possibile, ma quella che è stata
storicamente attuata) di quella remota utopia europeista di Spinelli e compagni
(che pure sognavano un’Europa migliore), e quelle ancor più remote degli
illuministi e liberali e socialisti; per capire se è così che si riescono a
materializzare le utopie, non solo rose e fiori, ma anche le spine (trascuro
l’utopia comunista, perché, a quel che pare, le spine furono più delle rose).
Venendo agli attuali
orizzonti, purtroppo utopici, di una piena sostenibilità ambientale del
divenire di questa società, mi sembra importante essere consapevoli che un serio
mutamento nella struttura produttiva e nei consumi, adeguato alle necessità di
riequilibrare il rapporto tra uomo e ambiente, comporta dosi massicce di
“austerità”, anche maggiori di quelle che attualmente vengono imposte (spesso
con modalità inique) per salvare bilanci statali oppure futuri equilibri
demografici, banche oppure monete.
Si pone quindi la problematica
della sostenibilità sociale, che non è solo materia di equità (i sacrifici
attuali sarebbero certo più sopportabili se più equamente distribuiti), ma
anche di puro e semplice consenso, cioè di compatibilità tra democrazia
intesa come gestione tendenzialmente egualitaria dei beni comuni (e quindi
includente il riequilibrio ambientale, per non togliere il diritto di una vita
dignitosa alle generazioni umane future ed agli altri esseri viventi) e democrazia
intesa come immediata espressione degli orientamenti di tutti gli attuali
cittadini (che comunque ci appare come il primo ed inalienabile “bene
comune”); conflitto che appare evidente nei recenti risultati elettorali di
diversi paesi occidentali e che viene spesso catalogato come scontro tra
“populismi” e razionalità.
Si tratta di un problema con
implicazioni antropologiche e sociologiche, prima ancora che politiche, su cui
UTOPIA21 si impegna a ritornare (dopo averlo già affrontato in parte, ad
esempio, con il contributo di Fulvio Fagiani sull’educazione ambientale - NOV16
- ed anche marginalmente nel mio
contributo sulla prevenzione sismica - OTT16 -).
-
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