Le scarse speranze su
un futuro ruolo dell’Europa, per il venir meno delle spinte autenticamente rivoluzionarie
e della tensione tra religiosità e laicità, nel “testamento culturale” dello
studioso da poco scomparso.
Riassunto
– L’Autore riprende i suoi fondamentali contributi storici sulla peculiarità
dell’Occidente tra religione (utopie) e potere (varie forme del potere).
Puntualizza tale storia attraverso i suoi momenti rivoluzionari per inquadrare
la perdita di ruolo dell’Europa a fronte delle odierne tendenze: da un
lato alla omologazione dei poteri
economici/mediartici a scala internazionale; dall’altro alle
ribellioni-senza-rivoluzione, per carenza di profezie, utopie o ideologie che
delineino un mondo diverso. Dubbi e diverse opinioni del recensore (cui
rimangono aperture di credito verso il terzo mondo).
Il breve testo di Paolo Prodi
“IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE” (Il Mulino, Bologna 2015, pagg. 110)
costituisce in qualche misura una sintesi di precedenti lavori (tra cui
“Settimo non rubare”, già da me recensito,
sulla genesi dell’autonomia dei mercati in Occidente, ed i suoi studi di storia
della giustizia e di storia delle religioni) nonché – purtroppo – un testamento
culturale per lo studioso recentemente scomparso.
Il testo è incardinato sulla
storia dell’Europa, soprattutto nel secondo millennio, ed anche in relazione
agli altri grandi soggetti storico-geografici, il mondo islamico ed il mondo
cinese, di cui Prodi sottolinea – rispettivamente - l’origine profetica di
eresia rispetto al monoteismo ebraico ed a quello dell’impero cristiano
orientale, per l’islamismo, e la sottostante continuità confuciana per la
moderna Cina.
Prodi esalta la peculiarità europea
derivante dal dualismo e dalla distinzione dialettica tra religione e politica,
e delle susseguenti distinzioni, maturate nei secoli, tra reato e peccato, tra legge
e coscienza, tra diritto canonico e legge civile, tra il potere statale, il
potere religioso e il nascente potere economico, tra i diversi poteri dello
stato (compresa l’autonomia delle istituzioni universitarie).
In tale processo, non lineare
bensì fortemente conflittuale, l’Autore, sulla scorta di altri autori
(H.G.Berman, E. Rosenstock-Huessy) individua sei fasi di vera e propria
“rivoluzione”, anche se le prime ai loro tempi assunsero il nome di “riforma”:
la lotta per le investiture ovvero “riforma gregoriana” nel secolo XI, la
“riforma protestante” nel XVI e la “glorious revolution” (ma così denominata a
posteriori) nell’Inghilterra del XVII, ed infine la sequenza delle rivoluzioni “ufficialmente
tali” in America, in Francia ed in Russia tra fine Settecento ed inizio
Novecento.
Paolo Prodi insiste molto sulla
necessaria precisione del concetto di rivoluzione, individuandone i connotati
non solo nei concreti rivolgimenti politici e militari, ma anche nella presenza
operativa di una speranza ideale di cambiamento, articolata come profezia e/o
utopia e/o ideologia; e quindi nega il carattere di rivoluzione al semplice
ribellismo, alle agitazioni ed ai moti di piazza privi di un programma; su
profezia ed utopia Prodi approfondisce, dalla Bibbia ai nostri tempi,
l’evolversi della prima nella seconda con la “secolarizzazione” e l’emergere
una concezione di un tempo non più ciclico bensì tendenzialmente progressivo.
Le libertà conquistate nella
storia d’Europa, che oggi contempliamo come ordine costituzionale e giuridico e
come diritti individuali, non si fondano su un equilibrio statico, bensì sul
succedersi delle suddette tensioni rivoluzionarie (e pertanto non sono
“esportabili” dove non c’è questa storia di specifiche tensioni).
Pertanto Prodi (a mio avviso in non casuale sintonia con
l’Enciclica Laudato sì” di Papa Bergoglio) esprime grande preoccupazione
per le attuali tendenze del mondo occidentale a stingere le storiche
distinzioni in un emergente potere-e-pensiero-unico, tecnologico ed economico,
dove gli stati perdono sovranità, il sapere perde consapevolezza storica e gli
individui, ridotti a consumatori, perdono cittadinanza; in assenza di nuove
profezie od utopie rivoluzionarie, adeguate ad affrontare gli insorgenti
problemi ambientali, sociali ed etici.
(L’Autore non si sofferma
sulla specificità del “riflusso” derivante dalla delusione per i fallimenti
delle rivoluzioni socialiste, né sul possibile ruolo attuale delle Chiese,
fermandosi a commentare positivamente la svolta conciliare del cattolicesimo,
nell’accettazione della laicità dello stato e nel relativismo ecumenista, con
particolare riguardo all’apertura anche all’Islam).
Ed in presenza degli altri
soggetti, quali Islam e Cina, con un diversa storia ed una differenziata
aggressività, Prodi teme una decadenza dell’Europa, prima ancora che in termini
di potenza economica o politico-militare, come declino del suo specifico ruolo
di sperimentazione rivoluzionaria degli assetti sociali e culturali; più che il
tramonto dell’Occidente, Prodi vede e teme il “tramonto della modernità” (e in tutt’uno, mi pare di aver capito, con
il riformismo ed i margini di ottimismo, che invece ad esempio caratterizzano
il più noto fratello Romano Prodi, economista e politico, pure lui di matrice
cattolico-democratica-dossettiana).
Non
sono certo all’altezza di poter confutare le conoscenze storiche di Paolo
Prodi, né ho l’autorità per contrapporre al suo pessimismo radicale un
pessimismo un po’ meno radicale; tuttavia mi permetterei di segnalare che a mio
avviso l’Autore, dopo aver ascritto all’Europa anche rivoluzioni leggermente eccentriche
come quelle americana di fine ‘700 e quella russa all’inizio del ‘900, trascura
un po’ troppo gli apporti offerti successivamente alla scena mondiale (a mio
avviso anche della stessa “modernità) dal resto del mondo, ma non senza
influssi dalla storia europea (e quindi un domani anche viceversa?):
-
dalle varianti “rurali” del marxismo in Cina (che
magari in futuro rilascerà elementi critici nell’attuale ordine
“neo-confuciano”) ed a Cuba (che qualche sedimento riformista originale sta
trasponendo in altri paesi latino-americani, quali Uruguay, Bolivia, Equador,
tutti paesi cari a papa Bergoglio), e che certo Prodi ben conosceva attraverso
al frequentazione di Ivan Illich (vedi intervista a Gnoli….)
-
al
versante non-violento delle lotte anticoloniali ed antisegregazioniste,
soprattutto in India ed in Sudafrica,
dove ben presente è l’impronta di utopie profetiche e religiose, diverse ma non
estranee alla cultura occidentale e cristiana, come mostrano ad esempio le
biografie di Gandhi, Mandela e Desmond Tutu.
Perché,
se verranno ancora delle rivoluzioni, penso che saranno più autentiche se
promosse dagli ultimi della terra (i più colpiti anche dalle crisi ambientali),
che non dai penultimi (al momento attratti da ambigue forme di populismo
autoritario o dal mito del salario di cittadinanza, ma per i soli cittadini del
primo mondo).
Fonti:
1.
Paolo Prodi “IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE” - Il
Mulino, Bologna 2015
2. Paolo Prodi “SETTIMO, NON RUBARE. Furto e
mercato nella storia dell'Occidente” – Il Mulino, Bologna 2009
3.
Enciclica papale “LAUDATO SI” 24-05-2015 www.vatican.va/content/.../it/.../papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.htm
4.
Recensioni sui precedenti 2 testi su questo blog in appositi POST e nella pagina ULTERIORI
LETTURE
5.
Intervista di Antonio Gnoli a Paolo Prodi su
“Repubblica” del 09-02-2015 www.repubblica.it/.../paolo_prodi_c_era_troppa_violenza_nella_politica_per_questo
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