Tale giudizio sul ruolo didattico di Piero Bottoni mi sembra
storicamente inesatto, ed ingeneroso,
Proprio nel 67-68
frequentavo il 1° anno di Architettura a Milano, aderendo nell’ambito
della “sperimentazione” al “gruppo Bottoni”, cui partecipai anche nell’anno
successivo, ricavandone un’impronta culturale abbastanza netta (anche perché
negli anni successivi gli interessi politici extra-disciplinari assunsero un
peso crescente).
Arrivavo da un liceo di provincia e anche se non ero del
tutto sprovveduto (mia sorella e mio fratello mi avevano preceduto di pochi
anni nella facoltà) lo ero abbastanza da non sapere chi fosse Campos Venuti:
per qualche ora anzi credetti che il suo nome, aggiunto “a mano” all’ultimo
momento nella lista delle proposte formative della sperimentazione, fosse un
latinismo goliardico per indicare uno “spazio per chi altri fosse venuto” (come
arrivò in quei giorni anche Giancarlo De Carlo), una esaltazione dell’apertura
pluralista della stessa sperimentazione (ma perché “campos”, accusativo
plurale? E poi “venio” fa”ventum”…).
D’altronde anche Piero Bottoni era riuscito a tornare alla facoltà di Milano solo nel 1964, e ad insegnare urbanistica, con cattedra, solo dal 1967, quando era già
piuttosto anziano e stanco (rammento che
morì da docente “sospeso” nel 1973, pochi giorni prima della nostra laurea),
ma rappresentò un netto stacco rispetto al vecchio Istituto di Urbanistica dei
Dodi, Morini, Cerutti (con cui pure aveva collaborato professionalmente, anche
per la logica “partitoria” degli incarichi per i PRG): forse parlava
soprattutto della sua urbanistica (quella di Le Corbusier e dei CIAM, non di meno), ma seppe anche raccogliere intorno
a sé altre personalità molto valide e anche differenziate (vedi oltre).
Gruppo Bottoni e gruppo Campos si erano spartiti l’aula V,
ed erano divisi solo da una fila di armadi: da ciò una certa rivalità, ma anche
reciproche curiosità, anche perché in quegli anni le presentazioni iniziali ed
i seminari finali delle “ricerche” erano deliberatamente aperti all’intera
facoltà (un numero teorico massimo di poco più di 1000 persone, quindi ancora
abbastanza gestibile).
Anche dal gruppo Campos, un po’ origliando oltre la parete,
un po’ leggendo dispense e libri, e poi frequentandolo ufficialmente – e un
poco contestandolo - nel 70 o 71, penso di avere imparato parecchio (tranne a fare le cordate dentro al PCI, in
facoltà e nelle federazioni, perché ho frequentato l’ambiente, che in provincia
era molto contiguo al nostro più o meno velleitario estremismo, ma non mi ci
sono mai iscritto).
Dal gruppo Bottoni – forse soprattutto da Meneghetti e
D’Angiolini - penso di avere imparato di più, e non solo cose ristrettamente
“bottoniane” come la coerenza regionale tra investimenti/reddito/popolazione o
tra flussi e tendenza insediativa, ma diversi approcci alla città e al territorio
(con esclusione forse di tematiche agli antipodi, quello che D’Angiolini
spregiava – sbagliando -come “urbanistica delle contesse” e che perciò anch’io ho
letto molto più tardi, da Joseph Rykvert a Jene Jacobs):
-
per l’ampiezza eclettica e provocatoria della
bibliografia “propedeutica” (avevamo voluto abolire il bienno propedeutico, e l
primo anno mi diedero subito da commentare – ad esempio - l’intervista al prof.
Sandulli sulla questione costituzionale degli espropri)- per la ricchezza culturale e di esperienza militante nell’eloquio dei docenti (c’erano anche Vercelloni e Redaelli, e poi i laureandi “mini-docenti”) nelle lezioni formali ed informali
- per i collegamenti esterni con personaggi politici di rilievo (in questo caso della sinistra PSI), sul fronte legislativo per il superamento della crisi indotta dalle Sentenze Costituzionali sugli espropri, come Achilli e Cutrera; oppure accademici, come Lucio Gambi che insegnava alla Statale
- per l’alleanza di potere in facoltà (anche qui c’era parecchio da apprendere sulle cordate …) con Aldo Rossi e Guido Canella, le cui tematiche (soprattutto di Rossi, perché il Canellismo non l’ho mai capito bene) ci portavano a misurare con altro occhio la città, le sue forme, i suoi tessuti, la sua “architettura”,
E così tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ‘70 (anche prima di farmi illuminare dal gruppo Campos) già mi era capitato di rintracciare Astengo in vecchi numeri di “Urbanistica” (Gubbio), ma anche di “Metron” (il Piano Territoriale per il Piemonte), e anche Leonardo Benevolo, e di inserire nei viaggi lungo l’Italia la Falchera o le fabbriche di Ivrea, l’università di Urbino ed il binomio Sassi/La Martella a Matera.
E di aderire, ad esempio, ad Arona Nostra, e alla sua battaglia vincente per realizzare il Parco dei Lagoni alla faccia delle contesse di D’Angiolini (persona con cui era facile anche dover cordialmente litigare di brutto; come anche con Meneghetti ….).
PERVENUTO VIA E-MAIL
RispondiEliminaCaro Aldo,
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Una cosa che Bottoni non faceva era proprio quella di parlare di sé e del suo lavoro. Esordì nella didattica a Milano nel 1964 promuovendo un'inchiesta sulla Bassa.
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Grazie per il tuo intervento.
Un caro saluto
G.T.