Presentato
su “Urbanistica Informazioni” n° 248/2013 da una breve recensione di Paolo
Avarello, il volume “Scenari, risorse, metodi e realizzazioni per CITTA’ SOSTENIBILI”,
a cura di Domenico Cecchini e Giordana
Castelli (Gangemi editore 2013, pagg. 208, con DVD, € 25,00, non disponibile in
e-book), riprende aggiorna ed allarga la ricerca universitaria già pubblicata
nel 2010 sul n° 141 di “Urbanistica” su alcune realizzazioni di quartieri
“ecologici” in Europa, integrandola con alcuni saggi introduttivi e conclusivi,
interessanti ma non molto “sistemici”, di:
-
Lorenzo
Bellicini (CRESME) sui “cicli edilizi”, produttivi e finanziari, a partire dai
dati dello stesso CRESME, con specifiche riflessioni macro-economiche sul
“sesto ciclo” 1996-2012 spentosi nell’attuale e più generale crisi e sui nessi
tra demografia, migrazioni, domanda, risparmio, debito, produzione e bolle
speculative (il tema mi rammenta uno dei
miti culturali nei miei primi anni di università, ad architettura di Milano dal
1967, e cioè la “tesi-di-laurea-di-Ciro-Noja”);
-
Roberto
Camagni (Politecnico Milano) sulle potenziali modalità per prelevare dalla
rendita urbana, nelle fasi di trasformazione, le risorse necessarie alla
qualità dei servizi (come già ho osservato altrove, tale saggio non si estende
ad un esame della fiscalità ordinaria sulle transazioni immobiliari);
-
Francesco
Rubeo (Sapienza Roma) sul ruolo dei soggetti pubblici e privati e sull e nuove
regole necessarie per svilupparne la indispensabile collaborazione,
nell’attuale fase di carenza di risorse pubbliche;
-
Domenico
Cecchini stesso (Sapienza Roma) sulle tendenze evolutive delle città, mondiali
ed europee, con individuazione per queste – dopo le fasi dell’espansione
post-bellica e della “trasformazione” post-industriale – di un “ciclo della qualità
e della sostenibilità”, esplicitato nella Carta di Lipsia del 2007 e fondato
sull’integrazione delle funzioni, sulla rigenerazione ecologica e sulla ricerca
di qualità ed efficienza degli spazi pubblici e collettivi, cui l’Italia fatica
a partecipare;
-
Francesco
Prosperetti (ex dirigente ministeriale) sul ruolo inizialmente svolto dal
Ministero dei Beni Culturali nella ricerca in esame, in funzione dell’importanza
che la rigenerazione edilizia ed urbanistica, motivata a partire dalle
questioni energetica ed ambientale, assume anche ai fini della riqualificazione
del paesaggio urbano.
Al
centro del testo stanno le analisi – a tavolino e con sopralluoghi - sulla
genesi e gli sviluppi dei quartieri di Hammarby Sjostad (Stoccolma), Solar City
(Linz), Greenwich Millennium Village (Londra) e Parque Goya e Valdespartera
(Saragozza), già indagati nel suddetto saggio in “Urbanistica” n° 141, ma ora
ripresi con maggior approfondimento sia delle criticità intrinseche ai rispettivi
progetti, sia delle problematiche emerse nei primi anni di utilizzo e – in
parte – per i successivi ampliamenti, sia ancora, ove disponibili, dei dati
emersi dal monitoraggio scientifico del funzionamento degli insediamenti.
Ne
risulta un quadro complesso e ricco di chiaro-scuri, più utile probabilmente
per i lettori che non taluni resoconti sulle migliori pratiche di carattere
volutamente ottimistico o quasi agiografico.
(Spiace che il
raffronto non sia esteso ad altri casi molto noti in letteratura, come il GWL
di Amsterdam, a forte densità e connessa pedonalizzazione, oppure i quartieri
Vauban e Riesefeld di Friburgo, recentemente ri-esplorati da Fabiola fratini su
Urbanistica Informazioni n° 248).
Gli
elementi critici che a mio avviso emergono dall’insieme e che personalmente mi
sembrano meritevoli di sottolineatura sono:
-
I
necessari compromessi, già a livello progettuale, tra un’impostazione
strettamente “bio-edilizia” (esposizione lungo l’asse elio-termico,
massimizzazione delle prestazioni energetiche, pedonalità) e le altre polarità
di una progettazione urbana integrata, che determinano morfologie complesse e
meno ingenieristiche;
-
I
livelli “relativi” degli obiettivi di risparmio energetico, più o meno avanzati
al momento della ideazione dei quartieri, ma oggi in gran parte superati dagli
sviluppi tecnologici, e la mancanza di predisposizione per successivi
adeguamenti delle parti già costruite (mentre traspare una discreta reattività
verso la correzione progettuale delle parti di successiva realizzazione);
-
Un
certo scarto tra gli obiettivi di rendimento energetico prefissati ed i consumi
effettivi, in gran parte addebitati ad un uso non corretto degli impianti e
delle strutture, il che a mio avviso è indice o di un progettazione non
adeguata alle effettive condizioni sociali e/o bio-climatiche, oppure di un
discreto insuccesso dell’aspetto educativo e socializzante nella costruzione di
queste porzioni di città.
Altro
dato in comune alle 4 realizzazioni in esame è il vantaggio (non facilmente
riproducibile) derivante dal basso costo di acquisizione dei suoli, di recupero
in 3 casi e su aree libere (già destinate ad espansione produttive) per Solar
City/Linz.
Riguardo
ai singoli quartieri ritengo opportuno rilevare, nell’ambito delle ampie
esposizioni di Giordana Castelli e degli
altri ricercatori, i seguenti aspetti specifici (sempre con la mia attenzione
agli aspetti più problematici):
-
Hammarby
sembra essere il caso di successo più completo ed equilibrato, anche se mi
sembra dubbio il consolidamento degli insediamenti commerciali funzionali al
quartiere;
-
Solar
City, tecnicamente corretto e molto monitorato (considerando però come positivo
uno scarto energetico vicino al 20%) pare soffrire della limitata attuazione
rispetto ad un progetto più vasto e quindi della forte pendolarità verso al
città, da cui provengono i nuovi abitanti, in prevalenze giovani coppie del
“ceto medio”; presenta inoltre una densità edilizia contenuta, e quindi non è
molto risparmioso di suolo;
-
Millennium
Greenwich sta criticando da se il primo “lotto”, prevedendo nelle successive
realizzazioni l’abbandono di una rigida pedonalità e diverse soluzioni
morfologiche e tipologiche;
-
Parque
Goya e Valdespartera, con base sociale assai più povera di Solar City (e con
tipologia edilizia che mi appare per l’appunto assai da “case popolari”)
evidenzia anche per questo alcuni insuccessi nella apertura degli spazi
semi-pubblici (con insorgere di recinzioni) e nell’uso scorretto delle serre
solari (con conseguente scostamento dai risultati bio-climatici attesi).
La
parte finale del testo affronta, con le dovute
riserve, alcuni casi italiani, però più recenti, e quindi senza profondità diacronica:
-
Spina
3 e l’Environment Park di Torino sono correttamente presentati come parte della
complessa e complessiva rigenerazione urbana post-industriale della metropoli
torinese; il frammento attuativo più analizzato è però molto particolare,
trattandosi di un parco tecnologico e non di una porzione più multifunzionale
della città;
-
I
quartieri Resia e Casanova di Bolzano (inseriti nella tradizione ormai consolidata
della normativa alto-atesina “CasaClima”, che coinvolge virtuosamente tutta
l’edilizia nella provincia) ed il quartiere Villa Fastigi di Pesaro (in
attuazione del PRG studiato da Bernardo Secchi ed allievi) sono interventi di
nuova costruzione su aree libere periferiche, eredi della migliore cultura dei
PEEP, che si caratterizzano sia sotto il profilo energetico e bio-climatico,
sia riguardo alla connessione e funzionalità degli spazi pubblici (anche
rispetto al contesto esterno) ed alla
qualità progettuale;
-
Il
quartiere Savonarola di Padova
rappresenta un caso esemplare di “Contratto di Quartiere”, imperniato sul
recupero urbano di un vecchio insediamento di case popolari, con una
progettazione integrata dagli aspetti fisici dei fabbricati e delle
urbanizzazioni a quelli più strettamente sociali.
Mancano più
ampie esplorazioni su realizzazioni e progetti in Italia: mi incuriosirebbe
capire quale sia il risultato complessivo del quartiere Albere (ex-Michelin)
progettato a Trento da Renzo Piano (dove pare che classe A sia indicativo anche
di una selezione sociale verso l’alto, determinata dai prezzi elevati) oppure
se il quartiere “Laguna Verde” di Settimo Torinese (master plan di Pier Paolo
Maggiora) stia per decollare effettivamente oppure sia ancora al PartiamPartiam
promozionale.
Nell’insieme
il testo risulta ben documentato e stimolante.
Proprio
per questo verrebbe voglia di chiedere di più, oltre all’estensione della
campionatura: ad esempio una definizione di indicatori ed una schedatura in parallelo
dei casi in esame (un modesto tentativo è
stato condotto dallo scrivente nel 2010, con Anna Maria Vailati, per alcuni
dati disponibili in letteratura – vedi Urbanistica Informazioni n°229 e nel mio
blog PAGINE-APPENDICE).
Forse
i tempi sono maturi perché il raffronto della casistica conduca anche a
riflessioni di sintesi, non in termini di “nuovi standard” (e nemmeno di
complicati e poco utili indici numerici riassuntivi), ma di una
sistematizzazione delle connessioni dialettiche e “multi-verse” tra le molte variabili
in campo (esempio: densità/consumo di suolo/pedonalità, mixitè/pendolarità/sicurezza,
forma-urbana/bio-clima/rendimento energetico, ecc.).
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