IL RAPPORTO ASVIS 2022
Mentre l’Italia – e
anche l’Europa (ed il mondo) – si allontanano anziché avvicinarsi,
nell’insieme, agli Obiettivi ONU 2030, l’ASviS (Associazione per lo Sviluppo
Sostenibile) compie una (silenziosa) svolta verso una impostazione più
“statalista” delle necessarie transizioni ambientali e socio-economiche: in
controtendenza rispetto al quadro politico italiano.
Sommario:
-
Premessa: la questione
degli indicatori
-
qualche passo avanti,
ma molti all’indietro; in Europa…
-
… e peggio in Italia
-
le altre valutazioni
del rapporto 2022
-
il cambio di paradigma:
lo stato investitore
o
appendice I –
l’andamento degli indicatori negli ultimi 5 anni e quanto necessario per
raggiungere gli obiettivi 2030
o appendice II: capitolo “1.2 nuovi modelli di sviluppo per
la sostenibilità planetaria”
In corsivo i commenti più personali
In carattere Colibri 11, i brani riportati dal Rapporto ASviS.
Le parti evidenziate in
grassetto sono scelte dallo scrivente
PREMESSA : LA QUESTIONE
DEGLI INDICATORI
Mi
sembra opportuno non ritornare 1 sugli aspetti metodologici dei
Rapporti ASviS riguardo agli indicatori adottati per misurare distanze e
avvicinamenti dei “Goals 2030”, segnalando in merito – come ricavo dalla
lettura del Rapporto 2022 2 - che tale attività sarà assunta in
proprio dalla stessa Unione Europea, per quanto riguarda il raffronto tra i
dati dei 27 paesi dell’Unione, e che a scala nazionale le elaborazioni ASviS
sui Goals si intrecciano sempre più con le statistiche ufficiali dell’ISTAT (a
partire dal BES, Benessere Equo e Solidale), come è ben approfondito anche
nell’apposito incontro pubblico ISTAT/ASviS del 13 ottobre 3
(nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2022).
QUALCHE PASSO AVANTI,
MA MOLTI ALL’INDIETRO: IN EUROPA …
Il
rapporto 2022 dell’ASviS 2, registrando a pieno gli effetti della
pandemia Covid19 (già misurati in parte l’anno precedente) ed anche della
successiva rapida ripresa economica, nonché le prime avvisaglie della ulteriore
crisi indotta dalla guerra in Ucraina, segnala una situazione complessa, in cui
però gli arretramenti (in aggiunta ai risultati “stazionari”) prevalgono sugli
avanzamenti verso gli obiettivi per il 2030:
“Se si guardano i dati di
lungo periodo (2010-2020), l’Unione
europea mostra segni di miglioramento per undici Goal (2, 3, 4, 5, 7, 8, 9, 11,
12, 13, e 16), di peggioramento per tre (Goal 10, 15 e 17) e di sostanziale
stabilità per due (Goal 1 e 6). Nel
breve periodo (2019-2020) tuttavia, anche a causa della pandemia, si ha un
complessivo rallentamento: i Goal che mantengono un andamento positivo tra il
2019 e il 2020 sono soltanto tre (7, 12 e 13), quelli con un andamento negativo
sono quattro (Goal 1, 3, 10 e 17) e quelli con un andamento stazionario sono
sei (Goal 2, 4, 5, 8, 9 e 16). In questo quadro, l’Italia
è al di sotto della media UE per nove Goal
(1, 4, 6, 8, 9, 10, 11, 16 e 17), uguale per cinque Goal (3, 5, 7, 13, 15) e al
di sopra soltanto per due Goal (2 e 12).
Tra il 2010 e il 2021 si
registrano miglioramenti per otto SDGs: alimentazione e agricoltura sostenibile
(Goal 2), salute (Goal 3), educazione (Goal 4), uguaglianza di genere (Goal 5),
sistema energetico (Goal 7), innovazione (Goal 9), consumo e produzione
responsabili (Goal 12), lotta al cambiamento climatico (Goal 13). Si evidenzia
un peggioramento complessivo per cinque SDGs: povertà (Goal 1), acqua (Goal 6),
ecosistema terrestre (Goal 15), istituzioni solide (Goal 16) e cooperazione
internazionale (Goal 17). Mentre rimane sostanzialmente invariata la situazione
per quattro SDGs: condizione economica e occupazionale (Goal 8), disuguaglianze
(Goal 10), città e comunità sostenibili (Goal 11) e tutela degli ecosistemi
marini (Goal 14). Rispetto alla
condizione pre-pandemia invece, nel 2021 l’Italia mostra miglioramenti soltanto per
due Goal (Goal 7 e 8), mentre per altri due (Goal 2 e 13) viene confermato il
livello del 2019. Per tutti i restanti SDGs (Goal 1, 3, 4, 5, 6, 9, 10, 15, 16
e 17) il livello registrato nel 2021 è ancora al di sotto di quello del 2019, a
conferma che il Paese non ha ancora superato gli effetti negativi causati dalla
crisi pandemica.”
… E PEGGIO IN ITALIA
La
pesantezza della situazione italiana è riepilogata dal Rapporto 2
con i seguenti 4 grafici di nuova concezione, a forma di freccia e dedicati
ognuno ad un raggruppamento di obiettivi (ambientali, economici, istituzionali,
sociali), grafici che riproduco in APPENDICE I con le correlate avvertenze:
Tali
grafici sono la risultante sintetica, riportata anche nell’”Executive Summary”,
rispetto alle elaborazioni analitiche del Rapporto, che si sviluppano, per
quanto riguarda l’Italia, nel capitolo finale (n° 5), da pag. 83 a pag. 220, ed
a cui rimando integralmente, senza ulteriori estratti in questa sede.
LE ALTRE VALUTAZIONI
DEL RAPPORTO 2022
Il
Rapporto 2 comprende anche, ai capitoli 2, 3 e 4, un puntuale e
articolato racconto (e rendiconto):
-
delle
crisi internazionali e delle defatiganti trattative comunque in corso
nell’ambito dell’ONU, dalle specifiche COP (clima – desertificazione –
biodiversità) all’HLPF (il
forum politico di alto livello sullo sviluppo sostenibile),
-
delle
laboriose attività dell’Unione Europea (soprattutto al livello della
Commissione ed a quello del Parlamento) per monitorare i ritardi verso gli
obiettivi ONU 2030 (tenendo anche conto del ‘combinato disposto’ degli effetti
cumulativi intersettoriali) e per tentare di accelerare in molti campi la
risposta istituzionale,
-
del
riassetto istituzionale avviato in Italia (anche su impulso dell’ASviS e
comunque intrecciandosi con le sue iniziative, in parte in collaborazione con
il CNEL), dalla modifica costituzionale sull’ambiente alla implementazione del
PNRR, dagli inizi del Piano di Transizione Ecologica all’entrata in funzione
del CIPESS (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo
Sviluppo Sostenibile);
-
delle
conseguenti proposte dell’ASviS, condensate nel decalogo pre-elettorale (che ho riportato nel mio articolo sui
programmi elettorali per il 25 settembre).
IL CAMBIO DI PARADIGMA:
LO STATO INVESTITORE
Ma il cuore del
documento,
in sintonia con il riepilogo dei contributi dell’IPCC (Gruppo intergovernativo
di esperti sul cambiamento climatico) ed anche dell’HLAB dell’ONU (Comitato
consultivo dell’ONU sul multilateralismo, che nelle su riflessioni si proietta
anche oltre l’orizzonte del 2030) in materia di confini planetari delle
risorse, crisi climatico-ambientale e suoi possibili salti di qualità (“tipping
point”) – tutti temi ben noti ai lettori
di Utopia21 attraverso gli articoli di Fulvio Fagiani 4 – è la valutazione che i ritardi verso gli
obiettivi (a partire dal culmine termico di +1,5°) non devono portare ad un
rinvio del traguardo temporale, bensì ad una intensificazione ed accelerazione
degli strumenti per conseguirli.
In questo ambito il
Rapporto ASviS, nel delineare in efficace sintesi l’evoluzione geo-politica in
relazione al modello di sviluppo capitalistico negli ultimi decenni ed i nodi
attualmente irrisolti (citando Piketty), propone un cambio di paradigma,
passando dal tradizionale auspicio di una evoluzione di mercato verso
governance aziendali più sensibili all’ambiente ed alla società, ad una ipotesi
di forte intervento degli Stati come “investitori di prima istanza” e registi
di missioni strategiche, in cui indirizzare e coinvolgere i soggetti privati (orientamento più vicino a Thomas Piketty, Fabrizio Barca e
Mariana Mazzucato, che non all’intero arco dei programmi politici dei partiti
italiani rappresentati in Parlamento, con l’eccezione forse di Sinistra
Italiana); forse però sopravvalutando il PNRR come esempio in tale
direzione.
Ritengo
opportuno pertanto, in APPENDICE 2, riprodurre per intero dal Rapporto ASviS
2022 il capitolo “1.2 Nuovi modelli di sviluppo per la sostenibilità planetaria”,
limitandomi in esso ad evidenziare in grassetto i passaggi che mi sembrano più
significativi (e che l’ASviS in realtà
non sta ancora sbandierando nelle sue ordinarie comunicazioni).
da pag.5 -
. APPENDICE I – L’ANDAMENTO DEGLI INDICATORI NEGLI ULTIMI 5 ANNI E QUANTO
NECESSARIO PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI 2030
da pag. 9 - APPENDICE
II: CAPITOLO “1.2 NUOVI MODELLI DI SVILUPPO PER LA SOSTENIBILITÀ PLANETARIA”
Fonti:
1.
Aldo
Vecchi - I RAPPORTI ASVIS 2020 E I TERRITORI – su Utopia21, maggio 2021 - https://drive.google.com/file/d/1ah-wVbDE_u-1DBMIet-ouSfLvoZnCB6-/view?usp=sharing
2.
https://asvis.it/rapporto-asvis-2022/
3.
https://www.youtube.com/watch?v=5UotqqQOwr8
4.
Fulvio
Fagiani - IL SESTO RAPPORTO DELL’IPCC – Quaderno n° 34 di UTOPIA21, settembre
2022
APPENDICE
I – L’ANDAMENTO DEGLI INDICATORI NEGLI ULTIMI 5 ANNI E QUANTO NECESSARIO PER
RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI 2030
Nei grafici riportati si analizza il rapporto tra l’andamento degli ultimi cinque anni e quello necessario per
raggiungere l’obiettivo, in particolare:
1. Progresso significativo: il suo trend, se
mantenuto nel futuro, garantisce il raggiungimento (in 6 casi su 30); 2.
Progresso moderato: si sta andando nella giusta direzione ma con una velocità
insufficiente (in 2 casi su 30);
3. Progresso insufficiente: di fatto la situazione
risulta statica (in 14 casi su 30);
4. Peggioramento: ci si sta allontanando (in 8 casi
su 30).
In 3 casi su 33 non è disponibile il trend di breve
periodo.
Relativamente
agli obiettivi quantitativi a prevalente dimensione ambientale, negli ultimi
cinque anni si segnalano andamenti poco rassicuranti. Solamente l’obiettivo relativo alle coltivazioni biologiche mostra
progressi significativi. Sette obiettivi sperimentano progressi ancora
insufficienti, mentre per tre obiettivi si assiste a un peggioramento.
(A causa della mancanza di dati, i Goal 11 e 12
sono analizzati fino al 2020 e il Goal 14 fino al 2019).
Differente la situazione relativa agli obiettivi
quantitativi a prevalente dimensione economica. Su sei obiettivi, due mostrano
progressi significativi nel breve periodo, due progressi insufficienti e due un
significativo peggioramento.
Per quanto riguarda la sfera istituzionale due
obiettivi quantitativi mostrano progressi insufficienti nel breve periodo,
mentre l’eliminazione del sovraffollamento nelle
carceri mostra progressi moderati, in parte dovuti alle iniziative prese in
relazione alla crisi pandemica.
Gli obiettivi a prevalente dimensione sociale mostrano
una situazione eterogenea. Su dieci obiettivi, tre presentano progressi
significativi, uno sperimenta progressi moderati, tre progressi insufficienti e
altri tre registrano un peggioramento complessivo. Tra questi si segnala la
disuguaglianza di reddito, aumentata negli ultimi anni.
APPENDICE II:
CAPITOLO “1.2 NUOVI MODELLI DI SVILUPPO PER LA SOSTENIBILITÀ PLANETARIA”
“Uno sviluppo ineguale delle economie e delle
società ha segnato il cammino del mondo dopo l’Earth Summit di Rio del 1992.
Era allora appena crollata l’Unione Sovietica, lasciando libero il campo al
modello di sviluppo occidentale, basato sull’economia di mercato e su reti
multilaterali di sicurezza degli scambi e dei commerci (WTO, etc.). La guerra fredda si era conclusa non perché
i problemi del capitalismo fossero stati risolti, ma perché il “socialismo
reale” aveva fallito. Le differenze di reddito delle persone nei Paesi
ricchi si sono ridotte a cavallo delle due guerre e i sistemi di welfare sono
diventati sempre più generosi. Ma già da
prima della fine dell’Unione Sovietica le aliquote fiscali per gli alti redditi
sono state ridotte, i sindacati sono stati indeboliti e i divari dei redditi
sono esplosi all’interno dei Paesi e tra di essi. A Rio si dava per
scontato che la ricchezza occidentale sarebbe stata condivisa con il gruppo di
Paesi in via di sviluppo (PVS), tanto che alcuni principi e le stesse
Convenzioni, tra cui quella climatica, esentarono i PVS da ogni obbligo
ambientale nel nome delle responsabilità condivise ma differenziate. Aumentò poi la globalizzazione dei mercati
che apportò benefici, ma fece crescere ancora le diseguaglianze, con i prezzi
delle materie prime dei PVS imposti dai mercati a vantaggio dei più forti e
soprattutto con la mercificazione del lavoro e la delocalizzazione delle
imprese.
Sono impressionanti le cifre delle disuguaglianze
di reddito, cui vanno aggiunte le diseguaglianze di genere, dei diritti e
dell’accesso alle risorse. Dal 1995,
all’1% più ricco delle persone è andata una quota dell’aumento della ricchezza
globale 20 volte superiore alla metà più povera della popolazione umana.
Otto uomini ora possiedono la stessa quantità di ricchezza dei 3,6 miliardi di
persone più povere del mondo. Per
giunta, questo sistema non sa evitare gravi crisi ricorrenti né prevenire le
crisi sanitarie o difendere la pace.
Il quadro
geopolitico mondiale è in evoluzione continua. L’occidente ha di nuovo
competitori sul terreno, per effetto del deficit delle politiche globali che
anziché integrazione hanno generato competizione e conflitti armati. Nuove
realtà multinazionali sono cresciute autorevolmente. La Cina, anzitutto, guida
indiscussa e interessata di molti PVS, è ora alla pari degli occidentali su
molti indicatori, emissioni e inquinamento compresi. L’Africa, l’America Latina
e il Medio Oriente non sembrano più disposti a cedere le loro materie prime a
prezzi favorevoli alle economie avanzate. Per
ultima, la Russia tra i maggiori esportatori di gas e del petrolio al mondo,
cerca di riaffermarsi come potenza imperialista e di ottenere una rivincita con
metodi quantomeno premoderni, nonostante le dimensioni esigue del proprio Prodotto
Interno Lordo (PIL). In queste nuove realtà emergenti la democrazia è
costantemente erosa, anche per il fallimento disastroso dei tentativi di esportare
la democrazia con le armi.
La trasformazione del quadro mondiale si legge nei
passaggi del negoziato mondiale sull’ambiente e lo sviluppo. Nel 2012, a
Rio+20, Europa e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP)
avanzarono il modello della green economy. Per interessi speculari bloccarono
il tentativo la Cina, indisponibile a modelli di sviluppo alloctoni, e gli
Stati Uniti, sostanzialmente nemici di quel tipo di istanze green. Lo sviluppo
sostenibile fu portato ai livelli più alti delle Nazioni Unite, investendo
l’Assemblea Generale e il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC)
e in tre anni di faticosi negoziati si pervenne con l’Agenda 2030 e l’Accordo
di Parigi (2015) a una nuova modalità di governance, non più basata sul
“Command and Control”, top-down, ma sull’adesione volontaria e proattiva,
bottom-up, dei diversi Paesi agli Obiettivi degli SDG e di Parigi, al cui
storico Accordo i Paesi accedono attraverso degli NDCs, Contributi Determinati
a Livello Nazionale.
Anche
l’Europa è passata dalle affermazioni di principio di una green economy
universale al Green Deal, un patto interno stringente per obiettivi, che mette
al centro la decarbonizzazione dell’economia entro il 2050 con un severo
milestone al 2030, l’economia circolare e la protezione della natura, in un
quadro sociale dichiaratamente inclusivo. Tuttavia, nonostante l’economia di mercato vada verso il green, le
istanze di abbattimento delle diseguaglianze non sono adeguatamente ascoltate e
la forbice con la sostenibilità si allarga.
Come trovare
un modello di sviluppo sostenibile? Il quadro del negoziato multilaterale
deve essere salvaguardato e rafforzato. In occidente il riconoscimento delle
attuali insufficienze è ormai largamente condiviso e da molte parti si parla di
nuovo capitalismo. Nessuna teoria sembra
però capace di superare il muro di Thomas Piketty espresso dalla famosa formula
“r>g”, dove il tasso di rendimento del capitale “r” supera anche più di
cinque volte i tassi di crescita economica “g” da cui dipendono i redditi della
maggior parte delle persone. I dati storici inducono a pensare che tale è
la condizione definitiva del capitalismo, salvo che nei periodi delle
ricostruzioni postbelliche del secolo scorso, quando il capitale finanziario fu
giocoforza al minimo e la rendita con esso. Le disuguaglianze creano una
gerarchia e determinano le distanze sociali. Invece di incoraggiare lo spirito
pubblico, la coesione e la fiducia che possono fiorire in una comunità di quasi
uguali, grandi differenze materiali esacerbano le discriminazioni all’interno
dei Paesi e tra Paesi poveri e ricchi. La
struttura sociale si ossifica e la mobilità sociale diminuisce. In breve, le
disuguaglianze creano una condizione di blocco dello sviluppo e, perfino, dei
processi democratici, come ad esempio osserviamo da anni con affluenze
elettorali in calo.
Vediamo
aumentare nel mondo l’ostilità politica verso i Paesi ad alto reddito,
responsabili maggiori delle crisi economiche e ambientali. Quello che sta
avvenendo è uno spostamento di prestigio e influenza tra le comunità maggiori,
dagli Stati Uniti, da trent’anni egemone indiscusso ma indebolito da crisi
economiche, guerre avventate e dissidi politici interni, alla Cina, che non
cessa di ricordare al mondo le proprie limitate responsabilità storiche per le
emissioni di anidride carbonica, la schiavitù e il colonialismo. La aspirazione
egemonica cinese incontra però ostacoli causati da un sistema autocratico di
governo, crimini umani perpetrati contro parti della propria popolazione, una
politica estera sempre più aggressiva e un continuo aumento del proprio
contributo al cambiamento climatico.
Per limitare
la crescente influenza del socialismo autoritario della Cina, il mondo occidentale
deve profondamente innovare il proprio modello capitalista, evolvendolo verso
un sistema di mercato partecipativo, postcoloniale e solidale verso i Paesi a
reddito medio e basso, in grado di rispondere efficacemente alla crisi
ambientale. I due poli sociali e geopolitici dominanti devono cioè avvicinarsi,
non arroccandosi invece su contrapposizioni economiche e militari, come sembra
si stiano apprestando a fare. L’Agenda 2030 può essere la guida di questo
avvicinamento. Essa indica Obiettivi che si devono tradurre a livello dei
governi in altrettante missioni. Una missione deve essere ambiziosa, chiara nel
proposito di migliorare la qualità della vita delle persone e avere un’ampia
risonanza sociale. I suoi obiettivi devono essere concreti, misurabili e
delimitati nel tempo, come la decarbonizzazione del Green Deal europeo.
Qui viene al
punto il nuovo ruolo per le amministrazioni pubbliche, che non deve più essere
solo quello di ridurre i rischi per il capitale privato, ma essere
l’investitore di prima istanza e non di ultima, capace di attirare investimenti
privati aumentando l’effetto moltiplicatore e orientando le istituzioni
finanziarie. Come stiamo sperimentando in Italia in queste prime fasi del
Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), perché ciò sia possibile
abbiamo bisogno di potenziare di molto la capacitazione del settore pubblico,
superando l’esternalizzazione della guida e del monitoraggio dei progetti a
società private o a consulenti professionali. Qui sta la chiave del nuovo rapporto tra pubblico e privato. Il
pubblico definisce le missioni in nome del bene comune, le struttura e le
finanzia per la sua parte, il privato co-investe e coopera al raggiungimento
degli obiettivi, oltre la responsabilità sociale d’impresa, la beneficenza o
l’allargamento della platea degli stakeholder, ma come ramo determinante della
catena del valore della missione dove si produce ricchezza in maniera più equa,
perseguendo allo stesso tempo gli obiettivi della società. Non si tratta di
far entrare i governi tra gli azionisti delle società, e quindi nelle loro
logiche privatistiche. Si tratta invece
di arruolare il sistema industriale nelle missioni pubbliche, finanziare, usare
le leve fiscali e sistemi di monitoraggio severi e capaci di valutare le
performance di ogni attore e quindi anche di sostituire i manager che non hanno
raggiunto gli obiettivi assegnati.”
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