GUERRA, PACE, AMBIENTE
E NONVIOLENZA
di Aldo
Vecchi
Alcune riflessioni personali, senza pretese sistematiche, sulla guerra
scatenata in Ucraina dalla Federazione Russa
Sommario:
-
premessa
-
percezione esistenziale e quadro
geopolitico
-
il dilemma delle armi
-
le ricadute sulla
transizione, che auspicavamo ecologica, sociale e pacifista
PREMESSA
Anche
se moltissimo già è stato detto e scritto su questo conflitto, che è anche
guerra di informazione e propaganda (e quindi rende difficile districarsi nel
magma comunicativo, in cui si disperdono i contributi più autorevolmente
fondati su conoscenze geopolitiche e su competenze specialistiche militari), mi
permetto di esporre alcune mie riflessioni, tra l’esistenziale e il buon senso,
finalizzate a reinquadrare, in movimento, la prospettiva di uno spazio di
approfondimento ‘eco-sociale’ e ‘utopistico’ quale vuol essere Utopia21.
PERCEZIONE ESISTENZIALE
E QUADRO GEOPOLITICO
Dallo
scorso novembre, quando “la Repubblica” anticipò le foto satellitari americane
con ammassamento di truppe russe verso i confini ucraini, fino a metà febbraio,
quando i vertici USA denunciarono l’imminente invasione militare russa in
Ucraina, avevo ingenuamente creduto che si trattasse di esagerazioni,
finalizzate a sfuocare la memoria della ritirata degli USA e alleati
dall’Afghanistan (essendo io forse anche prevenuto dai precedenti
propagandistici, come le famose “armi di distruzione di massa” attribuite dagli
U.S.A. a Saddam Hussein nel 2003, nonché dal consueto atlantismo del direttore
di Repubblica Molinari).
Purtroppo
si trattava di una “profezia che si avvera”, ma l’avveramento mi sembra tutto
merito di Putin e del gruppo dirigente della Federazione Russa e – almeno per
questa volta – non del profeta amerikano.
Si può discettare a lungo sulle
responsabilità di lungo periodo non solo della Federazione Russa, ma anche della
NATO, degli USA, dell’Europa e della stessa Ucraina (e delle sue frange
nazionaliste). I lunghi curricula imperialisti delle principali potenze in
gioco non assolvono nessuno. Dopo la caduta del muro di Berlino si sarebbe
potuto rafforzare l’ONU, invece della NATO: e non prevaricare la volontà
dell’ONU nel 2003, invadendo unilateralmente l’Iraq (rovinosamente per altro);
più sfumate sotto il profilo giuridico mi sembrano le vicende
dell’interventismo occidentale sulla ex-Jugoslavia e in Afghanistan (quest’ultima
comunque parimenti rovinosa).
Però, pur non avendo da mostrare
granitiche certezze:
-
non
concordo affatto con i paralleli tra le umiliazioni imposte alla Germania (e
alleati) sconfitta nel 1° e nel 2° conflitto mondiale e il dissolvimento
dell’impero sovietico a fine anni ’80, dissolvimento che è stato eminentemente
politico e non guerresco (anche se la lunga contrapposizione militare può avere
indebolito l’URSS più degli USA, per le diverse dinamiche di accumulazione):
sconfitta politica in cui sono emerse libere volontà centrifughe nei paesi
ex-satelliti ed in alcune nazionalità già incluse nell’URSS;
-
malgrado
Trump (quello che piaceva a Putin…) l’impianto diplomatico del parziale disarmo
nucleare è rimasto in piedi, e nel febbraio 2021 è stato rinnovato il trattato
New Start, con la limitazione ed il reciproco controllo del numero di testate
nucleari (mentre sfugge agli accordi, da ambo le parti, la pericolosa
innovazione dei missili ipersonici, installabili su basi mobili, nonché la
corsa alla militarizzazione dello spazio);
-
In
questo quadro (in cui sarebbe più urgente limitare i suddetti vettori
ipersonici e le armi spaziali) i missili “verso Mosca” risultano posati in
Polonia, Cekia e Romania, ma NON in Lettonia-Lettonia-Lituania (dove sarebbero ancor
più vicini a Mosca che non dall’Ucraina), mentre i missili russi sono stati
dislocati anche a Kaliningrad (enclave russa tra Lituania e Polonia), e la
recente modifica costituzionale apre la strada a collocarli in Bielorussia: una
situazione complessa, che avrebbe potuto essere risolta bilateralmente
concordando un’ampia fascia de-nuclearizzata dalla Scandinavia al Mar Nero
(opzione tuttora valida, in astratto, in caso di un positivo esito negoziato
della guerra in corso);
-
al momento dell’invasione l’Ucraina
era neutrale, la Crimea già occupata dai russi, e le repubbliche separatiste
russofone del Donbass provvisoriamente tutelate dagli accordi di Minsk;
-
le
eventuali buone ragioni della Russia e degli autonomisti russofoni (ad esempio
riguardo a maltrattamenti subiti nel tempo per mano di agenti ucraini, tra
Odessa e il Donbass) potevano cercare soddisfazione nelle sedi istituzionali
internazionali e non giustificano a mio avviso una guerra di invasione, che è
il compimento del sovranismo come politica di potenza e la negazione di ogni
principio di diritto internazionale.
Ho
anche l’impressione che la mia ingenua incredulità sull’avvio dell’invasione
sia stata condivisa in molti ambiti istituzionali, politici, aziendali e
mediatici (che pure avrebbero potuto raccogliere e selezionare più adeguate
informazioni), perché di fatto la società europea nel suo insieme ha mostrato
sorpresa ed impreparazione.
Impreparazione
che – almeno per quanto mi riguarda – deriva probabilmente dall’intreccio tra
il desiderio del quieto vivere, che tende sempre ad allontanare da se gli amari
calici, e la presunzione che gli attori in campo si muovano con ‘razionalità’:
quella che a me sembra razionalità, e che evidentemente è diversa dalla
razionalità di Putin&C (oppure di Trump&C).
Sotto
il profilo soggettivo il coinvolgimento indiretto dell’Italia in una guerra di
tali dimensioni sul suolo europeo e l’immersione nel drammatico flusso
informativo sui bombardamenti e sui profughi, nonché il rischio di un conflitto
atomico mondiale, aggiungono angoscia esistenziale al pesante disagio già
determinato dalla pandemia Covid19 (che comunque perdura), peggiorando le aspettative
sulla vita restante per chi, come me, sta nella terza età e finora si era
preoccupato, tutt’al più, di ‘non morire democristiano’ (e poi berlusconiano), coltivando
a tal fine le possibili utopie (di cui riparlo più avanti).
Penso
però che il disagio esistenziale sia ancora più pesante per i più giovani, per
il solo fatto che ritorna all’ordine del giorno la guerra, che - dopo la
Jugoslavia e malgrado le incursioni terroristiche jihadiste in diverse città
europee - sembrava comunque confinata lontano da noi e al difuori delle
prospettive ordinarie, a maggior ragione dopo la sospensione del servizio
militare obbligatorio dal 2005.
Non
sapendo quanto e come la guerra durerà e quali conseguenze - anche se
circoscritta al territorio ucraino - potrà portare alle nostre vite di
cittadini occidentali (dalle restrizioni nei consumi alle criticità produttive,
fino alla disoccupazione e alla instabilità finanziaria) e agli squilibri
ambientali continentali e mondiali, abbiamo però anche la percezione mediatica
su quanto i nostri disagi, attuali e
potenziali, siano trascurabili rispetto alla radicale precarietà delle
condizioni di vita-e-morte in cui sono gettati – in varia misura – milioni di
persone, per la sola ragione di essere parte della nazione ucraina.
IL DILEMMA DELLE ARMI
Quest’ultima
considerazione, a mio avviso, dovrebbe aiutare ad orientarsi nell’accanito
dibattito che si è aperto nella sinistra italiana tra chi accetta di sostenere
la resistenza dell’Ucraina anche con l’invio di armi e chi invece sostiene la
tesi opposta: dibattito talora così accanito da far dimenticare la comune
pregiudiziale avversione alla “guerra come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”
(art. 11 della Costituzione), cioè al comportamento deliberatamente scelto
dalla Federazione Russa, sia pure
nascondendolo dietro formule propagandiste (alquanto oscene) tipo “operazione militare speciale”.
Infatti
a mio avviso il dilemma violenza/nonviolenza non andrebbe posto dal punto di
vista della purezza di coscienza dei pacifisti italiani, bensì (vedi Luigi
Manconi 1) da quello della popolazione ucraina, che ha tentato sì
anche forme di opposizione nonviolenta contro i carri armati russi (tanto encomiabili
quanto poco efficaci, a quel che si è visto nei telegiornali), ma nell’insieme,
dalle recenti scelte elettorali alla mobilitazione di massa, pare polarizzata
verso forme di resistenza armata, istituzionale e non istituzionale: come
dimostra anche il flusso dei profughi, enorme ma limitato per lo più a donne e
bambini (mentre gran parte degli anziani più poveri sembra giocoforza
rassegnata a subire l’abbandono al teatro di guerra). Personalmente ho
preferito aiutare organizzazioni non governative pacifiche, ma non mi
scandalizza l’invio di armi per la resistenza: non credo che il messaggio di
solidarietà verso gli aggrediti debba essere “arrendetevi in fretta in nome
della pace” (accettando che Putin imponga le sue ‘zone di influenza’) e
tantomeno in nome dei nostri egoistici interessi a rimanere in pace (mentre
ancora attraverso l’Ucraina fluisce il gas russo per i nostri fornelli e
caldaie, in fabbrica e in casa).
Mi
preoccupa il ritorno della retorica maschile, militarista e nazionalista, anche
nella forma nobile dei “partigiani”, perché pensavo che fosse un contesto
storico ormai superato (il che invece purtroppo non è). Ed i connessi rischi di
demonizzare ogni dissenso dal ‘ritrovato patriottismo’.
Ma
non riesco a identificarmi nemmeno nelle retoriche pacifiste astratte, tipo
-
“non si può umanizzare la guerra”; penso invece che sia bene che esistano le
varie “convenzioni di Ginevra”, e non il contrario, anche se molte opzioni, in
questi contesti drammatici, divengono ambivalenti, ad esempio i corridoi
umanitari ‘per evacuare i civili’ salvano vite umane, ma possono facilitare
distruzioni generalizzate e processi di sostituzione etnica, in cui i rifugiati
non tornano mai più nelle loro case;
-
“la guerra è sempre sbagliata”, il che è vero, però c’è modo di spiegarlo a chi
la persegue ed a chi invece la subisce: vedi anche – da una angolatura
cristiana – Vito Mancuso 2.
Mi
permetto in merito di richiamare un mio più complesso articolo sulla
Nonviolenza (e anche sulla NATO e sulle basi americane in Italia)3,
scritto in tempi non sospetti, ma comunque già un po’ agitati.
Altra
questione è invece il calcolo di quanto il rischio che il sostegno occidentale
all’Ucraina, in tutte le forme possibili, e lo stesso sviluppo delle sanzioni
economiche, possa concorrere a determinare un allargamento del conflitto: da
ciò l’estrema cautela dei paesi occidentali a fronte dell’appello ucraino per
una “no fly zone”, che impegnerebbe aerei e missili della NATO fuori dai propri
confini.
Sintetizzando
con parole mie quanto spiega Edgar Morin 4, mi pare che la reciproca
minaccia nucleare leghi le braccia ai blocchi contrapposti Nato/Russia per
quanto riguarda i colpi “sopra la cintura”, mentre “sotto la cintura” può
avvenire di tutto un po’, come dimostra la stessa invasione putiniana; e in
ambedue i livelli chi ha in casa maggiore democrazia è probabilmente meno
agile.
Francamente
quindi non so sviluppare un mio ‘calcolo di rischio’, ed ho l’impressione che
siamo in balia degli eventi, non solo noi comuni cittadini, ma forse anche
governi e stati maggiori.
Altrettanto
non so purtroppo ‘come se ne esce’ e chi possa favorire un effettivo percorso
di pacificazione. Vedo che per ora girano a vuoto tanto l’ONU quanto il Papa
(che pur con chiara condanna dell’aggressione, tiene volutamente un basso
profilo, penso ne abbia buone ragioni), e così pure gli altri mediatori
comparsi in scena (Israele, Turchia…. Cina?) e non mi convince l’idea (sostenuta
tra gli altri da Stefano Levi della Torre 5 e da Guido Viale 6)
che l’Unione Europea potrebbe fare molto di più sul piano diplomatico: l’Europa
è chiaramente parte, solidale all’Ucraina e schierata tramite le sanzioni, e
gli incontri, gli appelli e le telefonate di Macron e di Scholz mi pare che
finora siano soprattutto finora serviti a Putin come diversivi tattici [A]
LE RICADUTE SULLA
TRANSIZIONE, CHE AUSPICAVAMO ECOLOGICA, SOCIALE E PACIFISTA
Se
mi è chiaro quanto tale stato di guerra deprima emotivamente chi mirava a
migliorare le condizioni dell’umanità ed i suoi rapporti con la biosfera, su un
piano più strettamente razionale occorrerà valutare attentamente tutte le
trasformazioni che saranno indotte dal conflitto Russia/Ucraina (e più in
generale tra Est e Ovest) nelle relazioni sociali, economiche e politiche
internazionali ed interne ai singoli stati, perché gli indubbi peggioramenti
netti (morti e lesioni, distruzioni, migrazioni, inquinamenti, impoverimenti,
nonché autarchia, disinformazione, odio
e intossicazione ideologica) potrebbero anche essere affiancati da
spiragli di rilancio verso obiettivi di pace, convivenza, nuova collaborazione
internazionale e consapevolezza bio-climatica.
Ne
sono un esempio le alternative che si aprono nelle politiche europee, anche a
breve termine, ma con potenziali orizzonti strategici (che si intrecciano con
le questioni già aperte nella “conferenza sul futuro dell’Europa“ 7):
-
sull’energia,
ad esempio, riaprire le centrali a carbone oppure accelerare la transizione
alle fonti alternative (tatticamente le due soluzioni sono anche in parte
sovrapponibili: “arretrare per saltare meglio”, non importa se lo disse anche
Lenin),
-
sulle
migrazioni, superare i limiti degli accordi di Dublino, ripartendo i profughi
oltre la linea dei paesi di prima accoglienza (che tra l’altro erano i più
accaniti avversari delle ripartizioni), solo ‘una tantum’ per gli ucraini
oppure in una prospettiva più ampia, valida anche per i profughi dall’Asia e
dall’Africa,
-
sulla
difesa comune, assumere un profilo pacifista e tendenzialmente autonomo dagli
USA, oppure aggiungere spesa militare in una pura ambizione di potenza,
-
sulla
stessa governance dell’Unione Europea, galleggiare sulla difficile emergenza
oppure compiere un salto qualitativo verso una sovranità federale, con
votazioni a maggioranza nel Consiglio ed un maggior ruolo per il parlamento
democraticamente eletto.
Ancor
più ampia è la fluttuazione delle alternative a scala planetaria, proprio
mentre si è chiusa a Nairobi, con promesse di cooperazione e convergenza, la
quinta Assemblea generale del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente
(UNEP), ed invece incombono rischi di ulteriori fratture e irrigidimenti, tali
da compromettere da un lato le politiche ambientali e dall’altro la stessa ‘globalizzazione’
(ma non nel modo e nel senso auspicato dai teorici della ‘decrescita felice’).
Brutti
tempi, insomma, per gli utopisti, ma anche in realtà un maggior lavoro da
compiere, per recuperare gli arretramenti e riprogettare i percorsi verso un
futuro migliore, tenendo conto degli sconvolgimenti in atto negli ordini di
priorità personali e collettivi.
L’utopia
non deve abbandonare, bensì raddoppiare gli sforzi.
Perciò
in questo numero di Utopia21 proseguiamo ad esaminare gli argomenti che già
erano sotto la nostra attenzione, non ‘facendo finta di niente’, ma cercando
invece di capire il più possibile le nuove implicazioni e contraddizioni.
Aprendo
nel frattempo, con chi vorrà confrontarsi, anche un dibattito specifico su
PACE, GUERRA, AMBIENTE E NONVIOLENZA .
Fonti:
1.
Luigi
Manconi – LA RESISTENZA ARMATA E’ ETICA – su “La Repubblica”, 10 marzo 2022 - https://www.repubblica.it/commenti/2022/03/08/news/perche_la_resistenza_armata_e_etica-340669601/
2.
Vito
Mancuso - NO ALLA GUERRA MA LE ARMI VANNO INVIATE – su “La Stampa” del 6 marzo
2022 - https://www.lastampa.it/editoriali/lettere-e-idee/2022/03/05/news/sono_contrario_alla_guerra_ma_le_armi_vanno_inviate-2868692/
3.
Aldo
Vecchi – GUERRE, PACE, NON-VIOLENZA, UTOPIA – su Utopia21, gennaio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1hbalUTWBO-x3EaUhT4xA1MfPq1erZT8R/view?usp=sharing
4.
Edgar
Morin – IL DESTINO DI UNA GUERRA NEL CUORE DELL’EUROPA – su “La Repubblica” del
10 marzo 2022 - https://www.repubblica.it/cultura/2022/03/09/news/ucraina_il_destino_di_una_guerra_nel_cuore_delleuropa-340823118/
5.
Stefano
Levi della Torre – L’UCRAINA E LE RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA – su “Il Fatto
Quotidiano” del 15 marzo 2022 - https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/03/15/guerra-leuropa-deve-mediare-senza-la-nato-2/6526003/
6.
Guido
Viale - L’UNIONE EUROPEA RITROVI LA CAPACITÀ DI UNA MEDIAZIONE DI PACE - su “Il Manifesto” del 14 marzo 2022 - https://ilmanifesto.it/lunione-europea-ritrovi-la-capacita-di-una-mediazione-di-pace/
7.
Aldo
Vecchi – LA CONSULTAZIONE SUL FUTURO DELL’EUROPA – su Utopia21, luglio 2021 - https://drive.google.com/file/d/1Ctey-OLABoVDjzUKxt-gzSV1WOi2F9ze/view?usp=sharing
[A]
Ancor meno credo che possano
essere risolutive per una efficace mediazione singole personalità, pur
apprezzabili, come la signora Merkel: in particolare non mi pare che gli
accordi di Minks, patrocinati dalla Merkel, siano alla lunga riusciti come un
capolavoro di stabilità.
Nessun commento:
Posta un commento