lunedì 20 marzo 2017

UTOPIA21 - MARZO 2017: ” POSTCAPITALISMO – UNA GUIDA AL NOSTRO FUTURO” SECONDO PAUL MASON

Una ambiziosa extrapolazione verso il prossimo futuro di alcune tendenze acutamente rilevate nella attuale crisi da Paul Mason, che appoggia le sue teorie previsive e propositive su alcuni assiomi marxisti rivisitati alla luce della storia del movimento operaio nel Novecento.

Riassunto –  Il carattere strutturale della crisi, insita nella sovrabbondanza della “merce-informazione”. Limiti intrinseci dell’Info-Capitalismo e shock esogeni (clima, demografia, debito). Verso un post-capitalismo liberato dal lavoro e fondato sulla condivisione. Proposte per una transizione anti-monopolistica (ICT, energia, banche), con reddito di cittadinanza ad opera della massa dei lavoratori/precari/consumatori, istruiti e connessi in rete, Dubbi e diverse opinioni del recensore. Scheda 1 approfondimento su marxismo, teorie economiche e storia del movimento operaio. Scheda 2: segnalazione di discrepanze tra le storie raccontate da Mason e alcuni dati disponibili al recensore.

“POSTCAPITALISMO – Una guida al nostro futuro” del giornalista inglese Paul Mason (Guardian, BBC, Channel4) è un fortunato saggio del 2015 (edito in Italia nel 2016 da Il Saggiatore, Milano 2016, pagg. 382   di facile lettura e comprensione, malgrado la mole e la complessità di alcuni passaggi e digressioni storiche), che ha avuto una certo eco sulla stampa generalista ed ha alimentato numerose recensioni in ambiti più specialisti finendo un po’ bistrattato a destra (“Post-marxismo” per Alberto Mingardi su Il Sole-24ore) come a sinistra (“Il Rifkin dei poveri o il Toni Negri dei ricchi” per Francesca Coin sul Manifesto); e forse un po’ malinteso al centro, da chi lo ha considerato come un innocuo previsore dei tempi futuri.
Ad una prima impressione, infatti, le tematiche di Mason lo apparentano ad altri futurologi ottimisti sugli effetti delle nuove tecnologie, tipo Peter Droege o Jeremy Rifkin o Carlo Ratti  (o anche ad altri più inquietanti come i Casaleggio, di padre in figlio), ma la sua trattazione si intreccia invece meritoriamente con l’analisi dei rapporti sociali dentro e fuori dal sistema produttivo e finanziario (ed anche con la storia delle teorie economiche e dei movimenti antagonistici al sistema capitalistico, come riferisco e commento nella apposita  ‘scheda 1’, allegata; allego anche una “scheda 2” per segnalare una serie di discordanze tra le vicende raccontate da Mason e quanto di diverso a me risulta).
L’assunto fondamentale di Paul Mason è il carattere strutturale della crisi economica in cui ci sta trascinando il neo-liberismo, inquadrata in una visione ciclica della storia del capitalismo, riesumando la teoria dei cicli cinquantennali di Kondrat’ev, teorico russo fucilato dal regime stalinista sovietico nel 1938: dalla prima industrializzazione (1780-1948) alla prima globalizzazione nel secondo Ottocento, alle due fasi in cui è divisibile il Novecento, sul crinale della seconda guerra mondiale, tutte caratterizzate da un andamento ad onda, con fasi di contrazione nella fase discendente del ciclo. (Tale racconto mi sembra affascinante, ma con qualche rischio di determinismo meccanicista, assente invece, per esempio, nella visione dei più ampli cicli di dominio finanziario e imperiale tratteggiati da Arrighi dal Medioevo ad oggi, cui pure vagamente Mason accenna).
Anche se la svolta neo-liberista degli anni ’80 del Novecento, l’espansione della finanza globale e la capacità di gestire i salti tecnologici hanno consentito all’economia capitalista di protrarre l’ultima fase ben oltre l’orizzonte cinquantennale del ciclo iniziato a metà del Novecento, l’attuale crisi è caratterizzata dall’impatto con lo sviluppo iper-tecnologico dell’informazione, e quindi dalla rilevante novità dell’abbondanza della merce-informazione, merce divenuta fondamentale nell’intera economia: la sovrabbondanza è però l’opposto della scarsità dei beni, assioma su cui si fondano le discipline economiche, che infatti in generale non si occupano dell’aria e del cielo.
Tale contraddizione comporta, secondo l’Autore:
-          incidenza crescente dei prodotti a costi marginali irrisori (come la riproduzione di un file o di un software), sia direttamente al consumo sia nelle transazioni interne ai cicli produttivi,  e conseguente tendenziale abbattimento del sistema dei prezzi, finora contrastato con tendenze monopolistiche delle compagnie più direttamente interessate (Google, Facebook, Amazon);
-          riduzione drastica del tempo di lavoro necessario per realizzare molteplici prodotti e servizi
-          importanza crescente del debito finanziario come forma di subordinazione delle masse sfruttate, maggiore dello stesso lavoro salariato (argomento quest’ultimo secondo me più pesante nei paesi anglosassoni che non nella realtà dell’Europa continentale);
-          erosione del mercato da parte di nuove modalità di produzione e di scambio gratuito, come Wikipedia WikiLeaks Linux (ma anche Android ha dovuto piegarsi ad essere un sistema operativo aperto), e la “sharng economy” (quando non vampirizzata dalle varie Uber e Airbnb) nonché i circuiti locali di solidarietà e “p2p”;
-          sconfinamento tra il tempo di lavoro ed il tempo libero (anche attraverso l’uso ed abuso degli smartphone), e tra il ruolo di produttore e quello di consumatore, con la appropriazione indebita, da parte dei controllori della rete (e cioè ancora Google, Facebook, Amazon, ecc.) delle esternalità informative derivanti dagli stessi consumatori, per orientare il marketing proprio e  quello delle aziende clienti.
Secondo Mason però il moderno info-capitalismo, dato il crollo oggettivo dei prezzi dell’abbondante merce-informazione, non è in grado di riassorbire con ulteriori salti tecnologici né l’intrinseco esaurimento della sua spinta propulsiva (e delle possibilità di estendere i mercati tramite la privatizzazione dei servizi pubblici e la mercificazione dei rapporti umani) né gli “shock esogeni” derivanti dal cambio climatico, dall’esplosione demografica mondiale e dal contestuale rapido invecchiamento dei popoli occidentali, né soprattutto dall’accumularsi dei debiti in tutto il sistema finanziario, pubblico e privato.
Maturano invece alcune condizioni favorevoli perché – secondo Mason -  l’assetto capitalistico sia ad un certo punto della crisi sostituito da un nuovo assetto post-capitalistico, caratterizzato da una sostanziale liberazione dal lavoro e fondato sull’economia della condivisione (ben diverso dal defunto socialismo sovietico a pianificazione centralizzata, di cui Mason richiama i limiti e le intrinseche debolezze): ed è decisivo che si possa prefigurare tale alternativa, proprio perché l’attuale sistema fa un suo punto di forza sulla diffusa acquiescenza alla “mancanza di alternativa, conseguente anche al crollo del “socialismo reale”.
Nella parte finale del libro Mason affronta specificamente le modalità di una possibile transizione, che dovrebbe essere governata con mano pubblica piuttosto ferma attraverso le seguenti tappe di soluzione progressista di quelli che lo stesso Mason classifica come “shock esogeni”, tappe che configurano una sorta di ”riformismo rivoluzionario” (con la premessa di disciogliere i monopoli dell’informazione nazionalizzandoli o piegandoli comunque ad un logica di open source, e con il contorno di un limitato “reddito di cittadinanza”, finalizzato anche ad estinguere i “lavoretti” sottopagati):
-          la nazionalizzazione/esproprio delle compagnie detentrici dei giacimenti di energie fossili, il cui stock supera la quantità di CO2 ancora sopportabile dall’atmosfera, e che perciò va neutralizzato annullando le spinte ad un loro protratto utilizzo, per consentire per il passaggio definitivo alle energie rinnovabili;
-          la riconduzione delle banche centrali sotto l’egida dello stato ed un processo controllato di inflazione, che progressivamente estingua gli eccessi di capitale nominale (non mi è chiaro come tale scelta si possa conciliare con il problema, comunque persistente, dell’invecchiamento dei popoli occidentali, che attualmente conta sui fondi pensione e sul risparmio delle famiglie), per conseguire il riassorbimento delle enormi bolle di debito
Protagonista della rivendicazione ed attuazione di questa trasformazione (non sappiamo quanto pacifica) dovrebbe essere la massa dei lavoratori/precari/consumatori, istruiti e connessi in rete, che ha perduto gran parte delle storiche connotazioni di classe, tipiche delle precedenti fasi di sviluppo, ma ha acquisito nuove consapevolezze e multiformi saperi, in parte già manifestate nelle varie forme di ribellioni e manifestazioni di piazza di questo inizio di secolo (Occupy Wall Street, Gezi Park a Istanbul, Londra, Hong Kong, primavere arabe, Brasile, India, Grecia, ecc.): viene così a convergere con altri intellettuali antagonisti di diversa estrazione, da David Graeber a Toni Negri, da David Harvey a Guy Standing.
In questa massa multiforme, Mason non conferisce particolare ruolo ai lavoratori salariati dei paesi emergenti o variamente subalterni (parcellizzati da profonde differenziazioni etniche e culturali e caratterizzati comunque soprattutto per essere individualmente connessi al mondo tramite smartphone anziché organizzabili in leghe sindacali di stampo tradizionale), il cui attuale rilevante aumento numerico è presentato in sostanza come fenomeno transitorio, destinato a sgonfiarsi con l’estensione delle tecnologie a più elevata produttività, secondo le convenienze imprenditoriali nell’impiego dei fattori produttivi.

Invece,  a mio avviso, i margini di estensione del classico sfruttamento capitalistico a popolazioni ancora non coinvolte possono comportare ancora a lungo una fase espansiva dei vecchi sistemi produttivi, alimentando nel contempo una crescita della domanda di merci tradizionali, seppure innovate, nei ‘ceti medi’ dei paesi emergenti, anche in sostituzione di consumi più maturi o calanti nei paesi storicamente più sviluppati (Mason dovrebbe spiegare perché anche nel XXI secolo continui ad aumentare la massa fisica delle merci, misurabile ad esempio in n° di containers movimentati su treni e navi, che certo con contengono solo “informazioni”): con questo non ipotizzo una meccanica riproposizione della lotta di classe ottocento/novecentesca, in contesti storici e geo-politici del tutto diversi, ma vorrei rammentare che potrebbe permanere una oggettiva centralità della contraddizione tra il capitale ed un lavoro salariato, il cui persistente sfruttamento (ad esempio, in miniera) fa un po’ impallidire le ambasce del precariato occidentale e della sua ‘morte del lavoro’.
Né mi sembra che adeguata attenzione Mason ponga al conflitto tra gli stati ed al possibile passaggio, non indolore, dalla declinante egemonia occidentale ad una ancora indefinibile egemonia orientale, e neppure al concreto rischio che le masse connesse e istruite dell’Occidente, di populismo in populismo (e anche di ribellione in ribellione), invece di portare ad un superamento post-capitalista finiscano per alimentare nuove forme di fascismo, con probabili risvolti bellici.
Altra tematica trascurata da Mason è quella degli equilibri ecologici complessivi del pianeta, di cui coglie solo l’aspetto climatico/energetico e non quello dei diversi e letali inquinamenti, dei conflitti sull’uso del suolo e del tendenziale esaurimento delle materie prime pregiate, che è ad un tempo un problema di compatibilità ambientale e di permanente ‘economia della scarsità’: nell’insieme mi pare errato vederne la fonte di “shock esogeni” e non invece contraddizioni profonde, intrinseche agli attuali modi di produzione e di consumo.
L’errore di fondo dei post-operaisti, nel mio giudizio, è quello di scambiare la parte (precariato dei giovani occidentali) per il tutto (lo sfruttamento di persone e risorse naturali a scala planetaria).
Inoltre mi permetterei di rilevare che l’affiancamento al modo di produzione capitalista di diverse forme di scambio non mercificato e/o non monetizzato, tra cui Mason esalta Wikipedia&C. è un fenomeno indubbiamente meritevole di interesse, ma non del tutto nuovo, e quindi non necessariamente “sovversivo”; con il capitalismo hanno convissuto per molti decenni altri processi extra-capitalisti e talvolta anti-capitalisti, ma non per questo esiziali per il prevalente regime socio-economico: dal preesistente monachesimo alle successive organizzazioni caritative di stampo ecclesiale, dal solidarismo socialista al movimento cooperativo, dalle varie forme di volontariato al ‘terzo settore’, fino allo stesso pubblico impiego, dove spesso le retribuzioni non rispondono ad una logica di mercato (penso alla dedizione di molti medici ed infermieri della sanità pubblica, ed insegnanti in molte scuole, ma anche a tanti altri professionisti nella pubblica amministrazione non premiati con stipendi dirigenziali: fenomeno non a caso incomprensibile per accademici americani come Acemoglu e Robinson, e a ben vedere non considerato adeguatamente dallo stesso Paul Mason).
Infine alcune indicazioni operative (contro i monopoli e per la promozione dei settori no-profit, contro le bolle finanziarie e sullo stock di combustibili fossili) mi sembrano probabilmente utili anche in una diversa ottica di ‘riformismo radicale’, che possa o meno estinguere il capitalismo (non perché mi piaccia che il capitalismo rimanga, né perché lo voglia ritenere eterno, ma perché oggi mi viene da diffidare di ogni teoria finalistica e deterministica che ne postuli a-priori il prossimo superamento), ma che intanto inizi comunque a rendere gli assetti sociali e  produttivi il più possibile compatibili con l’ambiente e con l’umanità, sia nel primo che nel terzo mondo (ed anche passando per la Cina, che si configura come il moderno ‘secondo mondo’).



SCHEDA 1:
APPROFONDIMENTO SU MARXISMO, TEORIE ECONOMICHE E STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO
Alle sue conclusioni, Mason perviene anche attraverso un lungo ed appassionato percorso di ri-lettura del marxismo (a confronto con altre teorie economiche in merito ai cicli di sviluppo e di crisi) e delle vicende del  movimento operaio (in correlazione alle concrete trasformazioni del lavoro); un percorso da cui, a mio parere, di Mason emergono anche  alcune giovanili simpatie trotzkiste e senili attrazioni verso gli operaisti italiani degli anni ’60 (Quaderni Rossi), nella loro senile trasformazione in post-operaisti (Toni Negri e le sue teorie sulla morte del lavoro e sulle moltitudini variamente sfruttate  dall’Impero, ed infine sui beni comuni)
Di Marx, Paul Mason riprende soprattutto tre elementi:
- la teoria del valore-lavoro (le varie quote di lavoro che direttamente ed indirettamente occorrono per trasformare e consegnare una merce, ed i loro costi di riproduzione) come spiegazione effettiva, nella media, della formazione dei prezzi, comparandola (ma senza dirimere la disputa) con la opposta teoria liberista dell’utilità marginale (nello scambio tra domanda e offerta il prezzo è determinato da chi detiene al momento l’ultima quota disponibile del bene in transazione): per Mason è fondamentale per evidenziare che le informazioni sovrabbondanti hanno costo di produzione tendente a zero (ad esempio, una volta registrata una musica, la sua riproduzione infinite volte sotto la forma di file MP3 non ha alcun costo effettivo);
- il principio della “caduta tendenziale del saggio di profitto” (per effetto della concorrenza, dei maggiori investimenti necessari ad elevare la produttività, della saturazione degli specifici mercati e della concentrazione finanziaria), che è alla base delle crisi cicliche del capitalismo e potenzialmente anche di una sua crisi finale: qui Mason spiega anche le modalità con cui il capitalismo è uscito dalle sue precedenti crisi e le spiegazioni che di questi rilanci hanno dato studiosi marxisti (Hilferding, Rosa Luxemburg, il suddetto Kondrat’ev ed altri, disvelando di volta in volta la finanzairizzazione, i monopoli, l’imperialismo, il militarismo) e non marxisti (Schumpeter, Hajek, von Mises, ecc.), sostenendo però che con l’info-capitalismo (che incorpora in monopoli globali un profitto imposto su beni senza un vero prezzo)  si sarebbe intrapresa una strada cieca, priva delle precedenti vie di uscita;
- il “frammento sulle macchine” dei Grundrisse (appunti paralleli al Capitale, scritti nel 1858, ma resi noti solo a metà Novecento e tradotti in inglese solo nel 1973; ben noti e commentati in Italia già nel decennio precedente), in cui Marx estende il concetto di ”capitale morto” (quello costituito dai beni di investimento) evidenziando come un macchinario perfetto e sempiterno (che incorpora quantità notevoli di sapere sociale stratificato) comporti l’annullamento del valore e quindi dei margini di profitto, processo in cui Mason vede la preconizzazione del prossimo stallo dell’info-capitalismo.

Riguardo alla storia del movimento operaio, Mason lamenta la mancanza di una “storia del lavoro” e cerca di rimediarvi con un rapido ma non superficiale racconto sulle caratteristiche fisiche e organizzative del lavoro, ed in parallelo sulla composizione sociale dei lavoratori e sulle loro aggregazioni politico-sindacali, nelle principali fasi di trasformazione delle fabbriche dal Settecento ad oggi, cercando di fondare su questi aspetti storici anche una fotografia della attuale scomposizione di quello che fu la classe operaia, sotto i colpi inferti dal turbo-liberismo degli anni 80 ed in parallelo dalla globalizzazione, ma anche per effetto dei mutamenti soggettivi, a partire dall’istruzione più elevata, che fanno dei lavoratori di oggi un insieme variegato e plurale, “molteplice” anche nella identità dei singoli (e qui Mason richiama correttamente Andrè Gorz e Eric Hobsbawn, Barry Wellman e Richard Sennet, ed ancor prima Charles W. Milss, Daniel Bell,  Herbert Marcuse, ma manca a mio avviso l’appuntamento con altri antropologi e sociologi, da Augé a Maffesoli, da Castells a Bauman, che secondo me hanno assai utilmente indagato su questi processi). 

Ricapitolando le trasformazioni della classe operaia in Inghilterra degli albori dell’industrializzazione al Novecento, Mason evidenzia i fraintendimenti compiuti dapprima dagli stessi Engels e Marx (l’inchiesta sul campo del primo a Manchester nel 1842, pubblicata solo 50 anni dopo, fu travisata e cristallizzata dal secondo), nell’attribuire all’automazione una conseguente dequalificazione generalizzata del lavoro operaio (proprio mentre si andavano forme nuove figure professionali connesse alle macchine allora in uso), e nel negare la formazione di una “cultura proletaria”, e poi di Engels e Lenin nell’identificare gli operai specializzati come “aristocrazie operaie” asservite all’imperialismo britannico (che solo nella madre-patria dell’Impero avrebbe potuto impiegare le risorse necessarie per  acquisirne il consenso), base sociale sia del sindacalismo gradualista delle Trade Unions (contrapposto alla disponibilità degli operai non specializzati all’avventura rivoluzionaria, guidata però secondo Lenin, da avanguardie intellettuali esterne), sia dello “sciovinismo”, che distrusse la Seconda Internazionale, con l’adesione di parte dei partiti e sindacati socialisti alle mobilitazioni belliche della Prima Guerra Mondiale.
Secondo Mason invece il coinvolgimento patriottico delle organizzazioni operaie nella prima guerra mondiale si fonda sulla stessa “materialità” delle nazioni (cioè su elementi antropologici preesistenti alle classi sociali, se ho ben capito) e la tendenza tradeunionista delle aristocrazie operaie, presenti in tutti paesi industrializzati e non solo in Inghilterra, saldabile pur con difficoltà con gli interessi di operai non specializzati (e tra questi spesso donne e bambini), era tutt’uno con orizzonte a loro modo antagonistico, ma costituito da “controllo delle fabbriche, solidarietà sociale, autoistruzione e creazione di un mondo parallelo”, in competizione con il nascente Taylorismo, che rendeva scientifica la divisione del lavoro e la subordinazione alle macchine.
Così Mason legge l’epopea delle lotte operaie dentro ed oltre la prima guerra mondiale (1916-1921), in numerosi paesi (ed anche all’interno dell’URSS e contro il governo bolscevico), poi abbattuta con violenza da un lato dalla grande crisi del 1929 e dall’altro dalla repressione fascista e nazista (ma anche stalinista), fino all’esito dei campi di concentramento (non dimenticando la larga sovrapposizione tra ebraismo e movimento operaio nella Mitteleuropa).
Meno lineare mi sembra la sua interpretazione della crescita quantitativa e della subordinazione qualitativa della classe operaia (allargata ai settori impiegatizi ed estesa al terziario) nei decenni ‘50-‘60, periodo dello sviluppo keynesiano e fordista del capitalismo occidentale e del compromesso socialdemocratico (anche e soprattutto come risposta preventiva all’alternativa sovietica), ed anche delle grandi rivolte degli anni ’60 e ‘70  (Mason si sofferma in particolare sul caso italiano, assumendo come fonte privilegiata gli “operaisti” Romano Alquati e Toni Negri) connesse al rifiuto del lavoro parcellizzato e ripetitivo, tipico del taylorismo, da parte di una forza-lavoro più istruita, la cui sconfitta Mason (come sopra accennato) attribuisce sia alla violenza anti-sindacale del contrattacco neo-liberista (che ristrutturò spesa pubblica e finanza, moneta e produzione, utilizzando ampiamente anche la de-industrializzazione dell’occidente e la delocalizzazione produttiva su scala globale), sia alle debolezze soggettive dello schieramento operaio, diviso tra vecchia cultura dei mestieri e nuovi atteggiamenti delle masse giovanili e “tradito” dalle rappresentanze politiche socialdemocratiche o filo-sovietiche. 







SCHEDA 2:
SEGNALAZIONE DI DISCREPANZE TRA LE STORIE RACCONTATE DA MASON E ALCUNI DATI A ME DISPONIBILI
Oltre ad esprimere nella recensione alcune le mie valutazioni puntuali e complessive sulla visione di Paul Mason, ritengo necessario esemplificare alcune discrepanze che ho rilevato tra le sue ricostruzioni storiche ed i dati a me disponibili, perché mi aprono molti dubbi sull’attendibilità specifica e generale dell’Autore:
pag. 18: il movimento spagnolo degli Indignados stroncato dalla repressione: a me pare, che a fronte di una dose ‘normale’ di repressione in un ‘normale’ regime democratico, il movimento si sia esaurito per la povertà delle parole d’ordine anti-casta, ‘né di destra né di sinistra’, finendo in buona parte riassorbito dal più strutturato e pensante movimento Podemos;
pag. 233: occupazione di fabbriche automobilistiche in Italia nel 1919 a Torino, Milano e Bologna: a me risultano solo nel settembre del 1920 (e senza fabbriche d’auto a Bologna);
pag. 237: imposizione da parte degli Alleati dopo il 1945 di Costituzioni con elementi sociali a Germania, Giappone e Italia: a me pare che ciò non sia vero per l’Italia, dove gli Alleati hanno imposto molto (abbiamo tuttora basi militari americane, oltre a quelle della NATO), ma almeno NON la Costituzione;
pag.245: in Italia dopo il 68-69, il PCI avrebbe introdotto i Consigli di Fabbrica per imbrigliare le lotte operaie: anche come testimone diretto e indiretto, mi sembra di poter affermare che si tratta di una visione riduttiva e caricaturale di un processo dialettico complesso e con diversi attori, tra cui la sinistra sindacale, comunista e non comunista, in cui i Consigli possono aver fatto da freno in alcune situazioni, ed invece aver costituito le effettive avanguardie in altri;
Pag. 248: percentuale di forza-lavoro residua nell’industria, a fronte alla crescente prevalenza del terziario – secondo Mason “Solo nei colossi dell’export - Germania, Corea del Sud e Giappone – la forza lavoro dell’industria si avvicina al 20% del totale ----“: dall’ISTAT mi risulta che in Italia nel 2014 sia ancora superiore al 25%.

Fonti:
  1. Paul Mason - “POSTCAPITALISMO – Una guida al nostro futuro” – Saggiatore, Milano 2015
  2. Alberto Mingardi - “Post-marxismo” su “Il Sole-24ore” 25-09-2015 www.ilsole24ore.com/art/cultura/.../un-nuovo-libro-fuori-mercato-173540.shtml?
  3. Francesca Coin  - “Il Rifkin dei poveri o il Toni Negri dei ricchi”  su “Il Manifesto”  22-09-2015 www.materialismostorico.blogspot.com/2015/09/il-rifkin-dei-poveri-o-il-toni-negri.html
4.    Jeremy Rifkin – “LA SOCIETÀ A COSTO MARGINALE ZERO. L'Internet delle cose, l'ascesa del Commons collaborativo e l'eclissi del capitalismo” – Oscar Mondadori, Milano 2014
5.    Peter Droege – “LA CITTÀ RINNOVABILE” - Edizioni Ambiente, Milano 2008
6.    Anna FRISA, Carlo RATTI “Progettare la città: come?” Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico di Torino - School of Architecture and Planning, MIT www.senseable.mit.edu/.../20011116_Frisa_Ratti_ProgettareCitta_Proceedings_CittaDiffusa


7.    Giovanni Arrighi - “IL LUNGO XX SECOLO. Denaro, potere e le origini del nostro tempo” – Il Saggiatore, Milano 2014
8.    David Graeber – “DEBITO. I PRIMI 5.000 ANNI” - Il Saggiatore, Milano 2012
9.    David Harvey “CITTA’ RIBELLI – i movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street” - Il Saggiatore, Milano 2013.
10. Toni Negri e  Michel Hardt – Trilogia:  “IMPERO” “MOLTITUDINE” “COMUNE. OLTRE IL PRIVATO E IL PUBBLICO” – Rizzoli, Milano 2010
11. Guy Standing “PRECARI – la nuova classe esplosiva” - Il Mulino, Bologna 2012
12. Daron Acemoglu e James A. Robinson - “PERCHE’ LE NAZIONI FALLISCONO - Alle origini di potenza, prosperità, e povertà” – Il Saggiatore, Milano 2014
13. Marc Augé “L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO” - Elèuthera, Milano 2005
14. Zygmunt Bauman “VITA LIQUIDA” - Laterza, Bari 2006
15. Manuel Castells “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” - UBE Paperback, Milano 2002
16. Karl Marx “GRUNDRISSE - Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica” – Manifestolibri, Roma 2012

17. Recensioni sui precedenti testi, da 7 a 9 e da 11 a 15, su questo blog  in appositi POST e nelle pagine PARTE 1^ ed ULTERIORI LETTURE

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