Una rapida storia della specie umana e delle sue trasformazioni biologiche, tecnologiche e socio-politiche, che ne evidenza il contraddittorio “progresso”, con i rischi e le potenzialità aperte in questo presente e futuro. Con una post-fazione sulla Pandemia.
”Progresso”1 di Aldo Schiavone è un testo breve, scritto in modo chiaro e brillante, che – dopo aver puntualmente rievocato la “recente” parabola della stessa idea di progresso, emersa dal Rinascimento all’Illuminismo e magnificata ed infine avversata attraverso le vicende del Novecento - riepiloga l’intera storia della specie umana, dagli albori biologici (non ne ripercorro le tappe in questa recensione), e ne ricava infine la constatazione di un effettivo, duplice e contradditorio, progresso (progresso da un punto di vista esclusivamente umano, non certo di altre specie):
-
l’evoluzione,
sia genetica che culturale, che ha modificato le condizioni materiali di vita,
accelerando negli ultimi secoli e decenni fino ad una trasformazione
tecnologica sempre più rapida e pervasiva, tale da lambire artificialmente la
stessa struttura genetica, perché “siamo sul punto di staccare completamente la
vita dell’umano dalla naturalità della specie”;
-
le
faticosa rincorsa del pensiero (religioso, filosofico, politico) e delle
organizzazioni socio-politiche nel controllare, gestire e governare tali trasformazioni,
valorizzandone comunque l’intima umanissima natura di scoperte potenzialmente
utili al vivere civile.
Secondo
l’Autore, “lo scompenso che stiamo vivendo … è il rovesciamento speculare di
--- quanto accaduto nella storia
dell’antichità greco-romana, dove fu invece la tecnica a ristagnare e rimanere
indietro [1], rispetto all’esplosione …
di altri saperi” ecc.; fino a costituire un “… primato schiacciante dell’io
interiore e del legame politico … sugli aspetti materiali dell’esistenza”;
mentre “una gerarchia rigidissima di
ruoli e di funzioni … era indispensabile, nelle condizioni produttive delle
società antiche per … poter assicurare almeno ad alcune ristrette minoranze il
tempo e le risorse necessarie per lo sviluppo di una cultura superiore…”.
Il che comporta una sorta
di indiretta ‘giustificazione storica’ di schiavismo e maschilismo, perché
per Schiavone
solo il moderno livello di sviluppo delle forze produttive avrebbe determinato
le condizioni per poter immaginare (ed in parte anche praticare)
l’universalismo dei diritti.
In
questa visione, esplicitamente orientata in senso “progressista” ma non
lineare, anzi aperta a considerare la
dialettica di tutte le biforcazioni passate e presenti della evoluzione
biologica e della storia, fenomeni come il nazismo e la Shoah, oppure il
fallimento comunista, o ancora le tragiche applicazioni e le incombenti minacce
delle armi nucleari, sono considerati come temporanee sfasature e prevalenze
delle brute forze dello sviluppo tecnico, rispetto ad un umanesimo in affanno,
che comunque ha saputo circoscriverli ed in parte superarli.
Infatti
nel senso comune della stra-grande maggioranza dei contemporanei i deliri
totalitari e razzisti sono da condannare, così come soprusi largamente
condivisi in passato (colonialismo, e schiavismo), e le armi nucleari – di
fatto - non sono più state usate dopo Hiroshima e Nagasaki.
Parimenti,
secondo Schiavone, le principali problematiche di questi ultimi decenni, dalla
globalizzazione alla crisi delle democrazie, fino al rischio
climatico-ambientale (e pandemico, in una post-fazione aggiunta al testo già
pronto all’inizio del 2020), non sono ineluttabili ed insuperabili, ma
richiedono un salto di paradigma nel pensiero e nella prassi socio-politica,
paragonabile a quello – elaborato in un paio di secoli – che si rese necessario
per fronteggiare e umanizzare la “rivoluzione industriale”.
Meno convincente mi
sembra il testo
nel tentativo di delineare i contenuti di questa svolta, auspicabile, ma non
scontata: se il pensiero dell’era industriale ha variamente elaborato come
pilastri l’individuo liberale e la persona neo-cristiana (ripresi deformati nello
stesso collettivismo socialista), occorrerebbe approdare, secondo Schiavone, ad
una ”concezione impersonale”, che contempli alla radice sia l’io che il noi (un
noi universalista e non localista), l’uomo e le altre specie ed il resto della
natura: “L’economia globale, che rimane più che mai un modo dell’organizzazione
capitalistica del mondo, e dunque essa stessa una forma storica destinata prima
o poi a esaurirsi, esige, per potersi riequilibrare, di essere messa a
confronto con una soggettività altrettanto globale: che non può essere
costituita se non dall’impersonalità dell’umano nel suo complesso”.
“Un’impersonalità
che si fa soggetto … - conclude Schiavone – ma che … deve costruire la propria
soggettività soltanto per inclusione…”.
Primo
corollario postulato dall’Autore è che sul delicato fronte della manipolazione
genetica “..ogni ipotesi di modifica ereditariamente trasmissibile … possa
essere presa in considerazione solo se fruibile, in condizioni di assoluta
parità, da parte di tutto l’umano.”
Una ricerca che mi
sembra assomigli a quella di papa Francesco sulla fratellanza umana e la cura
del pianeta, oppure di Marc Auge’ verso il “planetarismo” 2,3, ed
anche all’insegnamento dei grandi non-violenti, come Gandhi, M.L. King e
Mandela (nonché l’attuale dibattito sull’etica della transizione, ben
raccontato da Fulvio Fagiani su Utopia21 di settembre 4): ma non ho
capito quanto aiuti in queste direzioni il nuovo concetto di “impersonalità”,
che di primo acchito assume un sapore di fredda terzietà, piuttosto che di
afflato fraterno.
Interessante
mi è sembrata anche la post-fazione sulla Pandemia Coronavirus, in cui
Schiavone, nel confutare la tesi secondo cui la presente pandemia deriverebbe
dall’essere “andati troppo oltre nel sottomettere la natura alla tecnica”,
rammenta che quando “la natura era intatta nella sua presunta sacralità, si
moriva come mosche … massacri accettati dal senso comune come eventi
inevitabili, ‘naturali’ “ …”l’esistenza quotidiana nelle campagne europee … era
di una durezza spaventosa, anche senza epidemie. E quando queste si scatenavano
– senza medici, senza ospedali, senza medicine, senza disinfezione, ‘senza
tecnica’ – accadeva l’inimmaginabile”.
L’Autore
non nega che “l’economia capitalistica – questa, non la tecnica in quanto tale
– possiede intrinseci tratti rapinosi e predatori, che tendono a moltiplicare
…squilibri e ferite sociali e ambientali di vastità imprevedibili”
Evidenzia
però il valore che oggi si tende a conferire ad ogni singola vita, il che ci fa
giustamente considerare insufficiente la capacità raggiunta di prevenire e
curare (pur altissima rispetto ad un recente passato, dalla Spagnola
all’Asiatica).
L’Autore
pertanto auspica una adeguata collaborazione mondiale per elevare tali livelli,
ma coglie anche il costituirsi di embrioni positivi, sia nella cooperazione
internazionale tra medici e scienziati, sia nella – seppur contraddittoria –
condivisione dei “protocolli” di comportamento da parte delle istituzioni e
delle popolazioni dei diversi paesi.
Fonti:
1.
Aldo
Schiavone – PROGRESSO – Il Mulino, Bologna 2020
2.
Marc
Augé - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE - Torino, Codice edizioni, 2017
3.
Aldo
Vecchi – UN ALTRO MONDO È POSSIBILE, PER MARC AUGÈ – SU utopia21, GENNAIO 2028
- https://drive.google.com/file/d/15pVwRQGfv1YgVwfggi8FofhkUeQZY8qx/view.
[1] Il compito è impari, perché Schiavone
proprio di storia antica è tra i sommi conoscitori, ma mi permetterei di
avanzare il dubbio che “dopo l’introduzione della metallurgia” il mondo
greco-romano NON sia entrato in una stasi tecnologica, anche se le classi
dirigenti acculturate poco se ne occupavano (per lo meno negli scritti a noi
rimasti): mi riferisco alle trasformazioni riscontrabili nell’archeologia – tra
il V secolo avanti Cristo ed il IV dopo Cristo - nel modo di costruire (ne
testimonia tra gli altri il Colosseo), di urbanizzare e colonizzare (acquedotti
e fognature; ponti e strade), di manipolare e conservare gli alimenti (vedi ad
esempio la cittadella operosa di Baelo Claudia, per produrre dal pesce
atlantico il ‘garum’ per la metropoli romana), di navigare e di commerciare (vedi la complessità delle
vestigia archeologiche di Ostia).
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