RIFORMARE L’URBANISTICA?
di Aldo
Vecchi
Il 31° Congresso dell’Istituto
Nazionale di Urbanistica propone una nuova legge nazionale di principi sul
Governo del Territorio: un riassunto ed una serie di rilievi su ciò che manca –
a mio avviso – per una effettiva riforma.
Sommario:
-
le ragioni del 31° congresso I.N.U.
-
la proposta dell’I.N.U., in sintesi
-
cosa manca, a mio parere
o
diritto alla citta’ e
diritto alla casa
o
fiscalita’
immobiliare
o
architettura
istituzionale
o
economia
circolare (e Valutazioni Ambientali Strategiche)
Appendice: “i punti
qualificanti” della proposta I.N.U.
LE RAGIONI DEL 31° CONGRESSO I.N.U.
Ottanta anni dopo la Legge Urbanistica n° 1150
del 1942, dopo cinque decenni di leggi urbanistiche regionali ed a venti anni
dalla riforma costituzionale del 2001, che ha inserito il “governo del
territorio” tra le materie di competenza “concorrente” tra Stato e Regioni,
l’Istituto Nazionale di Urbanistica rivendica la necessità di una nuova legge
nazionale di principi ed ha improntato a questo scopo il suo XXXI Congresso
(sul sito dell’INU 1 si trovano le registrazioni dei dibattiti
congressuali e tutti i testi e video preparatori).
Il Congresso – che non aveva da dirimere
questioni interne di linea[1]
né di significativo rinnovo del gruppo dirigente – si è tenuto il 19 novembre a
Bologna (preceduto dalla Rassegna Urbanistica Regionale, articolata sulle prime
attuazioni della Legge Regionale N° 24/2017), anche per richiamare il Congresso
di Bologna del 1995, che aveva varato la proposta dello sdoppiamento tra Piano
Regolatore Strutturale, permanente, e Piano Operativo, temporaneo per le aree
da trasformare, (più Regolamento Urbanistico, permanente, per i tessuti urbani
consolidati), affiancati da “co-pianificazione” tra Comuni ed Enti
“sovrastanti” e dal meccanismo della “perequazione” immobiliare, proposta che
fu di modello per molte successive leggi regionali di “seconda generazione”, ma
non per il legislatore nazionale (sostanzialmente assente sul tema, come il
Governo, anche dopo la Riforma del 2001, e fino alla effimera Commissione di
Esperti, nominata dal Ministro Giovannini ed interrotta dalle elezioni
anticipate [2]).
Rispetto al 1995, quando al nuovo tema della
riconversione delle aree industriali dismesse si associava ancora – anche nelle
teorie degli urbanisti – quello dell’espansione urbana (giustificando quindi
maggiormente gli strumenti perequativi, per rendere indifferenti le scelte
urbanistiche rispetto alle singole proprietà, essendo ormai inapplicabili gli
espropri di terreni a prezzi agricoli) l’INU rileva correttamente un contesto
socio-economico e territorial-ambientale radicalmente mutato, con la
consapevolezza di essere entrati nell’Antropocene e quindi della necessità di:
-
contenere il consumo di suolo e limitare gli
interventi edilizi alla rigenerazione urbana
-
riorganizzare gli insediamenti in modo tale da
limitare i consumi energetici, mitigare gli impatti climatici e contemperare il
benessere umano con la biodiversità ambientale
-
affrontare la complessità dei bisogni di una
società frammentata e diseguale.
Per conseguire tali finalità, la necessità di
una legge nazionale di principi, sulla quale intessere un adeguato telaio di rinnovate
norme regionali e di piani locali, deriva non solo dalla continua
conflittualità tra Stato e Regioni (tradotta spesso in ricorsi alla Corte
Costituzionale), poiché il Governo si richiama impropriamente alla legge del
1942 (di stampo gerarchico e dirigistico), non avendo altri “principi” cui
riferirsi, ma dagli oggettivi limiti delle potestà regionali riguardo a:
-
regime giuridico dei suoli
-
fiscalità immobiliare
-
ordinamento degli enti locali,
nonché dall’impatto della programmazione
nazionale (ed europea) per gli investimenti pubblici, impatto intensificato
dalla contingenza del P.N.R.R., anch’esso dominato però operativamente da
parallele logiche settoriali e da una scarsa sensibilità alle articolazioni
territoriali.
Confidando nella oggettività di queste
problematiche, malgrado il clima politico non particolarmente favorevole, l’INU
per il completamento ed il lancio della proposta legislativa cerca alleati, sia
negli ambienti intellettuali e professionali (Università, Ordini,
Associazioni), sia tra i soggetti sociali (inclusa l’Associazione Nazionale dei
Costruttori), sia ancora tra Regioni ed Enti locali (in buona misura già
rappresentati nell’INU), ed ha scelto di limitarsi, nel Congresso e nei lavori
preparatori, a formulare un telaio di principi generali (che riproduco in
Appendice) ed un potenziale indice degli articoli, accompagnandoli con nove
sintetici contributi teorici di altrettanti gruppi di lavoro tematici (vedi
l’elenco in nota [3]),
consultabili sul sito con altri documenti preliminari (mentre altri elaborati
sono pubblicati su un numero speciale di
Urbanistica Informazioni).
Il tutto senza estendere ancora un testo
dettagliato (anche per non “bruciarlo”), e lasciando aperte alcune opzioni al
dibattito successivo, perché il Congresso non è stata la sede per dirimerli
definitivamente.
LA PROPOSTA DELL’INU, IN SINTESI
In mia rapida sintesi la proposta di legge
nazionale di principi per il governo del territorio contempla:
-
la promozione – anche a livello nazionale – di un sistema di quadri
conoscitivi e di indicatori socio-ambientali che
faciliti il dialogo tra programmazione economica (in particolare per la spesa
pubblica) e la pianificazione[av1] territoriale a tutte le scale,
privilegiando criteri di razionalità fondati sul concreto monitoraggio delle
condizioni iniziali e degli effetti delle scelte;
-
la conferma dell’attuale stratificazione scalare di piani
territoriali/paesaggistici e urbanistici ai tre livelli
delle Regioni, delle Province o Città Metropolitane, dei Comuni o
Unioni-di-Comuni;
-
la tendenziale unificazione in un unico Piano (al livello
comunale/unionale) di una componente strutturale/strategica, vigente a tempo
indeterminato così come la componente regolativa per i territori consolidati, e
di una (eventuale) componente operativa per le aree da trasformare, con durata di cinque/dieci anni, valevole sia per gli interventi
pubblici (con vincoli per potenziali espropri) sia per gli interventi privati
ed i connessi diritti edificatori; cercando anche di integrare i vari piani
specialistici di settore;
-
il passaggio dalle verifiche di “conformità” (rispetto all’azzonamento e al dettato normativo) alle verifiche di “coerenza” (rispetto ai quadri conoscitivi e alle
opzioni strategiche), e ciò sia nella concertazione tra i livelli istituzionali
per l’approvazione[av2] dei piani e per la localizzazione dei programmi di intervento
settoriali, sia per i successivi adeguamenti dei piani a condizioni e domande
mutate, limitando le procedure di complessiva “variante” (che ripete l’intero
percorso di approvazione) ai casi di effettivo riassetto degli elementi
strutturali, e introducendo procedure più snelle per le modifiche minori;
-
la codificazione dei principi perequativi, distribuendo equamente tra i diversi proprietari interessati i
diritti edificatori derivanti dai progetti di trasformazione urbana, e più
precisamente attribuendo tali diritti in proporzione ai valori catastali
iniziali (ovviamente aggiornati, rispetto all’attuale stratificazione
storico-casuale, ed anche tenendo conto delle diverse qualità ambientali degli
immobili), ed applicando su di essi una conseguente tassazione immobiliare;
-
una nuova definizione a livello nazionale degli standard minimi di
spazi ad uso pubblico, tenendo conto dei nuovi bisogni sociali e
della necessità dei “servizi eco-sistemici”, e lasciando alle leggi regionali
ed ai piani intermedi e locali una implementazione flessibile di tale complessa
riformulazione della “città pubblica”, che contempli anche l’offerta di servizi
alle persone derivante dal volontariato e dal terzo settore;
-
ricerca di nuove modalità di partecipazione popolare nella formazione dei piani, a partire dalla fase conoscitiva, che
divenire interattiva tra istituzioni e cittadini.
COSA MANCA, A MIO PARERE
Tenendo conto che l’insieme delle intenzioni manifestate dall’INU mi
sembra positivo, anche se forse un poco illusorio riguardo alla fiducia nel
“quadro di coerenze” come strumento di conciliazione tra poteri
nazionali/sovranazionali e poteri locali e tra le diverse spinte settoriali
(esempio: energia o paesaggio? cibo o tempo libero?) nella varia dinamica del
divenire degli interessi e delle strategie, nei paragrafi seguenti mi permetto di esporre una mia visione critica,
indirizzata soprattutto a ciò che a mio avviso manca nella proposta INU per
essere una sostanziale riforma dell’urbanistica (e andando anche oltre i
consueti limiti disciplinari).
-
DIRITTO ALLA CITTA’ E
DIRITTO ALLA CASA
Gli standard di spazi pubblici tradizionalmente indicano un orizzonte
per i diritti minimi di un astratto cittadino, ma trascurano una condizione
preliminare, cioè se tutti i cittadini dispongono di uno spazio abitativo
adeguato.
Anche se non è specificato in Costituzione (dovrebbe esserlo), ma sta
maturando nel diritto costituzionale, il diritto alla casa dovrebbe essere la
prima componente del diritto alla città: e ciò è drammaticamente presente
nell’attuale situazione sociale, che – pur essendo il frutto di una lunga
spinta verso al diffusione della proprietà della casa (il che non esclude
frange di povertà abitativa e di povertà energetica anche nella categoria dei
proprietari di casa) – contempla sia una crescente quota di “senza casa” sia un
diffuso disagio tra chi è costretto a vivere in affitto, soprattutto nelle
grandi città, tra i giovani, gli immigrati e gli anziani poveri.
(Rimando ai miei precedenti articoli in materia 2,3).
Al di là dei meriti della “Prima Repubblica” negli interventi di
edilizia popolare, politiche successivamente avviate ad estinzione, nel diritto
urbanistico la questione si è affacciata poco e male:
-
con la legge sulla casa n° 865 del 1971, che obbligava di riservare
all’edilizia residenziale pubblica (case popolari, cooperative, edilizia
privata agevolata) la metà delle aree di nuova edificazione in zone di
espansione, norma che è rimasta in parte inapplicata, e sempre più con
l’esaurimento (o il camuffamento sotto altro nome) delle zone di espansione, ed
in parallelo al suddetto calo degli investimenti pubblici in materia
-
con qualche tentativo di equiparare o integrare le aree a standard con
le aree per edilizia pubblica residenziale, come operazione emergenziale al
risparmio (destinare ad edilizia popolare aree già vincolate o acquisite dal
Comune per altri “servizi”, ma di fatto inutilizzate) oppure come primo passo –
ma poco deciso – per implementare sistematicamente gli standard con l’edilizia
sociale (art. 1, comma 258, della L. 244/2007, finanziaria per il 2008).
A mio avviso una seria riforma urbanistica, con ambizione di dettare
in questo campo i Livelli Essenziali delle Prestazioni (anche in rapporto
all’incombente dibattito sulle Autonomie Differenziate tra le Regioni), deve
andare oltre una preoccupazione collaterale per l’edilizia sociale al fianco
dei classici standard, e porre invece il
diritto alla casa al centro del concetto di cittadinanza, definendo un
concreto “minimo esistenziale” abitativo; con riflessi
-
non solo sulla ripartizione dei diritti edificatori nell’ambito dei
processi di rigenerazione urbana, superando un concetto limitato di
“perequazione tra i proprietari catastali”, in favore di una più ampia “equità
tra tutti i cittadini”,
-
ma anche e soprattutto nell’orientamento degli stessi programmi di
recupero (privilegiando gli interventi contro la povertà abitativa) e nella
ripartizione delle risorse finanziarie, a partire dai proventi fiscali
ragionevolmente reperibili all’interno dello stesso settore edilizio ed immobiliare
(ma senza escludere, ovviamente, l’impiego di altre risorse, provenienti dalla
fiscalità generale); il che influisce sul successivo argomento.
ù
-
FISCALITA’ IMMOBILIARE
La principale attenzione della proposta dell’INU sembra quella di
liberarsi dal condizionamento sulle scelte urbanistiche derivante dal peso dei
diritti edificabili inutilizzati [4],
prevedendo che siano sottoposti a tassazione patrimoniale (IMU) solo durante il
periodo di godibilità, e ciò solo per i Comuni in cui si rende necessaria una qualche
forma di “Piano Operativo” (e negli altri?) [5].
Non emerge invece una proposta sistematica di “cattura” fiscale della
rendita [6], se
non nella forma della “perequazione tra proprietari”, che tende a distribuire
equamente tra di essi gli oneri urbanistici in senso lato (cessione di aree e
realizzazione di servizi, ed eventualmente di alloggi E.R.P.; oppure eventuale
monetizzazione equivalente)[7].
La soluzione secondo me va
cercata rendendo principale, riguardo a tutti gli immobili, la tassazione sulle
plusvalenze (quando si realizzano con le compravendite, e senza tassare queste
con l’imposta di registro proporzionale al valore e indifferente al
plus-valore) e complementare invece la
tassazione patrimoniale (da reintrodurre però anche sulle prime case, per il
valore eccedente il “minimo esistenziale”).
E’ da valutare inoltre, in questo quadro, se una tassa patrimoniale
(simile all’IMU), applicata agli immobili inutilizzati ed ai terreni
trasformabili, debba essere aumentata progressivamente nel tempo (nei soli
piani operativi?), per incentivare le trasformazioni realisticamente possibili [8];
mentre non avrebbe senso aggravare di maggiorazioni progressive nel tempo il
mancato uso di immobili in aree marginali e depresse.
Nel contempo confermo il mio appello per una detrazione dalle imposte
sul reddito, in favore degli inquilini, pari all’importo dei canoni di
locazione, ma solo fino al valore in loco del suddetto “minimo esistenziale”.
-
ARCHITETTURA ISTITUZIONALE
La proposta dell’INU auspica buoni risultati (ad esempio anche sulla
spinosa questione della localizzazione degli investimenti pubblici) dalla leale
collaborazione tra i vari livelli istituzionali, accettando però la situazione
di fatto, che vede le provincie – a parte quelle ribattezzate “Città
Metropolitane” – indebolite dalla
mezza riforma DelRio (l’altra mezza essendo rimasta azzoppata dalla bocciatura
delle modifiche alla Costituzione avanzate dal governo Renzi) e la aggregazione
dei piccoli comuni in Unioni (con almeno 5.000 abitanti) lasciata per lo più
(tranne in alcune regioni) alle simpatie e antipatie tra i Sindaci.
A mio parere invece il dibattito su una efficace riforma urbanistica,
pur non potendo presupporre né attendere una altrettanto efficace riforma degli
enti locali, dovrebbe invece anticiparla almeno per la sola pianificazione imponendo che i nuovi piani al livello
comunale possano essere approvati solo in una dimensione intercomunale
adeguata, definita dalle Regioni e/o dalle Province (o Città Metropolitane) con
adeguata autorità (sia pure previe tutte le opportune consultazioni); e non
penso ad una soglia minima burocratica di 5.000 abitanti, bensì ad aggregazioni
funzionali ben motivate nella geografia, nell’ambiente e nella storia, a
partire dalle comunità montane/vallive e – al di sotto delle valli – con consistenza media vicina a
50.000 abitanti.
Cioè una dimensione che dia un senso ai quadri conoscitivi ed alle
valutazioni ambientali strategiche, nonché ai meccanismi delle ipotizzate
“perequazioni territoriali” (quando ad esempio si localizza un polo logistico
oppure un ospedale, ed è opportuno che costi e benefici siano spalmati oltre i
confini storici di un singolo comune) ed anche un maggior contenuto alla
democrazia dal basso, perché – pur in un ambito più vasto del tradizionale
comune (che può permanere a fare altre cose) – le associazioni locali si
troverebbero a controllare e ad influenzare le vere decisioni sul futuro dei
territori (e non la edificabilità o meno del terreno di mio cugino).4
Quando parlo di “imporre” immagino pesanti meccanismi di incentivo e
disincentivo, come ad esempio il conferimento alle Province/C.M. (per
successiva ridistribuzione), e non ai singoli comuni, di tutti o quasi i
proventi degli “oneri di urbanizzazione” (e dintorni) fino a che non viene
redatto il piano intercomunale; ed una serie di premi in termini di assunzioni,
nell’organico intercomunale (ma rimborsate dalle regioni [9]),
del personale tecnico necessario a redigere, monitorare e aggiornare nel tempi
i nuovi piani (meglio se separando in unità parallele i “valutatori” dai
“progettisti”).
Dalla conseguente maggior credibilità ed autorevolezza dei piani
locali (e delle connesse valutazioni ambientali) dovrebbero trovar vantaggio i
livelli superiori della scala pianificatoria, dal piano intermedio di
competenza di Province e Città metropolitane, che potrebbe veramente “ridursi”
al “coordinamento territoriale” (salvo assumere funzioni strutturali ed
operative in sostituzione dei comuni inadempienti), al piano territoriale
regionale, fino agli indirizzi programmatici nazionali, i cui attori più
facilmente potranno acquisire conoscenza dei “valori locali” e trovare nei
luoghi validi interlocutori.
Sarebbe auspicabile, in parallelo, come accennato nel Congresso
dell’INU, una semplificazione “olistica” di tali attori, in modo tale che gli
Enti Locali, convocando le “Conferenze di Pianificazione” possano dialogare con
autorità capaci di visioni intersettoriali al proprio livello (provinciale, regionale
o nazionale) e non con singoli uffici (provinciali, regionali e statali)
portatori di segmenti particolari degli interessi pubblici.
La questione dell’architettura istituzionale è altresì rilevante, a
mio avviso, ma rovesciandola dall’alto verso il basso, con opportune soluzioni commissariali (regionali o
nazionali, a seconda della rilevanza dei problemi), quando si riconosca,
come in diverse situazioni di degrado ambientale, abbandono sociale o
disgregazione civica (esempio emblematico Casamicciola), la incapacità o impossibilità per i poteri locali ordinari (anche se
rafforzate in più ampie Unioni di Comuni) di risolvere questioni annose quali
le bonifiche ambientali, il risanamento idrogeologico, il contrasto
all’abusivismo (su quest’ultimo sarebbe forse da ipotizzare in via permanente
il compito delle demolizioni ai Prefetti anziché ai Sindaci).
-
ECONOMIA CIRCOLARE (E
VALUTAZIONI AMBIENTALI STRATEGICHE)
La proposta dell’INU risulta molto orientata alla tutela delle risorse
coinvolte dal ciclo della vita urbana e nel rapporto città-campagna (suolo aria
acqua cibo calore energia), ma mi sembra un po’ distratta riguardo al ciclo
edilizio insito nella stessa trasformazione urbana.
“Rigenerazione” (giustamente), può significare livelli assai diversi
di intervento, dal “rammendo” postulato da Renzo Piano, che tende ad escludere
le demolizioni, alle ipotesi di radicale sostituzione edilizia, come quella
proposta dall’ing. Gianni Verga per il quartiere milanese di San Siro o da
InterMilanSpa per il vicino stadio di San Siro.
Tuttavia lasciare aperto questo ventaglio di scelte non può voler dire
– per una riforma urbanistica consapevole dell’Antropocene – la neutralità
verso gli effetti che il suddetto ciclo edilizio può avere sul territorio e sul
suolo, vicino o remoto in termini di prelievo di materie prime (cave,
cementifici, acciaierie, vetreria, filiera forestale, ecc.) di riciclo dei
materiali di demolizione (nuovi Monte Stella?), di trasporti e di impatto
ambientali dei cantieri: problematica
che a mio avviso non può essere lasciata “per competenza disciplinare” agli
architetti che coltivano le ipotesi (seppur virtuose) delle case in terra
od in legno, oppure dei “boschi verticali”, ma deve entrare a pieno titolo
nella griglia delle Valutazioni Ambientali Strategiche inerenti ai piani
urbanistici.
Ed a proposito di V.A.S., forse è maturo il tempo per definire in modo
omogeneo i principali indicatori, prevedendo nella nuova legge nazionale di
principi le modalità di periodica emanazione ed aggiornamento dei relativi
criteri, in relazione alla Strategia
nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS), alla Strategia nazionale per la
Biodiversità ed al Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti
climatici (PNIACC), quando finalmente adeguati ed approvati.
APPENDICE – “I PUNTI QUALIFICANTI” DELLA PROPOSTA
I.N.U”
·
lo
sviluppo, la diffusione ed il coordinamento dei sistemi informativi
territoriali, avvalendosi delle più avanzate opportunità tecnologiche e
conoscitive;
·
l'integrazione
della programmazione nel governo del territorio, per assicurare la rapida ed
efficace attuazione delle politiche pubbliche;
·
l'adozione
di misure atte a limitare il consumo di suolo e a garantire la fornitura dei
servizi ecosistemici, incidendo su un ampio spettro di strumenti che vanno
dalla dimensione regolativa a quella incentivante e fiscale;
·
la
promozione di una maggiore convergenza e coerenza delle pianificazioni separate
con quella territoriale ed urbanistica, al fine di evitare che il governo del
territorio non risulti paralizzato dal moltiplicarsi dei centri decisionali e
dalla conflittualità degli interessi;
·
la
ridefinizione dei compiti e delle responsabilità relative ai diversi livelli
della pianificazione, in coerenza con il principio di sussidiarietà;
·
la
previsione di un nuovo tipo di piano urbanistico, che sia in grado di favorire
i processi di rigenerazione urbana sia alla scala minuta degli adeguamenti
energetici, sismici ed ecologici, sia a quella urbanistica delle aree dismesse
e degradate, sia infine a quella territoriale, con particolare riferimento al
greening delle reti infrastrutturali, dei servizi sociali e della città
pubblica;
·
l'aggiornamento
degli standard urbanistici, garantendo l'equilibrio tra il perseguimento dei
livelli essenziali delle prestazioni e l'adattamento alle situazioni regionali;
·
la
soluzione delle molteplici controversie giuridiche che ruotano intorno alla
perequazione, alla compensazione, agli accordi pubblico-privato per
legittimarli nella trasparenza e nel perseguimento dell'interesse pubblico;
·
l'evoluzione delle forme della partecipazione dei cittadini,
garantendo il loro accesso alle sedi in cui si pratica e il pieno
coinvolgimento nel processo di formazione delle decisioni.
Fonti:
1.
https://www.inu.it/calendario.php
2.
Aldo
Vecchi - L’UTOPIA
(ITALIANA) DI UNA CASA, PER TUTTI – su Utopia21,
luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=sharing
3.
Aldo
Vecchi - RILANCIARE
LE POLITICHE PUBBLICHE PER L’ABITARE? – su Utopia21, novembre 2022 - https://drive.google.com/file/d/1rPQBG8MZLR2pbpmSzAr5e-nqnaXX436n/view?usp=share_link
4.
Aldo Vecchi - DEMOCRAZIE,
POPULISMI, UTOPIE – su Utopia21, novembre 2018 - https://drive.google.com/file/d/1HUii5dAQkiJrqeGV4uTvGlnmCYJhrqjA/view?usp=sharing
[1] I copiosi ed inattesi investimenti del
PNRR hanno di fatto colmato una divergenza, da me rilevata in precedenti
articoli, tra chi nell’INU privilegiava gli aspetti metodologici/disciplinari e
chi più sollecitava l’impegno sul fronte dei bisogni sociali
[2]
Malgrado l’irrilevanza pratica, alla luce dell’evoluzione politica, la
Commissione ha tuttavia prodotto un testo organico, reperibile al sito https://www.lavoripubblici.it/news/riforma-testo-unico-edilizia-urbanistica-ecco-proposte-commissione-29602
IL CANTIERE INU PER LA LEGGE DI PRINCIPI SUL GOVERNO
DEL TERRITORIO: GRUPPI DI LAVORO TEMATICI
I principi fondamentali del governo del territorio:
Francesco Domenico Moccia, Michele Talia
Sistema delle conoscenze e delle valutazioni nella
pianificazione, rapporti con la programmazione: Carmen Giannino, Simone Ombuen
Suolo e servizi ecosistemici nella pianificazione
urbanistica: Andrea Arcidiacono, Simona Tondelli
Per un ridisegno dei rapporti tra piani settoriali e
piani territoriali e urbanistici: Carlo Gasparrini, Rosario Pavia
Natura e contenuti della pianificazione territoriale:
Valeria Lingua, Francesca Moraci
Gli strumenti di pianificazione urbanistica: Carlo
Alberto Barbieri, Patrizia Gabellini
Punti fermi per l'aggiornamento degli standard
urbanistici: Carolina Giaimo, Laura Ricci, Marichela Sepe
Disciplina della perequazione e delle compensazioni
urbanistiche. Fiscalità urbanistica. Disciplina degli accordi pubblico-privato
(e del convenzionamento): Paolo Galuzzi, Stefano Stanghellini
La democrazia del piano e del progetto: Gilda Berruti,
Raffaella Radoccia
[4] Si tratta dei diritti
futuri (che dovrebbero essere inerenti ad aree già edificate): non vedo
soluzioni per quelli pregressi, per di più spesso incardinati su aree di
espansione, cioè su suoli che l’INU vorrebbe non più consumare: anche se in tal
senso deve essere valutata la sperimentazione delle recente legge urbanistica
regionale dell’Emilia-Romagna (sul sito INU1 è riportata anche la
relativa “Rassegna Urbanistica Regionale, intrecciata con il 31° Congresso
nazionale INU).
[5]A monte delle incertezze
dell’INU, a mia impressione, sta anche una presunzione di ultra-efficacia della
declaratoria dei piani (operativi) rispetto alla realtà della rendita di
attesa, che invece si forma comunque, prima e dopo la proclamazione o la revoca
dei diritti edificatori, e che si alimenta anche attorno alle previsioni
“strutturali” e “strategiche” (che le nuove norme vorrebbero “non conformative”
dei diritti edificatori), tanto più quanto le une (ricognitive delle qualità
di fatto dei suoli) e le altre (predittive riguardo alle possibili decisioni
istituzionali) si avvicinano ad una realistica descrizione delle dinamiche
effettive (che anche il mercato capisce, perché non è necessariamente stupido).
[6]
Va considerato che l’attuale legge sulle
“plusvalenze immobiliari” (art. 16.4.d/ter del D.P.R. 380/2001, introdotto con
il Decreto “Sblocca-Italia” del 2014)
limita il “contributo straordinario” dovuto dai proprietari al 50% del
maggior valore, derivante dalle varianti, e solo per l’appunto in caso di
variante urbanistica (cosicché ogni “nuovo piano” determina un “libera tutti”,
nel senso che non sono sottoposte a prelievo le previsioni migliorative derivanti da un paino regolatore
complessivamente nuovo)
[7]
Il tema della rendita nella fase della rigenerazione urbana è approfondito da
Piergiorgio Vitillo in “URBANISTICA? CONTRATTARE SI PUÒ - Commento al libro di
Luca Gaeta” - https://www.casadellacultura.it/1368/urbanistica-contrattare-si-pu-ograve-
[8]
Con
la sub-ipotesi di rimborsarne una quota nella tassazione delle plusvalenze, per
completare l’effetto incentivante in favore delle trasformazioni
[9]
Richiamo in tal modo un’idea del prof. Giovanni Astengo, quando era assessore
regionale all’urbanistica in Piemonte, tra il 1975 e il 1980
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