La narrazione
dialettica di cinque secoli di capitalismo mondiale, dal predominio finanziario
genovese a quelli olandese e poi britannico, per meglio comprendere il
Novecento, lungo periodo ad egemonia statunitense, e formulare alcune ipotesi
sulle potenze emergenti dell’Asia (il racconto si interrompe nel 2009 per la
morte dell’Autore).
Riassunto:
la “nazione genovese” (pur sconfitta sul territorio) inventa la moderna finanza
internazionale, all’ombra dell’impero spagnolo (e dell’argento delle Indie
Occidentali); i nascenti Paesi Bassi sperimentano nuovi strumenti di governo
del commerci e delle risorse coloniali; la monarchia e la borghesia britannica
soppiantano gli olandesi come centro del capitalismo e dell’imperialismo mondiale;
la grande accumulazione di risorse e nuove forme di organizzazione della
produzione, della guerra e della finanza assicurano agli USA l’egemonia globale
nell’ultimo lungo secolo, ma si aprono nuove contraddizioni, in particolare sul
versante del Pacifico.
in corsivo i commenti
personali del recensore
Laddove Hobsbawn vedeva il
Novecento come secolo “breve”, focalizzando l’attenzione sulle vicende
politico-sociali, ed individuandone pertanto l’inizio con la prima guerra
mondiale e la rivoluzione di ottobre, ed il termine con la caduta del muro di
Berlino e la dissoluzione del “socialismo reale”, lo sguardo multidisciplinare
di Giovanni Arrighi in “Il lungo XX secolo – denaro, potere e le origini del
nostro tempo” identifica il Novecento come la fase di accumulazione
capitalistica ad egemonia USA, con prodromi ancora nel XIX secolo e sentori
crepuscolari a cavallo tra il XX ed il XXI.
Il fluido e poderoso racconto
di Arrighi (economista italiano, 1937-2009, emigrato dapprima nell’Africa
post-coloniale e poi negli Stati Uniti, con un importante intermezzo a cavallo
del ’68 a Trento ed a Cosenza, nonché come animatore del “Gruppo Gramsci”)
colloca il dominio statunitense nell’ambito di una successione di cicli di
accumulazione finanziaria e di potere lunga cinque secoli, quanto la storia
dell’odierno capitalismo, a partire dal tardo medioevo ed attraverso le
seguenti fasi, che riassumo schematicamente come segue, in parte con parole
mie:
- Periodo della “nazione genovese” (dal Cinquecento
all’inizio del Seicento), che – malgrado la sconfitta ed il ridimensionamento
della repubblica di Genova nel confronto con Venezia e nell’esito del conflitto
totale (ma non privo di fasi cooperative) tra le città-stato italiane (tra cui
primeggiarono anche Firenze e Milano) ed i loro ceti mercantili – inventando la
moderna finanza, imparando dagli errori e dai fallimenti dei banchieri
fiorentini e acquisendo la capacità di lucrare sui prestiti agli stati; in
particolare con i prestiti al nascente impero spagnolo, trasformò le risorse
accumulate con il commercio attraverso il Mediterraneo, ormai calante, in
strumento di egemonia delle famiglie genovesi (anche in esilio) sul nascente
mercato finanziario mondiale, a partire dalle “fiere di cambio” e attraverso il
monopolio dell’argento che fluiva dalle Americhe all’impero spagnolo;
- Periodo olandese (fino a metà Settecento), caratterizzato
dall’intreccio tra la capacità di intermediazione finanziaria (mutuata dai
genovesi ed iniziata anche con i loro stessi capitali), ma anche commerciale
(con i magazzini globali nei porti olandesi), ed una organizzazione politica e
militare pubblico-privata con ascendenze nel modello veneziano (le Compagnie
delle Indie), pragmatica e “spietata”, perché efficacemente orientata al
profitto anziché a miti astratti di comando e proselitismo qual era quella
degli imperi iberici, dagli olandesi direttamente sfidati ed in parte
soppiantati, dal mare del Nord agli oceani;
- Periodo britannico (fino all’inizio del Novecento),
derivante da un lungo periodo di incubazione, dopo le sconfitte (e i
conseguenti indebitamenti) dei Tudor sui fronti continentali, attraverso
l’accorta politica e la fortuna
marinara&piratesca di Elisabetta I e sir Francis Drake, con stabilità
monetaria e precoce industrializzazione, che ha portato a cavallo del periodo
napoleonico a valorizzare la posizione insulare ai margini dell’Europa e le
basi coloniali in tutto il mondo (malgrado l’indipendenza degli Stati Uniti
d’America, rimasti comunque a lungo terra di investimenti britannici) per
impostare un nuovo sistema complessivo di dominio commerciale, industriale,
finanziario e diplomatico (ed anche militare, per quanto necessario) imperniato
sulla City, il libero scambio, la conversione aurea della moneta, il Parlamento
e la collaborazione delle borghesie delle altre nazioni “liberali” (e bianche),
con una molteplicità di imprese flessibili (ed un uso strumentale e temporaneo
dei monopoli delle Compagnie),
surclassando infine i rivali olandesi (parziali finanziatori della
stessa City);
- Periodo americano, fondato sulla crescita di un enorme
mercato interno, affacciato su due oceani, e sulla organizzazione di grandi
compagnie (anche sul modello delle industrie tedesche, protette dallo Stato
bismarckiano nella vana rincorsa verso la supremazia britannica), divenute poi
transnazionali ed in grado quindi di inglobare i costi delle transazioni con
l’estero; gli U.S.A., dapprima finanziati da Londra, ne divengono finanziatori
per le immani spese britanniche nella 1^ guerra mondiale (e poi nella 2^) e
subentrano alla Gran Bretagna nel ruolo di egemonia sul “mondo libero” in
relazione alle vicende politico-militari delle suddette guerre mondiali (che li
coinvolgono senza scalfirne il territorio), della decolonizzazione e della
“guerra fredda” contro l’impero socialista-sovietico, in un quadro di liberismo
parziale (mischiato al protezionismo) e di definitivo abbandono della
convertibilità aurea della moneta.
In questa periodizzazione
Arrighi, sulla scorta di fondamentali ricerche storiche di Fernand Braudel (anche
e soprattutto sui criteri per la stessa “periodizzazione”) e di impulsi del suo
collega in ricerche socio-economiche “africane” Immanuel Wallerstein e di
Beverly Silver, nonché attingendo a numerosi studi di autori anglosassoni
contemporanei (ma non trascurando i contributi più datati di Marx, Weber,
Pirenne, Polanyi, Gramsci, ecc.) mette in evidenza:
- come ad una fase “centrale” di massimo impiego diretto
dei capitali nelle attività commerciali/produttive specifiche di ciascun ciclo
di accumulazione, segua – a partire da una prima “crisi di avvertimento”, che
ha a che fare con la “caduta tendenziale del saggio di profitto”, ovvero con la
concorrenza eccessiva e la saturazione dei mercati maturi - una fase
“autunnale” di massimo splendore “culturale” e però di turbolenza economica,
che sfocia in una elevata volatilità dei capitali, una ricorrente
“finanziarizzazione”, che di fatto finisce per favorire i poteri nascenti di
nuovi soggetti e di nuovi paradigmi politico-economico-finanziari;
- come la durata temporale dei cicli capitalistici in esame
sia andata accorciandosi e come si siano sviluppate inclusioni ed antinomie
nelle rispettive modalità organizzative (ad esempio i britannici sconfiggono
gli olandesi copiandone solo in parte i modelli, ma recuperando anche alcune
flessibilità tipiche dei genovesi, e così via);
- quanto la crisi dell’espansione post-bellica maturata
negli anni ’70, con lo shock petrolifero e la sconfitta in Vietnam, ed il
successivo rilancio neo-liberista ed iper-finanziario dell’egemonia USA
assomigli ai momenti “autunnali” dei precedenti cicli (ed in particolare alle
fasi di crisi del secondo ottocento e successivo splendore apparente della
“Belle époque”).
L’egemonia dei soggetti
vincenti di ciascun periodo non implica evidentemente un dominio assoluto sulle
altre realtà geo-politiche, che Arrighi legge come interdipendenti e connesse a
vari livelli in un unico “sistema-mondo”, anche nei secoli in cui non era
ancora così massicciamente evidente la “globalizzazione”; anzi è proprio la
capacità di volgere in proprio favore l’insieme dei rapporti sia di
subordinazione sia di scambio con le altre nazioni, comprese le potenze minori,
che conferisce un ruolo egemone ai poli di rilievo mondiale.
Arrighi non propone
assolutamente considerazioni meccaniche e deterministiche per prevedere il
futuro sulla base dell’esperienza passata, ma – limitandosi a formulare alcune
ipotesi alternative sulle tendenze in atto - fornisce strumenti di
interpretazione molto utili sul presente, con analisi molto dettagliate sui
rapporti tra economia statunitense e “tigri asiatiche” (Giappone, Corea del
Sud, Hong-Kong, Taiwan), purtroppo
limitate sul versante della Cina e sulla valutazione della ulteriore crisi
finanziaria iniziata nel 2008 a causa della prematura scomparsa dell’Autore
nell’anno 2009, data a cui risale l’epilogo del testo, impostato nelle sue
parti principali nel 1994.
Per
motivi di spazio non riassumo qui le parti più aperte, problematiche e forse
meno mature del testo di Arrighi, relative alla seconda metà del Novecento ed
all’inizio di questo secolo, che ritengo comunque molto stimolanti, soprattutto
laddove delinea un ruolo, forse subalterno e però per alcuni aspetti anche
decisivo, ai conflitti di classe ed alla “resistenza” degli sfruttati, nonché
dove intravvede tra le possibili variabili discriminanti per ulteriori cicli di
egemonia globale (in alternativa ad un altrettanto possibile caos) la capacità
di “internalizzare” nei cicli economici, dopo i costi di produzione,
commercializzazione e finanziarizzazione (quanto avvenuto dal Cinquecento ad
oggi), anche i costi di “riproduzione” non solo della forza-lavoro ma
dell’insieme umano e ambientale del mondo intero.
Alcuni
critici di sinistra hanno imputato ad Arrighi una sottovalutazione
programmatica dei conflitti sociali, in coerenza ad una sua esperienza e
visione “terzo-mondista” (ad esempio nei suoi precedenti studi sulla
proletarizzazione senza sviluppo delle periferie del mondo capitalista ed in
generale nell’assegnazione di un ruolo parziale all’industria ed ai rapporti di
produzione).
A
mio avviso lo sforzo di comprensione inter-disciplinare di Arrighi è già molto
vasto ed una attenzione di altri autori sulle lotte sociali potrebbe integrare
la sua lettura di questa storia di mezzo millennio di capitalismo,
probabilmente senza smentirla.
Come
afferma anche Mario Pianta nella prefazione al testo edito in Italia nel 2014,
indicando anche altre significative direzioni di ulteriore ricerca a partire
dalle acquisizioni ed intuizioni di Arrighi (il quale a sua volta dichiara la
voluta parzialità di questo studio, finalizzato a individuare il nodo centrale
dei cicli storici recenti, rispetto alla complessità dei fenomeni
socio-economici da lui stesso esaminati in altre ricerche).
Così
come tale lettura mi sembra conciliabile con altre ricerche da altri punti di
vista parziali, da me recentemente apprezzate, quali quelle di Luciano Gallino2,8
e di Paolo Leon 3,8 (sul finanz-capitalismo di oggi, ma senza i
precedenti storici pluri-secolari), di Thomas Piketty4,8 (sulla
accumulazione del capitale dal Settecento, ma con poca attenzione alle
dinamiche ed alle transazioni internazionali), di Paolo Prodi5,8
(sulla genesi dei mercati dal Medioevo, nella emancipazione dai poteri
religioso e politico); mi sembra inoltre un utile correttivo ai contributi
ancor più parziali (e da me meno apprezzati), ma comunque originali ed utili,
di Graeber6,8 sul debito nei secoli e di Acemoglu&Robinson7,8
sui governi “estrattivi” e la benefiche distruzioni creatrici del capitalismo.
Fonti:
1.
Giovanni
Arrighi “IL LUNGO XX SECOLO – DENARO, POTERE E LE ORIGINI DEL NOSTRO TEMPO” –
Il Saggiatore, Milano 2014
2.
Luciano
Gallino “FINANZCAPITALISMO” – Einaudi,
Torino 2008
3.
Paolo
Leon “IL CAPITALISMO E LO STATO” – Castelvecchi editore, Roma 2014
4. Thomas
Piketty “IL CAPITALE NEL XXI SECOLO” – Bompiani, Milano 2014
5. Paolo
Prodi - “SETTIMO NON RUBARE. Furto e mercato nella storia dell’Occidente”– Il
Mulino 2009 e Paolo Prodi “IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE” - Il Mulino, Bologna
2015
6. David
Graeber “DEBITO - I PRIMI 5000 ANNI” –
Il Saggiatore, Milano 2012
7.
Daron
Acemoglu e James A. Robinson - “PERCHE’ LE NAZIONI FALLISCONO - Alle origini di
potenza, prosperità, e povertà” – Il Saggiatore, Milano 2014
8.
Recensioni
sui precedenti testi in questo blog, in appositi POST e
nella pagina ULTERIORI LETTURE, e/o su “UTOPIA21” https://www.universauser.it/utopia21.html , Quaderno n°2
RECENSIONI, sul numero 5 di settembre 2018 per Prodi/”7° Non rubare” e sul
Quaderno n° 4, capitolo 3, per “Finanz-capitalismo” di Gallino
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