Sommario:
-
struttura e indice dell’enciclica
- ispirazioni e riferimenti
- al centro: la parabola del Buon Samaritano
- “le ombre di un mondo chiuso”
-
la visione
antropologica e le prospettive di riscatto
-
i diritti fondamentali:
senza frontiere
-
l’auspicio di un nuovo
ordine internazionale
-
la funzione sociale
della proprietà e la gestione dei conflitti
-
il “che fare” per i
credenti (e per gli uomini di buona volontà)
-
appelli, preghiere e
citazioni finali
-
due nodi critici: relativismo e ruolo dei non-credenti; e
una postilla ‘utopistica’
in corsivo i commenti e le annotazioni più personali
legenda: “testo enciclica” “idem con «citazioni da altre
fonti»“ ‘virgolettato mio’
STRUTTURE
ED INDICE DELL’ENCICLICA 1
(da
Wikipedia): L'enciclica
è suddivisa in otto capitoli e 287 punti; il documento si conclude con due
preghiere: una «al Creatore» e l’altra «cristiana ecumenica» per infondere «uno
spirito di fratelli».
Capitolo I - Le ombre di un mondo chiuso
Capitolo II - Un estraneo sulla strada
Capitolo III - Pensare e generare un
mondo aperto
Capitolo IV - Un cuore aperto al mondo
intero
Capitolo V - La migliore politica
Capitolo VI - Dialogo e amicizia sociale
Capitolo VII - Percorsi di un nuovo
incontro
Capitolo VIII - Le religioni al servizio
della fraternità nel mondo
In
conclusione anche l’appello congiunto con il Grande Iman Ahmad Al-Tayyeb .
ISPIRAZIONI E
RIFERIMENTI
L’Enciclica
“Fratelli tutti” di Papa Francesco, come la precedente “Laudato sì”, cui è
strettamente connessa, prende spunto dalla figura e dalle parole di Francesco
di Assisi (e pertanto da una lettura radicale del messaggio evangelico) e in
particolare dall’episodio della visita in amicizia al Sultano d’Egitto (in
tempi di crociate): Francesco d’Assisi “non faceva la guerra dialettica
imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio”.
Papa
Francesco suggerisce quasi un parallelismo con la sua recente convergenza in
Abu Dhabi con il Grande Iman (del Cairo) Ahmad Al-Tayyeb per ricordare - nella
preghiera e in un documento comuni - che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali
nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come
fratelli tra di loro» (così come il testo Laudato-sì era maturato dal dialogo
con il Patriarca ortodosso Bartolomeo).
La
nuova enciclica è orientata anche al “dialogo con tutte le persone di buona
volontà”, ma è indirizzata soprattutto ai credenti (in primis ai cristiani), per
confermare un articolato messaggio di priorità verso l’amore per gli
ultimi e verso la fratellanza universale rispetto agli altri contenuti della
dottrina e della pratica religiose; uso “confermare” perché il testo
bergogliano è intessuto – su 75 pagine – di un paio di centinaia di richiami o
citazioni di precedenti testi o discorsi dello stesso Papa, rafforzati, ove
opportuno, da citazioni di altre fonti, tra cui – oltre ovviamente alle Sacre
Scritture, soprattutto del Nuovo Testamento - :
-
Padri
della Chiesa e pochi Santi (Agostino e pochi altri);
-
precedenti
Papi, non a caso da Giovanni XXIII in poi (salvo 2 eccezioni) [A] e soprattutto gli ultimi
due predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI;
-
Conferenze
Episcopali, quasi solo extraeuropee;
- pochissimi scrittori e pensatori laici, da Virgilio e Cicerone a Paul Ricoeur al cantante Vinicius de Moraes (più qualche gesuita);
-
(il tutto più
facilmente leggibile se le note fossero a piè di pagina…)
(Dentro
al testo, nel finale, l’Enciclica richiama esplicitamente i messaggi di
Francesco d’Assisi, M.L. King, Gandhi, D. Tutu e C.de Foucauld). [B]
AL CENTRO: LA PARABOLA
DEL BUON SAMARITANO
Al
centro di tale discorso evangelico (e collocato nel Capitolo 2 “Un estraneo
sulla strada”) sta una puntuale esposizione-commento della parabola del “Buon
Samaritano”, in cui Papa Francesco sottolinea da un lato l’indifferenza verso
il ferito (vittima di banditi), che giace in strada, da parte di “un Sacerdote
e di un Levita” (cioè due figure religiose ufficiali) e d’altro lato il solerte
soccorso da parte di un “Samaritano” (cioè di uno straniero, considerato impuro
in quel territorio tra Gerico e Gerusalemme).
Avvicinando
la responsabilità omissiva dei religiosi indifferenti a quella aggressiva degli
stessi banditi, Papa Francesco cerca di smuovere le coscienze del clero e dei
fedeli, evidenziando nel resto dell’enciclica quali siano i fratelli feriti di
oggi (da chi fugge da guerre e cataclismi ai migranti economici, a quelli che
soffrono di fame ‘a casa loro’; dalle varie vittime della globalizzazione e
precarizzazione agli emarginati per ogni altra sorta di “scarto” da parte
dell’attuale assetto socioeconomico).
A
margine della parabola, il Papa osserva anche che il Samaritano, per concludere
l’intervento umanitario, si avvalse – a sue spese – del normale funzionamento
di una locanda, e ne prende spunto per intrecciare un ragionamento tra carità
diretta e carità “istituzionale”, che viene poi sviluppato nell’enciclica fino
ad esaltare la “buona politica” come strumento efficace ed insostituibile per
praticare l’amore verso il prossimo.
E
fino a fustigare esplicitamente quei cattolici che – per paura del diverso –
scelgono di appoggiare le formazioni politiche sovraniste e/o populiste con
contenuti xenofobi, razzisti e comunque di egoismo sociale.
“LE OMBRE DI UN MONDO
CHIUSO”
Il
richiamo evangelico è infatti puntualmente calato nella attualità storico-politica,
tratteggiata da Papa Francesco nel lungo primo Capitolo “Le ombre di un mondo
chiuso” (che a mio avviso merita una
lettura integrale), e poi ripresa più avanti, che tento di riassumere
schematicamente in questi termini:
-
globalizzazione
e crisi delle funzioni dei singoli stati; passi indietro nel multilateralismo
(tranne in parte l’Europa ed il Sud America), tensioni politico-militari che si
concretizzano in una “3^ guerra mondiale a pezzi”, con vittime civili e
profughi (e terrorismo ammantato di false motivazioni religiose);
-
priorità
al profitto che comprime il valore del lavoro [C][D] e genera nuove povertà e
“scarti umani” (“periferie esistenziali”), con discriminazioni verso donne,
poveri, migranti, anche con forme di schiavitù e commercio di esseri umani (o
di loro organi);
-
formazioni
politiche manipolatrici, che gestiscono una falsa razionalità economica “di
mercato” e/o alimentano odio e paure xenofobe;
-
nonché:
o
nei
paesi sviluppati: progresso materiale e decadenza etica; perdita del senso storico e ’presentismo’, individualismo consumista,
solitudine-disillusione-cinismo (con un lungo ‘zoom’ sulla comunicazione
‘social’ e sull’informazione) (ed un altro sulla Pandemia, che non è castigo,
ma “la realtà stessa che geme e si ribella”, immagine tratta da Virgilio) (e
qualche accenno alla irreligiosità e allo scarso ascolto prestato a chi non è o
divo o politico o scienziato);
o
nei
paesi poveri: colonialismo culturale (ed economico), imposto o importato per
imitazione da parte delle élites locali, con disprezzo per le culture
tradizionali; difficoltà per uno sviluppo delle potenzialità locali che
alimenta i flussi migratori.
LA VISIONE
ANTROPOLOGICA E LE PROSPETTIVE DI RISCATTO
A
fronte di tale quadro, e di una valutazione antropologica complessiva che contempla:
-
“l’inclinazione dell’essere umano a chiudersi
nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi
meschini …da che l’uomo è uomo…”ovvero “concupiscenza”, che “però è possibile
dominare …con l’aiuto di Dio” (senza la
tradizionale impalcatura – rileverei - di peccati originali, redenzioni e
salvezze)
-
che
“…la società è più della mera somma degli individui …” e che “..la parola
popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere
parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e
culturali.”… “È una categoria mitica…”
i
punti salienti dell’Enciclica sono (a mio
parere):
-
A
- una proclamazione dei diritti
fondamentali da assicurare a tutti gli uomini (su questa terra, non nel regno dei cieli, come si usava nel
cattolicesimo tradizionale),
-
B
- una visione tendenziale di
riorganizzazione della società e di un nuovo ordine mondiale, (e la messa
al bando della guerra e della pena di morte),
-
C
– un riequilibrio degli assetti
socioeconomici, con funzione sociale della proprietà, perseguibile
attraverso una realistica ‘teoria dei conflitti’,
-
D
- i compiti dei credenti (e - un po’ meno - anche degli altri uomini di buona
volontà[E]) per conseguire tali
obiettivi tramite una versione espansa
della carità, che include educazione, comunicazione, pratica sociale ed
infine “buona politica”.
Nello
sviluppo, assai dettagliato, di tali direttrici, segnalo e riassumo (spesso con parole mie) i seguenti
passaggi:
I DIRITTI FONDAMENTALI:
SENZA FRONTIERE
A
– richiamando i contenuti della Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’ONU (1948),
l’Enciclica insiste soprattutto sul concetto di “diritti senza frontiere”, per rendere effettivi tali diritti
universalmente, cioè, malgrado l’esistenza delle frontiere; da ciò:
-
la dignità di tutte le persone e di
tutte le culture, comprese quelle periferiche e ancestrali; in diversi
passi del testo si cerca di contemperare l’importanza delle identità culturali
di partenza – contro ogni astrazione di cosmopolitismo – con la positività
dell’apertura al confronto, al diverso, alla evoluzione sociale;
-
il diritto a non emigrare, bensì
allo “sviluppo integrale”, con opportunità economiche locali che oggi non sono
garantite dai mercati, per cui necessitano opportuni interventi degli stati; e
nel contempo il diritto a emigrare (finché
non saranno date tali condizioni); e verso i migranti è dovere “accogliere,
proteggere, promuovere e integrare”.
Ed
ancora il diritto al lavoro, che
conferisce dignità e fa partecipi della cura del pianeta, e non solo
all’assistenza, che è comunque necessaria nelle emergenze.
Infine,
nel condannare la pena di morte, l’Enciclica richiama anche la dignità umana
del colpevole, compreso il peggiore degli assassini.
L’AUSPICIO DI UN NUOVO
ORDINE INTERNAZIONALE
B
– l’Enciclica ritiene necessarie vigorose rettifiche al processo di
globalizzazione: proprio perché “il
mondo è di tutti”, ogni nazione è corresponsabile, ed in particolare le più
ricche devono farsi carico dei problemi di quelle più povere (ad esempio
accogliendo i migranti ed aiutando gli sviluppi endogeni, anziché sfruttarne le
risorse approfittando del sostegno di regimi corrotti); a maggior ragione sono
inaccettabili rilevanti sperequazioni tra regioni di uno stesso Stato.
La
strada da percorrere (o da rintracciare, perché si va perdendo in questi ultimi
anni) è quella degli accordi
multilaterali (e non di quelli bilaterali preferiti da Stati ed Imprese più
forti), e meglio ancora se tramite la crescita di integrazioni a scala continentale, come quella europea, ed in parte
quella sud-americana: nella direzione di “un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico” che “«incrementi
e orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti
i popoli»”
Con
obiettivi minimi ineludibili quali
la eliminazione della fame del mondo e
della tratta neo-schiavi (e soprattutto delle neo-schiave), l’orizzonte non
è quello della uniformità, bensì del pluralismo e della complementarità
(esaltando la bellezza della “biodiversità
culturale umana”: è meglio un “poliedro” che una liscia “sfera”).
“L’aiuto
reciproco tra Paesi in definitiva va a beneficio di tutti. Un Paese che
progredisce sulla base del proprio originale substrato culturale è un tesoro
per tutta l’umanità. Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o nessuno si
salva. La povertà, il degrado, le sofferenze di una zona della terra sono
un tacito terreno di coltura di problemi che alla fine toccheranno tutto il
pianeta. Se ci preoccupa l’estinzione di alcune specie, dovrebbe assillarci il
pensiero che dovunque ci sono persone e popoli che non sviluppano il loro
potenziale e la loro bellezza a causa della povertà o di altri limiti
strutturali. Perché questo finisce per impoverirci tutti.”
In
tale visione, Papa Francesco, esaltando – ancora a partire dalla carta dell’ONU
– tutte le possibilità di dialogo diplomatico (e soprattutto di dialogo umano)
e segnalando gli esiti negativi di tutti gli interventi militari (anche quando
presentati come “umanitari”), propone un definitivo superamento della teorie
della “guerra giusta”, che pure era stata sistematizzata nei catechismi
cattolici.
LA FUNZIONE SOCIALE
DELLA PROPRIETA’ E LA GESTIONE DEI CONFLITTI
C
- riprendendo il Magistero dei suoi
recenti predecessori, e soprattutto di Giovanni Paolo II [F] , Papa Francesco esplicita
con vigore il principio della funzione
sociale della proprietà, diritto che non va (più) considerato come “assoluto”, bensì “secondario”, subordinato
al concetto “dell’uso comune dei beni creati per tutti”, che “è il «primo
principio di tutto l’ordinamento etico sociale»” ed “è un diritto naturale,
originario e prioritario”.
“lo sviluppo non dev’essere orientato
all’accumulazione crescente di pochi, bensì deve assicurare «i diritti umani,
personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle nazioni e
dei popoli». Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non
può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e
neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente, poiché «chi ne possiede una
parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti».
In
questa prospettiva, le “…capacità degli
imprenditori, che sono un dono di Dio, dovrebbero essere orientate chiaramente
al progresso delle altre persone e al superamento della miseria, specialmente
attraverso la creazione di opportunità di lavoro diversificate.”
Mentre
ogni individuo deve comprendere che non è possibile esaudire ogni suo
desiderio, senza calpestare desideri e interessi degli altri.
L’Enciclica
non entra nel dettaglio delle riforme da apportare alla governance delle
imprese oppure alle politiche pubbliche di fisco e welfare, promuove invece un metodo “artigianale” per costruire la
pace sociale, non ignorando i conflitti tra i diversi interessi, ma
partendo proprio dalla consapevolezza di tali conflitti (insiti nelle attuali
ingiustizie, ma anche nelle necessarie riforme).
Papa
Francesco indica come l’egoismo sociale innesca violenza e rivolte, e sia
invece doveroso costruire nuovi assetti attraverso un dialogo in cui gli
oppressi e gli ultimi possano divenire protagonisti, con la loro dignità ed il
loro linguaggio.
Pur
elogiando la mitezza, la “gentilezza” e la capacità di ascoltare e comprendere
i punti di vista degli avversari, Papa Francesco – diffidando degli accordi
superficiali e delle “false tolleranze” – invita a sopportare i “conflitti inevitabili”, dentro i quali però occorre anche
“schierarsi”.
“Siamo
chiamati ad amare tutti, senza eccezioni, però amare un oppressore non significa
consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa
è accettabile. Al contrario, il modo buono di amarlo è cercare in vari modi di
farlo smettere di opprimere, è togliergli quel potere che non sa usare e che lo
deforma come essere umano.
Perdonare non vuol dire
permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui, o lasciare
che un criminale continui a delinquere. Chi patisce ingiustizia deve difendere con
forza i diritti suoi e della sua famiglia, proprio perché deve custodire la
dignità che gli è stata data, una dignità che Dio ama.”
(Non ho trovato nel
testo esortazioni alla applicazione letterale del motto evangelico di “porgere
l’altra guancia).
(Non mi è chiaro quanto
gli insegnamenti di Papa Francesco sulla gestione dei conflitti siano
applicabili nei confronti della guerra, quando è il nemico a minacciarla o
condurla contro di noi).
IL “CHE FARE” PER I
CREDENTI (E PER GLI UOMINI DI BUONA VOLONTA’)
D
– Per quanto riguarda più specificamente il comportamento dei volonterosi (più
o meno credenti), l’Enciclica prende le
distanze da quei “…credenti che pensano che la loro grandezza consista
nell’imporre le proprie ideologie agli altri, o nella difesa violenta della
verità, o in grandi dimostrazioni di forza.” Viceversa “…l’amore implica …
qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. Le azioni derivano da
un’unione che inclina sempre più verso
l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle
apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a
cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci
renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità
aperta a tutti.”
Fraternità
che va oltre il rispetto per la
libertà degli altri e l’equità sociale.
“La
solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto
diverse nel modo di farsi carico degli altri. Il servizio è «in gran parte, avere
cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili
nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo». … “il servizio guarda sempre il volto del
fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a
“soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. per tale ragione il servizio
non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone».
Solidarietà
… è pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti
sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. è anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la
disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione
dei diritti sociali e lavorativi. è far fronte agli effetti distruttori dell’impero
del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un
modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari».
Pertanto
nel ragionamento papale i compiti dei volonterosi si stemperano nei ruoli che
l’Enciclica assegna:
-
da un lato ai suddetti “movimenti popolari” (che sono “poeti sociali”, che
fanno politica non “verso i poveri”, ma “con i poveri” e “dei poveri”)
-
e d’altro lato alle istituzioni ed alla “buona politica” (che riconosce nel
popolo “persone” e non solo voti o individui; la politica – con tutti i rischi
del caso - può essere una “forma altissima di carità”, e “…anche nella politica
c’è spazio per amare con tenerezza”): il
che ci rimanda a quanto da me riassunto nei punti B e C.
(Ometto, per motivi di
spazio le indicazioni papali relative alla educazione, alla comunicazione,
all’informazione).
Più
specifici per i credenti mi sembrano
gli appelli alla “gentilezza” ed al
“perdono”, che è scelta auspicabile, ma personale, e mai può essere imposto, tantomeno in una forzata “riconciliazione
generale, pretendendo di chiudere le ferite per decreto o di coprire le
ingiustizie con un manto di oblio. Chi può arrogarsi il diritto di perdonare in
nome degli altri?”.
In
particolare da mai dimenticare la shoah;
ma anche hiroshima e nagasaki; e lo schiavismo“ e tanti altri fatti storici
che ci fanno vergognare di essere umani. Vanno ricordati sempre, sempre
nuovamente, senza stancarci e senza anestetizzarci.”
APPELLI, PREGHIERE E
CITAZIONI FINALI
Nel
rammarico che “al processo di globalizzazione…” manchi “…ancora il contributo
profetico e spirituale dell’unità tra tutti i cristiani”, Papa Francesco nel
finale invita alla collaborazione tra
tutte le religioni: “i credenti hanno bisogno di trovare spazi per
dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri.
Non si tratta di renderci tutti più light o di nascondere le convinzioni
proprie, alle quali siamo più legati, per poterci incontrare con altri che
pensano diversamente. […] Perché tanto più profonda, solida e ricca è
un’identità, tanto più potrà arricchire gli altri con il suo peculiare
contributo». Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per
concentrarci sull’essenziale:
l’adorazione di dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti
della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme
di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro. La verità è che
la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali,
bensì nelle loro deformazioni.”
Su
questi temi infatti l’Enciclica si conclude con il testo dell’appello
concordato con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con un rimando – come da me già anticipato in premessa - all’ispirazione
tratta da “San Francesco d’Assisi, e
anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond
Tutu [G],
il mahatma Gandhi e molti altri”, nonché da Charles de Foucauld; seguono
due originali preghiere di stampo ecumenico e fraterno.
DUE NODI CRITICI: RELATIVISMO E RUOLO DEI NON-CREDENTI; E
UNA POSTILLA “UTOPISTICA”
Con tutto il rispetto
dovuto all’autorevole Autore, mi permetto di esporre le seguenti osservazioni
(oltre a quelle spicciole sopra segnalate:
-
l’Enciclica si dichiara
esplicitamente contraria al “relativismo”, anche se in materia religiosa abbassa
di molto la soglia di esclusivismo della fede cattolica, partendo dal Concilio
Vaticano 2° (e, mi pare, anche dal Cardinal Martini): “la Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle
altre religioni, e «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni.
Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti
e quelle dottrine che […] non raramente riflettono un raggio di quella verità
che illumina tutti gli uomini» “; contro il “fissismo etico …i principi morali
fondamentali e universalmente validi possono dar luogo a diverse normative
pratiche”
Altrove, in campi più laici, afferma che “nessuno potrà
possedere tutta la verità”, ma più volte indica la “verità” (storica oppure
‘sociale’), come cardine per la costruzione degli auspicati percorsi di pace e
di coesione.
Personalmente mi trovo un po’ smarrito in questa
polarizzazione, tra apparente oggettività della “verità” e benedizione del
pluralismo, che risale al dibattito tra Socrate e i Sofisti (e poi giù giù nei
secoli fino a Maurizio Ferraris e Gianni
Vattimo) ed a mio avviso richiederebbe una precisazione (forse solo
linguistica) che non si limiti a condannare in toto il “relativismo”, salvo
applicarlo di fatto, e proprio in materia di Fede;
-
Mi lasciano perplesso
inoltre le affermazioni “Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre
di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla
fraternità. Siamo convinti che «soltanto con questa coscienza di figli che non
sono orfani si può vivere in pace fra noi». Perché «la ragione, da sola, è in
grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza
civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità»”.
Se
storicamente è vero che della triade illuminista
“libertà-uguaglianza-fraternità” quest’ultima ha avuto la peggio nel concreto
affermarsi dei regimi, sia borghesi sia socialisti, maturati dopo le
rivoluzioni francese nel 1789 e russa nel 1917 (ma anche la storia della cristianità
fino ad allora non risulta troppo evangelica, come riconosce la stessa
Enciclica, facendo autocritica per schiavismo, colonialismo e fondamentalismo),
mi pare che invece frammenti di vera fraternità si siano palesati sia nella
complessa storia del movimento operaio sia nella più recente storia delle
Organizzazioni Non-Governative e del volontariato laico (Medici-Senza-Frontiere,
Emergency, Oxfam, ecc.).
Né credo che sia impossibile fondare tale fraternità laica
su un piano strettamente teorico (vedi Bertrand Russel, Danilo Dolci, oppure un
“religioso agnostico” come Aldo Capitini).
Da ultimo, come redattore di Utopia21, prendo atto che
l’Enciclica usa raramente la parola “utopia” ed esclusivamente come sinonimo di
“desiderio socio-politico impossibile da realizzare”.
Nel frattempo invece considero il testo di Papa Francesco –
al di là della divergenza linguistica – come altamente utopico (o se si vuole
profetico), ma nel senso di quella “utopia realizzabile” di cui si occupa
questa rivista.
Fonti:
1.
Papa
Francesco 1° - LETTERA ENCICLICA “FRATELLI TUTTI” DEL SANTO PADRE FRANCESCO
SULLA FRATERNITÀ E L'AMICIZIA SOCIALE - http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html
[A]
Nicola
I (nono secolo) e Pio XI (quest’ultimo in una esaltazione del ruolo dei
politici, malgrado parlasse nel 1931, in pieno Fascismo).
[B] Il
sottotesto, ad uso del confronto esplicito o sotterraneo dentro la Chiesa
cattolica, potrebbe essere. ‘Se non l’avete ancora capito, il discorso
evangelico è questo, ed in piena continuità’.
[C] Il che, assieme alla vantata frequentazione dell’Iman del
Cairo e all’apertura alle coppie omosessuali, aumenterà probabilmente
l’impopolarità di papa Francesco in tali settori del ‘popolo cristiano’.
[D]
Su
questi aspetti si sviluppa il contributo di Mario Agostinelli, in questo stesso
“speciale” di Utopia21, novembre 2020
[E]
Riprendo
questo argomento nel mio commento, all’ultimo paragrafo
[F]
Papa
Francesco mostra un certo stupore per quanto poco sia stata compresa questa
posizione di Papa Giovanni Paolo 2°: personalmente credo che una evidente
priorità di Karol Wojtyla all’abbattimento del comunismo (sia quello reale, sia
il movimento che – ad esempio in America Latina – tentava di “abolire lo stato
delle cose presenti”) abbia distolto l’attenzione dall’elaborazione teologica
sui limiti della proprietà; ben più efficace mi sembrò quel Papa nel messaggio
di opposizione alla guerra, soprattutto USA&C. contro Irak.
[G]
Manca
invece Nelson Mandela.
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