Un'altra variante
dell’ottimismo tecnologico è la “Blue Economy” proposta dall’economista belga
Gunter Pauli, segnalato da “Left” del 28-12-2013, e di cui ho trovato il testo
“Blue Economy/nuovo rapporto al club di Roma: 10 anni, 100 innovazioni, 100
milioni di posti di lavoro“ Edizioni Ambiente -2010 (vedi mio blog, PAGINA 2, PARAGRAFO
9) in ampi estratti sul sito ambientalista di Gianni Girotto (attualmente senatore M5S).
Al di là dell’ottimismo
complessivo e del tono propagandistico (ben
leggibili nel titolo), e delle puntuali ed interessanti singole “ricette”
scientifiche indirizzate alla innovazione tecnologica in disparati settori
della produzione e del consumo, mi
sembra rilevante l’assunto centrale, molto “ecologico” ed assai più ampio della
mera rivoluzione energetica di Rifkin (VEDI PAGINA 2, PARAGRAFO 10), ovvero, come
enunciato nell’introduzione, “far sì che i nostri sistemi produttivi siano in
grado di imitare al meglio ciò che la natura ha lungamente sperimentato in
miliardi di anni di evoluzione”.
Tale proposta di una
scienza “mimetica” guarda, più che al comportamento delle singole specie (che a
mio avviso spesso agiscono egoisticamente, ed infatti talvolta si estinguono,
oppure distruggono altri inquilini del pianeta) alle dinamiche complessive della
biosfera, ovvero al “sistema di flussi di nutrienti”, al “metabolismo altamente
efficace della natura ----- in cui il
concetto stesso di rifiuto non esiste” (perché il rifiuto degli uni divine il nutrimento degli altri, e
così via attraverso la catena ecologica).
Ne conseguono,
secondo Pauli, i seguenti indirizzi (rilevo però che - come spesso avviene - non
risultano accompagnati da indicazioni socio-politiche sulle vie per conseguire
il consenso per tali tipi di decisioni) :
“1.La
crescita della popolazione e del capitale deve essere rallentata, e infine
arrestata, da decisioni umane prese alla luce delle difficoltà future, e non da
retroazione derivante da limiti esterni già superati.
2.
I flussi di energia e di materiali devono essere ridotti aumentando l’efficienza
del capitale. In altri termini, occorre ridurre l’impronta ecologica e ciò può
avvenire in vari modi: dematerializzazione (utilizzare meno energia e meno
materiali per ottenere il medesimo prodotto), maggiore equità (ridistribuire i
benefici dell’uso di energia e di materiali a favore dei poveri), cambiamenti
nel modo di vivere (abbassare la domanda o dirottare i consumi verso beni e
servizi meno dannosi per l’ambiente fisico).
3.
Sorgenti e serbatoi devono essere salvaguardati e, ove possibile, risanati.
4.
I segnali devono essere migliorati e le reazioni accelerate; la società deve
guardare più lontano e agire sulla base di costi e benefici a lungo termine.
5.
L’erosione deve essere prevenuta e, dove sia già in atto, occorre rallentarla
e invertirne il corso.”
Mi
sembra una prospettiva affascinante, che trascura però:
-
il
conteggio dei flussi occupazionali, tra nuovi posti di lvoro che si creano e
quelli che necessariamente si distruggono
-
l’assetto
necessariamente instabile degli equilibri eco-sistemici, che non esclude
affatto le catastrofi, anche in assenza di specie particolarmente perturbative
quali l’uomo (ed altri prima di loro, come i dinosauri)
-
la
duplice valenza dell’uomo come specie invasiva e pensante, capace quindi forse
di sviluppare i precetti di Pauli, ma anche di seguire facilmente altri e forse
“più falsi” profeti, che pongono l’attenzione sugli interessi egoistici a breve
termine di singoli ristretti gruppi entro la più vasta umanità, oppure su punti
di vita comunque divergenti (basti pensare al rapporto tra religioni e
natalità).
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