La conferenza di fine anno di
Renzi e diversi articoli sul tema “cosa aspettarsi dal 2016” hanno condensato
l’attenzione sulle due principali scadenze elettorali in programma quest’anno
in Italia: le elezioni comunali di primavera, che includono molte grandi città,
ed il probabile referendum confermativo d’autunno sulle modifiche
costituzionali (che hanno al loro centro il de-potenziamento del Senato).
Renzi, comprensibilmente,
vorrebbe schivare ogni effetto politico dalle elezioni amministrative comunali
e cerca di personalizzare e caricare di effetti politici il referendum.
Riguardo alle comunali, mi
associo ai molti commentatori che con buon senso hanno evidenziato come i
possibili effetti politici dei risultati di Roma, Milano, Napoli, Torino,
Bologna ecc. ci saranno (o non ci saranno), per effetto dei risultati stessi, a
prescindere dai desideri di Renzi; il quale non può prevedere e controllare
in toto i comportamenti della sua maggioranza parlamentare, sempre risicata in
Senato, in caso di una eventuale forte sconfitta elettorale, pur avendo dalla
sua la improbabilità di alternative a breve, sia parlamentari che elettorali (e
forse farebbe bene, oltre a cercare di azzeccare le candidature per primarie ed
elezioni, anche ad iniziare a preoccuparsi di cosa sia oggi il PD nei territori,
dopo 2 anni di suo dominio sul centro del partito, ma non sulla periferia).
Sui referendum invece ho letto
commenti ed auspici disparati e divergenti, ed in parte – mi pare – piuttosto
infondati:
-
da Bersani e Cuperlo (e Travaglio?) che
auspicano un referendum sereno e distaccato sul merito costituzionale, a
Scalfari che demonizza la mancanza di quorum e si appella ad un (impossibile) previo
referendum di metodo per introdurre un quorum anche ai referendum confermativi
(modificando ad un tempo la costituzione e la legge Boschi di modifica
costituzionale),
-
da Gad Lerner che ipotizza una bassa affluenza e
pertanto sconsiglia alle opposizioni una campagna anti-Renzi, a Piero Ignazi che accomuna esperienze
referendarie diversissime del passato (dal divorzio al finanziamento ai
partiti) sotto la voce (così io riassumo)
“referendum sconfermativi”, ovvero con molti rischi per l’esecutivo (ma
dimentica ad esempio quello sulla scala mobile, vinto nel 1985 da Craxi e
DC+CISL contro CGIL e PCI).
Per parte mia mi limito ad
osservare che una serena disamina non sarà facile per gli elettori, sia per la
complessità della materia (modifica di 36 articoli della Costituzione), sia
perché il tutto andrà valutato con solo e complessivo SI o NO (che non mi
consentirà, ad esempio, di affossare il bicameralismo ma salvare le Provincie
piuttosto che il CNEL); la campagna non potrà che essere politicizzata,
condensata su alcuni temi (“semplificazione e innovazione” contro
“stravolgimento e autoritarismo”), e facilmente riducibile ad un (seppur
spiacevole) pro-Renzi/contro-Renzi.
E di fatto, anche se Renzi non
spingesse ad alcuna forzatura, la votazione si porrà come alternativa tra
“evoluzione o caos”, perché in caso di sconfitta della riforma voluta dal
Governo rimarrebbe in vigore la riforma elettorale maggioritaria dell’Italicum
per la sola Camera dei Deputati, mentre il Senato conserverebbe gli attuali
poteri (di fiducia/sfiducia sui governi e di approvazione di tutte le leggi),
ma sarebbe eletto con il meccanismo proporzionalista del “Consultellum” (ovvero
il Porcellum senza premio di maggioranza, come amputato dalla Corte
Costituzionale).
Con tali premesse, non capisco
come si possa prevedere un affluenza bassa, né a prefigurare l’esito della
consultazione, su cui influiranno fino ad un certo punto le simpatie politiche
tradizionali (da aggiornare, oltre che con i sondaggi, con i risultati del voto
amministrativo che avrà corso nel frattempo per i comuni).
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Tale drammatizzazione dei temi
politico-istituzionali ha spazio, a mio avviso, in corrispondenza ad una
relativa sdrammatizzazione dei temi economici (e anche dell’onda migratoria,
ora più acuta nell’Egeo, mentre i problemi del terrorismo e delle tensioni
internazionali, benché acuti ed oggettivamente incombenti, con possibili
pesanti ricadute socio-economiche sono forse volentieri rimossi dall’opinione
pubblica in un ambito “imponderabile”).
Non mi sento in grado di valutare
quanto sia effettiva la “ripresa” dell’economia: constato però che è su questo
che ci si confronta, e che al momento sono in eclisse le opinioni e pulsioni
sulla caduta dell’Euro (e/o sulla necessaria fuga dall’Euro) e sulla imminente
catastrofe dell’Italia, fino a pochi mesi addietro in gran voga presso Lega e
5Stelle, cui però nessuno, a partire dai giornalisti, si ricorda di chiedere
conto.
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L’attenuazione degli indicatori
di crisi (PIL, produzione, occupazione) tuttavia non esclude, nemmeno secondo
il ministro Padoan, l’orizzonte della “stagnazione secolare”, con le problematiche
della disoccupazione di massa in Europa, delle turbolenze dei Paesi Emergenti e
delle iniquità diffuse, soprattutto in quelli non-emersi, nonché in quelli che
più saranno “sommersi” dalle conseguenze delle contraddizioni ambientali,
finalmente affrontate, ma con molti limiti, dalla Conferenza di Parigi sul
clima.
Rispetto a tali orizzonti mi
sento di ribadire che mi preoccupa la legge di stabilità approvata dal
Parlamento, con qualche miliardo di sgravi fiscali per le case dei più ricchi e
poche decine di milioni sui programmi per la ricerca e per il diritto allo
studio, per le periferie e contro la povertà, per la difesa dell’ambiente e per
il risparmio energetico.
E ancor più mi preoccupa la
mancanza di un asse programmatico adeguato in tal senso nel PD (e altrettanto
nel Partito Socialista Europeo), ma anche nei frammenti alla loro sinistra,
almeno in Italia (che finora mi sembrano persi in una rincorsa identitaria
senza chiari contenuti e sotto un ombrello complessivo di anti-austerity
generica e passatista).
Mentre non mancherebbero le
idee-guida, da Thomas Piketty al compianto Luciano Gallino, dall’enciclica
“Laudato sì” di Papa Francesco allo stesso discorso di capodanno di Mattarella.