Il
convegno “Suolo bene comune”
Di suolo hanno trattato gli
ultimi numeri di UTOPIA21, con gli articoli di Aldo Vecchi sulla limitazione al
consumo di suolo nei numeri di ottobre e novembre, e quelli di Fulvio Fagiani
nel numero di marzo. Il consumo di suolo è stato l’oggetto del convegno “Suolo bene comune” tenuto a Varese lo scorso 21 aprile, con
il patrocinio del Comune e della Provincia di Varese.
Il convegno faceva parte
dell’iniziativa “tre giorni del suolo”, a sostegno della campagna di raccolta
firme “salva il suolo” per l’emissione di una direttiva europea a salvaguardia
di questa risorsa.
Le presentazioni sono nella
sezione “eventi” del sito di UTOPIA21 www.universauser.it/utopia21.html.
Il convegno, organizzato da
UTOPIA21 e Legambiente, si è aperto con la relazione di Di Simine che ha sottolineato l’importanza e la
limitatezza di questa sottile pellicola da cui dipende la nostra vita e di come
in Europa sia minacciata in primo luogo dall’urbanizzazione, in assenza di
tutele legislative organiche.
Salata
e Gallego
si sono concentrati su come si può misurare l’uso ed il consumo di suolo
fornendo una ricca indicazioni di fonti nazionali ed europee.
Alberto Minazzi
ha riportato l’attenzione sulla situazione della Provincia di Varese con
un’ampia carrellata su casi, purtroppo, esemplari.
Infine Claudio Colombo si è
soffermato sulla legislazione regionale, segnalandone difetti ed insufficienze.
Prima aveva parlato Arturo
Lanzani, che riprende il filo del suo ragionamento in questa intervista ad Aldo
Vecchi.
Conversazione-intervista
con Arturo Lanzani
di Aldo
Vecchi.
““Città territorio urbanistica
tra crisi e contrazione”, è il testo scritto da Arturo Lanzani da cui muove la
presente intervista, ai margini del convegno varesino “Suolo bene comune”, del
21 aprile 2017. La conversazione tende ad approfondire le specificità della
situazione europea e di quelle italiane, nel contesto della crisi economica in
atto, focalizzando flussi e rigidità nelle dinamiche tra i modi d’uso del suolo
ed esemplificando i possibili strumenti di intervento nella legislazione e
nella prassi urbanistica.
Riassunto – L’esaurimento del ciclo di espansione del
dopoguerra, in Europa. Patrimoni territoriali inutilizzati e degradati e nuovi
consumi di suolo: paesaggi italiani. Sviluppo, crescita e decrescita. La
chiusura dei cicli ecologici, anche in edilizia. L’orizzonte del saldo-zero nel consumo di
suolo, tra recuperi, completamenti e ri-naturalizzzioni. Riforme possibili ed
improbabili a livello nazionale ed europeo. I margini per incisive azioni
locali e l’esperienza diretta dell’Autore nelle aree a nord di Milano.
Arturo
Lanzani, urbanista e geografo, è professore ordinario al Politecnico di Milano.
Il
suo testo “Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione” (Franco Angeli
editore - Milano, 2015) muove dalla considerazione che “l’urbanistica non potrà
essere più quella di un tempo. L’esperienza della crescita ininterrotta
dell’urbanizzato su cui questo sapere si è costruito, almeno in Europa va
arrestandosi e si moltiplicano nel nostro continente le situazioni di
contrazione, di dismissione e abbandono,
seppur in forme e con intensità diverse in relazione alla concomitante crisi
economica” e – analizzata la specifica situazione dei paesaggi italiani -
“propone degli spunti per perseguire una strada differente: avanza una
differente agenda per la politica nazionale della città e del territorio,
segnala qualche prima questione che emerge nel fare urbanistica a scala locale
dopo l’esperienza della crescita, evidenzia l’inadeguatezza di alcuni quadri
legislativi recentemente proposti”. Nel seguito D) segnala una mia domanda o commento, R) la risposta o osservazione di Lanzani.
D) Con
riferimento al Suo testo “Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione”,
quanto la tematica del risparmio del consumo di suolo va connessa alle
considerazioni relative agli equilibri ecologici del pianeta Terra (Antropocene)
e quanto a constatazioni specifiche sul complessivo esaurimento, in Europa, di
un lungo ciclo di espansione demografica ed economica?
R) Credo si debbano
distinguere due situazioni idealtipiche differenti:
-
in
una parte del mondo la questione è proporre modelli di urbanizzazione, che -
pur comportando consumo di suolo - abbiano un profilo ecologicamente
sostenibile (dal punto di vista del consumi energetici, dell’uso dell’acqua,
della riduzione delle forme di mobilità più impattanti, ecc…).
-
all’altro
estremo (grosso modo in Europa in Giappone e in alcune porzione del NordAmerica),
il tema è bloccare il consumo di suolo e mettere in gioco i territori già
urbanizzati o in alcuni casi operazioni concomitanti di rinaturalizzazione e di
nuove urbanizzazioni (con impatto finale zero), per domande insediative
comunque in mutamento.
Ciò non toglie che anche
nei paesi emergenti vadano evitate operazioni di urbanizzazione puramente
immobiliari (che generano città e intere urbanizzazioni che rimangono
inutilizzate), come in taluni casi è assai evidente in Cina; e che le
condizioni di nuova urbanizzazione, fuori dai paesi dove si è arrestato un
lungo ciclo di crescita demografica, possano avere tratti assai differenti in
ragione delle condizioni in cui si realizzano: si va delle new towns cinesi, ai
processi di riforma delle urbanizzazioni informali del SudAmerica, ben
documentate nell’ultima biennale, a forme di urbanizzazione precarie legate alla
presenza di
rifugiati da condizioni di guerra e di crisi ambientale in Africa.
In
queste situazioni così diverse la ricerca di una chiusura dei cicli e di
equilibrio ecologico non potrà che avvenire in forma plurale.
D) Nelle Sue analisi
mostra l’affiancarsi di crescenti fattori (e settori e luoghi) di degrado e
abbandono a ulteriori fenomeni o tentativi di espansione degli insediamenti (spesso
non motivati da effettive esigenze economiche e sociali): si concretizza in
queste contraddizioni un carattere strutturale e non “congiunturale” della
crisi?
R) Concentrandomi sul
primo mondo e sull’Europa, e sull’Italia in particolare. cerco di mettere in
evidenza la necessità di chiudere i cicli in urbanistica, come sono
parzialmente chiusi in altri processi economici. Noi non possiamo comprare un
auto e lasciare al lato della strada la vecchia auto, disinteressandocene: possiamo
farlo invece per un edificio residenziale o produttivo.
In
passato cicli di urbanizzazione in contesti nuovi, ad esempio di fondovalle o
di costa, si sono sviluppati in parallelo all’abbandono di borghi interni di
collina. Molte di queste dinamiche (in parte inevitabili per rispondere alle
domande di nuove forme dell’economia) hanno comportato la perdita di un
patrimonio insediativo di grande valore culturale e storico e non sono avvenute
conferendo nuove forme qualificate al territorio (urbane, paesistiche ed
ecologiche). In questo ciclo insediativo non abbiamo saputo fare una nuova
urbanizzazione di qualità, né rimettere in circolo i vecchi insediamenti entro
i nuovi paradigmi produttivi e sociali. In Francia o in Germania ci sono parzialmente
riusciti, a differenza che da noi.
Oggi
mi sembra che siamo entrati in una stagione diversa:
-
da
un lato gli elevati livelli di urbanizzazione e la precarietà delle condizioni
ambientali, il livello di degrado idrogeologico, imporrebbero qualche tentativo
di chiusura dei cicli. Se un nuovo insediamento della logistica chiede di
consumare del suolo per un nuovo impianto e questo non può avvenire entro un’area
industriale dismessa (poiché non presenta le condizioni tecniche ed urbanistiche
favorevoli alla nuova attività), il nuovo intervento deve però farsi carico
della rinaturalizzazione di una superficie già urbanizzata, non reinseribile
nei cicli d’uso contemporanei, ma che, nel suo persistere come insieme di suoli
impermeabili e di relitti carichi di sostanze inquinanti, non deve essere lasciato
a degradarsi come un vecchio edificio rurale di montagna.
-
dall’altro
lato in molte parti d’Italia e in non pochi paesi d’Europa, dismissione/abbandono
e nuova urbanizzazione avvengono una a fianco dell’altra e solo la mancanza di
giuste regole e di meccanismi di riequilibrio delle convenienze economiche fa sì che rifiuti edilizi convivano a fianco
di nuova edilizia. Questo non deve più avvenire perché è fonte di degrado non
solo ambientale, ma anche urbano e di costi di gestione del territorio
urbanizzato insostenibili. Il ripetersi di simili condizioni in quasi tutti i Comuni
del nostro paese indica a mio parere una crisi strutturale della nostra
economia e società.
D) Le Sue proposte di
ricerca e valorizzazione di svariate risorse accumulate nei diversi “patrimoni
territoriali” compongono un possibile scenario di uno “sviluppo” diverso (da
adeguare a quella realtà di crisi e contrazione sopra richiamata): è qualcosa
di diverso dalla parola d’ordine della “decrescita felice” di Latouche (e
Pallante)?
R) A volte il tema della
decrescita è caricato di immagini e retoriche che non mi appartengono. C’è però
qualche sintonia. Credo che in modi diversi si stia pensando ad una economia e ad
una urbanizzazione che vivano come un lago. C’è del movimento: entrano ed
escano acque, ma il livello del bacino salvo piccole oscillazioni è in
equilibrio. E’ una immagine di Ruffolo che mi piace, che può valere sia per
l’economia che per l’urbanizzazione. Io aggiungo una considerazione altra al
ragionamento di Ruffolo. Parte del patrimonio inutilizzato o sottoutilizzato
del nostro paese può essere la “presa” per la sperimentazione di nuove forme di
vita e di economia: offre dei potenziali, delle “prese”, è un mondo di cose - per
dirla alla Bodei - che se non le guardiamo come oggetti in una prospettiva
puramente utilitaristica, offre delle “riserve di senso”, dei “potenziali” per
sperimentare nuove vie. Io credo, alla Mason, che il prossimo secolo sarà un
secolo di sperimentazioni di un qualcosa di nuovo che non sappiamo cosa possa
essere, ma sappiamo che dovrà prendere le distanze perlomeno dal modello
economico sociale neoliberista dell’ultimo trentennio (e che non potrà nemmeno
ripetere il modello keynesiano-welfarista del trentennio precedente) e che
forse metterà in discussione alcuni aspetti dello stesso sistema capitalista
degli ultimi secoli.
D) Nel multiforme inventario
degli “attrezzi” da Lei sollecitati per una nuova e adeguata progettazione e
gestione urbanistica è corretto individuare il risparmio del consumo di suolo
come il probabile e auspicabile esito, il saldo tra complesse partite di “fare
e disfare” (e cioè non come un orizzonte morale aprioristico)?
R) Direi proprio di sì.
D) Gli approfondimenti
del Suo testo “Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione” sono
verificati nella sua concreta esperienza di urbanista (ed anche assessore)
radicato nelle aree iper-urbanizzate a nord di Milano (Seregno, Desio, Monza),
ma le parti più generali del testo sono riferite anche agli altri paesaggi
italiani da lei tipizzati. Anche per queste diverse situazioni può valere
l’auspicio di un buon saldo nei conflitti sul consumo di suolo?
R) Si, spesso a maggior
ragione.
D) Il disegno di legge
governativo sul consumo di suolo (ora arenato al Senato), ha subito molte
critiche da parte degli urbanisti. Il movimento “Salviamo il paesaggio” giudica
il testo sostanzialmente inemendabile e intende avanzare un autonomo testo di
legge. Secondo Lei il ddl “Catania” è un bicchiere mezzo pieno, mezzo vuoto o è
comunque meglio non berlo?
R) Mezzo vuoto. Con quel
decreto non andiamo da nessuna parte. Tutto il sistema delle quote non produrrebbe
un gran che, anzi probabilmente avrebbe effetti non voluti di tipo degenerativo.
Io credo che le vie da perseguire siano altre, quelle che ho suggerito nel
libro: nel breve periodo, con una legge
nazionale, l’immediato ribaltamento delle convenienze economiche
nell’intervento su greenfield e brownfield, a prescindere da ciò che dicono e
fanno i piani urbanistici comunali; nel medio periodo la riduzione
dell’urbanistica comunale alla gestione del territorio già urbanizzato (e non più
a quello urbanizzabile) ossia ai temi del riuso/riciclo e rigenerazione urbana,
mentre eventuali nuove urbanizzazioni
con consumo di suolo dovranno essere possibili solo se decise a scala
sovracomunale e finalizzate esclusivamente a spazi della produzione (con
specifiche esigenze) e comunque con saldo zero (ossia impegni di
rinaturalizzazione di aree non più riurbanizzate individuate nell’area vasta).
Ed è una prospettiva parzialmente diversa da quella del movimento “salviamo il
paesaggio”.
D) L’Europa ha enunciato
negli anni scorsi importanti obiettivi sul risparmio di suolo, non tradotti
però in direttive cogenti (come vorrebbe spingerla a fare la petizione
“people-4-soil”); che evoluzione si può ipotizzare, tenendo conto che il quadro
descrittivo della crisi è tendenzialmente omogeneo a scala continentale?
R) Non lo so, onestamente
non credo sia possibile rispondere ad una simile domanda. Diciamo che non sono
ottimista.
D) E nel resto del mondo,
invece, dove urgono ancora fabbisogni di crescita demografica e di servizi
urbani (che oggi confluiscono caoticamente in molte aree metropolitane con ampi
margini a forte degrado, slums e discariche, spesso accoppiati), potrebbero tuttavia
comporsi in un quadro risparmioso di suolo? Con quali accettabili densità
edilizie?
R) Non credo che si debba
approdare necessariamente ad alte densità. Una urbanizzazione a media e bassa
densità ad alcune condizioni può essere ecologicamente virtuosa come quella ad
alta (nella produzione di energia solare ed eolica dispersa, nel compostaggio
dei rifiuti organici, nella più facile raccolta differenziata, ecc) a
condizione che abbia una forma diramata (lungo alcune direttrici lineari) e
quindi una qualche ossatura di trasporto collettivo e lento. Come ho già detto
i modelli di nuova urbanizzazione ecologica possono e debbono essere plurali in
relazioni di contesto assai diverse.
D) Tornando all’Italia, il
quadro dei soggetti attivi sul fronte urbanistico da Lei descritto è alquanto
impietoso: Con quali forze si può fondare, a livello locale, un programma
ambizioso come quello da Lei delineato?
R) Non lo so. Non vedo
forze politiche veramente attente a questi temi, anche se certamente Sinistra-Ecologia -Libertà e Movimento-Cinque-Stelle hanno manifestato
una maggiore attenzione di altri in parlamento e nelle assemblee regionali. Il
PD a livello nazionale ha sempre più ridotto la sensibilità verso questi temi,
con una realtà comunale a macchie di leopardo: amministrazioni che sono tra le
più virtuose e al tempo stesso amministrazioni tra le peggiori. Con pesi un
poco meno positivi la cosa vale anche per le amministrazioni della LegaNord. Il
resto del centro-destra invece ha sempre avuto un atteggiamento rapace verso il
territorio e i beni pubblici e un atteggiamento anti-ecologista in Italia (cosa
non scontata in Europa, dove la destra storica non infervorata dal peggiore e
più furioso neoliberismo, ha saputo in passato promuovere politiche
urbanistiche paesaggistiche ed ecologiche di un certo interesse in non pochi
paesi).
D) Ed a livello nazionale
(dove Lei ritiene altresì necessario riformare gli enti locali, con 1000 maxi-Comuni
al posto degli attuali 8.000)?
R) La riforma degli enti
locali è stata deludente. Mi sembra che l’esperienza volontaristica dell’unione
o fusione di Comuni non sia all’altezza
dei problemi. A livello centrale o si interviene con il machete e in forme
banali (come con le Provincie), o non ci si assume responsabilità di qualche
disegno più ambizioso.
D) Su “Urbanistica” n° 154
i Suoi recenti piani di Desio e Monza,
con altri, sono indicati come l’emergere di un “nuovo paradigma”, fondato più
sul governo del riuso, anche temporaneo, degli immobili, che non sulla
distribuzione perequata dei diritti edificatori in funzione di grandi progetti
di trasformazione urbana. Condivide questo giudizio?
R) Credo siano stati
benevolenti i redattori. Non ci sono le condizioni per parlare di un nuovo
paradigma. Semmai di qualche esperienza tentativa e solo parzialmente positiva:
tra queste anche qualche mio lavoro.
D) La Sua breve
ricostruzione storica sulle trasformazioni territoriali e legislative in Italia
dal dopoguerra è particolarmente impietosa riguardo agli ultimi 30 anni; ma non
sono stati anche gli anni di alcune innovative azioni regionali in materia di
leggi sul suolo e di piani paesistici, del rilevante ingresso delle tematiche
ambientali nei Piani e – almeno nel nostro contesto inter-lacuale – di positivi
investimenti per lunghi-laghi, piste ciclabili, zone pedonali…?
R) Si, sono anni
contradditori. Il quadro generale mi sembra negativo, ma ci sono state numerose
innovazioni positive. Non credo tuttavia bastino buone pratiche locali. In questo mi differenzio da molti colleghi e movimenti.
Credo che senza alcune misure strutturali nazionali ed europee non si vada
molto avanti
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