Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi:
DOPO 30 ANNI DI FRATTURE SOCIALI E POLITICHE, A SINISTRA; CHE FARE?
Per commentare l’esito del confronto elettorale dello scorso 25 settembre (pur nella consapevolezza di ricadere su argomenti già molto battuti), premettiamo di non demonizzare la legge elettorale vigente, cosiddetto Rosatellum, che ha indubbiamente molti difetti (liste bloccate, pluricandidature, impossibilità di voti disgiunti, ecc.), però a nostro avviso distorce ma non troppo la rappresentanza, in favore delle maggioranze relative, consentendo loro la conquista della maggioranza dei seggi, e quindi la possibilità di formare governi potenzialmente stabili.
Non
abbiamo nessuna nostalgia verso il “proporzionale puro” (e conseguenti
coalizioni eterogenee ed occasionali). Preferiremmo una forma di maggioritario
a doppio turno (vedi elezioni comunali, vedi Francia), che responsabilizzerebbe
più chiaramente gli elettori sulla scelta finale del governo, ma con il rischio
di abbassare ulteriormente, nel secondo turno, la partecipazione al voto: il problema
della scarsa partecipazione già si è rivelato grave nelle ultime tornate
elettorali, scendendo al 60% (e anche meno per alcune regionali e comunali).
Il che
tra l’altro, ferma restante la legittimità formale dell’attuale maggioranza di
destra, ne limita alquanto la rappresentatività “degli italiani” ovvero “della
nazione”, perché solo il 27% degli aventi diritto al voto si è espresso per la
coalizione di destra (e solo il 17% per il suo maggiore partito, Fratelli
d’Italia): pertanto il 73% degli elettori NON ha votato per questa coalizione
(che in qualche misura si troverà costretta a farci conto, anche in termini di
tenuta sociale).
Per
ragionare sul chiaro esito elettorale e sulle fratture nello spazio politico
esterno alla destra, riteniamo che occorra risalire agli anni ’90, con la fine
della cosiddetta “Prima Repubblica”.
Constatando,
innanzitutto, che – pur nel succedersi di tre diverse leggi elettorali:
Mattarellum, Porcellum, Rosatellum, tutte con rilevanti componenti
maggioritarie – la destra e il centro-destra, quando uniti, non hanno quasi mai
perso il confronto elettorale per il Parlamento, fino all’esplosione del
fenomeno 5Stelle (2013 e 2018), ora assai sgonfiato. Infatti con la guida di
Berlusconi hanno vinto nel 1994, 2001, 2008 ed ora con Meloni nel 2022 (mai
comunque superando il 50% dei voti validi): l’unica quasi-eccezione è il 2006,
quando Prodi vinse di stretta misura, con la coalizione di centro-sinistra più
estesa possibile, ed anzi impossibile, da Bertinotti a Mastella (più figure
come il senatore Sergio De Gregorio[A]); coalizione che infatti
nel giro di due anni perse i pezzi, dai vari De Gregorio agli stessi Mastella e
Bertinotti. (Nel 1996 Prodi e Bertinotti, uniti solo con la “desistenza” nei
collegi, sconfissero Berlusconi solo perché quest’ultimo era separato dalla Lega
Nord di Bossi).
Il
problema costante negli ultimi 30 anni, quindi, è la frammentazione del
potenziale “campo largo” del centro e della sinistra, con la variabile,
inizialmente indipendente, del MoVimento 5Stelle: frammentazione che è sociale,
ancor prima che politica.
Iniziando
dalla politica, ci sembra che la matrice prima delle divisioni stesse nella
contrapposizione tra il raggruppamento prodiano dell’Ulivo e Rifondazione
Comunista, già latente nel suddetto accordo di desistenza del 1996 e precipitata
con la sfiducia di Bertinotti a Prodi nel 1998: da una parte il riformismo
dell’Ulivo, exPCI+exDC+exVari+intellettuali&managerProdiani, immerso
nell’ottimismo interclassista della “terza via” di Clinton e Blair,
culturalmente subalterno all’onda neo-liberista e alla connessa globalizzazione
seguita alla caduta dell’URSS ed allo scongelamento della Cina: molto “ceto
politico” e però una chiara contrapposizione verso l’affarismo
plutocratico-televisivo e populista di Berlusconi;
- dall’altra parte la lucida visione di
Bertinotti sulle trasformazioni neo-monopoliste e finanziarie del capitalismo
multinazionale e del suo impatto distruttivo sulle condizioni dei lavoratori e
del pianeta; e però l’incapacità di cogliere sia le nuove contraddizioni “in seno
al popolo” (a partire dalla reazione xenofoba verso gli immigrati) sia le forme
specifiche della nuova destra nascente, localista/sovranista e
“monarco-populista”, che dall’archetipo italiano di Berlusconi si è poi
manifestata in Trump, Bolsonaro (ed in modi diversi in Boris Johnson e Viktor Orban);
non senza somiglianze con Erdogan e lo stesso Putin...
Se il
PD è l’erede diretto della stagione Ulivista, con l’aggravante di essersi
fondato rilanciando quei contenuti ecumenici ed interclassisti (il “ma anche”
di Walter Veltroni) nel 2007, proprio alla vigilia della crisi finanziaria del
2008, cui sono seguite altre e diverse crisi (debiti sovrani dal 2011, pandemia
Covid 19 dal 2019, guerra in Ucraina dal 2022), tutte inconciliabili con quella
visione conciliatoria (forse servirebbe finalmente una “teoria dei conflitti”),
l’eredità di Bertinotti si è invece dispersa (in parte per esplicita volontà
testamentaria…) in diversi rivoli improduttivi e vani tentativi di rinascita
(lista Tsipras, lista Arcobaleno, Unione Popolare), per lo più accomunati dall’ossessione
del PD come “nuova destra”, interna al sistema di potere capitalistico e
sostanzialmente non distinguibile dalla restante destra: una involuzione
dell’iniziale teoria delle “due sinistre” verso il “social-fascismo” di
staliniana memoria.
Come
misura dell’esito attuale di tale atteggiamento, riproduciamo in nota [B] un “post” di Domenico
Finiguerra – ambientalista proveniente alle origini dai Democratici di Sinistra
ed approdato infine in Unione Popolare – che snocciolando critiche (anche
meritate) al PD giunge alla conclusione (a nostro avviso aberrante), che non vi
sia differenza tra il PD e la ‘vera’ destra, i cui effettivi caratteri stiamo invece
tutti cominciando a misurare contemplando il governo Meloni: a partire, come
assaggio, limitato all’economia, dall’innalzamento dei limiti al contante,
dalla promessa di condoni fiscali e dalla estensione della flat tax per le partite
IVA fino a 100.000 €
Mentre
secondo noi è fondamentale capire la differenza tra chi, come il PD, nel bene e
nel male, ricerca le soluzioni dei problemi nel collettivo inteso come corpi intermedi (sindacati e associazioni) e
come istituzioni, tendenzialmente universali (Stato italiano, Unione Europea,
ONU…), e chi invece – la vera destra, seppur ancora sfaccettata in diverse
sfumature (che andrebbero meglio studiate) - si racconta come “Nazione”, ovvero leader e popolo
(famiglie, imprese), ben saldi nei rispettivi interessi privati, ma uniti
contro “gli altri” (in un immaginario torneo tra “Nazioni”, etnie, religioni).
La
questione non sta nei (pochi) voti raccolti da UP, ma nella diffusione di questo
comune sentire in una vasta area di elettori, tra gli astenuti e tra gli elettori
confluiti da sinistra verso i 5stelle (e presente anche nei nuovi movimenti,
come in parte dei Fridays For Future) e nella separazione tra il PD e tale area
sentimentale, frattura che sta prima e sopra ai mancati accordi tra Letta e
Conte e – indebolendo il perno riformista - incoraggia le schegge opportuniste
del “Terzo Polo” di Renzi e Calenda.
Tra
l’inizio e la provvisoria fine di questa vicenda sono passati tre decenni, con
un sostanziale ricambio generazionale, gli anziani degli anni ’90 ci hanno
lasciato, i lavoratori sono divenuti pensionati, i loro figli sono rimasti a
mezz’aria nel guasto degli “ascensori sociali” (e faticheranno a divenire
pensionati), i nuovi giovani non sanno più molto degli antichi cicli di lotte;
mentre finanziarizzazione, globalizzazione (ed ora nuove guerre e de-globalizzazione),
digitalizzazione, comunicazione “social” e crisi ambientali (e sanitarie) hanno
cambiato l’Italia ed il mondo, aumentando le disuguaglianze all’interno dei
paesi industrializzati (e con più complessi effetti a scala internazionale), ma
nel contempo frammentando le condizioni sociali dei ceti subalterni,
difficilmente riconducibili a omogenei “interessi di classe”.
Tuttavia
ci pare significativo che i perimetri fondamentali del consenso politico
assomiglino ancora a quelli iniziali, sia in termini geografici (tra regioni, tra
centri e periferie), sia in termini sociali (il centro-destra aveva sfondato tra
i ceti subalterni fin da subito negli anni ’90, andando anche oltre le tradizionali
basi popolari della DC, ed anzi pescando pure tra operai già comunisti e
socialisti), con il risultato di un sostanziale interclassismo nell’elettorato
di quasi tutti i partiti.
Il che
però costituisce un problema più rilevante per quelli di sinistra, che nel re-insediamento
tra le vittime delle crescenti disuguaglianze dovrebbero trovare ragione di
vita e di identità.
Ciò
vale per il PD, che con segretari Veltroni e poi Renzi ha deliberatamente
scelto invece di proporsi come sede di negazione/superamento dei conflitti di
classe, e con gli altri segretari ha corretto debolmente tale impostazione in
direzione più laburista: come rilevano diversi esponenti dello stesso PD, in
questa fase non conta per nulla scrivere un programma avanzato su lavoro, fisco
e ambiente, perché gli elettori ti rinfacciano comunque le scelte fatte o
avallate negli anni precedenti su articolo 18, pensioni, trivelle.
Ma
vale a maggior ragione per chi ha cercato di organizzare una presenza alla
sinistra del PD, acquisendo finora una credibilità trascurabile, salvo
scaricarne le colpe sul PD stesso (più seriamente forse la scarsa attrazione di
proposte variamente socialiste e comuniste risiede ancora nello storico
fallimento novecentesco del ‘socialismo reale’, mentre anche la socialdemocrazia
non si è più sentita molto bene).
Verdi:
sostanzialmente non pervenuti all’appuntamento storico con la crisi ambientale,
climatica ed energetica (che li vede invece ben piazzati in Germania, Austria
ed altrove).
Regalando
così anche un enorme spazio all’ambientalismo superficiale e incolto del
MoVimento 5Stelle.
La cui
meteora, costruita sul populismo anti-casta ed anti-partiti, ha dissipato
energie quanto un esperimento di fusione nucleare, mancando in pieno i
conclamati obiettivi di superamento della democrazia rappresentativa, e
finendo, partito tra i partiti, fortemente invischiato nelle tattiche del
Palazzo, salvo ora tentare di riscattarsi con alcune parole d’ordine di largo
consenso (pace, reddito di cittadinanza, salario minimo) prive però di un
chiaro progetto socio-economico progressista (quale progressione del fisco?
quale governance per le imprese? quale accoglienza per i migranti? Ed anche:
quale seria transizione ecologica?).
Che
fare? Impegnativa domanda cui ci sembra superficiale e difficile rispondere ora
“unire in un campo largo tutte le opposizioni al governo della destra”, anche
se la pratica dell’opposizione, in Parlamento e fuori (ed anche nelle elezioni
locali), offrirà terreno di crescita per possibili e necessarie convergenze (o
chiarificatrici divergenze: pensiamo a Matteo Renzi, che al momento sembra
orientato ad opporsi soprattutto allo stesso PD; ma – almeno lui – chiaramente
da destra).
Un
tempo si sarebbe parlato di “politica delle alleanze”: a partire da partiti di
sinistra ben piantati tra i lavoratori sindacalizzati, riguardava la necessità
– per raggiungere maggioranze elettorali e limitare l’acutezza dei conflitti
sociali – di contemperare gli interessi dei lavoratori con quelli di parte dei
ceti medi, ecc.
Oggi
invece si tratta di districare, nella “società liquida”, gli interessi e i
sentimenti dei segmenti subalterni nella società capitalistica con l’interesse
generale e trasversale alla “salvezza del pianeta” (cioè di una biosfera
abitabile per la specie umana): compito che riguarda movimenti, sindacati,
associazioni (pensiamo soprattutto a luoghi di elaborazione come ASviS, Forum
DD, Legambiente, Oxfam) e infine i partiti: non ne escluderemmo il PD ed il suo
faticoso congresso (come il contemporaneo congresso della CGIL), che ci
sembrano comunque luoghi collettivi e frequentati (o almeno non così
mal-frequentati da divenire infrequentabili…).
Immaginiamo
che una futura ed auspicabile unità nel campo della sinistra e del centro possa
nascere, forse, solo da una egemonia conquistata sul campo dell’opposizione, da
chi meglio capirà come ricostruire una nuova identità ed un adeguato
linguaggio: innanzitutto cercando di dialogare con chi non ha votato oppure ha
smesso di votare.
E
questo è soprattutto un invito alle presunte avanguardie a misurarsi sul
terreno delle iniziative di massa – ad esempio mirati scioperi dei consumi –
anziché isterilirsi in isteriche manifestazioni tipo “imbrattare le tele in
favor di telecamera” oppure inveire contro la perfidia del PD, auspicandone la
scomparsa.
[A] Scelto
da Di Pietro per “Italia dei Valori” è passato al Centro-destra perché
corrotto, come da sentenza del 2013 conseguente al patteggiamento della pena
[B] Domenico Finiguerra, 23 ottobre alle
ore 09:33
“ #OPPOSIZIONE
ALLA TERZA
Letta twitta con convinzione: "opposizione opposizione
opposizione al governo Meloni". Un'opposizione al cubo.
Ma ciò che si oppone dovrebbe essere appunto di segno
opposto e l'opposizione è reale solo se è fatta a partire da posizioni
alternative. E il PD su quali basi farà opposizione?
Opposizione sulla politica internazionale del nuovo
governo?
Impossibile, perché pensano le stesse cose, perché saranno
d'accordo su invio delle armi e sulla collocazione azzerbinata agli USA.
Opposizione alla politica economica liberista?
Impossibile, perché Letta e Meloni sono alunn* e compagn*
dell'Aspen Institute. Perché la cancellazione dell'art. 18, il job's act, le
privatizzazioni o meglio la svendita dei beni comuni ai privati, tutte
politiche di destra, sono state portate avanti dal PD.
Opposizione alla politica ambientale? Impossibile, perché
il PD e il centrosinistra guidato dai dem è stato per vent'anni l'esecutore
fedele di tutti i sogni d'asfalto racchiusi nella bibbia del partito del
cemento, nella "legge obiettivo" di Berlusconi/Lunardi.
Resta il tema dei diritti. Ma sarà solo un teatrino. Perché
in decenni al governo il PD ha dato prova di che pasta è fatto sotto le
passerelle alle manifestazioni: slogan tanti e risultati pressoché zero.
Sull'accoglienza ai disperati: vedere alla voce Minniti.”
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