Nella contrapposizione politica,
cristallizzata da un paio di anni, tra l’area governativa e le diverse
opposizioni (cui si vanno aggiungendo in piccole rate vari frammenti della
sinistra PD), mi sembra che un dato emergente sia la scarsa partecipazione dei
cittadini, oltre che alle scadenze elettorali e referendarie, anche alle
iniziative promosse dai vari partiti e movimenti.
Ne sono testimonianza recente la
ridotta presenza dei militanti PD in Piazza del Popolo, il mancato convergere
di popolo al presidio del M5S in piazza Montecitorio a sostegno del
dimezzamento degli stipendi dei parlamentari ed ancor di più il mancato
raggiungimento del quorum del 75% nella consultazione on-line certificata dello
stesso M5S sulle modifiche del suo non-statuto.
Nei mesi precedenti, diversi
soggetti hanno tentato la scalata alla soglia delle 500.000 firme su proposte
referendarie; la soglia del Mezzo Milione è stata superata solo (ed fatica) dal PD per la conferma della riforma
costituzionale (sarebbe forse un bel boomerang, se il referendum non fosse già
stato innescato dalla raccolta delle firme dei parlamentari di opposizione) e
dalla grande CGIL, che ha raggiunto il milione di firme su 3 quesiti contro la
riforma Renzi del lavoro (se mi è consentito, non molto per un sindacato che
conta tuttora oltre 4 milioni di iscrizioni, tra cui la mia).
Non hanno invece superato la
prova, tra 2015 e 2016:
-
la scheggia “Possibile”, uscita dal PD con
Civati, che ha fallito su 8 quesiti riguardanti la legge elettorale “Italicum”,
lavoro, scuola, ambiente e grandi opere;
-
il Comitato contro la “Buona Scuola” (CGIL,
Cobas e altre sindacatini autonomi degli insegnanti, nonché associazioni di
studenti e di genitori), che ha mancato il traguardo, seppur per poche firme su
4 quesiti specifici;
-
il Comitato contro la conferma della riforma
costituzionale.
A tale smobilitazione delle
masse, corrisponde però un iper-attivizzazione delle minoranze militanti, sia
in manifestazioni medio-piccole, sia soprattutto sui social media, dove la
speranza di affossare Renzi con il NO al referendum costituzionale ha un
effetto di sovra-eccitazione, echeggiato, ai margini del Palazzo, da molti
anziani politici già rottamati od in via di rottamazione; mentre il fronte del
SI, pur raccogliendo variegate adesioni (tra cui gli inopinati “Sessantottini
per il SI”, che hanno su di me un indubbio richiamo affettivo), sembra
attivizzarsi nella sola persona di Renzi.
L’insieme di questi fenomeni, al
di là della scadenza referendaria, il cui esito comunque influirà pesantemente
anche su questo terreno (e la cui stessa celebrazione acuisce la lontananza di
molti elettori dalla “politica”, data la complessità degli argomenti e la
rissosità dei confronti), tende a mio avviso a rafforzare sul piano
organizzativo i piccoli partiti alle ali estreme del paesaggio politico
(Sinistra Italiana, Lega Nord) e ad approfondire invece la crisi organizzativa dei due
principali raccoglitori del consenso di massa, ovvero PD e M5S.
Il dibattito tra sordi alla
Camera sugli stipendi dei parlamentari è stato in tal senso paradigmatico: il
M5S incapace di uscire da una dimensione propagandistica, che non ha avuto il
successo propagandistico sperato; il PD incapace di formulare una
contro-proposta operativa immediata, a rischio di confermarsi come difensore
dei privilegi della casta (forse perché - stando ai conti pubblicati ad esempio
dalla Stampa - non sa rinunciare a 8 milioni annui di € dai contributi dei
propri parlamentari, nel momento in cui con la nuova virtuosa norma del 2%
dell’IRPEF ai partiti, riesce a raccogliere solo mezzo milione di €, e non sa
più contare sulla generosità di iscritti e simpatizzanti).
Per cui, dietro alla mancata
occasione per ricondurre gli emolumenti dei parlamentari ad equità e
trasparenza (soprattutto riguardo ai rimborsi spese ed ai compensi dei
portaborse precari), secondo me senza necessità di infierire con demagogiche
mortificazioni (non concordo per nulla con la nostalgia per lo Statuto
Albertino, con deputati a loro spese, ma necessariamente solo se già ricchi,
che è comparsa in questi giorni su Facebook), è ricomparsa in realtà l’annosa
questione del finanziamento ai partiti, confermata dalla cospicua entità dei
rimborsi maturati da Di Maio ed altri aspiranti leaders del M5S, che hanno
misurato sul campo quanto può costare semplicemente “fare politica” (cioè
spostarsi sul territorio e organizzare confronti e convegni).
E, dietro al tema del
finanziamento, ricompare il tema di fondo degli stessi partiti di massa:
-
che il M5S continua a negare, nascondendosi
dietro le sembianze del movimento e le favole dei cittadini-uno-vale-uno, mentre
è costretto a riconfermare una leadership a-priori (Grillo e Casaleggio, di
padre in figlio) e si svela privo di una decente regolamentazione interna per
la selezione dei quadri dirigenti e la risoluzione dei conflitti (come la
sospensione o meno degli indagati e la espulsione o meno dei dissidenti),
pienamente dimentico della famosa trasparenza-in-streaming;
-
che il PD trascina dietro alle ombre di gloria
delle primarie, da un lato, e delle migliaia di iscritti nelle “sezioni”,
dall’altro, mentre, trascinato dalla vigorosa leadership governativa e
mediatica di Renzi, ha sprecato l’occasione del ricambio generazionale post
non-vittoria del 2013 per rifondarsi su nuove basi (perché Renzi ha preferito
imbarcare vecchie correnti e vecchi notabili); ora circolano al vertice timide
proposte di ri-organizzazione, a cui sembra credere solo Fabrizio Barca (forte,
ma in realtà debole, della sua sperimentazione di un partito nuovo in una ventina
di circoli);
-
che difficilmente affronterà con successo
Stefano Parisi, sul versante di un centro destra ragionevole, in un campo
minato dalla uscente leadership aziendale di Berlusconi, dai fallimenti di
Monti e di ogni altro centrista e dalla incombente concorrenza populista di
Salvini,
-
che forse è irrisolvibile, un po’ in tutto il
mondo, in questa fase storica di globalizzazione e “società liquida”, ma nella
cui assenza si vedono consolidare ed estendersi prospettive ben peggiori, dai
partiti personali ai meri comitati elettorali, dalla frantumazione delle
rappresentanze alla crescente disaffezione dei cittadini verso il voto e le
istituzioni.
E se intanto negli U.S.A.
vincesse Trump….
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