Qualche riflessione sulle
radici storiche e antropologiche del dominio dell’uomo sulla natura, sulla
secolarizzazione e sulle trasformazioni delle ideologie
Sommario:
-
dal neolitico al
predominio dell’occidente
-
consapevolezza
antropocenica e permanenza del sacro
-
una nuova razionalita’
universalista?
-
ideologie calanti e
crescenti
DAL NEOLITICO AL
PREDOMINIO DELL’OCCIDENTE
In
una recente intervista sul supplemento “Robinson” di “La Repubblica” 1,
il grande scrittore e studioso indiano Amitav Ghosh riassume il suo pensiero a
proposito della corsa sfrenata dell’uomo al consumo delle risorse del Pianeta
attribuendo grande responsabilità di innesco all’occidente colonialista
(imitato ora da paesi come Cina India e Indonesia che – dice Ghosh – “si autocolonializzano”, in particolare
riguardo alle popolazioni indigene), perché i “nativi” spesso erano estranei e
refrattari rispetto “alla cultura del desiderio”, che ora invece viene imposta
alle masse.
Anche
se come lettore ho spesso apprezzato Ghosh2 e altri autori
“anti-coloniali”, indiani e no, come Vikram Chandra3, Arundaty Roy4
e Pramoedya Ananta Toer5 (ma anche la cruda verità sul colonialismo
espressa da autori occidentali, come Jared Diamond6, oppure – ad
esempio – Ennio Flaiano7), ho qualche dubbio riguardo al circoscrivere
i guasti umani verso la biosfera in un Antropocene scaturito dalla rivoluzione
industriale dell’Occidente Illuminista.
Ne
ho già discusso su queste pagine con Fulvio Fagiani, Anna Maria Vailati e
Franck Raes, avanzando l’ipotesi che il passaggio dal paleolitico dei
cacciatori/raccoglitori al neolitico degli allevatori/coltivatori – pur non
influendo ancora pesantemente sui ‘saldi’ degli scambi biosferici (CO2 ecc.) –
abbia costituito un complesso salto di fase, di fatto irreversibile (non mi
risultano significative retrocessioni alle culture paleolitiche) verso un
assetto caratterizzato da:
-
tendenza
all’espansione, sia demografica che geografica, nel senso di superfici
coltivate o comunque sfruttate e antropizzate, e nella direzione di una
dispersione crescente degli insediamenti umani (mentre le popolazioni paleo-litiche,
se ho ben capito, pur migrando, faticavano a riprodursi e non modificavano
significativamente il proprio habitat, come d’altronde per lo più le altre
specie di primati)
-
aumento
delle differenze sociali, dalla divisione del lavoro alla accumulazione di
risorse, fino alla formazione di piramidi gerarchiche di dimensioni imperiali
(il fenomeno dell’imperialismo connota il mondo antico, in particolare dalle
‘età dei metalli’ in gran parte dei continenti, in particolare tra Medio
Oriente e Mediterraneo, tra India Cina Mongolia e Sud-Est asiatico, in
Sud-America: fasi politiche ‘non-estrattive’ e pacifiche – pur presenti, ma
minoritarie – fanno per l’appunto notizia, come segnalato da Graeber e da
Diamond); e le conquiste imperiali più poderose, nei successivi secoli, non
hanno avuto origine solo in Europa: vedi impero Persiano, espansione mussulmana
musulmana, Gengis Khan, Giappone 1930/40).
Con
le dovute eccezioni, connesse soprattutto alla sopravvivenza di culture
pre-agricole, anche i popoli colonizzati dall’Occidente nell’ultimo millennio (rammentando
le crociate prima delle grandi conquiste intercontinentali) a mio avviso hanno
conosciuto strutturalmente sia le aristocrazie estrattive e la cupidigia del
lusso come modello culturale dominante (anche se non per questo facilmente
imitabile) sia le connesse tendenze allo sfruttamento intensivo delle risorse
naturali ed alla espansione territoriale delle singole entità statuali (o
tendenzialmente tali): tendenze che corrispondono in qualche misura ad una prassi dinamica delle colture e
della storia, in contrasto con l’ideologia statica della conservazione sociale
(comunque necessaria ai regimi aristocratici) e con il tradizionalismo del
mondo contadino.
Questa
dialettica tra ‘dinamismo oggettivo’ e ‘staticità soggettiva’ merita a mio
avviso ulteriori riflessioni, per capire dove e come si collochi l’innegabile
salto in avanti dell’Occidente Predatorio, con la sua ‘industrializzazione del
dominio’ e con il mito del progresso tecnico.
Nel
testo di Aime-Favole-Remotti, che recensisco su questo stesso numero di
Utopia21, ho apprezzato il riferimento al pensiero di Simon L. Lewis e Mark A.
Maslin, secondo i quali il passaggio alla civiltà agricola fu premessa
irrevocabile per il successivo sviluppo verso l’Antropocene, materializzato con
la rivoluzione industriale dal secolo XVIII e poi con la “grande accelerazione”
di metà novecento.
CONSAPEVOLEZZA ANTROPOCENICA
E PERMANENZA DEL SACRO
Mi
sembra invece piuttosto scoperta la questione delle consapevolezza collettiva
di questa inarrestabile tendenza: se con Emanuele Severino consideriamo la
filosofia greca come matrice del Pensiero Occidentale (che separa la cultura
dalla natura, all’opposto della compenetrazione presente in altre culture, come
recentemente ricapitolato dall’antropologo Philippe Descola9,
richiamato anche nel saggio di Adriano Favole), quando e come si verifica invece
la rottura nel pensiero religioso giudaico-cristiano (ed anche separatamente,
dopo Cristo[A],
in ambito ebraico ed in ambito cristiano), che pure formalmente ha (hanno)
continuato a contemplare – ad esempio - i riposi settimanali ed una concezione
uomo/natura non sempre così ‘padronale’ (si vedano le basi teologiche
dell’enciclica “Laudato-sì”, con l’uomo custode del creato)?
Possono
venirci in aiuto forse Max Weber o Paolo Prodi6,10, Jared Diamond6
e Giovanni Arrighi10, ma la questione non è solo storica o
filologica: si tratta di capire meglio la struttura per l’appunto antropologica
della ‘secolarizzazione’[B] della società occidentale
(e quindi le radici culturali del tecno-capitalismo, che di fatto ci pervade).
Per
parte sua Papa Francesco (anche con l’enciclica Fratelli tutti) ha dato un
importante contributo, aprendo in campo cattolico una strada diversa dalla
consueta antropologia individualista del ‘peccato originale’ (e anche del
peccato come colpa puramente personale[C]), che assolveva di fatto i
popoli cristiani dalle responsabilità politiche ed ambientali, proponendo invece
– a fianco della salvezza eterna – la ricerca di una salvezza collettiva anche
su questa terra.
Ma
la positiva svolta del Papa e di una parte delle chiese cristiane non influisce
più di tanto sulla cultura dominante in occidente, che negli ultimi secoli ha
marginalizzato la religione, coltivando “nuovi miti e nuovi riti” (successo,
competizione, consumo); e sviluppando comportamenti diffusi, come ad esempio il maschilismo da bar, il familismo
clientelare, lo sciovinismo da stadio, che hanno forse radici romano-barbariche
(il miles gloriosus, il pater familias, l’onore cavalleresco) e non
giudaico-cristiane, e che sono il retroterra dell’egoismo sociale (non solo nei
ranghi sovranisti); tendenze poco consone ai principi di limite e di pausa, e
di attenzione alle altre specie viventi.
Tra
i capisaldi culturali del ‘tecno-capitalismo’ vi è indubbiamente la fiducia
acritica nella scienza e nella tecnica, che è stata scossa in parte dalla
corrente Pandemia, sia per l’impreparazione delle strutture sanitarie, sia per
i battibecchi tra epidemiologi[D] (molto meno di quanto sia
stata scosso però il suo contrario, e cioè la sfiducia complottistica e
apriorista): ma mi sembra scorretta una lettura storica meccanicista, che
identifichi lo scientismo occidentale (dal Medioevo agli ultimi cinque o sei
secoli) con i suoi frutti più malati, come la presunzione di supremazia della
razionalità dell’uomo bianco ‘civilizzatore’ e non ne veda il nesso invece con
le nuove scienze critiche che tale razionalità hanno vivisezionato e messo in
crisi, dalla sociologia (marxismo compreso) alla psicanalisi, dalle
neuroscienze alla stessa antropologia (emancipata dall’etnografia
colonialista): per non parlare delle rivoluzioni interne alle stesse ‘scienze
dure’, che ne hanno più volte ribaltato i presupposti, liberandole da
concezioni lineari e deduttive.
La
pretesa di universalità dell’illuminismo ha a mio avviso diverse facce, tra cui
due negative:
-
l’imposizione
di un modello culturale cosmopolita che ignora e disprezza le altrui culture
(ma già nel mondo antico i ‘barbari’ erano sempre gli altri, e gli altri sempre
‘barbari’)
-
l’ipocrisia
con cui spesso divorzia dalla prassi, commisurando con due pesi e due misure le
nefandezze proprie rispetto a quelle altrui
e
due facce invece positive:
-
la
curiosità scientifica verso tutto ciò che è nuovo e diverso (compresi gli
abissi della psiche, le tendenze irrazionaliste e le culture antagoniste)
-
il
fondamentale principio dell’uguaglianza dei diritti di tutti gli esseri umani
(e l’apertura verso i diritti degli altri esseri viventi).
UNA NUOVA RAZIONALITA’
UNIVERSALISTA?
La
svolta culturale che è necessaria per realizzare una seria “transizione
ecologica”, anche come cosciente limitazione dei consumi affluenti dei ceti
medio-alti, deve fare appello ad una consapevolezza dei limiti delle risorse e
della necessaria solidarietà distributiva, ma non credo sia particolarmente
utile né possibile che avvenga ripiegando su concezioni statiche e cicliche
della civiltà, ormai estranee all’uomo secolarizzato (ma anche al cristiano
Bergogliano), e comunque inadeguate alla crescita demografica tuttora in atto
in diversi continenti.
Dalla
critica alla razionalità tecno-capitalista, a partire dai suoi evidenti fallimenti,
a mio avviso si può e deve uscire con una nuova razionalità, che incorpori la
indispensabile ‘ragionevolezza’ e faccia tesoro anche delle emozioni e dei
miti.
In
questo senso è forse più utile il neo-illuminismo di Marc Augé12,13
che passa appunto per la fratellanza universale, rispetto ad una ipotesi di anti-illuminismo,
riscontrabile anche nel testo di Aime&C8.
Cioè
progettare la ‘decrescita’ come nuova forma di “progresso”, non solo
tecnologico, ma ‘umano’ (vedi anche Aldo Schiavone14,15) e non come
trionfo del ‘regresso’.
E’
un po’ quello che in parte cerca di fare l’Europa, pur con molte contraddizioni
(come ci racconta molto bene Fulvio Fagiani16,17); anche se forse
gli Europei ancora non hanno ben capito.
IDEOLOGIE
CALANTI E CRESCENTI
Infatti mi pare che stia
crescendo un divario tra le ideologie politiche presenti nei ‘mercati
elettorali’ nazionali (soprattutto in Italia) e le effettive visioni che
orientano i gruppi dirigenti a scala europea (e mondiale): divario a mio avviso
non ancora ben percepito da diversi osservatori.
Ad esempio il già citato Aime
si ferma alla lettura del declino delle ideologie tradizionali, il che mi
sembra ben si attagli al caso italiano:
-
sia per la pallidezza del PD (con riserva di
capire meglio le tendenze della segreteria Letta e dei suoi tentativi di
consultazione di massa) e l’inconsistenza di quel che resta alla sua sinistra,
-
sia per lo specifico fenomeno ‘post-ideologico’
(e assai confusionario) dei 5Stelle,
-
sia ancora per le ambiguità e contraddizioni
dello schieramento populista/sovranista del centro-destra[E].
Non mi sembra invece che sia
attualmente valido per altre realtà occidentali, dalle sinistre iberiche al
persistere (e innovarsi) delle socialdemocrazie scandinave, dagli elementi di
novità dei Democratici USA (vedi proposte di Biden sul fisco, nazionale e mondiale)
agli assetti ‘centristi’ delle forze tuttora egemoni nell’Unione Europea (cioè
Macron, Merkel, ma anche la SPD) che convergono di fatto su temi e programmi
tradizionalmente “Verdi” (anche se i Verdi Europei sono formalmente esterni
alla maggioranza politica che ha eletto Ursula Von Der Leyen alla guida della
Commissione Europea).
Sul tema delle ideologie nel contesto
contemporaneo ho letto recentemente su “Domani” anche Gianfranco Pasquino, che
ritiene tuttora valido lo schema destra/sinistra di Norberto Bobbio e non pone
attenzione alle complicazioni “Verdi”, ed un contributo più aggiornato di Nadia
Urbinati (con Carlo Invernizzi Accetti, altro professore italiano in USA) che –
nell’attribuire a Biden una rapida patente di ”socialdemocratico” (dimenticando
però che le aliquote fiscali che il nuovo Presidente USA ora propone sono da
tempo vigenti in buona parte d’Europa, o meglio nelle parti buone dell’Europa)
– colgono sì la convergenza centrista
dell’Unione Europea sui temi “Verdi”, ma classificandola come
“tecno-populista”, perché priva di una chiara tensione politica progressista: .
Secondo me si può convenire su tale
immagine sia pensando a Macron, sia all’esperimento “interinale” del governo
Draghi, ma mi sembra erroneo attribuirlo alla Merkel ed all’insieme della
“Maggioranza Ursula”, perché
-
la
prima usa lo “stato di necessità” per giustificare un duplice enorme strappo
rispetto ai canoni ordo-liberisti tipici del suo partito, e cioè il passaggio
al deficit di bilancio, e addirittura al “Debito Comune Europeo” su cui si
fonda il Next Generation EU, e l’abbandono tendenziale del dogma della
concorrenza in favore di corposi aiuti di Stato in un disegno di politica
industriale continentale: ma intanto compie tali gravosi passi;
-
la
seconda è composita e però ricca di tensioni politiche ed ideologiche che si
palesano sia nel Parlamento Europeo sia nei singoli paesi, e che probabilmente
ancor più si mostreranno proprio in Germania nelle prossime elezioni di
settembre, con l’addio al governo da parte della suddetta Angela Merkel; ed è
comunque nel contempo nettamente antagonista alle sirene sovraniste (così come
Biden è alternativo al Trumpismo).
L’affermarsi di una ideologia
euro-verde e progressista (nel senso dell’attenzione – finalmente – alle
disuguaglianze), seppure venata di tecnicismo, a mio avviso è un elemento
positivo: il rischio peggiore è che resti ‘pura ideologia’, nascondendo di
fatto le resistenze di molte forze aziendali e corporative alle trasformazioni
profonde, come hanno recentemente segnalato su "La Repubblica" sia
Carlin Petrini che Mario Calderini, con la preoccupazione che l’occasione
irripetibile della svolta climatica (ecc.) vada perduta.
Fonti:
1.
Carlo
Pizzati – GUARIREMO SALVANDO L’ANIMA DEL MONDO – su “Robinson” di “La
Rerpubblica”, 17 aprile 2021
2.
Amitav
Ghosh - MARE DI PAPAVERI - Neri Pozza - Vicenza, 2008
3.
Vikram
Chandra - TERRA ROSSA E PIOGGIA SCROSCIANTE – Instar libri - Torino, 1998
4.
Arundaty
Roy - IL DIO DELLE PICCOLE COSE – TEA - Milano, 2010
5.
Pramoedya
Ananta Toer - FIGLIO DI TUTTI I POPOLI – Il Saggiatore – Milano 2000
6.
Recensioni
su Diamond, Prodi, Graeber, in QUADERNO n° 2 di Utopia21, settembre 2018
7.
Ennio
Flaiano - TEMPO DI UCCIDERE – Longanesi - Milano, 1947
8. Marco
Aime, Adriano Favole, Francesco Remotti - IL MONDO CHE AVRETE. VIRUS,
ANTROPOCENE, RIVOLUZIONE – Utet, Torino 2020
9.
Philippe
Descola - OLTRE NATURA E CULTURA - Raffaello Cortina Editore- Milano, 2005-2021
10. Recensioni su Prodi e Arrighi in QUADERNO N° 12 di Utopia21, settembre 2019
11. Stefano Levi della Torre – DIO – Bollati Boringhieri, Milano 2020
12.
Marc
Augé - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE - Torino, Codice edizioni, 2017
13.
Aldo
Vecchi – UN ALTRO MONDO È POSSIBILE, PER MARC AUGÈ – SU UTOPIA21, gennaio 2018 - https://drive.google.com/file/d/15pVwRQGfv1YgVwfggi8FofhkUeQZY8qx/view
14.
Aldo
Schiavone – PROGRESSO – Il Mulino, Bologna 2020
15.
Aldo
Vecchi - ALDO SCHIAVONE E IL PROGRESSO – U21nov 20
[A] o meglio: dopo la cacciata degli ebrei
dalle loro terre da parte dell’Impero romano, ed i successivi secoli di
oppressione e segregazione da parte dei cristiani (e, meno, dei mussulmani),
che hanno spesso privato gli ebrei dal possesso di qualsivoglia terra; e credo
sia difficile esercitare la ‘sospensione delle colture’ se non si ha la
possibilità di coltivare, ed altri pertanto diventano i parametri del lavoro e
della ricchezza.
[B] Il tema della secolarizzazione, ma
anche delle opposte tendenze nell’ultimo secolo, è ben approfondito nel saggio
“Dio” di Stefano Levi della Torre11: mi pare di poter osservare però
che nei tempi lunghi a Occidente (ma non solo) la secolarizzazione risulti
prevalente sul ritorno al sacro.
[C] Il teorico della transizione ecologica
Grael Giraud (propugnatore in particolare della necessità di rottamare gli
enormi asset finanziari che si fondano sulle energie fossili), divenuto gesuita
dopo una carriera come consulente finanziario, svincolandosi in una recente
intervista dall’ennesima domanda sulle presunte radici gesuitiche del pensiero
economico di Mario Draghi (fondate solamente sul liceo da lui frequentato),
evidenziava invece la felice e non casuale contaminazione tra gesuiti e
francescani in Papa Bergoglio, rivendicando in particolare ai gesuiti un
‘ottimismo antropologico’ sulla capacità dell’uomo di migliorare questo mondo,
connesso ad una assenza di ostinazione dei gesuiti stessi verso la sessualità
come peccato.
Come testimonianza personale, immagino che tali tendenze
dei gesuiti siano però piuttosto recenti, perché a cavallo degli anni 50-60
rammento delle vigorose campagne di predicatori gesuiti quanto mai
sessuofobiche (ed anche anticomuniste, se è lecito introdurre una riflessione
su un’altra svolta nel tardo Novecento del pur ammirevole ordine religioso
fondato da Sant’Ignazio).
[D]
E’ pur vero che la ricerca scientifica procede nel furore della
battaglia tra le diverse scuole e attraverso la verificazione oppure
falsificazione delle ipotesi: però il divismo mediatico cui hanno accondisceso
diversi scienziati pandemici mi sembra appartenere piuttosto alla categoria
deteriore “informazione spettacolare”
[E]
Occorre forse prestare attenzione
al localismo anti-globalizzazione, che potrebbe coniugarsi con insidiose
nostalgie corporative ‘sangue e terra’, di un qualche richiamo
ecologico-sovranista (che propone una apparente riconciliazione tra uomo e
natura e tra padroni ed operai), noncurante però delle dimensioni globali dei
problemi da risolvere, dai flussi di energia e gas climalteranti ai flussi
migratori.
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