La pretesa di Landini di “non
fare un partito”, nel suo tentativo di aggregare i soggetti “sociali” già
correttamente individuati in una intervista di Rodotà (FIOM, Libera, Emergency,
ecc.), si può leggere a 3 livelli:
-
come una pura “foglia di fico” rispetto alle
regole statutarie ed alle “buone maniere” in materia di incompatibilità con il
ruolo di sindacalista;
-
come una rincorsa propagandistica (vedi il
“non-partito” di Grillo) ai furori anti-partito che percorrono l’opinione pubblica,
e che – con qualche fondamento – accomunano anche i partitini della estrema
sinistra nell’immagine della “casta”;
-
come un serio proposito di anteporre nuove
pratiche sociali - adeguate alla realtà della crisi e della “società liquida” –
ad ogni forma di organizzazione politico-elettorale, e pertanto privilegiare i
movimenti concreti sui contenuti (vedi referendum sull’acqua, e ora ad esempio
suolo, paesaggio, cibo) e verificare se una nuova sinistra sa tornare in mezzo
a chi ha bisogno (e dove finora spesso ci sono solo la Caritas e gli oratori).
Gli osservatori superficiali (ad
es. Gramellini) si sono soffermati sul primo, quelli più profondi sul secondo e
sul terzo: ad esempio Diamanti, che evidenzia la possibilità di una “politica
extraparlamentare”, feconda sui tempi lunghi (ed a mio avviso anche
potenzialmente vincente su singoli temi) a fronte di evidenti difficoltà
elettorali per una alternativa da sinistra a Renzi sui tempi brevi.
Il terzo livello mi sembra un
percorso da studiare con attenzione ed a cui partecipare con cautela nei fatti,
se crescono iniziative credibili.
Non mi pare che aiuti molto
l’ennesima manifestazione nazionale: in ogni caso sconsiglio di convocarla
quando Marchionne ordina gli straordinari, perché gli operai difficilmente
possono sottrarsi.
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