Una ambiziosa extrapolazione
verso il prossimo futuro di alcune tendenze acutamente rilevate nella attuale
crisi da Paul Mason, che appoggia le sue teorie previsive e propositive su
alcuni assiomi marxisti rivisitati alla luce della storia del movimento operaio
nel Novecento.
Riassunto
– Il carattere strutturale della crisi,
insita nella sovrabbondanza della “merce-informazione”. Limiti intrinseci
dell’Info-Capitalismo e shock esogeni (clima, demografia, debito). Verso un
post-capitalismo liberato dal lavoro e fondato sulla condivisione. Proposte per
una transizione anti-monopolistica (ICT, energia, banche), con reddito di
cittadinanza ad opera della massa dei lavoratori/precari/consumatori, istruiti
e connessi in rete, Dubbi e diverse
opinioni del recensore. Scheda 1 approfondimento
su marxismo, teorie economiche e storia del movimento operaio. Scheda 2: segnalazione di discrepanze tra
le storie raccontate da Mason e alcuni dati disponibili al recensore.
“POSTCAPITALISMO – Una guida
al nostro futuro” del giornalista inglese Paul Mason (Guardian, BBC, Channel4)
è un fortunato saggio del 2015 (edito in Italia nel 2016 da Il Saggiatore,
Milano 2016, pagg. 382 di facile lettura e comprensione, malgrado la
mole e la complessità di alcuni passaggi e digressioni storiche), che ha
avuto una certo eco sulla stampa generalista ed ha alimentato numerose
recensioni in ambiti più specialisti finendo
un po’ bistrattato a destra (“Post-marxismo” per Alberto Mingardi su Il
Sole-24ore) come a sinistra (“Il Rifkin dei poveri o il Toni Negri dei ricchi”
per Francesca Coin sul Manifesto); e forse un po’ malinteso al centro, da chi
lo ha considerato come un innocuo previsore dei tempi futuri.
Ad una prima impressione, infatti, le tematiche di Mason lo apparentano ad altri futurologi ottimisti sugli effetti delle nuove tecnologie, tipo Peter Droege o Jeremy Rifkin o Carlo Ratti (o anche ad altri più inquietanti come i Casaleggio, di padre in figlio), ma la sua trattazione si intreccia invece meritoriamente con l’analisi dei rapporti sociali dentro e fuori dal sistema produttivo e finanziario (ed anche con la storia delle teorie economiche e dei movimenti antagonistici al sistema capitalistico, come riferisco e commento nella apposita ‘scheda 1’, allegata; allego anche una “scheda 2” per segnalare una serie di discordanze tra le vicende raccontate da Mason e quanto di diverso a me risulta).
Ad una prima impressione, infatti, le tematiche di Mason lo apparentano ad altri futurologi ottimisti sugli effetti delle nuove tecnologie, tipo Peter Droege o Jeremy Rifkin o Carlo Ratti (o anche ad altri più inquietanti come i Casaleggio, di padre in figlio), ma la sua trattazione si intreccia invece meritoriamente con l’analisi dei rapporti sociali dentro e fuori dal sistema produttivo e finanziario (ed anche con la storia delle teorie economiche e dei movimenti antagonistici al sistema capitalistico, come riferisco e commento nella apposita ‘scheda 1’, allegata; allego anche una “scheda 2” per segnalare una serie di discordanze tra le vicende raccontate da Mason e quanto di diverso a me risulta).
L’assunto
fondamentale di Paul Mason è il carattere strutturale della crisi economica in
cui ci sta trascinando il neo-liberismo, inquadrata in una visione
ciclica della storia del capitalismo, riesumando
la teoria dei cicli cinquantennali di Kondrat’ev, teorico russo fucilato
dal regime stalinista sovietico nel 1938: dalla prima industrializzazione
(1780-1948) alla prima globalizzazione nel secondo Ottocento, alle due fasi in
cui è divisibile il Novecento, sul crinale della seconda guerra mondiale, tutte
caratterizzate da un andamento ad onda, con fasi di contrazione nella fase
discendente del ciclo. (Tale racconto mi
sembra affascinante, ma con qualche rischio di determinismo meccanicista,
assente invece, per esempio, nella visione dei più ampli cicli di dominio
finanziario e imperiale tratteggiati da Arrighi dal Medioevo ad oggi, cui pure
vagamente Mason accenna).
Anche se la svolta
neo-liberista degli anni ’80 del Novecento, l’espansione della finanza globale
e la capacità di gestire i salti tecnologici hanno consentito all’economia
capitalista di protrarre l’ultima fase ben oltre l’orizzonte cinquantennale del
ciclo iniziato a metà del Novecento, l’attuale
crisi è caratterizzata dall’impatto con lo sviluppo iper-tecnologico
dell’informazione, e quindi dalla rilevante novità dell’abbondanza della
merce-informazione, merce divenuta fondamentale nell’intera economia: la
sovrabbondanza è però l’opposto della scarsità dei beni, assioma su cui si
fondano le discipline economiche, che infatti in generale non si occupano
dell’aria e del cielo.
Tale contraddizione comporta,
secondo l’Autore:
-
incidenza
crescente dei prodotti a costi marginali irrisori (come
la riproduzione di un file o di un software), sia direttamente al consumo sia
nelle transazioni interne ai cicli produttivi,
e conseguente tendenziale abbattimento del sistema dei prezzi, finora
contrastato con tendenze monopolistiche delle compagnie più direttamente
interessate (Google, Facebook, Amazon);
-
riduzione
drastica del tempo di lavoro necessario per realizzare molteplici
prodotti e servizi
-
importanza
crescente del debito finanziario come forma di subordinazione
delle masse sfruttate, maggiore dello stesso lavoro salariato (argomento quest’ultimo secondo me più
pesante nei paesi anglosassoni che non nella realtà dell’Europa continentale);
-
erosione
del mercato da parte di nuove modalità di produzione e di scambio gratuito, come
Wikipedia WikiLeaks Linux (ma anche Android ha dovuto piegarsi ad essere un
sistema operativo aperto), e la “sharng economy” (quando non vampirizzata dalle
varie Uber e Airbnb) nonché i circuiti locali di solidarietà e “p2p”;
-
sconfinamento
tra il tempo di lavoro ed il tempo libero (anche attraverso
l’uso ed abuso degli smartphone), e tra il ruolo di produttore e quello di
consumatore, con la appropriazione indebita, da parte dei controllori della
rete (e cioè ancora Google, Facebook, Amazon, ecc.) delle esternalità
informative derivanti dagli stessi consumatori, per orientare il marketing
proprio e quello delle aziende clienti.
Secondo Mason però il moderno info-capitalismo, dato il crollo
oggettivo dei prezzi dell’abbondante merce-informazione, non è in grado di
riassorbire con ulteriori salti tecnologici né l’intrinseco esaurimento della
sua spinta propulsiva (e delle possibilità di estendere i mercati tramite
la privatizzazione dei servizi pubblici e la mercificazione dei rapporti umani)
né gli “shock esogeni” derivanti dal
cambio climatico, dall’esplosione demografica mondiale e dal contestuale rapido
invecchiamento dei popoli occidentali, né soprattutto dall’accumularsi dei
debiti in tutto il sistema finanziario, pubblico e privato.
Maturano invece alcune
condizioni favorevoli perché – secondo Mason - l’assetto
capitalistico sia ad un certo punto della crisi sostituito da un nuovo assetto
post-capitalistico, caratterizzato da una sostanziale liberazione dal lavoro e
fondato sull’economia della condivisione (ben diverso dal defunto
socialismo sovietico a pianificazione centralizzata, di cui Mason richiama i
limiti e le intrinseche debolezze): ed è decisivo che si possa prefigurare tale
alternativa, proprio perché l’attuale sistema fa un suo punto di forza sulla
diffusa acquiescenza alla “mancanza di alternativa, conseguente anche al crollo
del “socialismo reale”.
Nella parte finale del libro
Mason affronta specificamente le modalità di una possibile transizione, che
dovrebbe essere governata con mano pubblica piuttosto ferma attraverso le
seguenti tappe di soluzione progressista di quelli che lo stesso Mason
classifica come “shock esogeni”, tappe
che configurano una sorta di ”riformismo rivoluzionario” (con la premessa di disciogliere i monopoli
dell’informazione nazionalizzandoli o piegandoli comunque ad un logica di
open source, e con il contorno di un
limitato “reddito di cittadinanza”, finalizzato anche ad estinguere i
“lavoretti” sottopagati):
-
la
nazionalizzazione/esproprio delle compagnie detentrici dei giacimenti di
energie fossili, il cui stock supera la quantità di CO2 ancora
sopportabile dall’atmosfera, e che perciò va neutralizzato annullando le spinte
ad un loro protratto utilizzo, per consentire per il passaggio definitivo alle
energie rinnovabili;
-
la
riconduzione delle banche centrali sotto l’egida dello stato ed un processo
controllato di inflazione, che progressivamente estingua gli eccessi
di capitale nominale (non mi è chiaro
come tale scelta si possa conciliare con il problema, comunque persistente,
dell’invecchiamento dei popoli occidentali, che attualmente conta sui fondi
pensione e sul risparmio delle famiglie), per conseguire il riassorbimento
delle enormi bolle di debito
Protagonista della
rivendicazione ed attuazione di questa trasformazione (non sappiamo quanto pacifica) dovrebbe essere la massa dei lavoratori/precari/consumatori, istruiti e connessi in
rete, che ha perduto gran parte delle storiche connotazioni di classe,
tipiche delle precedenti fasi di sviluppo, ma ha acquisito nuove consapevolezze
e multiformi saperi, in parte già manifestate nelle varie forme di ribellioni e
manifestazioni di piazza di questo inizio di secolo (Occupy Wall Street, Gezi
Park a Istanbul, Londra, Hong Kong, primavere arabe, Brasile, India, Grecia, ecc.):
viene così a convergere con altri
intellettuali antagonisti di diversa estrazione, da David Graeber a Toni Negri,
da David Harvey a Guy Standing.
In questa massa multiforme, Mason non conferisce particolare ruolo ai
lavoratori salariati dei paesi emergenti o variamente subalterni (parcellizzati
da profonde differenziazioni etniche e culturali e caratterizzati comunque
soprattutto per essere individualmente connessi al mondo tramite smartphone
anziché organizzabili in leghe sindacali di stampo tradizionale), il cui
attuale rilevante aumento numerico è presentato in sostanza come fenomeno
transitorio, destinato a sgonfiarsi con l’estensione delle tecnologie a più
elevata produttività, secondo le convenienze imprenditoriali nell’impiego dei
fattori produttivi.
Invece, a mio avviso, i margini di estensione del
classico sfruttamento capitalistico a popolazioni ancora non coinvolte possono
comportare ancora a lungo una fase espansiva dei vecchi sistemi produttivi,
alimentando nel contempo una crescita della domanda di merci tradizionali, seppure
innovate, nei ‘ceti medi’ dei paesi emergenti, anche in sostituzione di consumi
più maturi o calanti nei paesi storicamente più sviluppati (Mason dovrebbe
spiegare perché anche nel XXI secolo continui ad aumentare la massa fisica
delle merci, misurabile ad esempio in n° di containers movimentati su treni e
navi, che certo con contengono solo “informazioni”): con questo non ipotizzo
una meccanica riproposizione della lotta di classe ottocento/novecentesca, in
contesti storici e geo-politici del tutto diversi, ma vorrei rammentare che
potrebbe permanere una oggettiva centralità della contraddizione tra il
capitale ed un lavoro salariato, il cui persistente sfruttamento (ad esempio,
in miniera) fa un po’ impallidire le ambasce del precariato occidentale e della
sua ‘morte del lavoro’.
Né mi sembra che adeguata attenzione Mason
ponga al conflitto tra gli stati ed al possibile passaggio, non indolore, dalla
declinante egemonia occidentale ad una ancora indefinibile egemonia orientale,
e neppure al concreto rischio che le masse connesse e istruite dell’Occidente,
di populismo in populismo (e anche di ribellione in ribellione), invece di
portare ad un superamento post-capitalista finiscano per alimentare nuove forme
di fascismo, con probabili risvolti bellici.
Altra tematica trascurata da Mason è
quella degli equilibri ecologici complessivi del pianeta, di cui coglie solo
l’aspetto climatico/energetico e non quello dei diversi e letali inquinamenti,
dei conflitti sull’uso del suolo e del tendenziale esaurimento delle materie
prime pregiate, che è ad un tempo un problema di compatibilità ambientale e di
permanente ‘economia della scarsità’: nell’insieme mi pare errato vederne la
fonte di “shock esogeni” e non invece contraddizioni profonde, intrinseche agli
attuali modi di produzione e di consumo.
L’errore di fondo dei post-operaisti, nel
mio giudizio, è quello di scambiare la parte (precariato dei giovani
occidentali) per il tutto (lo sfruttamento di persone e risorse naturali a
scala planetaria).
Inoltre mi permetterei di rilevare che
l’affiancamento al modo di produzione capitalista di diverse forme di scambio
non mercificato e/o non monetizzato, tra cui Mason esalta Wikipedia&C. è un
fenomeno indubbiamente meritevole di interesse, ma non del tutto nuovo, e
quindi non necessariamente “sovversivo”; con il capitalismo hanno convissuto
per molti decenni altri processi extra-capitalisti e talvolta anti-capitalisti,
ma non per questo esiziali per il prevalente regime socio-economico: dal
preesistente monachesimo alle successive organizzazioni caritative di stampo
ecclesiale, dal solidarismo socialista al movimento cooperativo, dalle varie
forme di volontariato al ‘terzo settore’, fino allo stesso pubblico impiego,
dove spesso le retribuzioni non rispondono ad una logica di mercato (penso alla
dedizione di molti medici ed infermieri della sanità pubblica, ed insegnanti in
molte scuole, ma anche a tanti altri professionisti nella pubblica
amministrazione non premiati con stipendi dirigenziali: fenomeno non a caso
incomprensibile per accademici americani come Acemoglu e Robinson, e a ben
vedere non considerato adeguatamente dallo stesso Paul Mason).
Infine alcune indicazioni operative
(contro i monopoli e per la promozione dei settori no-profit, contro le bolle
finanziarie e sullo stock di combustibili fossili) mi sembrano probabilmente
utili anche in una diversa ottica di ‘riformismo radicale’, che possa o meno
estinguere il capitalismo (non perché mi piaccia che il capitalismo rimanga, né
perché lo voglia ritenere eterno, ma perché oggi mi viene da diffidare di ogni
teoria finalistica e deterministica che ne postuli a-priori il prossimo
superamento), ma che intanto inizi comunque a rendere gli assetti sociali
e produttivi il più possibile
compatibili con l’ambiente e con l’umanità, sia nel primo che nel terzo mondo
(ed anche passando per la Cina, che si configura come il moderno ‘secondo
mondo’).
SCHEDA
1:
APPROFONDIMENTO
SU MARXISMO, TEORIE ECONOMICHE E STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO
Alle
sue conclusioni, Mason perviene anche attraverso un lungo ed appassionato
percorso di ri-lettura del marxismo (a confronto con altre teorie economiche in
merito ai cicli di sviluppo e di crisi) e delle vicende del movimento operaio (in correlazione alle
concrete trasformazioni del lavoro); un
percorso da cui, a mio parere, di Mason emergono anche alcune giovanili simpatie trotzkiste e senili
attrazioni verso gli operaisti italiani degli anni ’60 (Quaderni Rossi), nella
loro senile trasformazione in post-operaisti (Toni Negri e le sue teorie sulla
morte del lavoro e sulle moltitudini variamente sfruttate dall’Impero, ed infine sui beni comuni).
Di
Marx, Paul Mason riprende soprattutto tre elementi:
- la
teoria del valore-lavoro (le varie quote di lavoro che direttamente ed
indirettamente occorrono per trasformare e consegnare una merce, ed i loro
costi di riproduzione) come spiegazione effettiva, nella media, della
formazione dei prezzi, comparandola (ma
senza dirimere la disputa) con la opposta teoria liberista dell’utilità
marginale (nello scambio tra domanda e offerta il prezzo è determinato da chi
detiene al momento l’ultima quota disponibile del bene in transazione): per
Mason è fondamentale per evidenziare che le informazioni sovrabbondanti hanno
costo di produzione tendente a zero (ad esempio, una volta registrata una
musica, la sua riproduzione infinite volte sotto la forma di file MP3 non ha
alcun costo effettivo);
- il
principio della “caduta tendenziale del saggio di profitto” (per effetto della
concorrenza, dei maggiori investimenti necessari ad elevare la produttività,
della saturazione degli specifici mercati e della concentrazione finanziaria),
che è alla base delle crisi cicliche del capitalismo e potenzialmente anche di
una sua crisi finale: qui Mason spiega anche le modalità con cui il capitalismo
è uscito dalle sue precedenti crisi e le spiegazioni che di questi rilanci
hanno dato studiosi marxisti (Hilferding, Rosa Luxemburg, il suddetto
Kondrat’ev ed altri, disvelando di volta in volta la finanzairizzazione, i
monopoli, l’imperialismo, il militarismo) e non marxisti (Schumpeter, Hajek,
von Mises, ecc.), sostenendo però che con l’info-capitalismo (che incorpora in
monopoli globali un profitto imposto su beni senza un vero prezzo) si sarebbe intrapresa una strada cieca, priva
delle precedenti vie di uscita;
- il
“frammento sulle macchine” dei Grundrisse (appunti paralleli al Capitale,
scritti nel 1858, ma resi noti solo a metà Novecento e tradotti in inglese solo
nel 1973; ben noti e commentati in Italia
già nel decennio precedente), in cui Marx estende il concetto di ”capitale
morto” (quello costituito dai beni di investimento) evidenziando come un
macchinario perfetto e sempiterno (che incorpora quantità notevoli di sapere
sociale stratificato) comporti l’annullamento del valore e quindi dei margini
di profitto, processo in cui Mason vede la preconizzazione del prossimo stallo
dell’info-capitalismo.
Riguardo
alla storia del movimento operaio, Mason lamenta la mancanza di una “storia del
lavoro” e cerca di rimediarvi con un rapido ma non superficiale racconto sulle
caratteristiche fisiche e organizzative del lavoro, ed in parallelo sulla
composizione sociale dei lavoratori e sulle loro aggregazioni
politico-sindacali, nelle principali fasi di trasformazione delle fabbriche dal
Settecento ad oggi, cercando di fondare su questi aspetti storici anche una
fotografia della attuale scomposizione di quello che fu la classe operaia,
sotto i colpi inferti dal turbo-liberismo degli anni 80 ed in parallelo dalla
globalizzazione, ma anche per effetto dei mutamenti soggettivi, a partire
dall’istruzione più elevata, che fanno dei lavoratori di oggi un insieme
variegato e plurale, “molteplice” anche nella identità dei singoli (e qui Mason richiama correttamente Andrè
Gorz e Eric Hobsbawn, Barry Wellman e Richard Sennet, ed ancor prima Charles W.
Milss, Daniel Bell, Herbert Marcuse, ma
manca a mio avviso l’appuntamento con altri antropologi e sociologi, da Augé a
Maffesoli, da Castells a Bauman, che secondo me hanno assai utilmente indagato
su questi processi).
Ricapitolando
le trasformazioni della classe operaia in Inghilterra degli albori
dell’industrializzazione al Novecento, Mason evidenzia i fraintendimenti
compiuti dapprima dagli stessi Engels e Marx (l’inchiesta sul campo del primo a
Manchester nel 1842, pubblicata solo 50 anni dopo, fu travisata e
cristallizzata dal secondo), nell’attribuire all’automazione una conseguente
dequalificazione generalizzata del lavoro operaio (proprio mentre si andavano
forme nuove figure professionali connesse alle macchine allora in uso), e nel
negare la formazione di una “cultura proletaria”, e poi di Engels e Lenin nell’identificare
gli operai specializzati come “aristocrazie operaie” asservite all’imperialismo
britannico (che solo nella madre-patria dell’Impero avrebbe potuto impiegare le
risorse necessarie per acquisirne il
consenso), base sociale sia del sindacalismo gradualista delle Trade Unions (contrapposto
alla disponibilità degli operai non specializzati all’avventura rivoluzionaria,
guidata però secondo Lenin, da avanguardie intellettuali esterne), sia dello
“sciovinismo”, che distrusse la Seconda Internazionale, con l’adesione di parte
dei partiti e sindacati socialisti alle mobilitazioni belliche della Prima
Guerra Mondiale.
Secondo
Mason invece il coinvolgimento patriottico delle organizzazioni operaie nella
prima guerra mondiale si fonda sulla stessa “materialità” delle nazioni (cioè
su elementi antropologici preesistenti alle classi sociali, se ho ben capito) e
la tendenza tradeunionista delle aristocrazie operaie, presenti in tutti paesi
industrializzati e non solo in Inghilterra, saldabile pur con difficoltà con
gli interessi di operai non specializzati (e tra questi spesso donne e
bambini), era tutt’uno con orizzonte a loro modo antagonistico, ma costituito
da “controllo delle fabbriche, solidarietà sociale, autoistruzione e creazione
di un mondo parallelo”, in competizione con il nascente Taylorismo, che rendeva
scientifica la divisione del lavoro e la subordinazione alle macchine.
Così
Mason legge l’epopea delle lotte operaie dentro ed oltre la prima guerra
mondiale (1916-1921), in numerosi paesi (ed anche all’interno dell’URSS e
contro il governo bolscevico), poi abbattuta con violenza da un lato dalla
grande crisi del 1929 e dall’altro dalla repressione fascista e nazista (ma
anche stalinista), fino all’esito dei campi di concentramento (non dimenticando
la larga sovrapposizione tra ebraismo e movimento operaio nella Mitteleuropa).
Meno
lineare mi sembra la sua interpretazione della crescita quantitativa e della
subordinazione qualitativa della classe operaia (allargata ai settori
impiegatizi ed estesa al terziario) nei decenni ‘50-‘60, periodo dello sviluppo
keynesiano e fordista del capitalismo occidentale e del compromesso
socialdemocratico (anche e soprattutto come risposta preventiva all’alternativa
sovietica), ed anche delle grandi rivolte degli anni ’60 e ‘70 (Mason si sofferma in particolare sul caso
italiano, assumendo come fonte privilegiata gli “operaisti” Romano Alquati e
Toni Negri) connesse al rifiuto del lavoro parcellizzato e ripetitivo, tipico
del taylorismo, da parte di una forza-lavoro più istruita, la cui sconfitta
Mason (come sopra accennato)
attribuisce sia alla violenza anti-sindacale del contrattacco neo-liberista (che
ristrutturò spesa pubblica e finanza, moneta e produzione, utilizzando
ampiamente anche la de-industrializzazione dell’occidente e la delocalizzazione
produttiva su scala globale), sia alle debolezze soggettive dello schieramento
operaio, diviso tra vecchia cultura dei mestieri e nuovi atteggiamenti delle
masse giovanili e “tradito” dalle rappresentanze politiche socialdemocratiche o
filo-sovietiche.
SCHEDA
2:
SEGNALAZIONE
DI DISCREPANZE TRA LE STORIE RACCONTATE DA MASON E ALCUNI DATI A ME DISPONIBILI
Oltre ad esprimere nella recensione alcune
le mie valutazioni puntuali e complessive sulla visione di Paul Mason, ritengo
necessario esemplificare alcune discrepanze che ho rilevato tra le sue
ricostruzioni storiche ed i dati a me disponibili, perché mi aprono molti dubbi
sull’attendibilità specifica e generale dell’Autore:
pag. 18: il movimento spagnolo degli
Indignados stroncato dalla repressione: a me pare, che a fronte di una dose ‘normale’
di repressione in un ‘normale’ regime democratico, il movimento si sia esaurito
per la povertà delle parole d’ordine anti-casta, ‘né di destra né di sinistra’,
finendo in buona parte riassorbito dal più strutturato e pensante movimento
Podemos;
pag. 233: occupazione di fabbriche automobilistiche
in Italia nel 1919 a Torino, Milano e Bologna: a me risultano solo nel
settembre del 1920 (e senza fabbriche d’auto a Bologna);
pag. 237: imposizione da parte degli
Alleati dopo il 1945 di Costituzioni con elementi sociali a Germania, Giappone
e Italia: a me pare che ciò non sia vero per l’Italia, dove gli Alleati hanno
imposto molto (abbiamo tuttora basi militari americane, oltre a quelle della
NATO), ma almeno NON la Costituzione;
pag.245: in Italia dopo il 68-69, il PCI
avrebbe introdotto i Consigli di Fabbrica per imbrigliare le lotte operaie: anche
come testimone diretto e indiretto, mi sembra di poter affermare che si tratta
di una visione riduttiva e caricaturale di un processo dialettico complesso e
con diversi attori, tra cui la sinistra sindacale, comunista e non comunista,
in cui i Consigli possono aver fatto da freno in alcune situazioni, ed invece
aver costituito le effettive avanguardie in altri;
Pag. 248: percentuale di forza-lavoro
residua nell’industria, a fronte alla crescente prevalenza del terziario –
secondo Mason “Solo nei colossi dell’export - Germania, Corea del Sud e
Giappone – la forza lavoro dell’industria si avvicina al 20% del totale ----“: dall’ISTAT
mi risulta che in Italia nel 2014 sia ancora superiore al 25%.
Fonti:
- Paul
Mason - “POSTCAPITALISMO – Una guida al nostro futuro” – Saggiatore,
Milano 2015
- Alberto
Mingardi - “Post-marxismo” su “Il Sole-24ore” 25-09-2015 www.ilsole24ore.com/art/cultura/.../un-nuovo-libro-fuori-mercato-173540.shtml?
- Francesca
Coin - “Il Rifkin dei poveri o il
Toni Negri dei ricchi” su “Il Manifesto” 22-09-2015 www.materialismostorico.blogspot.com/2015/09/il-rifkin-dei-poveri-o-il-toni-negri.html
4. Jeremy
Rifkin – “LA SOCIETÀ A COSTO MARGINALE ZERO. L'Internet delle cose, l'ascesa
del Commons collaborativo e l'eclissi del capitalismo” – Oscar Mondadori,
Milano 2014
5. Peter
Droege – “LA CITTÀ RINNOVABILE” - Edizioni Ambiente, Milano 2008
6. Anna
FRISA, Carlo RATTI “Progettare la città: come?” Dipartimento Interateneo
Territorio, Politecnico di Torino - School of Architecture and Planning, MIT www.senseable.mit.edu/.../20011116_Frisa_Ratti_ProgettareCitta_Proceedings_CittaDiffusa
7. Giovanni Arrighi - “IL LUNGO XX SECOLO. Denaro, potere e le origini del nostro tempo” – Il Saggiatore, Milano 2014
8. David
Graeber – “DEBITO. I PRIMI 5.000 ANNI” - Il Saggiatore, Milano 2012
9. David
Harvey “CITTA’ RIBELLI – i movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy
Wall Street” - Il Saggiatore, Milano 2013.
10. Toni
Negri e Michel Hardt – Trilogia: “IMPERO” “MOLTITUDINE” “COMUNE. OLTRE IL
PRIVATO E IL PUBBLICO” – Rizzoli, Milano 2010
11. Guy
Standing “PRECARI – la nuova classe esplosiva” - Il Mulino, Bologna 2012
12. Daron
Acemoglu e James A. Robinson - “PERCHE’ LE NAZIONI FALLISCONO - Alle origini di
potenza, prosperità, e povertà” – Il Saggiatore, Milano 2014
13. Marc
Augé “L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO” - Elèuthera, Milano 2005
14. Zygmunt
Bauman “VITA LIQUIDA” - Laterza, Bari 2006
15. Manuel
Castells “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” - UBE Paperback, Milano 2002
16. Karl
Marx “GRUNDRISSE - Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica” –
Manifestolibri, Roma 2012
17. Recensioni
sui precedenti testi, da 7 a 9 e da 11 a 15, su questo blog in appositi POST e nelle pagine PARTE 1^ ed ULTERIORI
LETTURE
Nessun commento:
Posta un commento