venerdì 31 luglio 2015

SOLIDARIETA’, DI STEFANO RODOTA’

“Solidarietà. Utopia necessaria” di Stefano Rodotà (Bari, Laterza  - 2014 – pag. 141) è un nitido e appassionato racconto storico sull’evoluzione giuridica del concetto di solidarietà, ed un appello alla sua attuazione anche in questa fase di crisi economica e sociale.

Rodotà evidenzia come la solidarietà emerge, in un storia piena di contraddizioni e conflitti, qualificandosi ad un tempo come dovere dei ricchi e diritto dei poveri, e differenziandosi quindi da tutte le forme di beneficienza e carità, che – pur esprimendo sentimenti positivi di fratellanza da parte del ricco – non contemplano come carattere fondamentale del rapporto di redistribuzione delle risorse la dignità del povero.

La solidarietà ha radici nell’illuminismo e nelle dichiarazioni dei diritti che punteggiano le rivoluzioni americana e francese, ma ben presto si eclissa con il fallimento della “fraternité”, che già in periodo napoleonico  non affianca più “liberté” ed “egalité”, sostituita dalla borghese “proprieté” e quindi da una concezione contrattualistica dei rapporti umani (che di fattore restringe anche la libertà e l’uguaglianza).

Nel difficile cammino verso una universalità dei diritti, secondo Rodotà, è interessante la tappa costituita dal Codice Civile del nascente regno d’Italia, che nel 1865 riconobbe i diritti civili anche agli stranieri  (anche per l’influenza culturale di Pasquale Stanislao Mancini), e che solo dal Fascismo fu limitato agli stranieri degli stati amici.

Successive tappe importanti sono state le nuove costituzioni di Italia e Germania dopo il 1945, l’una fondata sul lavoro e l’altra sulla dignità umana, e da qui un nuovo ruolo positivo del “costituzionalismo” nella costruzione del diritto, che arriva – per Rodotà – ad una svolta decisiva riguardo alla solidarietà con la vigente Carta Europea dei Diritti, annessa al Trattato di Lisbona, e dunque vincolante, in teoria, per tutti gli stati dell’Unione Europea – e per la stessa Unione - , che invece spesso la ignorano, ma possono già essere richiamati con successo ricorrendo alla Corte Europea di Giustizia.

Anche se il testo di Rodotà talora si libra su elevati concetti giuridici e si appoggia su un’ampia e raffinata bibliografia internazionale, resta di agevole lettura e ci conduce infine al nocciolo della questione, ovvero se sia possibile, nel contesto della globalizzazione, della prevalenza dei valori economico-finanziari e della relativa scarsità delle risorse pubbliche, affermare, nella lotta politica e con gli strumenti del diritto (a partire da quello costituzionale) una “riserva” in favore di una solidarietà sociale come “bene comune”, non mercificabile, e come diritto di cittadinanza, tendenzialmente universale.

Rifiutando invece una visione riduttiva del benessere sociale come variabile totalmente dipendente dalla “crescita”, che quindi confina di fatto il ”welfare state” in una felice parentesi storica ormai esaurita (anche grazie alla caduta della paura del comunismo); e affidando agli afflati positivi del volontariato un ruolo complementare rispetto ai doveri solidali della “cosa pubblica” nei confronti dei diritti fondamentali di una vita dignitosa per tutti gli uomini (migranti compresi). 


E per una volta, in queste recensioni, non ho nulla da obiettare con i miei corsivi. 

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