Con il n° 152 inizia una “nuova
serie” della rivista “Urbanistica”, ora diretta da Federico Oliva (già
presidente dell’INU), con una nuova redazione, concentrata nel Politecnico di
Milano (8 redattori su 11, più i 2 vice-direttori, targati “polimi”) ed un
nuovo Comitato Scientifico, di respiro nazionale ed internazionale, non più
coincidente con il direttivo nazionale dell’INU.
La linea dichiarata da Oliva, in
discontinuità solo parziale rispetto alle precedenti serie, è orientata a
studiare, più che i piani urbanistici, la realtà della città italiana ed
europea, con accento in particolare:
-
al territorio “metropolizzato”, “una città
porosa e discontinua”, i cui vuoti non sono da candidare ad automatico
riempimento,
-
alla condizione sociale frammentata ed alle
connesse “nuove forme di ingiustizia spaziale”,
-
alla insostenibilità della “erosione delle
risorse ambientali fondamentali”.
I contenuti del n° 152 spaziano
dalle riflessioni sulla specificità europea e sulle fatiche e debolezze della
pianificazione urbana a scala europea (interessante il saggio di Fabrizio Barca
sul riformismo possibile in alternativa alla rassegnazione e rincorsa del
mercato) alla attenzione prioritaria ai “tessuti ordinari” della città, con un
focus su Milano (e una inedita rivalutazione del “Piano Beruto” di fine ‘800),
le grandi trasformazioni in sospeso e l’aggiustamento del PGT a cura della
Giunta Pisapia; in appendice utili considerazioni sui risultati dei censimenti
ISTAT 2011 da parte di Giuseppe Roma (CENSIS – sui nuovi bisogni sociali),
Giuseppe Campos Venuti (INU – sul patrimonio edilizio residenziale obsoleto) e
Claudio De Albertis (ANCE – sulla crisi del settore produttivo edilizio).
Mi sono riconosciuto molto nelle
tematiche della “città ordinaria” e della manutenzione (già cara a Bernardo
Secchi), in alternativa ai grandi interventi ed alle architetture strillate, ed
in particolare nella “finestra” dell’Assessora del Comune di Trieste, Elena
Marchigiani, “Goccia dopo goccia: da Trieste cronache di manutenzione della
città” ho scoperto quanto siano oggi all’avanguardia esperienze simili a cui
ebbi occasione di contribuire, ma già negli anni ’80, come la formazione di
orti urbani e l’autogestione degli spazi pubblici da parte di organismi di
quartiere; mentre invidio a Trieste la fortuna di convincere i commercianti di
aree attigue alle isole pedonali a chiederne l’estensione (tuttavia nemmeno la
attuale Giunta di destra del mio paese si sognerebbe di ridurre quel poco che
si riuscì a strappare pezzo dopo pezzo).
Ho trovato condivisibili anche i
servizi sulle correzioni di Pisapia&C. al PGT di Milano (e soprattutto
sullo sforzo di ricucitura delle grandi e piccole trasformazioni in sospeso):
mi pare però che gli articoli sul PGT eludano un giudizio su quel che resta – e
non è poco – della impostazione originaria del PGT stesso, e cioè:
-
il carattere “liquido” della perequazione
fondiaria, con i diritti di edificabilità che – almeno in teoria – decollano
senza atterrare immediatamente in nessun luogo di “atterraggio”, bensì
aleggiano nella “borsa” (inflazionistica?) dei diritti vaganti;
-
la mixitè funzionale tra le diverse destinazioni
d’uso ancora largamente indefinita ed affidata al mercato;
aspetti che forse potrebbero
essere già misurati nei loro concreti effetti.
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