E’ in corso il congresso della
CGIL: mi sono recato alla sede del Sindacato Pensionati e ho deposto la mia
brava scheda nell’urna, pro-Camusso e contro Cremaschi, dopo avere, con qualche
fatica, letto le 2 mozioni e (quasi tutti) gli emendamenti, nel formato grafico
poco accattivante del giornale sindacale “SPI/insieme” (di noi pensionati).
Oltre all’impaginazione, anche il
linguaggio sembra un po’ vetusto, e soprattutto un po’ stanco: ma non voglio
farmi condizionare dalle apparenze (mi basta il Renzismo, ed anche la grafica
di Cuperlo non era male) e quindi vengo ai contenuti.
L’insieme dei documenti si
presenta come “complessivo”, forse anche troppo, ma i testi mi sembrano più
“enciclopedici” che “strategici”: una sorta di “pansindacalismo virtuale” a
fronte di una capacità operativa
limitata di fatto alla contrattazione di categoria e di azienda (troppo spesso
purtroppo nella difficile difesa dei posti di lavoro che sfuggono), a fronte di
una scarsa capacità di mobilitazione (rispetto al passato anche di soli pochi
anni orsono – rammento Cofferati al Circo Massimo per l’art. 18 dello Statuto
dei lavoratori) e connessa limitata influenza culturale.
Guardando nella mozione firmata
Camusso, ho ritrovato diversi spunti positivi, ma obiettivamente piuttosto deboli
nel loro sviluppo: l’attenzione a cosa produrre (“la riconversione
eco-compatibile dei prodotti”), il desiderio di ricomposizione del mondo del
lavoro, frammentato de precarietà e varietà contrattuali, un’aspirazione alla riduzione
degli orari lavorativi.
Ed un solo punto decisamente negativo:
l’accettazione degli sgravi fiscali per il salario di produttività (vedi mio
post), attenuata (o forse aggravata) e
peggio (sgravi – per fortuna temporanei - per gli interi aumenti contrattuali: alla faccia dei lavoratori che
non i percepiscono, e quindi pagano l’IRPEF intera).
Il limite generale del documento
a mio parere è il quadro internazionale di fatto limitato a
Europa/migranti/Mediterraneo, senza riflessioni su paesi emergenti e popoli
sommersi (dalla miseria, dallo sfruttamento e talora sommersi anche
materialmente dai livelli del mare che salgono a causa del mutamento climatico:
manca il nesso tra crisi del sistema/limiti ecologici/sfruttamento
internazionale.
Perciò le proposte neo-keynesiane
di rilancio dello “sviluppo” – con articolazione di proposte per modificare
radicalmente entrate ed uscite dalle casse pubbliche (per me molto
condivisibili, ma per quanti altri lo sono? non c’è un ragionamento sulle
necessarie alleanze sociali per concretizzarle) – non fanno i conti con le
ragioni intrinseche della crisi, che non risiedono solo nell’austerità europea,
ma anche, mi sembra:
-
nella natura stessa del finanz-capitalismo
internazionale (e non esclusivamente
nella cattiveria del FMI, come indica la mozione Cremaschi, confondendo la
“casta” con il tutto)
-
nell’artificiosità del rilancio dell’economia
USA fondato sul denaro facile e l’ulteriore espansione di tutti i debiti
-
nel progressivo - benché non lineare –impatto
con l’esaurimento delle risorse ambientali.
Mi sembra comunque valido il
discorso sull’Europa e la rivendicazione di una diversa politica economica e
sociale a questa scala, anche se non vi corrisponde un’adeguata prospettiva di
iniziative sindacali, né organizzative né di mobilitazione (mi rendo ben conto
che non è facile, ma mi aspettavo qualcosa di più).
Anche riguardo al precariato
rilevo una discrepanza tra ricchezza di analisi e rivendicazioni, da un lato, e
la genericità delle indicazioni
operative per l’azione sindacale (come sopra, mi rendo ben conto che non
è facile, ma mi aspettavo qualcosa di più).
Nella mozione Cremaschi ho riscontrato,
grosso modo sul medesimo asse culturale, una maggior chiarezza e radicalità rivendicativa,
ma una certa vaghezza su strumenti e lotte; la differenza fondamentale tra le
due linee, a quel che ho capito, è che il gruppo dirigente uscente intende rifondare la democrazia sindacale attraverso gli
accordi (e l’eventuale legge) sulla rappresentanza, cui sta arrivando attraverso l’accordo con la Confindustria di
Squinzi (ben lontana dagli accordi separati alla Marchionne) e l’unità con UIL
e CISL (che pertanto rinuncia al suo postulato storico della democrazia per i
soli iscritti, radice anche della conservazione degli apparati), mentre il
gruppo più estremo propone la rottura e l’autonomia della CGIL per nuova
democrazia sindacale dal basso.
Visti i tempi, e l’oggettiva
debolezza delle lotte operaie, preferisco scommettere (da pensionato) sulla
esplorazione di una nuova democrazia nella elezione dei delegati e nella
ratifica degli accordi, piuttosto che sulla rottura e l’agitazione delle
avanguardie (non capisco Landini e gruppo dirigente FIOM che – partiti dalla
linea Camusso – si impuntano sulla singola questione della “esigibilità” degli
accordi e connesse possibili sanzioni alle organizzazioni sindacali: negli
accordi qualcosa si deve ingoiare, e in altri casi si è ingoiato ben di
peggio).