venerdì 26 maggio 2017

UTOPIA 21 - MAGGIO 2017 - CONVERSAZIONE/INTERVISTA CON ARTURO LANZANI

Il convegno “Suolo bene comune”

Di suolo hanno trattato gli ultimi numeri di UTOPIA21, con gli articoli di Aldo Vecchi sulla limitazione al consumo di suolo nei numeri di ottobre e novembre, e quelli di Fulvio Fagiani nel numero di marzo. Il consumo di suolo è stato l’oggetto del convegno “Suolo bene comune” tenuto a Varese lo scorso 21 aprile, con il patrocinio del Comune e della Provincia di Varese.
Il convegno faceva parte dell’iniziativa “tre giorni del suolo”, a sostegno della campagna di raccolta firme “salva il suolo” per l’emissione di una direttiva europea a salvaguardia di questa risorsa.
Le presentazioni sono nella sezione “eventi” del sito di UTOPIA21 www.universauser.it/utopia21.html.
Il convegno, organizzato da UTOPIA21 e Legambiente, si è aperto con la relazione di Di Simine che ha sottolineato l’importanza e la limitatezza di questa sottile pellicola da cui dipende la nostra vita e di come in Europa sia minacciata in primo luogo dall’urbanizzazione, in assenza di tutele legislative organiche.
Salata e Gallego si sono concentrati su come si può misurare l’uso ed il consumo di suolo fornendo una ricca indicazioni di fonti nazionali ed europee.
Alberto Minazzi ha riportato l’attenzione sulla situazione della Provincia di Varese con un’ampia carrellata su casi, purtroppo, esemplari.
Infine Claudio Colombo si è soffermato sulla legislazione regionale, segnalandone difetti ed insufficienze.
Prima aveva parlato Arturo Lanzani, che riprende il filo del suo ragionamento in questa intervista ad Aldo Vecchi.

Conversazione-intervista con Arturo Lanzani
di Aldo Vecchi.

““Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione”, è il testo scritto da Arturo Lanzani da cui muove la presente intervista, ai margini del convegno varesino “Suolo bene comune”, del 21 aprile 2017. La conversazione tende ad approfondire le specificità della situazione europea e di quelle italiane, nel contesto della crisi economica in atto, focalizzando flussi e rigidità nelle dinamiche tra i modi d’uso del suolo ed esemplificando i possibili strumenti di intervento nella legislazione e nella prassi urbanistica.

Riassunto – L’esaurimento del ciclo di espansione del dopoguerra, in Europa. Patrimoni territoriali inutilizzati e degradati e nuovi consumi di suolo: paesaggi italiani. Sviluppo, crescita e decrescita. La chiusura dei cicli ecologici, anche in edilizia.  L’orizzonte del saldo-zero nel consumo di suolo, tra recuperi, completamenti e ri-naturalizzzioni. Riforme possibili ed improbabili a livello nazionale ed europeo. I margini per incisive azioni locali e l’esperienza diretta dell’Autore nelle aree a nord di Milano.
Arturo Lanzani, urbanista e geografo, è professore ordinario al Politecnico di Milano.
Il suo testo “Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione” (Franco Angeli editore - Milano, 2015) muove dalla considerazione che “l’urbanistica non potrà essere più quella di un tempo. L’esperienza della crescita ininterrotta dell’urbanizzato su cui questo sapere si è costruito, almeno in Europa va arrestandosi e si moltiplicano nel nostro continente le situazioni di contrazione, di dismissione  e abbandono, seppur in forme e con intensità diverse in relazione alla concomitante crisi economica” e – analizzata la specifica situazione dei paesaggi italiani - “propone degli spunti per perseguire una strada differente: avanza una differente agenda per la politica nazionale della città e del territorio, segnala qualche prima questione che emerge nel fare urbanistica a scala locale dopo l’esperienza della crescita, evidenzia l’inadeguatezza di alcuni quadri legislativi recentemente proposti”. Nel seguito D) segnala una mia domanda o commento, R) la risposta o osservazione di Lanzani.

D) Con riferimento al Suo testo “Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione”, quanto la tematica del risparmio del consumo di suolo va connessa alle considerazioni relative agli equilibri ecologici del pianeta Terra (Antropocene) e quanto a constatazioni specifiche sul complessivo esaurimento, in Europa, di un lungo ciclo di espansione demografica ed economica?

R) Credo si debbano distinguere due situazioni idealtipiche differenti:
-          in una parte del mondo la questione è proporre modelli di urbanizzazione, che - pur comportando consumo di suolo - abbiano un profilo ecologicamente sostenibile (dal punto di vista del consumi energetici, dell’uso dell’acqua, della riduzione delle forme di mobilità più impattanti, ecc…).
-          all’altro estremo (grosso modo in Europa in Giappone e in alcune porzione del NordAmerica), il tema è bloccare il consumo di suolo e mettere in gioco i territori già urbanizzati o in alcuni casi operazioni concomitanti di rinaturalizzazione e di nuove urbanizzazioni (con impatto finale zero), per domande insediative comunque in mutamento.
Ciò non toglie che anche nei paesi emergenti vadano evitate operazioni di urbanizzazione puramente immobiliari (che generano città e intere urbanizzazioni che rimangono inutilizzate), come in taluni casi è assai evidente in Cina; e che le condizioni di nuova urbanizzazione, fuori dai paesi dove si è arrestato un lungo ciclo di crescita demografica, possano avere tratti assai differenti in ragione delle condizioni in cui si realizzano: si va delle new towns cinesi, ai processi di riforma delle urbanizzazioni informali del SudAmerica, ben documentate nell’ultima biennale, a forme di urbanizzazione precarie legate alla presenza di rifugiati da condizioni di guerra e di crisi ambientale in Africa.
In queste situazioni così diverse la ricerca di una chiusura dei cicli e di equilibrio ecologico non potrà che avvenire in forma plurale.

D) Nelle Sue analisi mostra l’affiancarsi di crescenti fattori (e settori e luoghi) di degrado e abbandono a ulteriori fenomeni o tentativi di espansione degli insediamenti (spesso non motivati da effettive esigenze economiche e sociali): si concretizza in queste contraddizioni un carattere strutturale e non “congiunturale” della crisi?

R) Concentrandomi sul primo mondo e sull’Europa, e sull’Italia in particolare. cerco di mettere in evidenza la necessità di chiudere i cicli in urbanistica, come sono parzialmente chiusi in altri processi economici. Noi non possiamo comprare un auto e lasciare al lato della strada la vecchia auto, disinteressandocene: possiamo farlo invece per un edificio residenziale o produttivo.
In passato cicli di urbanizzazione in contesti nuovi, ad esempio di fondovalle o di costa, si sono sviluppati in parallelo all’abbandono di borghi interni di collina. Molte di queste dinamiche (in parte inevitabili per rispondere alle domande di nuove forme dell’economia) hanno comportato la perdita di un patrimonio insediativo di grande valore culturale e storico e non sono avvenute conferendo nuove forme qualificate al territorio (urbane, paesistiche ed ecologiche). In questo ciclo insediativo non abbiamo saputo fare una nuova urbanizzazione di qualità, né rimettere in circolo i vecchi insediamenti entro i nuovi paradigmi produttivi e sociali. In Francia o in Germania ci sono parzialmente riusciti, a differenza che da noi.
Oggi mi sembra che siamo entrati in una stagione diversa:
-          da un lato gli elevati livelli di urbanizzazione e la precarietà delle condizioni ambientali, il livello di degrado idrogeologico, imporrebbero qualche tentativo di chiusura dei cicli. Se un nuovo insediamento della logistica chiede di consumare del suolo per un nuovo impianto e questo non può avvenire entro un’area industriale dismessa (poiché non presenta le condizioni tecniche ed urbanistiche favorevoli alla nuova attività), il nuovo intervento deve però farsi carico della rinaturalizzazione di una superficie già urbanizzata, non reinseribile nei cicli d’uso contemporanei, ma che, nel suo persistere come insieme di suoli impermeabili e di relitti carichi di sostanze inquinanti, non deve essere lasciato a degradarsi come un vecchio edificio rurale di montagna.
-          dall’altro lato in molte parti d’Italia e in non pochi paesi d’Europa, dismissione/abbandono e nuova urbanizzazione avvengono una a fianco dell’altra e solo la mancanza di giuste regole e di meccanismi di riequilibrio delle convenienze economiche  fa sì che rifiuti edilizi convivano a fianco di nuova edilizia. Questo non deve più avvenire perché è fonte di degrado non solo ambientale, ma anche urbano e di costi di gestione del territorio urbanizzato insostenibili. Il ripetersi di simili condizioni in quasi tutti i Comuni del nostro paese indica a mio parere una crisi strutturale della nostra economia e società.

D) Le Sue proposte di ricerca e valorizzazione di svariate risorse accumulate nei diversi “patrimoni territoriali” compongono un possibile scenario di uno “sviluppo” diverso (da adeguare a quella realtà di crisi e contrazione sopra richiamata): è qualcosa di diverso dalla parola d’ordine della “decrescita felice” di Latouche (e Pallante)?

R) A volte il tema della decrescita è caricato di immagini e retoriche che non mi appartengono. C’è però qualche sintonia. Credo che in modi diversi si stia pensando ad una economia e ad una urbanizzazione che vivano come un lago. C’è del movimento: entrano ed escano acque, ma il livello del bacino salvo piccole oscillazioni è in equilibrio. E’ una immagine di Ruffolo che mi piace, che può valere sia per l’economia che per l’urbanizzazione. Io aggiungo una considerazione altra al ragionamento di Ruffolo. Parte del patrimonio inutilizzato o sottoutilizzato del nostro paese può essere la “presa” per la sperimentazione di nuove forme di vita e di economia: offre dei potenziali, delle “prese”, è un mondo di cose - per dirla alla Bodei - che se non le guardiamo come oggetti in una prospettiva puramente utilitaristica, offre delle “riserve di senso”, dei “potenziali” per sperimentare nuove vie. Io credo, alla Mason, che il prossimo secolo sarà un secolo di sperimentazioni di un qualcosa di nuovo che non sappiamo cosa possa essere, ma sappiamo che dovrà prendere le distanze perlomeno dal modello economico sociale neoliberista dell’ultimo trentennio (e che non potrà nemmeno ripetere il modello keynesiano-welfarista del trentennio precedente) e che forse metterà in discussione alcuni aspetti dello stesso sistema capitalista degli ultimi secoli.

D) Nel multiforme inventario degli “attrezzi” da Lei sollecitati per una nuova e adeguata progettazione e gestione urbanistica è corretto individuare il risparmio del consumo di suolo come il probabile e auspicabile esito, il saldo tra complesse partite di “fare e disfare” (e cioè non come un orizzonte morale aprioristico)?

R) Direi proprio di sì.

D) Gli approfondimenti del Suo testo “Città territorio urbanistica tra crisi e contrazione” sono verificati nella sua concreta esperienza di urbanista (ed anche assessore) radicato nelle aree iper-urbanizzate a nord di Milano (Seregno, Desio, Monza), ma le parti più generali del testo sono riferite anche agli altri paesaggi italiani da lei tipizzati. Anche per queste diverse situazioni può valere l’auspicio di un buon saldo nei conflitti sul consumo di suolo?

R) Si, spesso a maggior ragione.

D) Il disegno di legge governativo sul consumo di suolo (ora arenato al Senato), ha subito molte critiche da parte degli urbanisti. Il movimento “Salviamo il paesaggio” giudica il testo sostanzialmente inemendabile e intende avanzare un autonomo testo di legge. Secondo Lei il ddl “Catania” è un bicchiere mezzo pieno, mezzo vuoto o è comunque meglio non berlo?

R) Mezzo vuoto. Con quel decreto non andiamo da nessuna parte. Tutto il sistema delle quote non produrrebbe un gran che, anzi probabilmente avrebbe effetti non voluti di tipo degenerativo. Io credo che le vie da perseguire siano altre, quelle che ho suggerito nel libro: nel breve periodo,  con una legge nazionale, l’immediato ribaltamento delle convenienze economiche nell’intervento su greenfield e brownfield, a prescindere da ciò che dicono e fanno i piani urbanistici comunali; nel medio periodo la riduzione dell’urbanistica comunale alla gestione del territorio già urbanizzato (e non più a quello urbanizzabile) ossia ai temi del riuso/riciclo e rigenerazione urbana, mentre eventuali  nuove urbanizzazioni con consumo di suolo dovranno essere possibili solo se decise a scala sovracomunale e finalizzate esclusivamente a spazi della produzione (con specifiche esigenze) e comunque con saldo zero (ossia impegni di rinaturalizzazione di aree non più riurbanizzate individuate nell’area vasta). Ed è una prospettiva parzialmente diversa da quella del movimento “salviamo il paesaggio”.

D) L’Europa ha enunciato negli anni scorsi importanti obiettivi sul risparmio di suolo, non tradotti però in direttive cogenti (come vorrebbe spingerla a fare la petizione “people-4-soil”); che evoluzione si può ipotizzare, tenendo conto che il quadro descrittivo della crisi è tendenzialmente omogeneo a scala continentale?

R) Non lo so, onestamente non credo sia possibile rispondere ad una simile domanda. Diciamo che non sono ottimista.

D) E nel resto del mondo, invece, dove urgono ancora fabbisogni di crescita demografica e di servizi urbani (che oggi confluiscono caoticamente in molte aree metropolitane con ampi margini a forte degrado, slums e discariche, spesso accoppiati), potrebbero tuttavia comporsi in un quadro risparmioso di suolo? Con quali accettabili densità edilizie?

R) Non credo che si debba approdare necessariamente ad alte densità. Una urbanizzazione a media e bassa densità ad alcune condizioni può essere ecologicamente virtuosa come quella ad alta (nella produzione di energia solare ed eolica dispersa, nel compostaggio dei rifiuti organici, nella più facile raccolta differenziata, ecc) a condizione che abbia una forma diramata (lungo alcune direttrici lineari) e quindi una qualche ossatura di trasporto collettivo e lento. Come ho già detto i modelli di nuova urbanizzazione ecologica possono e debbono essere plurali in relazioni di contesto assai diverse.

D) Tornando all’Italia, il quadro dei soggetti attivi sul fronte urbanistico da Lei descritto è alquanto impietoso: Con quali forze si può fondare, a livello locale, un programma ambizioso come quello da Lei delineato?

R) Non lo so. Non vedo forze politiche veramente attente a questi temi, anche se certamente  Sinistra-Ecologia -Libertà  e Movimento-Cinque-Stelle hanno manifestato una maggiore attenzione di altri in parlamento e nelle assemblee regionali. Il PD a livello nazionale ha sempre più ridotto la sensibilità verso questi temi, con una realtà comunale a macchie di leopardo: amministrazioni che sono tra le più virtuose e al tempo stesso amministrazioni tra le peggiori. Con pesi un poco meno positivi la cosa vale anche per le amministrazioni della LegaNord. Il resto del centro-destra invece ha sempre avuto un atteggiamento rapace verso il territorio e i beni pubblici e un atteggiamento anti-ecologista in Italia (cosa non scontata in Europa, dove la destra storica non infervorata dal peggiore e più furioso neoliberismo, ha saputo in passato promuovere politiche urbanistiche paesaggistiche ed ecologiche di un certo interesse in non pochi paesi).

D) Ed a livello nazionale (dove Lei ritiene altresì necessario riformare gli enti locali, con 1000 maxi-Comuni al posto degli attuali 8.000)?

R) La riforma degli enti locali è stata deludente. Mi sembra che l’esperienza volontaristica dell’unione o fusione di Comuni  non sia all’altezza dei problemi. A livello centrale o si interviene con il machete e in forme banali (come con le Provincie), o non ci si assume responsabilità di qualche disegno più ambizioso.

D) Su “Urbanistica” n° 154 i Suoi recenti piani di Desio e  Monza, con altri, sono indicati come l’emergere di un “nuovo paradigma”, fondato più sul governo del riuso, anche temporaneo, degli immobili, che non sulla distribuzione perequata dei diritti edificatori in funzione di grandi progetti di trasformazione urbana. Condivide questo giudizio?

R) Credo siano stati benevolenti i redattori. Non ci sono le condizioni per parlare di un nuovo paradigma. Semmai di qualche esperienza tentativa e solo parzialmente positiva: tra queste anche qualche mio lavoro.

D) La Sua breve ricostruzione storica sulle trasformazioni territoriali e legislative in Italia dal dopoguerra è particolarmente impietosa riguardo agli ultimi 30 anni; ma non sono stati anche gli anni di alcune innovative azioni regionali in materia di leggi sul suolo e di piani paesistici, del rilevante ingresso delle tematiche ambientali nei Piani e – almeno nel nostro contesto inter-lacuale – di positivi investimenti per lunghi-laghi, piste ciclabili, zone pedonali…?


R) Si, sono anni contradditori. Il quadro generale mi sembra negativo, ma ci sono state numerose innovazioni positive. Non credo tuttavia bastino buone pratiche locali.   In questo mi differenzio da molti colleghi e movimenti. Credo che senza alcune misure strutturali nazionali ed europee non si vada molto avanti

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