Pippo
Civati, con diversi interventi dal suo blog “Ciwati” (come con ciwetteria si
chiama), ove riproduce in audio-video l’intervento conclusivo del convegno
nazionale promosso di recente a Reggio Emilia, e con il libro “Non mi adeguo –
101 punti per cambiare”, illustra i contenuti della sua candidatura alla
segreteria del PD.
In
attesa che la proposta si formalizzi in un documento congressuale, poiché non
mi piace applicarmi ai video (una mia piccola resistenza alla video-crazia) e
poiché però mi interessa molto il “versante
di sinistra” del PD, espongo alcune brevi e non sistematiche considerazioni sul
libro “Non mi adeguo” e su vari testi reperiti sul blog.
A
partire da una critica serrata agli errori del PD dalle primarie in poi e dalla
necessità quindi di “vendicare Rodotà e Prodi”, Civati propone una cura di
coerenza, trasparenza e democraticità (declinata anche in precisi strumenti di
organizzazione – es. “fondazione” unica, direzione nazionale snella, autofinanziamento
- e consultazione – es. referendum in
rete -, con poche differenziazioni dalle più strutturate proposte di Barca, che
Civati ha commentato/riciclato con un suo documento “Attenti al catoblepa”).
Su
questi temi mi è facile concordare, tranne in un punto: secondo Civati potrebbe essere utile – dopo gli incontri in
streaming di Bersani e poi di Letta con i capigruppo del MoVimento 5 Stelle –
che i vertici del PD “prendano un caffè con Grillo” (mentre l’esplicita
attività di “lobbyng” dello stesso Civati sui singoli parlamentari del M5S non
sembra aver dato grandi frutti).
Tale
invito al dialogo, poco credibile come prospettiva politica, si associa alla
carenza da parte di Civati di una valutazione approfondita sul M5S, sulla sua
struttura e sui suoi programmi: cioè - vorrei capire - una volta bevuto il caffè, si può seriamente
collaborare a livello nazionale con chi ipotizza l’imminente catastrofe
socio-economica, auspica la morte di tutti (gli altri) partiti e si candida a
governare con spirito totalitario?
Ma
le carenze più gravi, a mio avviso, dell’attuale linea di Civati, risiedono nei
contenuti programmatici di carattere socio-economico (a meno che Civati si
accontenti di democratizzare il partito e poi mandi a governare - con loro
programmi - Renzi, perché sa cercare consenso in TV, oppure Letta, perché ha
imparato a nuotare tra i Caimani):
-
in
generale, perché non è detto che per “101 punti” passi una linea, se questa non è enunciata nei suoi
presupposti di fondo: quale valutazione sulla crisi? sul rapporto Europa/mondo?
sui limiti delle risorse del pianeta e sui conflitti sulla distribuzione di
tali risorse tra ricchi e poveri, tra Occidente e paesi emergenti? quale ruolo
per l’Italia? cosa e come produrre? La giusta opposizione ai paradisi fiscali,
alla corruzione, alle collusioni oligopolistiche del capitalismo italico e
all’assetto attuale delle istituzioni Europee mi sembrano opzioni solo
oppositive, per l’appunto, ed insufficienti ad illuminare una prospettiva
alternativa; - in particolare, perché i singoli spezzoni di proposte programmatiche, oltre la linea dei diritti e della trasparenza, pur se spesso condivisibili (esempio: risparmio del consumo di suolo, tracciabilità dei pagamenti, banda larga) mi sembrano nel complesso poco motivati e poco approfonditi e talora alquanto contradditori:
o tasse: ridurre le tasse sul lavoro va senz’altro bene (meglio sarebbe anche recuperare, e azzerare per il futuro, l’iniquo “fiscal drag”, adeguando invece in automatico gli scaglioni fiscali all’indice di inflazione), ma la prospettiva di comprimere la spesa pubblica “eliminando gli sprechi” mi sembra vaga e demagogica, se non si indica “quali sprechi”, non si ragiona sugli effetti depressivi che comunque il calo della spesa pubblica comporta sulla domanda interna e se si esclude a priori la necessità di rispondere a molti bisogni sociali oggi compressi, da sempre (esempio gli asili-nido) oppure dai tagli “lineari” degli ultimi governi (istruzione e formazione, ricerca, assistenza)
o reddito minimo: a parte la contraddizione con l’imperativo di ridurre la pressione fiscale, la proposta è messa lì piatta piatta, senza considerarne i costi complessivi e senza rispondere alle intelligenti obiezioni, anche antropologiche – ad esempio – di Laura Pennacchi oppure alla problematica evidenziata da Pierre Carniti, ambedue diversamente orientati invece a massimizzare le occasioni di lavoro (anche per fronteggiare il bisogno di beni sociali) e le modalità di distribuzione del lavoro che scarseggia
o contratto unico: ricopiato da Tito Boeri e Pietro Garibaldi, ma senza affrontare le critiche mosse a questo modello teorico di “tutele crescenti” (pur migliore di quello di Pietro Ichino) da chi – come i sindacati – deve misurarsi quotidianamente con i contratti che ci sono, e giustamente difende l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, vedendo nel suo indebolimento una strada inclinata verso “tutele decrescenti”.
o legge elettorale e forma dello stato: non è dato sapere in merito il pensiero di Civati, ma solo che la prima è comunque urgente e che riformare la seconda può essere pericoloso.
Spero
che lungo la strada verso il congresso la proposta di Civati si contamini con
altre riflessioni più profonde (vedi Reichlin, e anche Barca) e ne sorga una
più solida prospettiva per una nuova unità a sinistra, dentro e fuori il PD:
vendicare Prodi contro i 101 famosi e oscuri “franchi tiratori” a mio avviso
non è abbastanza per definire una linea politica, neanche se si schierano in un
libro 101 brillanti slogan o tweet o post; per superare finalmente il Berlusconismo
non basta l’anti-berlusconismo, neanche se elevato al quadrato o al cubo:
occorre una strategia sociale ed economica.
L’assenza
di una strategia complessiva (che faccia i conti con le dimensioni planetarie
della crisi) è un limite comune ad altre
“correnti di pensiero” del PD (e a maggior ragion delle “correnti e basta”,
quelle di fatto senza altro pensiero che gli organigrammi di potere):
-
dai neo-keynesiani che ipotizzano un indefinito rilancio della domanda interna
(e forse del debito pubblico) senza considerare il concreto rischio di un
tramonto epocale dei modelli di produzione e consumo - agli ecologisti che si accodano all’ottimismo tecnologico (alla maniera di Rifkin e altri – vedi miei post in proposito) ma non affrontano i nodi del “finanz-capitalismo” e del divario con i paesi poveri (su questo è meglio Tabacci);
- fanno eccezione gli eco-lab, molto più chiari nelle enunciazioni di valori e di prospettiva, che però mi sembrano poco attenti alle tematiche della crisi della forma-partito (riproporre oggi il segretario eletto dai soli iscritti, senza valutare chi siano gli iscritti e i non iscritti, e come si formi il consenso in questi 2 livelli).
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