Nei chiaroscuri della Legge di Stabilità, mi
sembra di capire che i tagli alle fu-Provincie si configurino come punto molto
oscuro, che forse verrà rischiarato con gli ultimi giri di emendamenti (occorre
ringraziare il bi-cameralismo?).
Le province sono state private dalla scorsa
estate, con la riforma DelRio, di autonoma rappresentanza politica (dai
consigli provinciali ad una assemblea di amministratori comunali) e
tendenzialmente di una parte delle funzioni, che dovrebbero essere distribuite
(a cura delle singole regioni) tra i comuni e le regioni stesse.
Per attuare tali trasferimenti, la legge di
stabilità, da un lato taglia drasticamente le risorse finanziarie a
disposizione delle medesime provincie, dall’altro impone un taglio omogeneo del
50% delle “piante organiche” (solo del 25%
per quelle promosse ad “aree metropolitane”).
Il personale in esubero potrebbe essere
riassorbito da regioni e comuni, ma solo se e quando le regioni definiscono le
nuove competenze, e soprattutto se e quando regioni e comuni troveranno od
otterranno le necessarie risorse (oppure per coprire eventuali vuoti di
organico pregressi, ma già coperti in bilancio).
Mi chiedo che serietà ci sia in tutto questo,
non solo riguardo alla sorte di quota parte dei lavoratori dipendenti, avviati
ad un percorso di cassa-integrazione/mobilità/licenziamento, frustrante ed
umiliante per loro, ma non privo comunque di costi (improduttivi) per le
finanze pubbliche, ma anche per le funzioni dichiarate a priori “mediamente
inutili” per il 50%, in percentuale costante tra tutte le provincie italiane e
tra tutte le provincie di ogni singola regione.
Poi magari scopriremo che non c’è più nessuno
a monitorare le frane ad Ascoli Piceno, oppure a conteggiare i turisti a Como
(e che avanzi comunque qualcuno di troppo invece altrove, a Sondrio, o
probabilmente ad Avellino): così, a pois.
Più che “spending review” mi sembra pura
macelleria istituzionale (e sociale).
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