giovedì 19 gennaio 2017

UTOPIA 21 - GENNAIO 2017 - EDITORIALE: EUORPA, UTOPIA VISSUTA?


EUROPA, UTOPIA VISSUTA?

di Aldo Vecchi



L’unità europea, tra luci ed ombre, rappresenta comunque una esperienza inedita di sovranazionalità ed estensione dei diritti; e costituisce la materiale realizzazione dell’utopia europeista.

Una occasione per riflettere più in generale sulla difficile attuazione delle utopie, indispensabile per il sito “UTOPIA21”.



Riassunto: la percezione dell’Europa, tra diverse generazioni. I limiti intrinseci dell’unità europea, nella sua genesi e nei successivi sviluppi. I pregi ineguagliati dell’Europa nel campo della pace (almeno interna), dei diritti individuali (e in parte sociali) ed anche nella tutela dell’ambiente. Le difficoltà nella incarnazione delle utopie ed il problema della sostenibilità sociale delle scelte ecologiste.



Per Altiero Spinelli ed altri intellettuali di avanguardia tra le due guerre (a maggior ragione se oppressi dal fascismo, o addirittura rinchiusi in carcere o al confino) proporre l’unità europea era chiaramente un’utopia.

Per molti della mia generazione, se non coinvolti direttamente come emigranti, operatori economici o almeno come turisti, l’unità europea è risultata spesso un argomento retorico, da ascoltare nei telegiornali o da affrontare nei temi scolastici.

Per molti giovani è una acquisizione scontata, un territorio aperto per muoversi, studiare, cercare lavoro (quando non accade di cercarlo più lontano).

Per quasi metà degli italiani, stando ai sondaggi, negli ultimi anni l’Europa (o quanto meno la sua unità monetaria) è anche diventata un fastidio, la causa remota o presunta di sofferenze e disagi connessi alla crisi economica ed alle politiche di austerità (ed in altri paesi è anche peggio come ha dimostrato il referendum inglese sulla “Brexit”).



Non intendo trascurare pesanti elementi negativi che a mio avviso connotano l’unità europea fin dal suo nascere (e addirittura nei suoi “cromosomi nazionali”) e nelle ragioni e modalità della sua crescita:

-          la sua costruzione sotto l’ombrello della nuova potenza occidentale, gli U.S.A., in contrapposizione al blocco sovietico durante la “guerra fredda”,

-          la sua connotazione come raduno dei vecchi padroni del mondo, seppure spolpati o sconfitti nel ciclo di 2 guerre generate in Europa e dall’Europa imposte al mondo intero,

-          la permanenza di una politica estera, commerciale ed in parte anche militare, antagonistica rispetto agli interessi dei paesi poveri ed emergenti, dal protrarsi delle colonialismo inglese e francese fino



-          agli anni ’60 a varie forme di neo-colonialismo in seguito, dalla gestione dei prezzi agricoli alla subordinazione agli interessi degli U.S.A. in vari scacchieri geo-politici (Indocina, Medio Oriente, ed altri),

-          la sua impronta costitutiva schiacciata sui dogmi della libertà di impresa, della stabilità monetaria e della circolazione delle merci prioritaria su quelle delle persone, con il benessere sociale come variabile dipendente,

-          la sua architettura istituzionale farraginosa, con prevalenza degli elementi tecnocratici e burocratici, in cui quasi si disperdono le tracce del mandato popolare primario delle istituzioni, pur chiaro nei singoli Stati membri e nel Parlamento Europeo.

Tuttavia l’Unione Europea resta il primo esempio nella storia moderna di una grande confederazione tra stati di eguale dignità, sorta senza alcuna predominanza militare dell’uno su altri (vedi invece le storie dell’unità d’Italia e della Germania, ed anche la federazione Svizzera non maturò senza guerre intestine); nel confronto con gli Stati Uniti d’America va sottolineata  a mio avviso non solo la dilacerante Guerra di Secessione, ma il peccato originale del nuovo stato, che - mentre  proclamava il diritto alla felicità per tutti gli uomini - si fondava sul genocidio degli indigeni e sulla tratta degli schiavi africani.

Il processo di unità europea invece si avvia per lasciarsi alle spalle il peggio delle esperienze nazionaliste, non solo di guerre, ma anche il nazi-fascismo e le persecuzioni razziali.

E si qualifica da 50 anni come spazio di pace e sovranazionalità, un segmento di quel “governo mondiale” ipotizzato da Kant e altri utopisti, e che è molto debolmente riflesso nell’ONU e negli altri organismi internazionali (che attualmente subiscono, e non governano, la globalizzazione dei mercati: si veda su questo tema in questa uscita di UTOPIA21 la recensione a mia cura sul testo di Rodrik)



Nello spazio europeo si affermano concretamente i principali istituti giuridici relativi ai “diritti umani” (con fatica estesi anche in parte a rifugiati e migranti) ed anche ai diritti sociali (seppur non omogenei in favore dei disoccupati, ad esempio proprio in Italia ed in Grecia); condizioni che sono presenti solo sporadicamente in altre parti del Mondo, tolti Giappone, Canada, Australia e Nuova Zelanda; e che rispecchiano, in parte, più antiche utopie di avanguardie illuministe, radicali, socialiste.

Inoltre, benché percorso da una quantità eccessiva di automobili (assumendo la motorizzazione privata come paradigma del consumismo anti-ecologico) e da ingombranti interessi industriali e finanziari, il territorio dell’Europa Unita si è venuto a configurare anche per la diffusa sensibilità ambientale, che l’ha portata a svolgere un ruolo di avanguardia, sia come esempio di progresso convergente delle legislazioni nazionali (acque, aria, cicli produttivi, paesaggio, ecc.), sia come protagonista nelle trattative internazionali sul clima e sull’ambiente.   



Come redattore di “UTOPIA21”, mi piace pensare che tale quadro pressoché unico di luci ed ombre, rappresenta anche la concreta realizzazione (non l’unica possibile, ma quella che è stata storicamente attuata) di quella remota utopia europeista di Spinelli e compagni (che pure sognavano un’Europa migliore), e quelle ancor più remote degli illuministi e liberali e socialisti; per capire se è così che si riescono a materializzare le utopie, non solo rose e fiori, ma anche le spine (trascuro l’utopia comunista, perché, a quel che pare, le spine furono più delle rose).

Venendo agli attuali orizzonti, purtroppo utopici, di una piena sostenibilità ambientale del divenire di questa società, mi sembra importante essere consapevoli che un serio mutamento nella struttura produttiva e nei consumi, adeguato alle necessità di riequilibrare il rapporto tra uomo e ambiente, comporta dosi massicce di “austerità”, anche maggiori di quelle che attualmente vengono imposte (spesso con modalità inique) per salvare bilanci statali oppure futuri equilibri demografici, banche oppure monete.

Si pone quindi la problematica della sostenibilità sociale, che non è solo materia di equità (i sacrifici attuali sarebbero certo più sopportabili se più equamente distribuiti), ma anche di puro e semplice consenso, cioè di compatibilità tra democrazia intesa come gestione tendenzialmente egualitaria dei beni comuni (e quindi includente il riequilibrio ambientale, per non togliere il diritto di una vita dignitosa alle generazioni umane future ed agli altri esseri viventi) e democrazia intesa come immediata espressione degli orientamenti di tutti gli attuali cittadini (che comunque ci appare come il primo ed inalienabile “bene comune”); conflitto che appare evidente nei recenti risultati elettorali di diversi paesi occidentali e che viene spesso catalogato come scontro tra “populismi” e razionalità.

Si tratta di un problema con implicazioni antropologiche e sociologiche, prima ancora che politiche, su cui UTOPIA21 si impegna a ritornare (dopo averlo già affrontato in parte, ad esempio, con il contributo di Fulvio Fagiani sull’educazione ambientale - NOV16 -  ed anche marginalmente nel mio contributo sulla prevenzione sismica - OTT16 -).





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