Semplificazioni,
semplificazioni che complicano, e qualche ulteriore favore ai soliti noti
Sommario:
-
appalti: ulteriore
rialzo delle soglie per affidamenti senza gara
-
edilizia privata: la
contorta strada per ridurre i controlli sugli interventi di demolizione e
ricostruzione
Tra
i vari Decreti-Legge assunti dal Governo (e poi convertiti in Legge dal
parlamento) sotto il segno dell’emergenza pandemica, il Decreto ‘Semplificazioni’
(ora legge n° 120 del 11-9-2020)1, a mio avviso merita un commento,
anche in relazione agli elementi di continuità/discontinuità rispetto al
Decreto ‘Sblocca-Cantieri’ del Governo Conte-1 (a maggioranza Lega+5Stelle).
Mi
limito infatti al campo Edilizia/Lavori Pubblici, di mia affezione
disciplinare, senza affrontare il complesso insieme del provvedimento, che
spazia – mi pare con lodevoli intenti - dai servizi digitali connessi alla
Pubblica Amministrazione agli impianti per l’energia rinnovabile (ed altro).
APPALTI: ULTERIORE
RIALZO DELLE SOGLIE PER AFFIDAMENTI SENZA GARA
In
materia di Appalti Pubblici, la legge 120/2020, oltre ad una serie di
snellimenti temporali e procedurali sulle Conferenze di Servizi ed altri
provvedimenti volti a prevenire il contenzioso tra Enti ed Imprese, all’art. 1 sostanzialmente
innalza da 40.000 € a 150.000 €, per i lavori, ed a 75.000 €, per le forniture
ed i servizi (compresi quelli di progettazione), la soglia entro cui è
consentito l’affidamento diretto, senza alcuna forma di gara (che nel
precedente ‘sblocca-cantieri’ era già limitata al confronto tra 3 o 5 preventivi);
mentre oltre i 150.000 € e fino alla soglia “europea” (circa 5.300.000 €)
saranno consentite gare a trattativa
privata, ma con un congruo numero di offerte.
Mi sembra doveroso
perciò ripetere – aggravato dalle suddette elevazioni quantitative - il
commento da me espresso su tale aspetto dello ‘sblocca-cantieri’ 2:
“…oltre al contenuto…
di maggiore discrezionalità, attribuita formalmente a funzionari responsabili,
dispersi in una miriade di Enti …, ma spesso di fatto ai politici locali
(quando non direttamente ai Sindaci e Assessori dei piccoli Comuni, che possono
assumere ruoli operativi) …, l’estensione degli affidamenti diretti può
alimentare una ‘palestra clientelare’, dove a farsi le ossa, accumulando
curricula e fatturati da esibire poi nelle gare ‘sopra-soglia’, sono
principalmente le imprese degli ‘amici degli assessori’, a danno dei
concorrenti sprovvisti delle opportune amicizie.”
La negatività di questa
scelta – che mi spiace sia sostenuta da un Governo meno peggiore del precedente
– è rafforzata dalla conferma implicita delle altre manomissioni al Codice
degli Appalti, disposte dallo ‘sblocca-cantieri” come norme provvisorie, per lo
più relative al biennio 2020-2021 [1],
che vanno così a combinarsi con lo sbragamento sulle soglie per le gare,
proiettandone le ombre su gran parte degli appalti che saranno resi possibili,
nel 2021, dagli attesi fondi europei del cosiddetto Recovery Fund.
Anche se in proposito,
il testo governativo delle Linee Guida per il Recovery Fund (che commento in
altro articolo di questo numero di Utopia21) promette un nuovo “regolamento
unico”, dai contorni ancora imprecisati: non si può capire se vi sia la
effettiva volontà di pervenire ad una ri-stesura organica della disciplina
degli Appalti, dopo una così intensa de-costruzione.
EDILIZIA PRIVATA: LA
CONTORTA STRADA PER RIDURRE I CONTROLLI SUGLI INTERVENTI DI DEMOLIZIONE E
RICOSTRUZIONE
Per
quanto riguarda l’Edilizia Privata il decreto ‘sblocca-cantieri’ del 2019 si
era limitato a consentire – nell’ambito della ‘ristrutturazione edilizia’ –
anche la demolizione e ricostruzione con il rispetto delle sole distanze (dai
confini e dai fabbricati) ‘legittimamente preesistenti’ (al momento della
originaria costruzione), senza adeguamento alle norme sopravvenute riguardo
alle distanze stesse.
Ora
l’articolo 10 del decreto ‘semplificazioni’1 (oltre a facilitazioni
minori, come le modifiche di facciata incluse nella ‘manutenzione
straordinaria’ e all’estensione da 90 a 180 giorni della posa di manufatti
provvisori inclusi nella ‘edilizia libera’ – cioè senza bisogno di
autorizzazioni -) ritorna sull’argomento delle demolizioni e ricostruzioni,
inserendole con fatica e parzialmente nella
stiracchiatissima categoria della ‘ristrutturazione edilizia’:
-
includendo
anche contestuali ampliamenti in altezza (ma non nei ‘centri storici’, dove
tale facoltà è ammessa solo con Piani Attuativi) [2]
-
Includendo
“gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi
sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche"
(esclusi anche qui i centri storici).
Richiamando
l’originaria e limpida dottrina della
legge 457 del 1978 sul recupero edilizio ed urbanistico (in quel contrastato decennio dei ’70, di conflitti e riforme, quando
era all’apogeo la ‘centralità del Parlamento’ e le leggi – anche sbagliate, come a mio avviso quella dell’’equo
canone’ per gli affitti – venivano mediamente scritte piuttosto bene), gli
interventi sul tessuto edilizio esistente erano classificati con una
ragionevole gradualità come segue:
-
Manutenzione
ordinaria
-
Manutenzione
straordinaria
-
Restauro
e risanamento conservativo (sdoppiato da qualche Regione)
-
Ristrutturazione
edilizia (anch’essa sdoppiata in leggera o pesante in qualche Regione)
-
Ristrutturazione
urbanistica.
Rimaneva
equiparata a ‘nuova costruzione’ la sostituzione edilizia sul singolo lotto,
tramite demolizione e ricostruzione (mal
vista dalla cultura dell’epoca; ora invece è tornato maggiormente in voga il
piccone demolitore).
La
smania di assimilare la sostituzione edilizia alla ristrutturazione cresce dopo
che i colpi di mano berlusconiani per il silenzio-assenso in materia edilizia degli
anni ’90 erano stati risistemati e riassorbiti nel Decreto Presidenziale n° 380
del 2001, “Testo unico… in materia edilizia” 3, che – con successivi
pesanti modifiche – ripartisce gli interventi edilizi in distinti canali
procedurali (distribuzione in parte modificabile dalle Regioni), ovvero:
-
l’attività
edilizia “libera”
-
la
comunicazione di inizio lavori ‘asseverata’ (da un tecnico abilitato), C.I.L.A.
-
la
segnalazione certificata di inizio attività, S.C.I.A.
-
e
(finalmente) il permesso di costruire rilasciato dal Comune (entro tempi certi,
definiti dalla legge stessa), P.D.C..
Anche
se gli interventi tramite C.I.L.A. e S.C.I.A. sono comunque assoggettati alle
medesime normative di merito, rispetto alla procedura con P.D.C., ed alla
emanazione degli eventuali pareri di altre autorità, sotto la responsabilità
dei tecnici progettisti, pare che il Legislatore sia molto affezionato, dal
2001 ad oggi, a forzare la mano verso l’alto, restringendo il campo del
Permesso di Costruire, in favore delle suddette procedure autocertificate: ciò può essere letto benevolmente (ridurre i
tempi, responsabilizzare i privati, concentrare l’attenzione degli uffici
comunali sui controlli delle auto-certificazioni), oppure un po’ meno benevolmente
(ridurre i controlli preliminari degli uffici comunali, confidando nel contempo
che i controlli ex-post non siano così frequenti né efficaci, anche per i
contestuali tagli agli organici di molti comuni…).
A mio avviso, sarebbe
stato più onesto, ma soprattutto più chiaro, e quindi meno foriero di
incertezze e contenziosi interpretativi, se il Legislatore (chiamando le cose
con il loro nome, ovvero ristrutturazione un intervento che trasforma
senza demolire, e sostituzione un intervento che demolisce/riscostruisce,
con la possibile categoria intermedia della ‘ricostruzione fedele’)
avesse avuto il coraggio di proclamare che – in nome del risparmio nel consumo
di suolo e dei benefici congiunturali – anche le ricostruzioni sono
conseguibili con S.C.I.A. (anziché Permesso di Costruire), escludendone
nettamente i centri storici e le aree vincolate per il paesaggio ed altro.
E magari unificando
C.I.L.A. e S.C.I.A. in una unica procedura, rendendo però cogenti i controlli
comunali “ex-post”, anche sulle autocertificazioni finali per l’abitabilità: ad
esempio mediante sorteggio, con quantità di controlli annuali predefinite, sia
sulla documentazione, sia sui cantieri.
Così invece la
normativa risulta molto pasticciata, perché quanto concesso modificando gli
articoli 2/bis e 3 del D.P.R. n° 380 del 2001 (come sopra da me riassunto),
viene poi in parte limitato dalle modifiche all’art. 10, relativo ai Permessi
di Costruire, perché qui si precisa che restano assoggettati a PDC gli
interventi di ristrutturazione iper-pesanti (cioè che mutano “sagoma,
prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”), qualora
comportino anche incremento volumetrico, mentre per gli immobili in aree
vincolate l’obbligo di PDC viene esteso dalle sole modifiche di sagoma anche a
quelle relative a volume e prospetti.
Non credo che sia
questo il modo migliore per avviare la auspicata “rigenerazione urbana”.
Fonti:
1.
Testo
della Legge n° 120 del 2020 - https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/07/16/178/so/24/sg/pdf
2.
Aldo
Vecchi - INDOVINA CHI VERRA’ AVVANTAGGIATO DAL DECRETO “SBLOCCA-CANTIERI” – su UTOPIA21,
luglio 2019
3.
Testo
del Decreto del Presidente delle Repubblica n° 380 del 2001 -
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/11/15/01A12340/sg
[1] “- il ritorno all’appalto diretto da
parte di piccoli comuni ed altri enti, in precedenza obbligati a ricorrere a
stazioni appaltanti più qualificate,
- il rinvio/soppressione dell’albo dei commissari di gara,
- il riemergere dell’ “appalto integrato”, in cui la gara
viene fatta su un sommario “progetto definitivo”,
- la gara al minor prezzo
- i subappalti al 40%, senza previa comunicazione dei
nominativi in sede di offerta per la gara.”
[2]
Tale cautela verso i centri
storici, introdotta per emendamento della maggioranza parlamentare, ha
sollevato gli strali del giornalista, già ‘anti-casta’, Sergio Rizzo, che vi
legge un ritorno alla burocrazia contro i giusti snellimenti in favore dei
privati (recente articolo su “la Repubblica”).
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