giovedì 19 gennaio 2023

UTOPIA21 - GENNAIO 2023: RIFORMARE L'URBANISTICA?

 RIFORMARE L’URBANISTICA?

di Aldo Vecchi

 

Il 31° Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica propone una nuova legge nazionale di principi sul Governo del Territorio: un riassunto ed una serie di rilievi su ciò che manca – a mio avviso – per una effettiva riforma.

 

Sommario:

-       le ragioni del 31° congresso I.N.U.

-       la proposta dell’I.N.U., in sintesi

-       cosa manca, a mio parere

o   diritto alla citta’ e diritto alla casa

o   fiscalita’ immobiliare

o   architettura istituzionale

o   economia circolare (e Valutazioni Ambientali Strategiche)

Appendice: “i punti qualificanti” della proposta I.N.U.

 

 

 

 

 

 

 

 

LE RAGIONI DEL 31° CONGRESSO I.N.U.

 

Ottanta anni dopo la Legge Urbanistica n° 1150 del 1942, dopo cinque decenni di leggi urbanistiche regionali ed a venti anni dalla riforma costituzionale del 2001, che ha inserito il “governo del territorio” tra le materie di competenza “concorrente” tra Stato e Regioni, l’Istituto Nazionale di Urbanistica rivendica la necessità di una nuova legge nazionale di principi ed ha improntato a questo scopo il suo XXXI Congresso (sul sito dell’INU 1 si trovano le registrazioni dei dibattiti congressuali e tutti i testi e video preparatori).

 

Il Congresso – che non aveva da dirimere questioni interne di linea[1] né di significativo rinnovo del gruppo dirigente – si è tenuto il 19 novembre a Bologna (preceduto dalla Rassegna Urbanistica Regionale, articolata sulle prime attuazioni della Legge Regionale N° 24/2017), anche per richiamare il Congresso di Bologna del 1995, che aveva varato la proposta dello sdoppiamento tra Piano Regolatore Strutturale, permanente, e Piano Operativo, temporaneo per le aree da trasformare, (più Regolamento Urbanistico, permanente, per i tessuti urbani consolidati), affiancati da “co-pianificazione” tra Comuni ed Enti “sovrastanti” e dal meccanismo della “perequazione” immobiliare, proposta che fu di modello per molte successive leggi regionali di “seconda generazione”, ma non per il legislatore nazionale (sostanzialmente assente sul tema, come il Governo, anche dopo la Riforma del 2001, e fino alla effimera Commissione di Esperti, nominata dal Ministro Giovannini ed interrotta dalle elezioni anticipate [2]).

 

Rispetto al 1995, quando al nuovo tema della riconversione delle aree industriali dismesse si associava ancora – anche nelle teorie degli urbanisti – quello dell’espansione urbana (giustificando quindi maggiormente gli strumenti perequativi, per rendere indifferenti le scelte urbanistiche rispetto alle singole proprietà, essendo ormai inapplicabili gli espropri di terreni a prezzi agricoli) l’INU rileva correttamente un contesto socio-economico e territorial-ambientale radicalmente mutato, con la consapevolezza di essere entrati nell’Antropocene e quindi della necessità di:

-       contenere il consumo di suolo e limitare gli interventi edilizi alla rigenerazione urbana

-       riorganizzare gli insediamenti in modo tale da limitare i consumi energetici, mitigare gli impatti climatici e contemperare il benessere umano con la biodiversità ambientale

-       affrontare la complessità dei bisogni di una società frammentata e diseguale.

Per conseguire tali finalità, la necessità di una legge nazionale di principi, sulla quale intessere un adeguato telaio di rinnovate norme regionali e di piani locali, deriva non solo dalla continua conflittualità tra Stato e Regioni (tradotta spesso in ricorsi alla Corte Costituzionale), poiché il Governo si richiama impropriamente alla legge del 1942 (di stampo gerarchico e dirigistico), non avendo altri “principi” cui riferirsi, ma dagli oggettivi limiti delle potestà regionali riguardo a:

-       regime giuridico dei suoli

-       fiscalità immobiliare

-       ordinamento degli enti locali,

nonché dall’impatto della programmazione nazionale (ed europea) per gli investimenti pubblici, impatto intensificato dalla contingenza del P.N.R.R., anch’esso dominato però operativamente da parallele logiche settoriali e da una scarsa sensibilità alle articolazioni territoriali.

 

Confidando nella oggettività di queste problematiche, malgrado il clima politico non particolarmente favorevole, l’INU per il completamento ed il lancio della proposta legislativa cerca alleati, sia negli ambienti intellettuali e professionali (Università, Ordini, Associazioni), sia tra i soggetti sociali (inclusa l’Associazione Nazionale dei Costruttori), sia ancora tra Regioni ed Enti locali (in buona misura già rappresentati nell’INU), ed ha scelto di limitarsi, nel Congresso e nei lavori preparatori, a formulare un telaio di principi generali (che riproduco in Appendice) ed un potenziale indice degli articoli, accompagnandoli con nove sintetici contributi teorici di altrettanti gruppi di lavoro tematici (vedi l’elenco in nota [3]), consultabili sul sito con altri documenti preliminari (mentre altri elaborati sono pubblicati su un numero speciale  di Urbanistica Informazioni).

Il tutto senza estendere ancora un testo dettagliato (anche per non “bruciarlo”), e lasciando aperte alcune opzioni al dibattito successivo, perché il Congresso non è stata la sede per dirimerli definitivamente.

 

 

LA PROPOSTA DELL’INU, IN SINTESI

 

In mia rapida sintesi la proposta di legge nazionale di principi per il governo del territorio contempla:

-       la promozione – anche a livello nazionale – di un sistema di quadri conoscitivi e di indicatori socio-ambientali che faciliti il dialogo tra programmazione economica (in particolare per la spesa pubblica) e la pianificazione[av1]   territoriale a tutte le scale, privilegiando criteri di razionalità fondati sul concreto monitoraggio delle condizioni iniziali e degli effetti delle scelte;

-       la conferma dell’attuale stratificazione scalare di piani territoriali/paesaggistici e urbanistici ai tre livelli delle Regioni, delle Province o Città Metropolitane, dei Comuni o Unioni-di-Comuni;

-       la tendenziale unificazione in un unico Piano (al livello comunale/unionale) di una componente strutturale/strategica, vigente a tempo indeterminato così come la componente regolativa per i territori consolidati, e di una (eventuale) componente operativa per le aree da trasformare, con durata di cinque/dieci anni, valevole sia per gli interventi pubblici (con vincoli per potenziali espropri) sia per gli interventi privati ed i connessi diritti edificatori; cercando anche di integrare i vari piani specialistici di settore;

-       il passaggio dalle verifiche di “conformità” (rispetto all’azzonamento e al dettato normativo) alle verifiche di “coerenza” (rispetto ai quadri conoscitivi e alle opzioni strategiche), e ciò sia nella concertazione tra i livelli istituzionali per l’approvazione[av2]  dei piani e per la localizzazione dei programmi di intervento settoriali, sia per i successivi adeguamenti dei piani a condizioni e domande mutate, limitando le procedure di complessiva “variante” (che ripete l’intero percorso di approvazione) ai casi di effettivo riassetto degli elementi strutturali, e introducendo procedure più snelle per le modifiche minori;

-       la codificazione dei principi perequativi, distribuendo equamente tra i diversi proprietari interessati i diritti edificatori derivanti dai progetti di trasformazione urbana, e più precisamente attribuendo tali diritti in proporzione ai valori catastali iniziali (ovviamente aggiornati, rispetto all’attuale stratificazione storico-casuale, ed anche tenendo conto delle diverse qualità ambientali degli immobili), ed applicando su di essi una conseguente tassazione immobiliare;

-       una nuova definizione a livello nazionale degli standard minimi di spazi ad uso pubblico, tenendo conto dei nuovi bisogni sociali e della necessità dei “servizi eco-sistemici”, e lasciando alle leggi regionali ed ai piani intermedi e locali una implementazione flessibile di tale complessa riformulazione della “città pubblica”, che contempli anche l’offerta di servizi alle persone derivante dal volontariato e dal terzo settore;

-       ricerca di nuove modalità di partecipazione popolare nella formazione dei piani, a partire dalla fase conoscitiva, che divenire interattiva tra istituzioni e cittadini.

 

 

 

COSA MANCA, A MIO PARERE

 

Tenendo conto che l’insieme delle intenzioni manifestate dall’INU mi sembra positivo, anche se forse un poco illusorio riguardo alla fiducia nel “quadro di coerenze” come strumento di conciliazione tra poteri nazionali/sovranazionali e poteri locali e tra le diverse spinte settoriali (esempio: energia o paesaggio? cibo o tempo libero?) nella varia dinamica del divenire degli interessi e delle strategie, nei paragrafi seguenti mi permetto di esporre una mia visione critica, indirizzata soprattutto a ciò che a mio avviso manca nella proposta INU per essere una sostanziale riforma dell’urbanistica (e andando anche oltre i consueti limiti disciplinari).

 

 

 

 

 

 

 

-       DIRITTO ALLA CITTA’ E DIRITTO ALLA CASA

 

Gli standard di spazi pubblici tradizionalmente indicano un orizzonte per i diritti minimi di un astratto cittadino, ma trascurano una condizione preliminare, cioè se tutti i cittadini dispongono di uno spazio abitativo adeguato.

Anche se non è specificato in Costituzione (dovrebbe esserlo), ma sta maturando nel diritto costituzionale, il diritto alla casa dovrebbe essere la prima componente del diritto alla città: e ciò è drammaticamente presente nell’attuale situazione sociale, che – pur essendo il frutto di una lunga spinta verso al diffusione della proprietà della casa (il che non esclude frange di povertà abitativa e di povertà energetica anche nella categoria dei proprietari di casa) – contempla sia una crescente quota di “senza casa” sia un diffuso disagio tra chi è costretto a vivere in affitto, soprattutto nelle grandi città, tra i giovani, gli immigrati e gli anziani poveri.

(Rimando ai miei precedenti articoli in materia 2,3).

Al di là dei meriti della “Prima Repubblica” negli interventi di edilizia popolare, politiche successivamente avviate ad estinzione, nel diritto urbanistico la questione si è affacciata poco e male:

-       con la legge sulla casa n° 865 del 1971, che obbligava di riservare all’edilizia residenziale pubblica (case popolari, cooperative, edilizia privata agevolata) la metà delle aree di nuova edificazione in zone di espansione, norma che è rimasta in parte inapplicata, e sempre più con l’esaurimento (o il camuffamento sotto altro nome) delle zone di espansione, ed in parallelo al suddetto calo degli investimenti pubblici in materia

-       con qualche tentativo di equiparare o integrare le aree a standard con le aree per edilizia pubblica residenziale, come operazione emergenziale al risparmio (destinare ad edilizia popolare aree già vincolate o acquisite dal Comune per altri “servizi”, ma di fatto inutilizzate) oppure come primo passo – ma poco deciso – per implementare sistematicamente gli standard con l’edilizia sociale (art. 1, comma 258, della L. 244/2007, finanziaria per il 2008).

 

A mio avviso una seria riforma urbanistica, con ambizione di dettare in questo campo i Livelli Essenziali delle Prestazioni (anche in rapporto all’incombente dibattito sulle Autonomie Differenziate tra le Regioni), deve andare oltre una preoccupazione collaterale per l’edilizia sociale al fianco dei classici standard, e porre invece il diritto alla casa al centro del concetto di cittadinanza, definendo un concreto “minimo esistenziale” abitativo; con riflessi

-       non solo sulla ripartizione dei diritti edificatori nell’ambito dei processi di rigenerazione urbana, superando un concetto limitato di “perequazione tra i proprietari catastali”, in favore di una più ampia “equità tra tutti i cittadini”,

-       ma anche e soprattutto nell’orientamento degli stessi programmi di recupero (privilegiando gli interventi contro la povertà abitativa) e nella ripartizione delle risorse finanziarie, a partire dai proventi fiscali ragionevolmente reperibili all’interno dello stesso settore edilizio ed immobiliare (ma senza escludere, ovviamente, l’impiego di altre risorse, provenienti dalla fiscalità generale); il che influisce sul successivo argomento.

 

 

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-       FISCALITA’ IMMOBILIARE

 

La principale attenzione della proposta dell’INU sembra quella di liberarsi dal condizionamento sulle scelte urbanistiche derivante dal peso dei diritti edificabili inutilizzati [4], prevedendo che siano sottoposti a tassazione patrimoniale (IMU) solo durante il periodo di godibilità, e ciò solo per i Comuni in cui si rende necessaria una qualche forma di “Piano Operativo” (e negli altri?) [5].

Non emerge invece una proposta sistematica di “cattura” fiscale della rendita [6], se non nella forma della “perequazione tra proprietari”, che tende a distribuire equamente tra di essi gli oneri urbanistici in senso lato (cessione di aree e realizzazione di servizi, ed eventualmente di alloggi E.R.P.; oppure eventuale monetizzazione equivalente)[7].

 

La soluzione secondo me va cercata rendendo principale, riguardo a tutti gli immobili, la tassazione sulle plusvalenze (quando si realizzano con le compravendite, e senza tassare queste con l’imposta di registro proporzionale al valore e indifferente al plus-valore) e complementare invece la tassazione patrimoniale (da reintrodurre però anche sulle prime case, per il valore eccedente il “minimo esistenziale”).

E’ da valutare inoltre, in questo quadro, se una tassa patrimoniale (simile all’IMU), applicata agli immobili inutilizzati ed ai terreni trasformabili, debba essere aumentata progressivamente nel tempo (nei soli piani operativi?), per incentivare le trasformazioni realisticamente possibili  [8]; mentre non avrebbe senso aggravare di maggiorazioni progressive nel tempo il mancato uso di immobili in aree marginali e depresse.

Nel contempo confermo il mio appello per una detrazione dalle imposte sul reddito, in favore degli inquilini, pari all’importo dei canoni di locazione, ma solo fino al valore in loco del suddetto “minimo esistenziale”.

 

 

 

-       ARCHITETTURA ISTITUZIONALE

 

La proposta dell’INU auspica buoni risultati (ad esempio anche sulla spinosa questione della localizzazione degli investimenti pubblici) dalla leale collaborazione tra i vari livelli istituzionali, accettando però la situazione di fatto, che vede le provincie a parte quelle ribattezzate “Città Metropolitane” indebolite dalla mezza riforma DelRio (l’altra mezza essendo rimasta azzoppata dalla bocciatura delle modifiche alla Costituzione avanzate dal governo Renzi) e la aggregazione dei piccoli comuni in Unioni (con almeno 5.000 abitanti) lasciata per lo più (tranne in alcune regioni) alle simpatie e antipatie tra i Sindaci.

A mio parere invece il dibattito su una efficace riforma urbanistica, pur non potendo presupporre né attendere una altrettanto efficace riforma degli enti locali, dovrebbe invece anticiparla almeno per la sola pianificazione imponendo che i nuovi piani al livello comunale possano essere approvati solo in una dimensione intercomunale adeguata, definita dalle Regioni e/o dalle Province (o Città Metropolitane) con adeguata autorità (sia pure previe tutte le opportune consultazioni); e non penso ad una soglia minima burocratica di 5.000 abitanti, bensì ad aggregazioni funzionali ben motivate nella geografia, nell’ambiente e nella storia, a partire dalle comunità montane/vallive e – al di sotto delle valli con consistenza media vicina a 50.000 abitanti.

Cioè una dimensione che dia un senso ai quadri conoscitivi ed alle valutazioni ambientali strategiche, nonché ai meccanismi delle ipotizzate “perequazioni territoriali” (quando ad esempio si localizza un polo logistico oppure un ospedale, ed è opportuno che costi e benefici siano spalmati oltre i confini storici di un singolo comune) ed anche un maggior contenuto alla democrazia dal basso, perché – pur in un ambito più vasto del tradizionale comune (che può permanere a fare altre cose) – le associazioni locali si troverebbero a controllare e ad influenzare le vere decisioni sul futuro dei territori (e non la edificabilità o meno del terreno di mio cugino).4

Quando parlo di “imporre” immagino pesanti meccanismi di incentivo e disincentivo, come ad esempio il conferimento alle Province/C.M. (per successiva ridistribuzione), e non ai singoli comuni, di tutti o quasi i proventi degli “oneri di urbanizzazione” (e dintorni) fino a che non viene redatto il piano intercomunale; ed una serie di premi in termini di assunzioni, nell’organico intercomunale (ma rimborsate dalle regioni [9]), del personale tecnico necessario a redigere, monitorare e aggiornare nel tempi i nuovi piani (meglio se separando in unità parallele i “valutatori” dai “progettisti”).

Dalla conseguente maggior credibilità ed autorevolezza dei piani locali (e delle connesse valutazioni ambientali) dovrebbero trovar vantaggio i livelli superiori della scala pianificatoria, dal piano intermedio di competenza di Province e Città metropolitane, che potrebbe veramente “ridursi” al “coordinamento territoriale” (salvo assumere funzioni strutturali ed operative in sostituzione dei comuni inadempienti), al piano territoriale regionale, fino agli indirizzi programmatici nazionali, i cui attori più facilmente potranno acquisire conoscenza dei “valori locali” e trovare nei luoghi validi interlocutori.

Sarebbe auspicabile, in parallelo, come accennato nel Congresso dell’INU, una semplificazione “olistica” di tali attori, in modo tale che gli Enti Locali, convocando le “Conferenze di Pianificazione” possano dialogare con autorità capaci di visioni intersettoriali al proprio livello (provinciale, regionale o nazionale) e non con singoli uffici (provinciali, regionali e statali) portatori di segmenti particolari degli interessi pubblici.

 

La questione dell’architettura istituzionale è altresì rilevante, a mio avviso, ma rovesciandola dall’alto verso il basso, con opportune soluzioni commissariali (regionali o nazionali, a seconda della rilevanza dei problemi), quando si riconosca, come in diverse situazioni di degrado ambientale, abbandono sociale o disgregazione civica (esempio emblematico Casamicciola), la incapacità o impossibilità per i poteri locali ordinari (anche se rafforzate in più ampie Unioni di Comuni) di risolvere questioni annose quali le bonifiche ambientali, il risanamento idrogeologico, il contrasto all’abusivismo (su quest’ultimo sarebbe forse da ipotizzare in via permanente il compito delle demolizioni ai Prefetti anziché ai Sindaci).

 

 

-       ECONOMIA CIRCOLARE (E VALUTAZIONI AMBIENTALI STRATEGICHE)

 

La proposta dell’INU risulta molto orientata alla tutela delle risorse coinvolte dal ciclo della vita urbana e nel rapporto città-campagna (suolo aria acqua cibo calore energia), ma mi sembra un po’ distratta riguardo al ciclo edilizio insito nella stessa trasformazione urbana.

“Rigenerazione” (giustamente), può significare livelli assai diversi di intervento, dal “rammendo” postulato da Renzo Piano, che tende ad escludere le demolizioni, alle ipotesi di radicale sostituzione edilizia, come quella proposta dall’ing. Gianni Verga per il quartiere milanese di San Siro o da InterMilanSpa per il vicino stadio di San Siro.

Tuttavia lasciare aperto questo ventaglio di scelte non può voler dire – per una riforma urbanistica consapevole dell’Antropocene – la neutralità verso gli effetti che il suddetto ciclo edilizio può avere sul territorio e sul suolo, vicino o remoto in termini di prelievo di materie prime (cave, cementifici, acciaierie, vetreria, filiera forestale, ecc.) di riciclo dei materiali di demolizione (nuovi Monte Stella?), di trasporti e di impatto ambientali dei cantieri: problematica che a mio avviso non può essere lasciata “per competenza disciplinare” agli architetti che coltivano le ipotesi (seppur virtuose) delle case in terra od in legno, oppure dei “boschi verticali”, ma deve entrare a pieno titolo nella griglia delle Valutazioni Ambientali Strategiche inerenti ai piani urbanistici.

Ed a proposito di V.A.S., forse è maturo il tempo per definire in modo omogeneo i principali indicatori, prevedendo nella nuova legge nazionale di principi le modalità di periodica emanazione ed aggiornamento dei relativi criteri, in relazione alla Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS), alla Strategia nazionale per la Biodiversità ed al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNIACC), quando finalmente adeguati ed approvati.

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

 

APPENDICE – “I PUNTI QUALIFICANTI” DELLA PROPOSTA I.N.U”

 

·         lo sviluppo, la diffusione ed il coordinamento dei sistemi informativi territoriali, avvalendosi delle più avanzate opportunità tecnologiche e conoscitive;

·         l'integrazione della programmazione nel governo del territorio, per assicurare la rapida ed efficace attuazione delle politiche pubbliche;

·         l'adozione di misure atte a limitare il consumo di suolo e a garantire la fornitura dei servizi ecosistemici, incidendo su un ampio spettro di strumenti che vanno dalla dimensione regolativa a quella incentivante e fiscale;

·         la promozione di una maggiore convergenza e coerenza delle pianificazioni separate con quella territoriale ed urbanistica, al fine di evitare che il governo del territorio non risulti paralizzato dal moltiplicarsi dei centri decisionali e dalla conflittualità degli interessi;

·         la ridefinizione dei compiti e delle responsabilità relative ai diversi livelli della pianificazione, in coerenza con il principio di sussidiarietà;

·         la previsione di un nuovo tipo di piano urbanistico, che sia in grado di favorire i processi di rigenerazione urbana sia alla scala minuta degli adeguamenti energetici, sismici ed ecologici, sia a quella urbanistica delle aree dismesse e degradate, sia infine a quella territoriale, con particolare riferimento al greening delle reti infrastrutturali, dei servizi sociali e della città pubblica;

·         l'aggiornamento degli standard urbanistici, garantendo l'equilibrio tra il perseguimento dei livelli essenziali delle prestazioni e l'adattamento alle situazioni regionali;

·         la soluzione delle molteplici controversie giuridiche che ruotano intorno alla perequazione, alla compensazione, agli accordi pubblico-privato per legittimarli nella trasparenza e nel perseguimento dell'interesse pubblico;

·         l'evoluzione delle forme della partecipazione dei cittadini, garantendo il loro accesso alle sedi in cui si pratica e il pieno coinvolgimento nel processo di formazione delle decisioni.

 

 

 

Fonti:

1.    https://www.inu.it/calendario.php

2.    Aldo Vecchi - L’UTOPIA (ITALIANA) DI UNA CASA, PER TUTTI – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=sharing

3.    Aldo Vecchi - RILANCIARE LE POLITICHE PUBBLICHE PER L’ABITARE? – su Utopia21, novembre 2022 - https://drive.google.com/file/d/1rPQBG8MZLR2pbpmSzAr5e-nqnaXX436n/view?usp=share_link

4.    Aldo Vecchi - DEMOCRAZIE, POPULISMI, UTOPIE – su Utopia21, novembre 2018 - https://drive.google.com/file/d/1HUii5dAQkiJrqeGV4uTvGlnmCYJhrqjA/view?usp=sharing



[1] I copiosi ed inattesi investimenti del PNRR hanno di fatto colmato una divergenza, da me rilevata in precedenti articoli, tra chi nell’INU privilegiava gli aspetti metodologici/disciplinari e chi più sollecitava l’impegno sul fronte dei bisogni sociali

[2] Malgrado l’irrilevanza pratica, alla luce dell’evoluzione politica, la Commissione ha tuttavia prodotto un testo organico, reperibile al sito https://www.lavoripubblici.it/news/riforma-testo-unico-edilizia-urbanistica-ecco-proposte-commissione-29602

 

[3]

IL CANTIERE INU PER LA LEGGE DI PRINCIPI SUL GOVERNO DEL TERRITORIO: GRUPPI DI LAVORO TEMATICI

I principi fondamentali del governo del territorio: Francesco Domenico Moccia, Michele Talia

Sistema delle conoscenze e delle valutazioni nella pianificazione, rapporti con la programmazione: Carmen Giannino, Simone Ombuen

Suolo e servizi ecosistemici nella pianificazione urbanistica: Andrea Arcidiacono, Simona Tondelli

Per un ridisegno dei rapporti tra piani settoriali e piani territoriali e urbanistici: Carlo Gasparrini, Rosario Pavia

Natura e contenuti della pianificazione territoriale: Valeria Lingua, Francesca Moraci

Gli strumenti di pianificazione urbanistica: Carlo Alberto Barbieri, Patrizia Gabellini

Punti fermi per l'aggiornamento degli standard urbanistici: Carolina Giaimo, Laura Ricci, Marichela Sepe

Disciplina della perequazione e delle compensazioni urbanistiche. Fiscalità urbanistica. Disciplina degli accordi pubblico-privato (e del convenzionamento): Paolo Galuzzi, Stefano Stanghellini

La democrazia del piano e del progetto: Gilda Berruti, Raffaella Radoccia

[4] Si tratta dei diritti futuri (che dovrebbero essere inerenti ad aree già edificate): non vedo soluzioni per quelli pregressi, per di più spesso incardinati su aree di espansione, cioè su suoli che l’INU vorrebbe non più consumare: anche se in tal senso deve essere valutata la sperimentazione delle recente legge urbanistica regionale dell’Emilia-Romagna (sul sito INU1 è riportata anche la relativa “Rassegna Urbanistica Regionale, intrecciata con il 31° Congresso nazionale INU).

 

[5]A monte delle incertezze dell’INU, a mia impressione, sta anche una presunzione di ultra-efficacia della declaratoria dei piani (operativi) rispetto alla realtà della rendita di attesa, che invece si forma comunque, prima e dopo la proclamazione o la revoca dei diritti edificatori, e che si alimenta anche attorno alle previsioni “strutturali” e “strategiche” (che le nuove norme vorrebbero “non conformative” dei diritti edificatori), tanto più quanto le une (ricognitive delle qualità di fatto dei suoli) e le altre (predittive riguardo alle possibili decisioni istituzionali) si avvicinano ad una realistica descrizione delle dinamiche effettive (che anche il mercato capisce, perché non è necessariamente stupido).

 

[6] Va considerato che l’attuale legge sulle “plusvalenze immobiliari” (art. 16.4.d/ter del D.P.R. 380/2001, introdotto con il Decreto “Sblocca-Italia” del 2014)  limita il “contributo straordinario” dovuto dai proprietari al 50% del maggior valore, derivante dalle varianti, e solo per l’appunto in caso di variante urbanistica (cosicché ogni “nuovo piano” determina un “libera tutti”, nel senso che non sono sottoposte a prelievo le previsioni migliorative derivanti da un paino regolatore complessivamente nuovo)

 

[7] Il tema della rendita nella fase della rigenerazione urbana è approfondito da Piergiorgio Vitillo in “URBANISTICA? CONTRATTARE SI PUÒ - Commento al libro di Luca Gaeta” - https://www.casadellacultura.it/1368/urbanistica-contrattare-si-pu-ograve-

 

[8] Con la sub-ipotesi di rimborsarne una quota nella tassazione delle plusvalenze, per completare l’effetto incentivante in favore delle trasformazioni

[9] Richiamo in tal modo un’idea del prof. Giovanni Astengo, quando era assessore regionale all’urbanistica in Piemonte, tra il 1975 e il 1980


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 [av2]

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