RECENSIONE PUBBLICATA SU "URBANISTICA INFORMAZIONI" N° 266 - MARZO/APRILE 2016
“La città dei ricchi e la città dei poveri” di
Bernardo Secchi (Laterza, Bari 2013, pagg. 78) è l’ultimo contributo teorico,
pubblicato prima della sua scomparsa (settembre 2014), dal grande urbanista,
milanese e soprattutto europeo, di cui già ho recensito “La prima lezione di
urbanistica” (testo del 2000).
Questa “ultima lezione” del maestro Secchi è un
agile volumetto, di lettura assai più facile dei precedenti testi di Secchi (ma
denso di stimolanti rimandi bibliografici), che rimette in evidenza le
questioni fondamentali nella formazione delle città, come il succedersi di
diverse modalità di separazione e segregazione tra i ceti sociali,
rispolverando concetti spesso dimenticati dal linguaggio e dalla narrazione
prevalente sui media (ma anche nella politica e nelle accademie), quali
l’esistenza e la diversità di vita tra i “ricchi” ed i “poveri”.
Secchi riassume in breve l’evoluzione delle città
negli ultimi secoli, ed evidenzia il differente percorso tra
-
le città americane (del Nord come del Sud
America), in cui è prevalente il semplice rispecchiamento sul territorio della
divisione tra le classi, con i crescenti fenomeni di insediamenti recintati,
destinati ai più abbienti (ed ai ceti medi ad essi integrati) e preclusi ai
meno abbienti, le cui abitazioni, segregate ai margini, sono però necessarie
allo svolgimento dei ruoli servili e subalterni all’interno della società ed in
particolare degli quartieri esclusivi,
-
le città europee, nelle quali regge, almeno in
apparenza, una lunga storia di integrazione e welfare urbano, minata però da
nuove forme di frammentazione e discriminazione, quali da un lato la
dispersione dei ceti medi nella “città diffusa” e dall’altro l’isolamento dei
singoli gruppi etnici degli immigrati, per lo più nelle porzioni più degradate
delle periferie ex-industriali, mentre aleggiano crescenti paure per ogni
genere di “insicurezza” (dal terrorismo alla disoccupazione, dalla
microcriminalità alla prevaricazione sessuale).
(In questa
panoramica mi sembra che Secchi colga la compresenza tra le parti antiche,
moderne e “contemporanee” dei fenomeni urbani, superando un certo schematismo
che mi ero permesso di rilevare nella “Prima Lezione”).
La riflessione di Secchi, che riconosce un valore
tutto sommato positivo all’esperienza “riformista” dell’urbanistica europea del
Novecento (pur con tutte le ingenuità e gli errori del Movimento Moderno), è
orientata soprattutto allo sforzo necessario per comprendere, e rendere palesi,
le nuove linee di frattura e discriminazione sociale nelle situazioni concrete
dei tessuti urbani e territoriali, e per adeguare in modo efficace i possibili
strumenti di ricucitura (trasporti e percorsi, scuole e servizi, progetti di
effettiva urbanità), al fine di restituire “porosità” e permeabilità, fisica e
sociale, al caotico coacervo delle metropoli contemporanee, ed in particolare
alle periferie.
Il testo – data la sua brevità - si limita ad una
descrizione complessiva dei fenomeni ed alla enunciazione dei nuovi
orientamenti necessari, senza esemplificarli nel dettaglio, ma suggerendo i
percorsi di ricerca da praticare.
La lettura a
mio avviso offre conforto postumo a quanti di noi hanno vissuto – politicamente
e professionalmente – il tema delle differenziazioni sociali nell’urbanistica dei
trascorsi decenni (dai PEEP ai Piani di Recupero nei tessuti degradati, dalla
mobilità debole alle moschee), e quindi non lo trovano “nuovo”; però si devono
rendere conto che torna ad essere argomento “nuovo” proprio perché troppi altri
hanno dimenticato addirittura l’esistenza dei “poveri” (ad esempio, di cosa si sta
occupando il design italiano contemporaneo?).
Inoltre
Secchi mostra come l’argomento sia comunque oggettivamente “nuovo” per tutti,
perché “nuovi” in qualche misura sono sia gli attuali ricchi che gli attuali poveri
- anche per la difficoltà di riconoscere gli ultimi quando sono “diversi”
(migranti, profughi, islamici, rom…) – e nuove le forme degli insediamenti
umani sul territorio.
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