giovedì 19 gennaio 2023

UTOPIA21 - GENNAIO 2023: RECENSIONE - CUPERLO E IL RINASCIMENTO EUROPEO

 CUPERLO E IL RINASCIMENTO EUROPEO

di Aldo Vecchi

 

Il saggio di Gianni Cuperlo, “Rinascimento europeo”, tra citazioni letterarie e ragionamenti geo-politici, propone un manifesto politico euro-neo-keynesiano: trascurando, a mio avviso, colonialismo clima ed ambiente

 

Sommario:

-       FORMA E CONTENUTI DEL LIBRO

-       UN RAFFRONTO CON LA LINEA DEI SOCIALISTI E DEMOCRATICI EUROPEI

-       LE CARENZE SU COLONIALISMO ED AMBIENTE

-       I MANIFESTI DI CUPERLO: 2013-2023

 

 

FORMA E CONTENUTI DEL LIBRO

 

Il “Rinascimento europeo” 1 di Gianni Cuperlo, pubblicato nel gennaio 2022 (quindi prima dell’invasione Russa in Ucraina, del Governo Meloni e del Congresso PD), è un manifesto politico diluito in eleganti dissertazioni storico-letterarie.

 

L’aspetto letterario spazia dalle reminiscenze personali di infanzia e gioventù allo “zibaldone culturale triestino” [A], ma è focalizzato soprattutto ad inquadrare alcuni passaggi fondamentali della storia europea attraverso il filtro di autorevoli intellettuali, quali Febvre e Chabod per le radici medioevali, Garin e Huizinga per il Rinascimento, Tsvetan Todorov per l’Illuminismo, Isaiah Berlin per il Romanticismo (e il connesso nazionalismo).

Mentre con parole più sue, ma sempre intrecciate con preziose citazioni, l’Autore approfondisce pagine storico-sociali e geo-politiche più recenti, come la globalizzazione (con l’uscita di alcuni paesi dalla povertà e però l’impoverimento dei ceti medi occidentali), la rivoluzione digitale (nel lavoro, nel sapere, nel potere), il conflitto con l’Islam, le questioni migratorie (ed i riflessi xenofobi nei ceti popolari), la crisi del debito greco, la ritirata occidentale dall’Afghanistan.

Contemplando meriti e limiti dell’Unione Europea e le difficoltà di insediamento sociale e di proposte politiche delle sinistre, Cuperlo ritiene necessaria ed auspicabile una svolta verso un Europa più unita e dinamica, orgogliosa dei suoi valori democratici ed accogliente verso i migranti, presente nel mondo ed orientata ad un nuovo sviluppo (“capitalismo sociale”) fondato essenzialmente su ricette neo-keynesiane, promosse da una sinistra che sappia ritrovare valori alternativi al neo-liberismo e riconquistare la rappresentanza dei ceti subalterni. In questo quadro risulta coraggiosa (nel contesto del Partito Democratico) la proposta di meccanismi fiscali di ridistribuzione di reddito e ricchezza, inclusa la mitica “patrimoniale”.

 

 

UN RAFFRONTO CON LA LINEA DEI SOCIALISTI E DEMOCRATICI EUROPEI

 

Considerando quali possano essere i compagni di viaggio di Cuperlo, mi sembra utile raffrontare tale linea politico-culturale con il documento programmatico (di pochi mesi precedente) redatto per i Socialisti&Democratici Europei (e da me recensito a gennaio 2022 3): ne emerge, a favore di Cuperlo, una onesta consapevolezza sulla “crisi migratoria” ed una maggiore attenzione ai fattori geo-politici (ma non riguardo al colonialismo, sostanzialmente ignorato da entrambi), mentre si staglia a suo sfavore una pesante assenza sulla centralità delle problematiche climatico-ambientali, cui Cuperlo accenna di sfuggita, mentre risultano bene impostate dal testo S&D (anche in relazione alle azioni ed ai programmi concreti già avviati dalla stessa Unione Europea).

A pari merito – tra Cuperlo e S&D – una sfuggente ambiguità sulle sorti dell’impresa capitalistica.

 

 

LE CARENZE SU COLONIALISMO ED AMBIENTE

 

La questione coloniale, a mio avviso, costituisce una grave omissione anche nella parziale ma ricca ricostruzione cuperliana della storia dell’Europa Occidentale, che salta da una (presunta) fase di precoce unità culturale in epoca carolingia e medievale (a mio avviso limitata alla religione, ai dotti che si parlavano in latino ed ai mercanti) alle contrapposizione dei nazionalismi otto-novecenteschi, senza approfondire il nesso tra le formazione degli stati nazionali (per giunta ‘assoluti’), la loro contrapposizione ad alta intensità militare e lo sfogo (ma anche l’alimentazione) di tali potenze nel dominio coloniale su quasi tutti gli altri continenti.

Dominio che tuttora caratterizza l’immagine dell’Europa vista dall’esterno, e non solo per la memoria degli antichi soprusi (e ben oltre la sola area islamica), ma anche per il protrarsi dell’imperialismo economico e degli ”scambi ineguali”, sia pure in condominio con nuove potenze, quali gli U.S.A. (comunque proiezioni dell’uomo bianco europeo).

 

Il nodo post-coloniale si intreccia pesantemente con la questione climatico ambientale (elevando pertanto al quadrato il peso delle carenze cuperliane), come hanno plasticamente mostrato anche le recenti COP 27 sul clima 4 e COP 15 sulla bio-diversità, materializzandosi quanto meno nelle richieste di risarcimenti verso i Paesi Ricchi, ma ponendo in prospettiva sia a breve che a lungo termine ben altri problemi riguardo ad una prospettiva di rilancio keynesiano dello “sviluppo” in Europa e non solo: occorre a mio avviso affrontare le problematiche dei limiti delle risorse e dei limiti complessivi nel ricorso al debito pubblico (debito che si dovrà aggravare per la auspicabile rottamazione dei capitali investiti nell’industria ”fossile”). Mentre clima ed ambiente si intersecano anche con le diseguaglianze sociali interne ai Paesi Ricchi, basti pensare alla cosiddetta “povertà energetica” ed alle differenze di accesso alle nuove tecnologie, a partire dalle auto elettriche.

 

 

I MANIFESTI DI CUPERLO: 2013-2023

 

Nel momento in cui scrivo (metà gennaio) non so ancora quanto i contenuti di “Rinascimento europeo” coincidano con la piattaforma congressuale con cui Gianni Cuperlo si sta tardivamente candidando alla Segreteria del PD, perché il Congresso pare incombente (da molte settimane), ma le tradizionali “mozioni” non risultano ancora divulgate.

Però mi permetto di osservare che tali contenuti sembrano coerenti con la “mozione Cuperlo” per il Congresso PD del 2013, che infatti così commentavo 5:

La retorica è classicamente di sinistra …., con qualche visione internazionale (invero poco oltre Europa e Mediterraneo) e giuste venature anti-liberiste, e con la volontà di animare nuove speranze, ma mi sembra manchi…
il coraggio di affrontare i limiti della sinistra europea riguardo al modello di sviluppo (sostenibilità a lungo termine della crescita quantitativa dell’Occidente a fronte della scarsità delle risorse ambientali e della equità distributiva verso gli ultimi del mondo)”

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Gianni Cuperlo – RINASCIEMNTO EUROPEO – Il Saggiatore, Milano 2022

2.    Michele Serra – 44 FALSI – Feltrinelli, Milano 1992

3.    Aldo Vecchi LA GRANDE SVOLTA (QUASI) ANNUNCIATA DAI SOCIALISTI E DEMOCRATICI EUROPEI – su Utopia21, gennaio 2022 - https://drive.google.com/file/d/1yBkWm43n1rFMF92-Gp8D3-xiSGUzha7z/view?usp=sharing

4.    Fulvio Fagiani – SPECIALE CLIMA – su questo numero di Utopia21, gennaio 2023

5.    Aldo Vecchi - CUPERLO? OVVERO L'IRRESISTIBILE ASCESA DI MATTEO RENZI – nel Blog “relativamente, sì”, settembre 2013 http://aldomarcovecchi.blogspot.com/



[A] “Zibaldone Triestino” che potrebbe anche essere un abile falso di Michele Serra…2

UTOPIA21 - GENNAIO 2023: IL LUSSO E LA SINISTRA

 IL LUSSO E LA SINISTRA

di Aldo Vecchi

 

Un ragionamento sui consumi di lusso, a partire da qualche provocazione su più o meno celebri borsette da 2.000 €.

 

Sommario:

-       l’articolo di Andrea Batilla

-       qualche diversa considerazione storica

-       ragioni di sinistra per la sobrietà dei consumi

 

 

L’ARTICOLO DI ANDREA BATILLA

 

Prendo spunto per questa riflessione da un articolo sul quotidiano “Domani” 1 di Andrea Batilla “Brand strategist e autore. Collabora con fondi di investimento, marchi del lusso e giovani start-up”, che su “Domani” si occupa di moda e costume e relative filosofie.[A]

L’articolo del 12 dicembre 2022, intitolato “Comprarsi una borsa di lusso non è un reato”, inizia riassumendo un battibecco televisivo a proposito delle borsette della signora Liliane Murekakete (borsette rilevanti in quanto Murekakete è la moglie dell’onorevole Aboubakar Soumahoro), battibecco in cui l’Onorevole Laura Boldrini “risponde, in evidente imbarazzo, che non trova giusto spendere 2.000 euro per una borsa e che, anzi, per trovare una borsa di qualità sia sufficiente spendere duecentocinquanta euro mentre un per paio di belle scarpe ne bastino centoventi”.

 

Batilla in proposito ci informa che – in esito ad una sua indagine di mercato - le borse di effettiva qualità viaggiano tra i 3.000 e i 30.000 € “Queste borse costano effettivamente cifre ragguardevoli ma, oltre a precise certificazioni di origine, hanno in comune il fatto che nel tempo non perdono valore ma proprio per la loro iconicità costituiscono praticamente un bene rifugio.” Mentre sotto i 300 € sono in vendita solo prodotti di incerta origine asiatica.

Scrive Batilla che però oltre a non “… valutare quando un oggetto di lusso possa valere molto di più del suo mero costo produttivo perché ha una capacità di raccontare storie costruite in decenni di esistenza sul mercato” …e che  “L’errore fondamentale di Boldrini sta nella retorica, tutta di una sinistra a cui i francesi hanno dato il nome di gauche caviar [B], di avvicinare il lusso, l’eccesso, la visibilità e l’apparente sperpero a qualcosa di moralmente indebito, di ingiusto, di riprovevole.”

 

Dopo essersi premurato di rammentare che “Boldrini guadagna, come tutti i deputati italiani, intorno alle 14.000 euro … al mese… “per cui “il suo non è un problema economico. È qualcosa di molto più profondo e radicato che è interessante indagare perché è estremamente problematico” e dopo aver considerato l’enorme fatturato ed export del settore (per cui a Boldrini si imputa anche una “mancanza di visione industriale” che “… diventa un problema culturale”) Batilla apre un capitolo teorico: “Il disamore verso il lusso e la sua ostentazione ha due radici storiche: la prima è la teoria del feticismo delle merci di Marx e la seconda è il cattolicesimo.”

Il sotto-capitolo Marx viene rapidamente archiviato da Batilla, perché – malgrado la riconosciuta genialità marxiana sulla teoria del valore e sul feticismo delle merci – “…nel frattempo il modello capitalistico non è stato superato” ed “… esistono modi meno drastici e utopici di una rivoluzione proletaria per redistribuire la ricchezza”.

L’altro sottocapitolo, dopo corretti richiami al Vangelo ed al Francescanesimo (con una Chiesa che però ha “razzolato male nei suoi duemila anni di storia”) si perde, tramite Lutero e secondo Batilla, in uno stereotipo negativo: il “pensiero protestante borghese ottocentesco, quello che salda l’idea di successo e autoaffermazione a delle austere divise nere maschili, quello che irrigidisce la differenza tra generi sbattendo le donne in una posizione di inferiorità mai vissuta prima, quello per cui l’apparenza è tutto e il non dimostrare ricchezza è la parte centrale delle regole dell’apparenza.”

Marxismo e cattolicesimo, secondo Batilla “… sono state talmente interiorizzati” ed è “difficile trovarne una traccia sincera”,  mentre sarebbe palese una continuità verso Laura Boldrini, e tutta la sinistra politica (“da Capalbio a Filicudi”), solo a partire dal ”ceto medio inglese ai tempi della rivoluzione industriale, quanto di più antimarxista sia possibile pensare”.

 

 

QUALCHE DIVERSA CONSIDERAZIONE STORICA

 

Non è mia intenzione difendere Laura Boldrini né ogni altra sinistra radical-chic, effettiva o presunta, né accanirmi nella polemica con Batilla (di cui rilevo, da una sua intervista sul sito “the1989” 2 un reddito di 15.000 € mensili, l’orientamento politico a sinistra e in sovrappiù anche l’apprezzamento verso vari tipi di droga).

Bensì occuparmi della tendenza ad una certa sobrietà di costumi e consumi, che a mio avviso:

-       risulta obbligata per gran parte della popolazione italiana, quali che ne siano desideri e miti consumistici: il 78% dei contribuenti dichiarava per il 2019 meno di 30.000 € di reddito annuo, il che probabilmente costringe ad accontentarsi di abbigliamento e di accessori prodotti in Oriente, e spinge ad orientare i risparmi, quando ci sono, più in Buoni Postali che non in Rolex o altri simili “beni rifugio”;

-       era ben presente anche nella piccola e media borghesia italiana – cattolica e laica – almeno prima del “boom consumistico” degli anni ’60 (e non necessariamente era sposata all’ipocrisia accumulatrice e maschilista attribuita ai borghesi protestanti ottocenteschi), il che ha lasciato anche ai nostri tempi qualche traccia di buona educazione in strati sociali sia borghesi che popolari;

e che a mio avviso è ben radicata nelle migliori tradizioni della sinistra europea e mondiale:

-       sia sul versante religioso, cristiano (dai vecchi ai nuovi ordini religiosi e movimenti ecclesiali, tra cui i “preti operai” e la “teologia della liberazione”; e con piena legittimazione nelle encicliche di Papa Francesco) e non cristiano, basti pensare a Gandhi,

-       sia sul versante del movimento operaio e socialista, che non è stato solo il pensiero rivoluzionario di Marx, ma una prassi di lotta e di governo che ha coinvolto milioni di persone in diversi continenti, seppur con eccessi di pauperismo egualitario, ed anche sanguinario (fino a Pol Pot) e con ampie eccezioni ed ipocrisie in favore di chi era “più uguale degli altri” (si arriva così anche a farsi corrompere da Qatar e Marocco, partendo dalla Camera del Lavoro?);

-       sia ancora – seppur ambiguamente – sul versante dei movimenti giovanili del secondo novecento, da Marcuse alla contro-cultura hippie, che hanno quanto meno generato consuetudini e mode pauperistiche, seppur in parte riassorbite “dal sistema” e rivoltate in nuovo consumismo (si pensi ad alcuni capi di abbigliamento come i blue jeans); dialettica cui tentano di sfuggire i movimenti recenti dei Fridays For Future e simili.

 

 

RAGIONI DI SINISTRA PER LA SOBRIETA’ DEI CONSUMI

 

Tali radicamenti storici della sobrietà come fenomeno non solo di avanguardie ma di masse, seppur non egemone nella fase attuale, non giustificano di per sé la bontà della cosa, che a mio avviso è però ampiamente motivata, come scelta specifica ed attuale “di sinistra”, perché – se la parola sinistra ha oggi un senso – lo ha rispetto all’insieme di due coordinate:

-       la lotta contro le disuguaglianze sociali,

-       la ricerca della sostenibilità ambientale per le attività umane nella biosfera.

 

In diversi articoli e Quaderni di Utopia 21 3,4,5 si è esplorata la difficile combinazione di tali fattori, tenendo conto dei consumi consolidati dei paesi ricchi (e dei ricchi nei paesi ricchi) e delle aspirazioni “al progresso” nei paesi poveri.

E anche se le soluzioni sono varie e complesse (come dimostrano anche i controversi esiti delle recenti COP 27 sul clima e COP 15 sulla biodiversità), non ho molti dubbi sulla incompatibilità delle borsette da 2.000 € (in su) sia con l’uguaglianza sociale (borsette di lusso “made in Italy” per tutti?) sia con l’esaurimento delle risorse naturali (da impiegarsi pertanto prioritariamente per i bisogni essenziali).

Mentre rimane aperto il problema di consentire alle masse l’accesso, con prezzi ragionevoli, a servizi e prodotti di qualità, a partire dal cibo.

Il problema per la sinistra in questo campo è come far vivere questi ragionamenti in termini positivi, costruendo una nuova mitologia della sobrietà (rammentando che Berlinguer con l’analoga “austerità” non ebbe molto successo): comunque l’opposto dello sdoganamento del lusso e per giunta come segno di progressismo.

In questa prospettiva può anche essere inutile o controproducente il moralismo contro i singoli aspetti del consumismo di lusso, mentre è essenziale far crescere nel dibattito socio-economico gli elementi già presenti per orientare con saggezza produzione e consumi, come

-       il rinnovato articolo 41 della Costituzione: «L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali»; 6

-       la “tassonomia” europea delle attività sostenibili sotto il profilo ambientale (seppur distorta dalle resistenze degli Stati in favore di gas e nucleare).

 

Come possibile esito concreto di questa enorme battaglia politico-culturale (che ha però già conseguito alcuni risultati sul versante ambientale, come ad esempio le decisioni sulla motorizzazione elettrica e contro i voli aerei a breve raggio, sostituibili con i servizi ferroviari) vedrei una revisione organica delle tassazioni indirette (IVA ed accise, ecc.), che sono in sé non-progressive rispetto alle disuguaglianze di reddito e patrimoni, e invece potrebbero assumere pieno significato come discriminanti differenziali tra prodotti utili/inutili/dannosi.

Cioè, pur senza demonizzare le borsette di lusso (ecc.), non sarebbe male a mio avviso se fossero assoggettate ad un IVA del 30%, alleggerendo nel contempo i consumi essenziali.7

Con una opportuna gradualità nel tempo – come per i veicoli a combustione interna – per non penalizzare drasticamente senza preavviso le filiere produttive connesse, sia in Italy che in Europe, che nel resto del mondo commercialmente connesso.

 

Forse non è strettamente necessario che “i ricchi piangano”. Però almeno che paghino più tasse: sui redditi, sui patrimoni, ed anche sui consumi.

Quanto ai ricchi di sinistra, resta il dilemma se fingersi poveri, ed essere tacciati di ipocrisia, oppure consumare alla grande, restando così benefattori del Made-in-Italy: però francamente penso che non abbiano bisogno dei miei consigli; si affidino ai loro “brand consultants” e “personal trailers”.

aldovecchi@hotmail.it

 

Fonti:

1.    https://www.editorialedomani.it/idee/commenti/comprarsi-una-borsa-di-lusso-non-e-un-reato-tgznx3r6

2.    https://www.the1989.it/2022/05/11/89-domande-ad-andrea-batilla-autore-docente-e-direttore-creativo/

3.    Fulvio Fagiani - CONSUMI E DECARBONIZZAZIONE – Quaderno n° 6 di Utopia21, settembre 2018 - https://drive.google.com/file/d/1ixbidL7QppzQqua_O-Mv-zU-HXq_IZgN/view?usp=sharing

4.    Fulvio Fagiani - CONSUMI E DECARBONIZZAZIONE – Quaderno n° 20 di Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1hIou0bWB9GM75Uy9Rkm3DqJ3czhhfUws/view?usp=sharing

5.    Fulvio Fagiani – QUESTIONI DI GIUSTIZIA CLIMATICA – su Utopia21, gennaio 2022 - https://drive.google.com/file/d/1FZZ-jLonW4wkUw7OrnDdc2qjURRV-1hr/view?usp=sharing

6.    Aldo Vecchi – L’AMBIENTE IN COSTITUZIONE – su Utopia21, marzo 2022 - https://drive.google.com/file/d/1p7L80Wraps7CcJotTx--UlN5oaL5lRBj/view?usp=sharing

7.    Aldo Vecchi - VERITA’, EQUITA’, PARTECIPAZIONE – su Utopia21, gennaio 2019

https://drive.google.com/file/d/1f0_9ohXmvwLdZP_6_XpKqMNHqycGHlV7/view?usp=sharing

 



[A] Ho riflettuto se spendere fatica per commentare questo articolo, invero piuttosto frivolo, ma dichiarandosi l’Autore di sinistra, su un quotidiano che si considera di sinistra, e non leggendo nessuna replica da sinistra, ne ho concluso che mi sembra errato considerarlo irrilevante; anche per i più ampi ragionamenti che può innescare.

[B]  In realtà, secondo il vocabolario Treccani, “Gauche caviar”, ovvero “Sinistra al caviale” significa all’opposto “La sinistra come classe intellettuale dominante, che ama concedersi un tenore di vita elevato, in contrasto con le ideologie che professa.”

UTOPIA21 - GENNAIO 2023: RIFORMARE L'URBANISTICA?

 RIFORMARE L’URBANISTICA?

di Aldo Vecchi

 

Il 31° Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica propone una nuova legge nazionale di principi sul Governo del Territorio: un riassunto ed una serie di rilievi su ciò che manca – a mio avviso – per una effettiva riforma.

 

Sommario:

-       le ragioni del 31° congresso I.N.U.

-       la proposta dell’I.N.U., in sintesi

-       cosa manca, a mio parere

o   diritto alla citta’ e diritto alla casa

o   fiscalita’ immobiliare

o   architettura istituzionale

o   economia circolare (e Valutazioni Ambientali Strategiche)

Appendice: “i punti qualificanti” della proposta I.N.U.

 

 

 

 

 

 

 

 

LE RAGIONI DEL 31° CONGRESSO I.N.U.

 

Ottanta anni dopo la Legge Urbanistica n° 1150 del 1942, dopo cinque decenni di leggi urbanistiche regionali ed a venti anni dalla riforma costituzionale del 2001, che ha inserito il “governo del territorio” tra le materie di competenza “concorrente” tra Stato e Regioni, l’Istituto Nazionale di Urbanistica rivendica la necessità di una nuova legge nazionale di principi ed ha improntato a questo scopo il suo XXXI Congresso (sul sito dell’INU 1 si trovano le registrazioni dei dibattiti congressuali e tutti i testi e video preparatori).

 

Il Congresso – che non aveva da dirimere questioni interne di linea[1] né di significativo rinnovo del gruppo dirigente – si è tenuto il 19 novembre a Bologna (preceduto dalla Rassegna Urbanistica Regionale, articolata sulle prime attuazioni della Legge Regionale N° 24/2017), anche per richiamare il Congresso di Bologna del 1995, che aveva varato la proposta dello sdoppiamento tra Piano Regolatore Strutturale, permanente, e Piano Operativo, temporaneo per le aree da trasformare, (più Regolamento Urbanistico, permanente, per i tessuti urbani consolidati), affiancati da “co-pianificazione” tra Comuni ed Enti “sovrastanti” e dal meccanismo della “perequazione” immobiliare, proposta che fu di modello per molte successive leggi regionali di “seconda generazione”, ma non per il legislatore nazionale (sostanzialmente assente sul tema, come il Governo, anche dopo la Riforma del 2001, e fino alla effimera Commissione di Esperti, nominata dal Ministro Giovannini ed interrotta dalle elezioni anticipate [2]).

 

Rispetto al 1995, quando al nuovo tema della riconversione delle aree industriali dismesse si associava ancora – anche nelle teorie degli urbanisti – quello dell’espansione urbana (giustificando quindi maggiormente gli strumenti perequativi, per rendere indifferenti le scelte urbanistiche rispetto alle singole proprietà, essendo ormai inapplicabili gli espropri di terreni a prezzi agricoli) l’INU rileva correttamente un contesto socio-economico e territorial-ambientale radicalmente mutato, con la consapevolezza di essere entrati nell’Antropocene e quindi della necessità di:

-       contenere il consumo di suolo e limitare gli interventi edilizi alla rigenerazione urbana

-       riorganizzare gli insediamenti in modo tale da limitare i consumi energetici, mitigare gli impatti climatici e contemperare il benessere umano con la biodiversità ambientale

-       affrontare la complessità dei bisogni di una società frammentata e diseguale.

Per conseguire tali finalità, la necessità di una legge nazionale di principi, sulla quale intessere un adeguato telaio di rinnovate norme regionali e di piani locali, deriva non solo dalla continua conflittualità tra Stato e Regioni (tradotta spesso in ricorsi alla Corte Costituzionale), poiché il Governo si richiama impropriamente alla legge del 1942 (di stampo gerarchico e dirigistico), non avendo altri “principi” cui riferirsi, ma dagli oggettivi limiti delle potestà regionali riguardo a:

-       regime giuridico dei suoli

-       fiscalità immobiliare

-       ordinamento degli enti locali,

nonché dall’impatto della programmazione nazionale (ed europea) per gli investimenti pubblici, impatto intensificato dalla contingenza del P.N.R.R., anch’esso dominato però operativamente da parallele logiche settoriali e da una scarsa sensibilità alle articolazioni territoriali.

 

Confidando nella oggettività di queste problematiche, malgrado il clima politico non particolarmente favorevole, l’INU per il completamento ed il lancio della proposta legislativa cerca alleati, sia negli ambienti intellettuali e professionali (Università, Ordini, Associazioni), sia tra i soggetti sociali (inclusa l’Associazione Nazionale dei Costruttori), sia ancora tra Regioni ed Enti locali (in buona misura già rappresentati nell’INU), ed ha scelto di limitarsi, nel Congresso e nei lavori preparatori, a formulare un telaio di principi generali (che riproduco in Appendice) ed un potenziale indice degli articoli, accompagnandoli con nove sintetici contributi teorici di altrettanti gruppi di lavoro tematici (vedi l’elenco in nota [3]), consultabili sul sito con altri documenti preliminari (mentre altri elaborati sono pubblicati su un numero speciale  di Urbanistica Informazioni).

Il tutto senza estendere ancora un testo dettagliato (anche per non “bruciarlo”), e lasciando aperte alcune opzioni al dibattito successivo, perché il Congresso non è stata la sede per dirimerli definitivamente.

 

 

LA PROPOSTA DELL’INU, IN SINTESI

 

In mia rapida sintesi la proposta di legge nazionale di principi per il governo del territorio contempla:

-       la promozione – anche a livello nazionale – di un sistema di quadri conoscitivi e di indicatori socio-ambientali che faciliti il dialogo tra programmazione economica (in particolare per la spesa pubblica) e la pianificazione[av1]   territoriale a tutte le scale, privilegiando criteri di razionalità fondati sul concreto monitoraggio delle condizioni iniziali e degli effetti delle scelte;

-       la conferma dell’attuale stratificazione scalare di piani territoriali/paesaggistici e urbanistici ai tre livelli delle Regioni, delle Province o Città Metropolitane, dei Comuni o Unioni-di-Comuni;

-       la tendenziale unificazione in un unico Piano (al livello comunale/unionale) di una componente strutturale/strategica, vigente a tempo indeterminato così come la componente regolativa per i territori consolidati, e di una (eventuale) componente operativa per le aree da trasformare, con durata di cinque/dieci anni, valevole sia per gli interventi pubblici (con vincoli per potenziali espropri) sia per gli interventi privati ed i connessi diritti edificatori; cercando anche di integrare i vari piani specialistici di settore;

-       il passaggio dalle verifiche di “conformità” (rispetto all’azzonamento e al dettato normativo) alle verifiche di “coerenza” (rispetto ai quadri conoscitivi e alle opzioni strategiche), e ciò sia nella concertazione tra i livelli istituzionali per l’approvazione[av2]  dei piani e per la localizzazione dei programmi di intervento settoriali, sia per i successivi adeguamenti dei piani a condizioni e domande mutate, limitando le procedure di complessiva “variante” (che ripete l’intero percorso di approvazione) ai casi di effettivo riassetto degli elementi strutturali, e introducendo procedure più snelle per le modifiche minori;

-       la codificazione dei principi perequativi, distribuendo equamente tra i diversi proprietari interessati i diritti edificatori derivanti dai progetti di trasformazione urbana, e più precisamente attribuendo tali diritti in proporzione ai valori catastali iniziali (ovviamente aggiornati, rispetto all’attuale stratificazione storico-casuale, ed anche tenendo conto delle diverse qualità ambientali degli immobili), ed applicando su di essi una conseguente tassazione immobiliare;

-       una nuova definizione a livello nazionale degli standard minimi di spazi ad uso pubblico, tenendo conto dei nuovi bisogni sociali e della necessità dei “servizi eco-sistemici”, e lasciando alle leggi regionali ed ai piani intermedi e locali una implementazione flessibile di tale complessa riformulazione della “città pubblica”, che contempli anche l’offerta di servizi alle persone derivante dal volontariato e dal terzo settore;

-       ricerca di nuove modalità di partecipazione popolare nella formazione dei piani, a partire dalla fase conoscitiva, che divenire interattiva tra istituzioni e cittadini.

 

 

 

COSA MANCA, A MIO PARERE

 

Tenendo conto che l’insieme delle intenzioni manifestate dall’INU mi sembra positivo, anche se forse un poco illusorio riguardo alla fiducia nel “quadro di coerenze” come strumento di conciliazione tra poteri nazionali/sovranazionali e poteri locali e tra le diverse spinte settoriali (esempio: energia o paesaggio? cibo o tempo libero?) nella varia dinamica del divenire degli interessi e delle strategie, nei paragrafi seguenti mi permetto di esporre una mia visione critica, indirizzata soprattutto a ciò che a mio avviso manca nella proposta INU per essere una sostanziale riforma dell’urbanistica (e andando anche oltre i consueti limiti disciplinari).

 

 

 

 

 

 

 

-       DIRITTO ALLA CITTA’ E DIRITTO ALLA CASA

 

Gli standard di spazi pubblici tradizionalmente indicano un orizzonte per i diritti minimi di un astratto cittadino, ma trascurano una condizione preliminare, cioè se tutti i cittadini dispongono di uno spazio abitativo adeguato.

Anche se non è specificato in Costituzione (dovrebbe esserlo), ma sta maturando nel diritto costituzionale, il diritto alla casa dovrebbe essere la prima componente del diritto alla città: e ciò è drammaticamente presente nell’attuale situazione sociale, che – pur essendo il frutto di una lunga spinta verso al diffusione della proprietà della casa (il che non esclude frange di povertà abitativa e di povertà energetica anche nella categoria dei proprietari di casa) – contempla sia una crescente quota di “senza casa” sia un diffuso disagio tra chi è costretto a vivere in affitto, soprattutto nelle grandi città, tra i giovani, gli immigrati e gli anziani poveri.

(Rimando ai miei precedenti articoli in materia 2,3).

Al di là dei meriti della “Prima Repubblica” negli interventi di edilizia popolare, politiche successivamente avviate ad estinzione, nel diritto urbanistico la questione si è affacciata poco e male:

-       con la legge sulla casa n° 865 del 1971, che obbligava di riservare all’edilizia residenziale pubblica (case popolari, cooperative, edilizia privata agevolata) la metà delle aree di nuova edificazione in zone di espansione, norma che è rimasta in parte inapplicata, e sempre più con l’esaurimento (o il camuffamento sotto altro nome) delle zone di espansione, ed in parallelo al suddetto calo degli investimenti pubblici in materia

-       con qualche tentativo di equiparare o integrare le aree a standard con le aree per edilizia pubblica residenziale, come operazione emergenziale al risparmio (destinare ad edilizia popolare aree già vincolate o acquisite dal Comune per altri “servizi”, ma di fatto inutilizzate) oppure come primo passo – ma poco deciso – per implementare sistematicamente gli standard con l’edilizia sociale (art. 1, comma 258, della L. 244/2007, finanziaria per il 2008).

 

A mio avviso una seria riforma urbanistica, con ambizione di dettare in questo campo i Livelli Essenziali delle Prestazioni (anche in rapporto all’incombente dibattito sulle Autonomie Differenziate tra le Regioni), deve andare oltre una preoccupazione collaterale per l’edilizia sociale al fianco dei classici standard, e porre invece il diritto alla casa al centro del concetto di cittadinanza, definendo un concreto “minimo esistenziale” abitativo; con riflessi

-       non solo sulla ripartizione dei diritti edificatori nell’ambito dei processi di rigenerazione urbana, superando un concetto limitato di “perequazione tra i proprietari catastali”, in favore di una più ampia “equità tra tutti i cittadini”,

-       ma anche e soprattutto nell’orientamento degli stessi programmi di recupero (privilegiando gli interventi contro la povertà abitativa) e nella ripartizione delle risorse finanziarie, a partire dai proventi fiscali ragionevolmente reperibili all’interno dello stesso settore edilizio ed immobiliare (ma senza escludere, ovviamente, l’impiego di altre risorse, provenienti dalla fiscalità generale); il che influisce sul successivo argomento.

 

 

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-       FISCALITA’ IMMOBILIARE

 

La principale attenzione della proposta dell’INU sembra quella di liberarsi dal condizionamento sulle scelte urbanistiche derivante dal peso dei diritti edificabili inutilizzati [4], prevedendo che siano sottoposti a tassazione patrimoniale (IMU) solo durante il periodo di godibilità, e ciò solo per i Comuni in cui si rende necessaria una qualche forma di “Piano Operativo” (e negli altri?) [5].

Non emerge invece una proposta sistematica di “cattura” fiscale della rendita [6], se non nella forma della “perequazione tra proprietari”, che tende a distribuire equamente tra di essi gli oneri urbanistici in senso lato (cessione di aree e realizzazione di servizi, ed eventualmente di alloggi E.R.P.; oppure eventuale monetizzazione equivalente)[7].

 

La soluzione secondo me va cercata rendendo principale, riguardo a tutti gli immobili, la tassazione sulle plusvalenze (quando si realizzano con le compravendite, e senza tassare queste con l’imposta di registro proporzionale al valore e indifferente al plus-valore) e complementare invece la tassazione patrimoniale (da reintrodurre però anche sulle prime case, per il valore eccedente il “minimo esistenziale”).

E’ da valutare inoltre, in questo quadro, se una tassa patrimoniale (simile all’IMU), applicata agli immobili inutilizzati ed ai terreni trasformabili, debba essere aumentata progressivamente nel tempo (nei soli piani operativi?), per incentivare le trasformazioni realisticamente possibili  [8]; mentre non avrebbe senso aggravare di maggiorazioni progressive nel tempo il mancato uso di immobili in aree marginali e depresse.

Nel contempo confermo il mio appello per una detrazione dalle imposte sul reddito, in favore degli inquilini, pari all’importo dei canoni di locazione, ma solo fino al valore in loco del suddetto “minimo esistenziale”.

 

 

 

-       ARCHITETTURA ISTITUZIONALE

 

La proposta dell’INU auspica buoni risultati (ad esempio anche sulla spinosa questione della localizzazione degli investimenti pubblici) dalla leale collaborazione tra i vari livelli istituzionali, accettando però la situazione di fatto, che vede le provincie a parte quelle ribattezzate “Città Metropolitane” indebolite dalla mezza riforma DelRio (l’altra mezza essendo rimasta azzoppata dalla bocciatura delle modifiche alla Costituzione avanzate dal governo Renzi) e la aggregazione dei piccoli comuni in Unioni (con almeno 5.000 abitanti) lasciata per lo più (tranne in alcune regioni) alle simpatie e antipatie tra i Sindaci.

A mio parere invece il dibattito su una efficace riforma urbanistica, pur non potendo presupporre né attendere una altrettanto efficace riforma degli enti locali, dovrebbe invece anticiparla almeno per la sola pianificazione imponendo che i nuovi piani al livello comunale possano essere approvati solo in una dimensione intercomunale adeguata, definita dalle Regioni e/o dalle Province (o Città Metropolitane) con adeguata autorità (sia pure previe tutte le opportune consultazioni); e non penso ad una soglia minima burocratica di 5.000 abitanti, bensì ad aggregazioni funzionali ben motivate nella geografia, nell’ambiente e nella storia, a partire dalle comunità montane/vallive e – al di sotto delle valli con consistenza media vicina a 50.000 abitanti.

Cioè una dimensione che dia un senso ai quadri conoscitivi ed alle valutazioni ambientali strategiche, nonché ai meccanismi delle ipotizzate “perequazioni territoriali” (quando ad esempio si localizza un polo logistico oppure un ospedale, ed è opportuno che costi e benefici siano spalmati oltre i confini storici di un singolo comune) ed anche un maggior contenuto alla democrazia dal basso, perché – pur in un ambito più vasto del tradizionale comune (che può permanere a fare altre cose) – le associazioni locali si troverebbero a controllare e ad influenzare le vere decisioni sul futuro dei territori (e non la edificabilità o meno del terreno di mio cugino).4

Quando parlo di “imporre” immagino pesanti meccanismi di incentivo e disincentivo, come ad esempio il conferimento alle Province/C.M. (per successiva ridistribuzione), e non ai singoli comuni, di tutti o quasi i proventi degli “oneri di urbanizzazione” (e dintorni) fino a che non viene redatto il piano intercomunale; ed una serie di premi in termini di assunzioni, nell’organico intercomunale (ma rimborsate dalle regioni [9]), del personale tecnico necessario a redigere, monitorare e aggiornare nel tempi i nuovi piani (meglio se separando in unità parallele i “valutatori” dai “progettisti”).

Dalla conseguente maggior credibilità ed autorevolezza dei piani locali (e delle connesse valutazioni ambientali) dovrebbero trovar vantaggio i livelli superiori della scala pianificatoria, dal piano intermedio di competenza di Province e Città metropolitane, che potrebbe veramente “ridursi” al “coordinamento territoriale” (salvo assumere funzioni strutturali ed operative in sostituzione dei comuni inadempienti), al piano territoriale regionale, fino agli indirizzi programmatici nazionali, i cui attori più facilmente potranno acquisire conoscenza dei “valori locali” e trovare nei luoghi validi interlocutori.

Sarebbe auspicabile, in parallelo, come accennato nel Congresso dell’INU, una semplificazione “olistica” di tali attori, in modo tale che gli Enti Locali, convocando le “Conferenze di Pianificazione” possano dialogare con autorità capaci di visioni intersettoriali al proprio livello (provinciale, regionale o nazionale) e non con singoli uffici (provinciali, regionali e statali) portatori di segmenti particolari degli interessi pubblici.

 

La questione dell’architettura istituzionale è altresì rilevante, a mio avviso, ma rovesciandola dall’alto verso il basso, con opportune soluzioni commissariali (regionali o nazionali, a seconda della rilevanza dei problemi), quando si riconosca, come in diverse situazioni di degrado ambientale, abbandono sociale o disgregazione civica (esempio emblematico Casamicciola), la incapacità o impossibilità per i poteri locali ordinari (anche se rafforzate in più ampie Unioni di Comuni) di risolvere questioni annose quali le bonifiche ambientali, il risanamento idrogeologico, il contrasto all’abusivismo (su quest’ultimo sarebbe forse da ipotizzare in via permanente il compito delle demolizioni ai Prefetti anziché ai Sindaci).

 

 

-       ECONOMIA CIRCOLARE (E VALUTAZIONI AMBIENTALI STRATEGICHE)

 

La proposta dell’INU risulta molto orientata alla tutela delle risorse coinvolte dal ciclo della vita urbana e nel rapporto città-campagna (suolo aria acqua cibo calore energia), ma mi sembra un po’ distratta riguardo al ciclo edilizio insito nella stessa trasformazione urbana.

“Rigenerazione” (giustamente), può significare livelli assai diversi di intervento, dal “rammendo” postulato da Renzo Piano, che tende ad escludere le demolizioni, alle ipotesi di radicale sostituzione edilizia, come quella proposta dall’ing. Gianni Verga per il quartiere milanese di San Siro o da InterMilanSpa per il vicino stadio di San Siro.

Tuttavia lasciare aperto questo ventaglio di scelte non può voler dire – per una riforma urbanistica consapevole dell’Antropocene – la neutralità verso gli effetti che il suddetto ciclo edilizio può avere sul territorio e sul suolo, vicino o remoto in termini di prelievo di materie prime (cave, cementifici, acciaierie, vetreria, filiera forestale, ecc.) di riciclo dei materiali di demolizione (nuovi Monte Stella?), di trasporti e di impatto ambientali dei cantieri: problematica che a mio avviso non può essere lasciata “per competenza disciplinare” agli architetti che coltivano le ipotesi (seppur virtuose) delle case in terra od in legno, oppure dei “boschi verticali”, ma deve entrare a pieno titolo nella griglia delle Valutazioni Ambientali Strategiche inerenti ai piani urbanistici.

Ed a proposito di V.A.S., forse è maturo il tempo per definire in modo omogeneo i principali indicatori, prevedendo nella nuova legge nazionale di principi le modalità di periodica emanazione ed aggiornamento dei relativi criteri, in relazione alla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS), alla Strategia nazionale per la Biodiversità ed al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNIACC), quando finalmente adeguati ed approvati.

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

 

APPENDICE – “I PUNTI QUALIFICANTI” DELLA PROPOSTA I.N.U”

 

·         lo sviluppo, la diffusione ed il coordinamento dei sistemi informativi territoriali, avvalendosi delle più avanzate opportunità tecnologiche e conoscitive;

·         l'integrazione della programmazione nel governo del territorio, per assicurare la rapida ed efficace attuazione delle politiche pubbliche;

·         l'adozione di misure atte a limitare il consumo di suolo e a garantire la fornitura dei servizi ecosistemici, incidendo su un ampio spettro di strumenti che vanno dalla dimensione regolativa a quella incentivante e fiscale;

·         la promozione di una maggiore convergenza e coerenza delle pianificazioni separate con quella territoriale ed urbanistica, al fine di evitare che il governo del territorio non risulti paralizzato dal moltiplicarsi dei centri decisionali e dalla conflittualità degli interessi;

·         la ridefinizione dei compiti e delle responsabilità relative ai diversi livelli della pianificazione, in coerenza con il principio di sussidiarietà;

·         la previsione di un nuovo tipo di piano urbanistico, che sia in grado di favorire i processi di rigenerazione urbana sia alla scala minuta degli adeguamenti energetici, sismici ed ecologici, sia a quella urbanistica delle aree dismesse e degradate, sia infine a quella territoriale, con particolare riferimento al greening delle reti infrastrutturali, dei servizi sociali e della città pubblica;

·         l'aggiornamento degli standard urbanistici, garantendo l'equilibrio tra il perseguimento dei livelli essenziali delle prestazioni e l'adattamento alle situazioni regionali;

·         la soluzione delle molteplici controversie giuridiche che ruotano intorno alla perequazione, alla compensazione, agli accordi pubblico-privato per legittimarli nella trasparenza e nel perseguimento dell'interesse pubblico;

·         l'evoluzione delle forme della partecipazione dei cittadini, garantendo il loro accesso alle sedi in cui si pratica e il pieno coinvolgimento nel processo di formazione delle decisioni.

 

 

 

Fonti:

1.    https://www.inu.it/calendario.php

2.    Aldo Vecchi - L’UTOPIA (ITALIANA) DI UNA CASA, PER TUTTI – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=sharing

3.    Aldo Vecchi - RILANCIARE LE POLITICHE PUBBLICHE PER L’ABITARE? – su Utopia21, novembre 2022 - https://drive.google.com/file/d/1rPQBG8MZLR2pbpmSzAr5e-nqnaXX436n/view?usp=share_link

4.    Aldo Vecchi - DEMOCRAZIE, POPULISMI, UTOPIE – su Utopia21, novembre 2018 - https://drive.google.com/file/d/1HUii5dAQkiJrqeGV4uTvGlnmCYJhrqjA/view?usp=sharing



[1] I copiosi ed inattesi investimenti del PNRR hanno di fatto colmato una divergenza, da me rilevata in precedenti articoli, tra chi nell’INU privilegiava gli aspetti metodologici/disciplinari e chi più sollecitava l’impegno sul fronte dei bisogni sociali

[2] Malgrado l’irrilevanza pratica, alla luce dell’evoluzione politica, la Commissione ha tuttavia prodotto un testo organico, reperibile al sito https://www.lavoripubblici.it/news/riforma-testo-unico-edilizia-urbanistica-ecco-proposte-commissione-29602

 

[3]

IL CANTIERE INU PER LA LEGGE DI PRINCIPI SUL GOVERNO DEL TERRITORIO: GRUPPI DI LAVORO TEMATICI

I principi fondamentali del governo del territorio: Francesco Domenico Moccia, Michele Talia

Sistema delle conoscenze e delle valutazioni nella pianificazione, rapporti con la programmazione: Carmen Giannino, Simone Ombuen

Suolo e servizi ecosistemici nella pianificazione urbanistica: Andrea Arcidiacono, Simona Tondelli

Per un ridisegno dei rapporti tra piani settoriali e piani territoriali e urbanistici: Carlo Gasparrini, Rosario Pavia

Natura e contenuti della pianificazione territoriale: Valeria Lingua, Francesca Moraci

Gli strumenti di pianificazione urbanistica: Carlo Alberto Barbieri, Patrizia Gabellini

Punti fermi per l'aggiornamento degli standard urbanistici: Carolina Giaimo, Laura Ricci, Marichela Sepe

Disciplina della perequazione e delle compensazioni urbanistiche. Fiscalità urbanistica. Disciplina degli accordi pubblico-privato (e del convenzionamento): Paolo Galuzzi, Stefano Stanghellini

La democrazia del piano e del progetto: Gilda Berruti, Raffaella Radoccia

[4] Si tratta dei diritti futuri (che dovrebbero essere inerenti ad aree già edificate): non vedo soluzioni per quelli pregressi, per di più spesso incardinati su aree di espansione, cioè su suoli che l’INU vorrebbe non più consumare: anche se in tal senso deve essere valutata la sperimentazione delle recente legge urbanistica regionale dell’Emilia-Romagna (sul sito INU1 è riportata anche la relativa “Rassegna Urbanistica Regionale, intrecciata con il 31° Congresso nazionale INU).

 

[5]A monte delle incertezze dell’INU, a mia impressione, sta anche una presunzione di ultra-efficacia della declaratoria dei piani (operativi) rispetto alla realtà della rendita di attesa, che invece si forma comunque, prima e dopo la proclamazione o la revoca dei diritti edificatori, e che si alimenta anche attorno alle previsioni “strutturali” e “strategiche” (che le nuove norme vorrebbero “non conformative” dei diritti edificatori), tanto più quanto le une (ricognitive delle qualità di fatto dei suoli) e le altre (predittive riguardo alle possibili decisioni istituzionali) si avvicinano ad una realistica descrizione delle dinamiche effettive (che anche il mercato capisce, perché non è necessariamente stupido).

 

[6] Va considerato che l’attuale legge sulle “plusvalenze immobiliari” (art. 16.4.d/ter del D.P.R. 380/2001, introdotto con il Decreto “Sblocca-Italia” del 2014)  limita il “contributo straordinario” dovuto dai proprietari al 50% del maggior valore, derivante dalle varianti, e solo per l’appunto in caso di variante urbanistica (cosicché ogni “nuovo piano” determina un “libera tutti”, nel senso che non sono sottoposte a prelievo le previsioni migliorative derivanti da un paino regolatore complessivamente nuovo)

 

[7] Il tema della rendita nella fase della rigenerazione urbana è approfondito da Piergiorgio Vitillo in “URBANISTICA? CONTRATTARE SI PUÒ - Commento al libro di Luca Gaeta” - https://www.casadellacultura.it/1368/urbanistica-contrattare-si-pu-ograve-

 

[8] Con la sub-ipotesi di rimborsarne una quota nella tassazione delle plusvalenze, per completare l’effetto incentivante in favore delle trasformazioni

[9] Richiamo in tal modo un’idea del prof. Giovanni Astengo, quando era assessore regionale all’urbanistica in Piemonte, tra il 1975 e il 1980


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